Ci
sono momenti in cui fingere di non vedere è l'unico modo per
sentirsi vivi. Gabrielle è cieca da anni e nessuno se n'è ancora
accorto. Una ragazza piacevole, uno spirito mite, una bellezza
radiosa, dicono tutti — e forse sono loro i ciechi, sono loro che
non vedono come il suo fulgore sia sbiadito sotto l'ascia di
un'ignota nostalgia.
Gabrielle
si chiede cosa significhi respirare senza aver paura di fare rumore
ogni volta che Ginevra le passa accanto — Ginevra che sparge fiele in
ogni anfratto e le lascia sempre un retrogusto di sale sulla lingua,
Ginevra che se ne va sempre dall'ufficio degli Auror con le guance
accaldate, con quei capelli troppo rossi e quel sorriso troppo storto
che lei vorrebbe sbriciolare.
Gabrielle
ha gli occhi bendati e la schiena in fiamme, ha le mani piene di
graffi, la pancia colma di sassi, il sorriso morto di chi non ha più
lacrime da versare.
Harry
se ne accorge troppo tardi, quando 'troppo' muta in un un drappo
funebre sulla sua bella testa.
"Hai
mai visto qualcuno annegare?"
Harry
le spezza l'anima con quegli occhi troppo verdi che ha solo lui. Non
sa come comportarsi, Gabrielle ha sempre un tono di voce basso, una
nota dolente che s'incrina nell'ultima parola e il timbro morbido di
chi parla unicamente per indurre alla riflessione. È vicina alla
finestra, a capo chino, e per un attimo il suo profilo, non sa
spiegarselo, succede e basta, gli ricorda un pezzo di vetro
scheggiato.
"È
una domanda insolita."
"Mi
sono sempre chiesta cosa si provi."
Gabrielle
è sottile, a Harry basta guardarla un po' più a lungo per avere
l'impressione di ferirla, ma sono anni che le frantuma la pelle e gli
occhi senza saperlo. Gabrielle è uno specchio corroso dall'acqua che
brilla soltanto per irradiare il proprio dolore.
"Dura
davvero così tanto l'agonia? Dura davvero fino all'ultimo respiro?
Forse mano a mano che s'esaurisce l'ossigeno aumenta la sensazione di
stordimento e non si sente più niente."
Harry
la fissa senza fiatare.
"Nemmeno
l'agonia."
Quelle
parole lo stanno facendo soffocare.
"Gabrielle,
stai... sei sicura di star bene?"
Lei
indossa un sorriso mesto, un sorriso che vorrebbe splendere, ma che
sbiadisce contro il vetro della finestra.
"Da
quando sono diventata la tua apprendista ripenso spesso a come ci
siamo conosciuti, a come sarebbero andate le cose se non ci fosse
stato un incantesimo a proteggermi, se non fossi finita nel Lago Nero
per mia volontà."
Quando
si volta a guardarlo Harry prova un sollievo che sa di vergogna, il
sollievo di chi non è bravo con le parole e capisce di non aver più
bisogno di spenderle. Harry si dice che in fondo va tutto bene e
pensa che in caso contrario ci sarà qualcuno più capace di lui a
risolvere la questione.
"Sono
la solita Gabrielle, io e le mie domande assurde che spuntano fuori
all'improvviso e senza alcuna logica. Non badarci."
Crederle
è molto più facile che provare a indagare. Ne parlerò con
Fleur, si ripromette, è la sua via di fuga.
E
la imbocca senza voltarsi.
Sono
pochi gli Auror che restano a fare le ore piccole in ufficio in
assenza di una pista. Harry ha sviluppato questa propensione nel
corso degli anni e nessuno se ne stupisce. È la presenza di
Gabrielle a essere insolita. Gabrielle è tutta insolita e Harry non
capisce se è di lei o di se stesso che ha paura. Rifugia la vista
nella foto di un ricercato e spera di poterci annegare perché
vorrebbe andarsene da lì, ma non ne ha la forza, perché vorrebbe
restare, ma non ci riesce.
