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Autore: Freya Crystal    20/03/2018    3 recensioni
Harry le spezza l'anima con quegli occhi troppo verdi che ha solo lui. Non sa come comportarsi, Gabrielle ha sempre un tono di voce basso, una nota dolente che s'incrina nell'ultima parola e il timbro morbido di chi parla unicamente per indurre alla riflessione. È vicina alla finestra, a capo chino, e per un attimo il suo profilo, non sa spiegarselo, succede e basta, gli ricorda un pezzo di vetro scheggiato.
"Hai mai visto qualcuno annegare?"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gabrielle Delacour, Harry Potter
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Il pianto del cigno





Ci sono momenti in cui fingere di non vedere è l'unico modo per sentirsi vivi. Gabrielle è cieca da anni e nessuno se n'è ancora accorto. Una ragazza piacevole, uno spirito mite, una bellezza radiosa, dicono tutti — e forse sono loro i ciechi, sono loro che non vedono come il suo fulgore sia sbiadito sotto l'ascia di un'ignota nostalgia.
Gabrielle si chiede cosa significhi respirare senza aver paura di fare rumore ogni volta che Ginevra le passa accanto — Ginevra che sparge fiele in ogni anfratto e le lascia sempre un retrogusto di sale sulla lingua, Ginevra che se ne va sempre dall'ufficio degli Auror con le guance accaldate, con quei capelli troppo rossi e quel sorriso troppo storto che lei vorrebbe sbriciolare.
Gabrielle ha gli occhi bendati e la schiena in fiamme, ha le mani piene di graffi, la pancia colma di sassi, il sorriso morto di chi non ha più lacrime da versare.
Harry se ne accorge troppo tardi, quando 'troppo' muta in un un drappo funebre sulla sua bella testa.




**




"Hai mai visto qualcuno annegare?"
Harry le spezza l'anima con quegli occhi troppo verdi che ha solo lui. Non sa come comportarsi, Gabrielle ha sempre un tono di voce basso, una nota dolente che s'incrina nell'ultima parola e il timbro morbido di chi parla unicamente per indurre alla riflessione. È vicina alla finestra, a capo chino, e per un attimo il suo profilo, non sa spiegarselo, succede e basta, gli ricorda un pezzo di vetro scheggiato.
"È una domanda insolita."
"Mi sono sempre chiesta cosa si provi."
Gabrielle è sottile, a Harry basta guardarla un po' più a lungo per avere l'impressione di ferirla, ma sono anni che le frantuma la pelle e gli occhi senza saperlo. Gabrielle è uno specchio corroso dall'acqua che brilla soltanto per irradiare il proprio dolore.
"Dura davvero così tanto l'agonia? Dura davvero fino all'ultimo respiro? Forse mano a mano che s'esaurisce l'ossigeno aumenta la sensazione di stordimento e non si sente più niente."
Harry la fissa senza fiatare.
"Nemmeno l'agonia."
Quelle parole lo stanno facendo soffocare.
"Gabrielle, stai... sei sicura di star bene?"
Lei indossa un sorriso mesto, un sorriso che vorrebbe splendere, ma che sbiadisce contro il vetro della finestra.
"Da quando sono diventata la tua apprendista ripenso spesso a come ci siamo conosciuti, a come sarebbero andate le cose se non ci fosse stato un incantesimo a proteggermi, se non fossi finita nel Lago Nero per mia volontà."
Quando si volta a guardarlo Harry prova un sollievo che sa di vergogna, il sollievo di chi non è bravo con le parole e capisce di non aver più bisogno di spenderle. Harry si dice che in fondo va tutto bene e pensa che in caso contrario ci sarà qualcuno più capace di lui a risolvere la questione.
"Sono la solita Gabrielle, io e le mie domande assurde che spuntano fuori all'improvviso e senza alcuna logica. Non badarci."
Crederle è molto più facile che provare a indagare. Ne parlerò con Fleur, si ripromette, è la sua via di fuga.
E la imbocca senza voltarsi.




