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Autore: FairyCleo    23/03/2018    7 recensioni
Storia partecipante al contest “Il Diavolo e l’acqua Santa” indetto da Ssjd e Vegeta_Sutcliffe sul forum di EFP
"sofferenza. Non ci sarebbe stato né ora né mai.
Il collo era bloccato. Una pesante catena lo teneva ancorato al suolo brullo, rovente, e solo chi aveva escogitato quell’atrocità poteva sapere quanto terriccio avesse ingoiato, respirato, quanto secca fosse la sua gola e quanto rossi fossero i suoi occhi, perennemente aperti, spalancati verso quella terra che gli ricordava ogni singolo istante, con una costanza dilaniante, quanto in vita fosse stato attaccato a cose che secondo il punto di vista di qualcuno non erano poi così importanti".
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Re Vegeta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimers: i personaggio non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro.
 

IV Cerchio: Avari

 
Si agitava furioso, nonostante il tempo trascorso avrebbe ormai dovuto farlo abituare alla posizione in cui era stato costretto.
Le spalle dolevano per il continuo strattonare. Polsi e caviglie erano stati incisi così in profondità da aver raggiunto quasi le ossa ormai messe a nudo. Il sangue non smetteva di colare. Ogni giorno, nuovo denso, caldo liquido rosso si mescolava al vecchio, ormai scuro, secco, incrostato. I tendini dolevano, dolevano come mai avevano fatto prima di allora, e non c’era modo, per lui, di alleviare quella sofferenza. Non ci sarebbe stato né ora né mai.
Il collo era bloccato. Una pesante catena lo teneva ancorato al suolo brullo, rovente, e solo chi aveva escogitato quell’atrocità poteva sapere quanto terriccio avesse ingoiato, respirato, quanto secca fosse la sua gola e quanto rossi fossero i suoi occhi, perennemente aperti, spalancati verso quella terra che gli ricordava ogni singolo istante, con una costanza dilaniante, quanto in vita fosse stato attaccato a cose che secondo il punto di vista di qualcuno non erano poi così importanti.
Faceva caldo, in quel posto dimenticato dalle divinità. Faceva così caldo che in un primo momento aveva creduto di finire col diventare un ammasso di liquido informe. Non che la cosa lo spaventasse.
Lui non aveva paura. Non ne aveva mai avuta in vita sua. Mai. Neanche quella volta in cui era stato faccia a faccia con la dea ammantata di nero, neanche quando quest’ultima aveva levato la sua falce, abbattendola su di lui sotto forma di subdolo colpo inferto da un subdolo essere munito di una disgustosa, fluttuante coda rosa inanellata.
Non dormiva. Mai. E anche se avesse potuto, il suo carceriere, il suo tormento, glielo avrebbe certamente impedito. Era un soldatino diligente, quello lì, uno a cui piaceva il suo lavoro, e amava svolgerlo senza pause.
Così, esattamente come il suo torace e le sue cosce, la schiena subiva il medesimo trattamento. Del resto, poteva perfettamente comprendere: per quale motivo risparmiare a un condannato tali deliziose premure?
Persino lei, motivo del loro orgoglio, assoluto tratto distintivo della specie di cui era l’indiscusso sovrano, era stata violata. Privata della libertà di agitarsi senza indugi, era stata inchiodata al terreno, e sanguinava. Come i suoi polsi. Come il suo petto. Come il suo orgoglio.
“Pensare che avresti potuto evitare tutto questo!” – gli aveva detto – “Pensare che sarebbe bastato così poco…”.
Glielo aveva ripetuto così tante volte da avergli fatto venire la nausea. Inizialmente, aveva provato a reagire, inveendo contro di lui, urlando, lamentandosi senza sosta. Ma non era servito a niente, se non a procurargli ulteriore, incessante dolore.
“Non capisco perché tu sia così cocciuto. Potevi pentirti, chiedere perdono… La tua pena sarebbe stata abbreviata. Re Enma sarà pure un fiscale burocrate, ma anche lui è dotato di un cuore! Quello che evidentemente manca a te!”.
Lo aveva trafitto al fianco con la punta della lancia, lasciando una ferita aperta e grondante. L’ennesima.
“Eppure, credo che il tuo comportamento, alla fine, abbia aiutato quel ragazzo a diventare quello che è. Ripensando a te e a quello che gli hai fatto patire, ha capito che col figlio avrebbe dovuto fare l’esatto opposto. Quindi, alla fine, non sei stato così tremendo come dicono!”.
Stavolta lo aveva colpito alla pianta del piede destro. E lui, stavolta, aveva urlato, ingoiando terra e polvere.
Cosa ne sapeva di lui quel miserabile? E soprattutto, a lui cosa importava di quella nullità che continuava a essere l’eterno secondo? Oh, sì, quella voce era giunta sin laggiù. Dopo lo scompiglio creato da quel mostro rosa che rispondeva al nome di Majin-Bu, tutti sapevano quello che gli scimmioni avevano fatto, quello che lui, quel Kaharot aveva portato a termine. Tutto questo mentre quell’essere che portava il suo stesso nome, quella nullità, era rimasto in disparte, piangendo lacrime amare.
Aveva pianto. Colui che aveva i suoi stessi geni aveva infangato la loro discendenza, la loro eredità, aveva pianto.
Dove poteva aver sbagliato? In cosa?