Gabrielle
è seduta di fronte a lui, un fruscio di pergamena l'accompagna
sempre quando muove la testa. Harry si chiede quand'è che ha
cominciato a odiare il mare, ma poi la guarda e lo ricorda subito, la
guarda un'altra volta, ancora, ancora, ancora, e ricorda tutto
il resto. È solo che ha dimenticato come si fa a pensare al mondo
intero quando Gabrielle è con lui. Gabrielle con le sue stranezze,
Gabrielle che è sottile e parla sempre a bassa voce e lo preoccupa
troppo.
"Se
vuoi puoi andare."
Lei
alza il viso dalla pergamena, ha gli occhi arrossati, la fronte
corrucciata e madre di chissà quali congetture su quel trafficante
di gioielli stregati.
"È
inutile, non abbiamo indizi sufficienti per risolvere il caso."
Harry
ha la voce stanca di chi non dorme da giorni, giorni di pensieri
nervosi e strani e fuori controllo dove manifesti in bianco e nero si
sovrappongono a un sorriso triste che non smette di occupargli la
mente.
Gabrielle
posa la piuma sulla scrivania, forse non ha gli occhi arrossati per
via della concentrazione, forse non li ha nemmeno arrossati, ma lo
guarda in un modo in cui tutto suggerisce vetro infranto. Harry si
alza dalla sedia, le dà le spalle per volere di un riflesso
incondizionato e rimane fermo (in gabbia).
"E
tu, invece? Non torni da Ginevra?"
Gabrielle
veste il nome di sua moglie in un modo che sa solo di squarci,
stracci, strappi — calca quel 'nevra' come se avesse frecce intrise
di fiele da scoccare contro un gigante. Però è brava a nasconderlo,
lo cela dietro a quella sua nota finale che s'incrina sempre, e Harry
non si accorge (fa finta) di niente.
"Ginevra
ti starà aspettando. Chissà, magari è preoccupata perché sei con
me."
Gabrielle
non ha mai fatto insinuazioni, è sempre stata rispettosa, così
sottile, così mite, e quando Harry sente quelle parole crede
d'averle immaginate, ma lei continua.
"In
fondo lei c'è sempre. È nella tua testa, è nella mia testa, è qui
anche adesso e mi sta facendo soffocare... e io non riesco più a
fermarmi, non riesco più a fermarmi, maledetta me..."
La
voce di Gabrielle vibra di un dolore senza nome.
"Non
volevo. Mi dispiace..."
Harry
ha la gola secca, non riesce ad appellare la giacca, né a voltarsi
per guardare Gabrielle, ma sa che lo deve fare, sa che non può
fingere in eterno di scandagliare i manifesti appesi alle pareti.
Credeva che l'avrebbe vista sempre così com'era abituato a vederla -
assorta, pacata, distratta — e mai avviluppata nel rancore. Credeva
che Gabrielle non gli si sarebbe mai avvicinata tanto come sta
facendo adesso. Credeva a un disegno diverso da quello che ora ha
davanti - le macchie sono troppe, troppe per essere cancellate.
"Hai
mai pensato a come sarebbe baciarmi? L'hai almeno immaginato?"
Harry
ha le unghie conficcate nei palmi. Se chiudesse gli occhi vedrebbe le
vetrate dell'ufficio esplodere in mille pezzi, all'infinito, ma è a
occhi aperti che vede il riflesso sgualcito di Gabrielle alla
finestra. È a occhi aperti che non vorrebbe rimanere, per non
doverla guardare, ma poi si ricorda che fuggire non porta a nulla.
Quando si volta il respiro gli muore sulle labbra. Gabrielle è così
vicina che potrebbe contarle le ciglia. Respira piano, piano come se
stesse davvero per soffocare, e ha il viso stravolto di chi è di
fronte a un demonio.
Come
ha potuto farle così male senza averla mai sfiorata?
"Gabrielle,
io..."
Non
sa cosa dire, non sa cosa fare, non sa cosa sperare.
Non
è niente. Non è niente.
Gabrielle
ha il viso bianchissimo, i lineamenti delicati, le ciglia lunghe.
Sembra una bambina, nella sua armonia, eppure ha gli occhi di chi ha
vissuto tanto da aver dimenticato cosa significhi essere giovane.
Gabrielle è un cigno che piange in una gabbia di specchi (verdi come
i suoi occhi).
"Ti
amo da una vita."