**




Sono pochi gli Auror che restano a fare le ore piccole in ufficio in assenza di una pista. Harry ha sviluppato questa propensione nel corso degli anni e nessuno se ne stupisce. È la presenza di Gabrielle a essere insolita. Gabrielle è tutta insolita e Harry non capisce se è di lei o di se stesso che ha paura. Rifugia la vista nella foto di un ricercato e spera di poterci annegare perché vorrebbe andarsene da lì, ma non ne ha la forza, perché vorrebbe restare, ma non ci riesce.
Gabrielle è seduta di fronte a lui, un fruscio di pergamena l'accompagna sempre quando muove la testa. Harry si chiede quand'è che ha cominciato a odiare il mare, ma poi la guarda e lo ricorda subito, la guarda un'altra volta, ancora, ancora, ancora, e ricorda tutto il resto. È solo che ha dimenticato come si fa a pensare al mondo intero quando Gabrielle è con lui. Gabrielle con le sue stranezze, Gabrielle che è sottile e parla sempre a bassa voce e lo preoccupa troppo.
"Se vuoi puoi andare."
Lei alza il viso dalla pergamena, ha gli occhi arrossati, la fronte corrucciata e madre di chissà quali congetture su quel trafficante di gioielli stregati.
"È inutile, non abbiamo indizi sufficienti per risolvere il caso."
Harry ha la voce stanca di chi non dorme da giorni, giorni di pensieri nervosi e strani e fuori controllo dove manifesti in bianco e nero si sovrappongono a un sorriso triste che non smette di occupargli la mente.
Gabrielle posa la piuma sulla scrivania, forse non ha gli occhi arrossati per via della concentrazione, forse non li ha nemmeno arrossati, ma lo guarda in un modo in cui tutto suggerisce vetro infranto. Harry si alza dalla sedia, le dà le spalle per volere di un riflesso incondizionato e rimane fermo (in gabbia).
"E tu, invece? Non torni da Ginevra?"
Gabrielle veste il nome di sua moglie in un modo che sa solo di squarci, stracci, strappi — calca quel 'nevra' come se avesse frecce intrise di fiele da scoccare contro un gigante. Però è brava a nasconderlo, lo cela dietro a quella sua nota finale che s'incrina sempre, e Harry non si accorge (fa finta) di niente.
"Ginevra ti starà aspettando. Chissà, magari è preoccupata perché sei con me."
Gabrielle non ha mai fatto insinuazioni, è sempre stata rispettosa, così sottile, così mite, e quando Harry sente quelle parole crede d'averle immaginate, ma lei continua.
"In fondo lei c'è sempre. È nella tua testa, è nella mia testa, è qui anche adesso e mi sta facendo soffocare... e io non riesco più a fermarmi, non riesco più a fermarmi, maledetta me..."
La voce di Gabrielle vibra di un dolore senza nome.
"Non volevo. Mi dispiace..."
Harry ha la gola secca, non riesce ad appellare la giacca, né a voltarsi per guardare Gabrielle, ma sa che lo deve fare, sa che non può fingere in eterno di scandagliare i manifesti appesi alle pareti. Credeva che l'avrebbe vista sempre così com'era abituato a vederla - assorta, pacata, distratta — e mai avviluppata nel rancore. Credeva che Gabrielle non gli si sarebbe mai avvicinata tanto come sta facendo adesso. Credeva a un disegno diverso da quello che ora ha davanti - le macchie sono troppe, troppe per essere cancellate.
"Hai mai pensato a come sarebbe baciarmi? L'hai almeno immaginato?"
Harry ha le unghie conficcate nei palmi. Se chiudesse gli occhi vedrebbe le vetrate dell'ufficio esplodere in mille pezzi, all'infinito, ma è a occhi aperti che vede il riflesso sgualcito di Gabrielle alla finestra. È a occhi aperti che non vorrebbe rimanere, per non doverla guardare, ma poi si ricorda che fuggire non porta a nulla. Quando si volta il respiro gli muore sulle labbra. Gabrielle è così vicina che potrebbe contarle le ciglia. Respira piano, piano come se stesse davvero per soffocare, e ha il viso stravolto di chi è di fronte a un demonio.