Era stato duro. Severo. Arido. Così come gli era stato insegnato, così come gli era stato detto, così come aveva deciso.
Non aveva mai provato niente per lui. Mai. La prima volta che lo aveva visto, qualcuno gli aveva chiesto come si sentisse ad avere finalmente un erede, un figlio maschio. Lo ricordava come se fosse appena accaduto. E la verità era che non aveva provato niente verso quel fagotto urlante. Solo fastidio. Fastidio scaturito dal pianto disperato di colui che non avrebbe mai dovuto versare neanche solo una lacrima. I figli degli altri re potevano anche piangere. I figli dei re saiyan non potevano farlo.
Crescendo, la situazione non era cambiata.
Perché mai il semplice fatto di aver trasmesso i propri geni a qualcuno avrebbe dovuto far sì che si sviluppasse futili, insignificanti sentimenti? Che si dovesse fare qualcosa per loro?
Avrebbe dovuto sposare una donna per procreare a e lo aveva fatto. Avrebbe dovuto vedere quella cosa, quella famiglia invadere i suoi spazi e lo aveva permesso. Cos’altro avrebbe dovuto fare? Baciare quella donna, farle dei regali? Avrebbe dovuto prendere in braccio i figli che gli aveva dato? No… Mai. Se aveva dedicato a quel moccioso un po’ del suo preziosissimo tempo era stato solo perché doveva, e nient’altro. Nient’altro all’infuori di quello.
“I figli sono doni preziosi… Il mio è un vero diavoletto! Sarà il mio degno erede!”.
EREDE.
No, lui non voleva che il suo titolo, che il suo retaggio fossero tramandati a quella nullità sacrificatasi per amore di una terrestre e di un abominevole mezzo sangue.
Eppure, era certo che il suo atteggiamento, che i suoi insegnamenti fossero stati colti e messi in pratica senza esitazione. Del resto, aveva dimostrato di possedere una tempra non indifferente. Cosa poteva essere andato storto? Cosa poteva averlo cambiato sino a quel punto?
“Sai, se tu ti pentissi, potresti anche rivederlo…” – aveva continuato – “So che lui e sua moglie stanno provando ad avere un altro figlio. Magari, re Enma ti farebbe reincarnare proprio nel ventre di quella giovane terrestre!”.
L’orrore scaturito da quel pensiero aveva fatto sì che si strozzasse con la sua stessa saliva. Lui, il re dei saiyan, reincarnarsi in uno sporco e insulso mezzosangue? MAI.
Perché non stava zitto? Perché non taceva?
“Direi che non sei d’accordo… Be’, un po’ me lo aspettavo… Dopo quello che hai fatto loro poco prima di morire… Forse, così facendo, hai salvato la vita a Tarble… Ma del tuo primogenito, che mi dici? Darlo a Freezer… Capisco che ti abbia dato in cambio ogni genere di ricchezza, capisco che non tenessi particolarmente a lui, ma non pensi di aver esagerato?”.
Esagerato. Gli aveva detto di essere stato esagerato. Di certo, era stato più delicato di quella stupida oca che era stato costretto a sposare. Gli aveva sputato addosso talmente tanto veleno da averlo portato sul punto di ucciderla con le sue stesse mani. Cosa ne sapeva, lei, del perché lo aveva fatto? Dove lei vedeva sdegno lui vedeva opportunità! Cosa dovevano farsene di un moccioso quando potevano avere ricchezze, dominio, gloria, potere?
Lo aveva fatto solo per tenere a bada quell’essere schifoso che si faceva chiamare Lord Freezer, per raggirarlo e passare a contrattacco.
Quando avrebbe vinto, avrebbe riportato quel moccioso sul loro meraviglioso pianeta. Quando avrebbe vinto, avrebbe ottenuto tutto! E sfruttare la sua forza per ottenere di più, per diventare il solo e unico padrone incontrastato di ogni mondo conosciuto era un piano davvero niente male.
Se solo le cose fossero andate come dovevano…
“Già… Se solo fossero andate come dovevano” – aveva commentato, facendo sì che la punta della sua lancia sfiorasse il suolo – “Il tuo cuore è arido come la terra che ingoi da decenni, re dei saiyan. Mi chiedo cosa ti spinga a comportarti in questo modo. Se si tratta di orgoglio o di stupidità”.
Come osava? Quel degenerato non poteva permettersi di parlargli a quel modo! Se solo fosse riuscito a liberarsi, se solo… Se…
“Ogni tua decisione, ogni tua azione, hanno forgiato gli anelli delle catene che ti immobilizzano qui, oggi. Se avessi voluto realmente liberare il tuo popolo, avresti chiesto a Bardack di unirsi a te” – si era accucciato davanti a lui, sedendosi sui talloni – “Ma tu non hai mai voluto batterti per il bene altrui. Tutto quello che hai fatto ha condotto te e il tuo popolo alla rovina”.
Perché non stava zitto?
“È per questo che starai qui, inchiodato a questa terra sino alla fine dell’eternità, con le carni dilaniate dalla punta della mia lancia. Ma dimmi: quanto deve essere pesante vivere nella convinzione che nessun deserto possa avere anche solo un’oasi?”.
Lo aveva lasciato, solo, tormentato da pensieri che non gli appartenevano. Perché, evidentemente, nessuno aveva visto le sue spalle irrigidirsi alla richiesta di Lord Freezer. Perché nessuno aveva visto che il suo cuore, seppur avido di potere, seppur arido di sentimenti, aveva perso un battito, prima di fermarsi per sempre.

 
Fine
 
 
   
 
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