Il
respiro di lei è uno schiaffo sul viso, Harry vorrebbe ricacciarlo
indietro a forza e fermare il tempo. Vorrebbe indietreggiare,
vorrebbe negare il brivido che l'ha appena colto, dimenticare il
profumo di buono, la paura, la meraviglia. Vorrebbe sparire, ma non
si muove. La percezione di quei capelli biondi che gli solleticano il
braccio è talmente intensa da bruciarlo, e Gabrielle lo guarda come
se non avesse mai visto altro al mondo.
Non
è niente. Non è niente.
Occhi
come schiuma di mare, occhi tanto inquietanti, tanto morti.
Non appena il respiro le si spezza tra i denti Harry capisce che non
avrebbe nemmeno il tempo d'impedire o desiderare l'istante
successivo.
Le
labbra di Gabrielle hanno il sapore amaro della sconfitta, delle
gioie violente, del mare in tempesta, e lo cercano con una fame che
urla all'eternità. Harry le sente scontrarsi con le sue e tutto ciò
che ha ammazzato per mesi risorge in una scossa disperata — ma ha le
mani che le stanno già sfiorando le spalle per spingerla più
lontano, la mente già prigioniera in un labirinto. Harry le sfiora
la pelle e le spezza l'anima.
"Fermati.
Questo... questo è sbagliato."
Un
velo bianco si posa sul suo viso infranto. Gabrielle non smette di
guardarlo, ma è già lontana, è già sbiadita.
"Non
credi che gli amori più belli debbano finire come sono iniziati?"
Harry
trattiene il respiro — incrinata, bruciata, spenta. Dove vai,
Gabrielle? Dove stai andando? Non ha idea di come comportarsi,
non riesce a cogliere il significato (ha paura) di quelle parole.
"Non
posso darti quello che cerchi. Mi dispiace."
Vorrebbe
dirle che andrà tutto bene, che non è niente, non è niente.
Vorrebbe dirle che passerà, ma le parole sono maledettamente vuote e
crudeli e bugiarde.
"Sei
così nobile, Harry."
Cieco.
"Sei
il sogno della mia vita, lo sei sempre stato, lo capisci? Per questo
non posso più vederti."
Gabrielle
ora gli parla a occhi bassi, le spalle scosse da singhiozzi che non
vuole liberare.
"No,
sono solo Harry, e presto arriverà qualcuno migliore di me."
Non
sa cosa dire, non sa cosa fare, si sente inutile, ridicolo, mentre
spera d'aver appena colto la verità. Poi pensa che forse avrebbe
dovuto dire qualcosa di diverso o rimanere in silenzio fin
dall'inizio.
"Buonanotte,
Harry."
Gabrielle
non gli dà nemmeno il tempo di assorbire quelle parole, di reagire,
di fermarla, di chiederle dove stia andando.
Niente,
non è successo niente.
Gabrielle
se ne va dall'ufficio senza fare rumore, avvolta nello stesso
silenzio con cui anni prima era entrata nella sua vita.
Gabrielle
scivola via come cristallo fuso, e i suoi passi leggeri sono un
tripudio d'onde infrante sulla battigia, il suo profumo un'assenza
che non smette di bruciare.
Harry
non la vedrà mai più.
Ci
sono storie che non dovrebbero mai essere raccontate, altre che non
andrebbero mai vissute. Harry stringe tra le dita una lettera
incantata, per lui, solo per lui, e si chiede quante altre
volte la morte verrà a carezzarlo col suo sorriso beffardo. Tardi. È
arrivato troppo tardi.
Non
ha nemmeno la forza per piangere.
Sei
il mio sogno e io ti ho sporcato. Perdonami, se puoi.
Volevo
averti almeno un poco, volevo capire cosa significhi realmente
sentirsi vivi. Io e te non saremo mai niente perché sei nobile e
giusto. Ti odio per questo, ma è proprio quello che sei che mi ha
fatta innamorare. Non cambierei niente di te, nemmeno le cose che non
so. Ti ho osservato così tanto da conoscerti meglio di chiunque, ti
ho sognato così tanto da capire quello che nessuno capisce. Forse
non mi crederai, ma d'altronde è meglio così. A chi farebbe piacere
sapere che i propri pensieri vengono costantemente letti da una spia
indesiderata? Perdonami, se puoi. Sono la solita Gabrielle, ho
giocato sporco e me ne vergogno, ma ti amo, Harry, ti amo così
tanto...