Come ha potuto farle così male senza averla mai sfiorata?
"Gabrielle, io..."
Non sa cosa dire, non sa cosa fare, non sa cosa sperare.
Non è niente. Non è niente.
Gabrielle ha il viso bianchissimo, i lineamenti delicati, le ciglia lunghe. Sembra una bambina, nella sua armonia, eppure ha gli occhi di chi ha vissuto tanto da aver dimenticato cosa significhi essere giovane. Gabrielle è un cigno che piange in una gabbia di specchi (verdi come i suoi occhi).
"Ti amo da una vita."
Il respiro di lei è uno schiaffo sul viso, Harry vorrebbe ricacciarlo indietro a forza e fermare il tempo. Vorrebbe indietreggiare, vorrebbe negare il brivido che l'ha appena colto, dimenticare il profumo di buono, la paura, la meraviglia. Vorrebbe sparire, ma non si muove. La percezione di quei capelli biondi che gli solleticano il braccio è talmente intensa da bruciarlo, e Gabrielle lo guarda come se non avesse mai visto altro al mondo.
Non è niente. Non è niente.
Occhi come schiuma di mare, occhi tanto inquietanti, tanto morti. Non appena il respiro le si spezza tra i denti Harry capisce che non avrebbe nemmeno il tempo d'impedire o desiderare l'istante successivo.
Le labbra di Gabrielle hanno il sapore amaro della sconfitta, delle gioie violente, del mare in tempesta, e lo cercano con una fame che urla all'eternità. Harry le sente scontrarsi con le sue e tutto ciò che ha ammazzato per mesi risorge in una scossa disperata — ma ha le mani che le stanno già sfiorando le spalle per spingerla più lontano, la mente già prigioniera in un labirinto. Harry le sfiora la pelle e le spezza l'anima.
"Fermati. Questo... questo è sbagliato."
Un velo bianco si posa sul suo viso infranto. Gabrielle non smette di guardarlo, ma è già lontana, è già sbiadita.
"Non credi che gli amori più belli debbano finire come sono iniziati?"
Harry trattiene il respiro — incrinata, bruciata, spenta. Dove vai, Gabrielle? Dove stai andando? Non ha idea di come comportarsi, non riesce a cogliere il significato (ha paura) di quelle parole.
"Non posso darti quello che cerchi. Mi dispiace."
Vorrebbe dirle che andrà tutto bene, che non è niente, non è niente. Vorrebbe dirle che passerà, ma le parole sono maledettamente vuote e crudeli e bugiarde.
"Sei così nobile, Harry."
Cieco.
"Sei il sogno della mia vita, lo sei sempre stato, lo capisci? Per questo non posso più vederti."
Gabrielle ora gli parla a occhi bassi, le spalle scosse da singhiozzi che non vuole liberare.
"No, sono solo Harry, e presto arriverà qualcuno migliore di me."
Non sa cosa dire, non sa cosa fare, si sente inutile, ridicolo, mentre spera d'aver appena colto la verità. Poi pensa che forse avrebbe dovuto dire qualcosa di diverso o rimanere in silenzio fin dall'inizio.
"Buonanotte, Harry."
Gabrielle non gli dà nemmeno il tempo di assorbire quelle parole, di reagire, di fermarla, di chiederle dove stia andando.
Niente, non è successo niente.
Gabrielle se ne va dall'ufficio senza fare rumore, avvolta nello stesso silenzio con cui anni prima era entrata nella sua vita.
Gabrielle scivola via come cristallo fuso, e i suoi passi leggeri sono un tripudio d'onde infrante sulla battigia, il suo profumo un'assenza che non smette di bruciare.
Harry non la vedrà mai più.




**




Ci sono storie che non dovrebbero mai essere raccontate, altre che non andrebbero mai vissute. Harry stringe tra le dita una lettera incantata, per lui, solo per lui, e si chiede quante altre volte la morte verrà a carezzarlo col suo sorriso beffardo. Tardi. È arrivato troppo tardi.
Non ha nemmeno la forza per piangere.



Sei il mio sogno e io ti ho sporcato. Perdonami, se puoi.
Volevo averti almeno un poco, volevo capire cosa significhi realmente sentirsi vivi. Io e te non saremo mai niente perché sei nobile e giusto. Ti odio per questo, ma è proprio quello che sei che mi ha fatta innamorare. Non cambierei niente di te, nemmeno le cose che non so. Ti ho osservato così tanto da conoscerti meglio di chiunque, ti ho sognato così tanto da capire quello che nessuno capisce. Forse non mi crederai, ma d'altronde è meglio così. A chi farebbe piacere sapere che i propri pensieri vengono costantemente letti da una spia indesiderata? Perdonami, se puoi. Sono la solita Gabrielle, ho giocato sporco e me ne vergogno, ma ti amo, Harry, ti amo così tanto...
È arrivato il momento che ti spieghi perché sto scrivendo questa lettera. Se ti dicessero che tua moglie ti colpirà erroneamente con un incantesimo mortale, tu cosa faresti? Se ti dicessero che il tuo destino non può essere cambiato, l'accetteresti?
So che lotteresti con tutte le tue forze, tu che hai salvato il mondo, so che in assenza di una via d'uscita aspetteresti la morte a testa alta, preoccupandoti più per tua moglie che per te stesso. Perché tu sei coraggioso, Harry. Io invece sono solo una codarda, non ho né la forza né un motivo che mi spinga a combattere. Non ti dirò quando e perché sono entrata in possesso della mia Profezia, voglio soltanto che tu mi capisca. Sarei dovuta morire il mese successivo, nella notte del 31 ottobre. La notte in cui avremmo dovuto trovare Kratos De Vries e catturarlo. Ginevra sarebbe accorsa per aiutarci, il Mangiamorte avrebbe approfittato del suo inaspettato arrivo e cercato di ucciderla, tu avresti scagliato una contromaledizione per fermarlo. L'incantesimo mi sarebbe rimbalzata addosso, uccidendomi.
Non posso vivere una vita in cui sono soltanto un'ombra per te, ma non voglio nemmeno morire per mano tua e renderti un assassino. Mi dirai che sono un'egoista, ma io ci trovo qualcosa di poetico nella possibilità di scegliere la propria morte. È la mia unica consolazione.
Sei il mio sogno, ricordalo. Sii forte come sei sempre stato, come io non lo sono mai stata. Vivi per chi ami, vivi per me. Vivi, Harry.
Perdonami, se puoi.




Harry si chiede quale sia il confine tra il dolore e la disperazione, se ci sia una salvezza per coloro che non hanno un posto in cui sentirsi a casa, se la vita, la mente, sia davvero così fragile e crudele. Lui non è coraggioso. Con Gabrielle, così mite, così sottile, non lo è mai stato.
Non credi che gli amori più belli debbano finire come sono iniziati?
Non parla con nessuno, nemmeno con Ginny. La sua stanza è immersa in una coltre di ombre, dove nemmeno le voci possono raggiungerlo, perché recise da un persistente incantesimo d'insonorizzazione. Harry non dorme più, se chiude gli occhi vede soltanto schiuma di mare, una coltre azzurra che poco a poco prende il colore scarlatto del sangue per inghiottirlo nel suo abbraccio fatale. Non ha qualcuno da incolpare all'infuori di se stesso, ma non sei stato tu, ti prego, Harry, guardami, ascoltami, sussurra Ginny contro al muro.
L'ironia della morte è bestiale. Quando era in vita Gabrielle non era mai riuscita a renderlo tanto distante da Ginny.
Hai mai visto qualcuno annegare?
Gabrielle è un'assenza che soffoca senza fare rumore. Harry la vede ogni istante, mentre urla il suo nome contro il il mondo, mentre lo aspetta nella morsa del mare, mentre spera che lui la salvi ancora, mentre spera che lui non torni, mentre capisce che è troppo tardi per pentirsi e tornare in superficie.
Harry la vede ogni istante, mentre gli dice di vivere. Harry la vede ogni istante, e non esiste nient'altro all'infuori della sua assenza.





"Che era morta. Gli dissero che era morta.
Che nell'alba l'avevano vista galleggiare.
Come un cigno"






~●~




Spazio dell'autrice
Questa è al solito una storia molto allegra del mio repertorio, con una Gabrielle decisamente problematica e risvolti drastici. Devo dire che ho abusato di termini come "troppo, sempre, soltanto", mi è stato impossibile evitarlo, diciamo che erano i personaggi stessi a richiederlo. Il senso dell'eccesso, difatti, è forse la cosa più asfissiante di tutta la storia. Spero che sia stata comunque di vostro gradimento! La frase finale posta a destra è una citazione di Isabella Santacroce.
A presto!

  
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