È
arrivato il momento che ti spieghi perché sto scrivendo questa
lettera. Se ti dicessero che tua moglie ti colpirà erroneamente con
un incantesimo mortale, tu cosa faresti? Se ti dicessero che il tuo
destino non può essere cambiato, l'accetteresti?
So
che lotteresti con tutte le tue forze, tu che hai salvato il mondo,
so che in assenza di una via d'uscita aspetteresti la morte a testa
alta, preoccupandoti più per tua moglie che per te stesso. Perché
tu sei coraggioso, Harry. Io invece sono solo una codarda, non ho né
la forza né un motivo che mi spinga a combattere. Non ti dirò
quando e perché sono entrata in possesso della mia Profezia, voglio
soltanto che tu mi capisca. Sarei dovuta morire il mese successivo,
nella notte del 31 ottobre. La notte in cui avremmo dovuto trovare
Kratos De Vries e catturarlo. Ginevra sarebbe accorsa per aiutarci,
il Mangiamorte avrebbe approfittato del suo inaspettato arrivo e
cercato di ucciderla, tu avresti scagliato una contromaledizione per
fermarlo. L'incantesimo mi sarebbe rimbalzata addosso, uccidendomi.
Non
posso vivere una vita in cui sono soltanto un'ombra per te, ma non
voglio nemmeno morire per mano tua e renderti un assassino. Mi dirai
che sono un'egoista, ma io ci trovo qualcosa di poetico nella
possibilità di scegliere la propria morte. È la mia unica
consolazione.
Sei
il mio sogno, ricordalo. Sii forte come sei sempre stato, come io non
lo sono mai stata. Vivi per chi ami, vivi per me. Vivi, Harry.
Perdonami,
se puoi.
Harry
si chiede quale sia il confine tra il dolore e la disperazione, se ci
sia una salvezza per coloro che non hanno un posto in cui sentirsi a
casa, se la vita, la mente, sia davvero così fragile e
crudele. Lui non è coraggioso. Con Gabrielle, così mite, così
sottile, non lo è mai stato.
Non
credi che gli amori più belli debbano finire come sono iniziati?
Non
parla con nessuno, nemmeno con Ginny. La sua stanza è immersa in una
coltre di ombre, dove nemmeno le voci possono raggiungerlo, perché
recise da un persistente incantesimo d'insonorizzazione. Harry non
dorme più, se chiude gli occhi vede soltanto schiuma di mare, una
coltre azzurra che poco a poco prende il colore scarlatto del sangue
per inghiottirlo nel suo abbraccio fatale. Non ha qualcuno da
incolpare all'infuori di se stesso, ma non sei stato tu, ti prego,
Harry, guardami, ascoltami, sussurra Ginny contro al muro.
L'ironia
della morte è bestiale. Quando era in vita Gabrielle non era mai
riuscita a renderlo tanto distante da Ginny.
Hai
mai visto qualcuno annegare?
Gabrielle
è un'assenza che soffoca senza fare rumore. Harry la vede ogni
istante, mentre urla il suo nome contro il il mondo, mentre lo
aspetta nella morsa del mare, mentre spera che lui la salvi ancora,
mentre spera che lui non torni, mentre capisce che è troppo tardi
per pentirsi e tornare in superficie.
Harry
la vede ogni istante, mentre gli dice di vivere. Harry la vede ogni
istante, e non esiste nient'altro all'infuori della sua assenza.
"Che
era morta. Gli dissero che era morta. Che nell'alba l'avevano vista
galleggiare. Come un cigno"
Spazio
dell'autrice
Questa
è al solito una storia molto allegra del mio repertorio, con una
Gabrielle decisamente problematica e risvolti drastici. Devo dire che
ho abusato di termini come "troppo, sempre, soltanto", mi è
stato impossibile evitarlo, diciamo che erano i personaggi stessi a
richiederlo. Il senso dell'eccesso, difatti, è forse la cosa più
asfissiante di tutta la storia. Spero che sia stata comunque di
vostro gradimento! La frase finale posta a destra è una citazione di Isabella Santacroce.
A presto!