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Autore: Vera_D_Winters    25/03/2018    1 recensioni
AU con protagonisti Ace, Sabo e Marco, nei panni di creature mitologiche ed appartenenti al popolo fatato.
Un principe capriccioso, un soldato valoroso e tormentato, ed una Fenice libera da vincoli ma imprigionata dalla sua stessa natura.
Come sempre spero possa piacervi e lasciatemi un commento se vi va.
OneShot
Accenni vaghissimi al possibile triangolo tra i tre protagonisti
Genere: Fantasy, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese D. Ace, Sabo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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I suoi capelli rilucevano come il sole stesso mentre spavaldo macinava metri e metri tra le infinite e verdeggianti colline irlandesi, deciso a raggiungere le terre di Faerie prima dell'imbrunire. Le sotterrane grotte distaccate dallo spazio e dal tempo, di notte amavano cambiare il loro punto d'accesso, facendo impazzire coloro che non erano al loro interno prima del tramonto, e Sabo non desiderava esserne vittima. 
La scura cicatrice non deturpava il suo viso, ma ne rendeva semmai più esotici i tratti, lì dove la pelle si scuriva attorno all'occhio destro, risaltando il nerl intenso dell'iride stranamente più luminosa sotto i raggi del sole pomeridiano. Molte donne si domandavano se quella cicatrice che partiva dalla fronte si interrompesse all'altezza della scapola o se invece continuasse per tutto il resto del suo armonico corpo scolpito. Era un guerriero del resto, ed anche questo lo rendeva molto ambito a corte: il capitano della guardia reale, il Drago, quello più forte, quello che aveva vinto tutte le mortali sfide che gli avevano permesso di raggiungere il rango che ora occupava, quello che aveva incanalato la lava nelle proprie vene, inghiottendo vulcani per divenire dirompente potere zampillante. Non vi era un solo Unseelie che non fosse attratto da lui, principe compreso. Principe che lo aveva richiamato a corte per l'ennesima volta, costringendolo a rientrare in anticipo dalla sua missione di ricognizione. 

 

 

Il principe Ace era l'opposto del capo della guardia reale: alto ed aitante anche lui, come lo erano tutti i Sidhe, pallido come la luna calante stagliata nel cielo di mezzanotte, con occhi neri come l'onice e lunghi capelli della stessa sfumatura corvina. Li portava sciolti e lisci sulle spalle come tutti i discendenti della dea Danu, e camminava sempre per i giardini di rose della corte oscura ornato solo di un paio di pantaloni di stoffa marroncini che gli arrivavano al ginocchio, in bella vista i suoi tatuaggi, tra cui la fenice nera sull'ampia schiena, simbolo della sua casata. 
Ace era l'erede al trono della corte Unseelie e la sua fissazione più grande al momento era quella di sorpassare i membri della corte luminosa, i Seelie, suo cugino Rufy in particolar modo. 
Fin dall'alba dei tempi le due corti si erano date battaglia silenziosa, mai con armi e sangue nonostante gli eserciti di cui disponevano, ma con giochi di potere e sfoggi di sfarzo, mantenendo poi davanti al resto del popolo fatato una facciata di cordiale collaborazione. Inganno e apparenza erano il loro tessuto sociale, sebbene l'unica regola della loro discendenza fosse quella di non poter mentire. 
Ma quella in fondo era un'altra storia.
Il principe Ace si chinò in avanti per cogliere una delle rose blu che adornavano la parete di pietra e sorrise annusandone la fragranza, anche se tale espressione non era dovuta al candido fiore, bensì all'assenza totale di rumore di passi che invece avrebbe dovuto udire. 
Ciò che aveva fatto capire al Sidhe di non essere più solo era stato l'inconfondibile aroma di zolfo e ferro che i Draghi portavano addosso. 
«Il tuo olezzo è talmente forte che mi chiedo come tu faccia ad uccidere silenziosamente ed efficacemente i nostri nemici.» 
Strafottente come il suo lignaggio gli aveva insegnato, il corvino si rivolse al capo delle guardie finalmente giunto. 
«Le vostre soavi parole sono sempre una carezza per le mie orecchie, maestà.»
Ironia trasudava nel tono del militare, l'unico abbastanza incosciente da rispondere a quel modo ad uno dei reali. Se al posto del principe si fosse trovato il re, Sabo sarebbe stato decapitato lì sul momento. Tuttavia l'erede al trono aveva una vera e propria fissazione per il biondo capitano, e tanto bastava a salvargli il capo. Per il momento. 
Ad ogni modo fu una smorfia quella che solcò il viso d'alabastro del regnante, mentre con lo sguardo seguiva la fisionomia del comandante, il cui corpo era fasciato di cuoio bordeaux. Oltre le ampie spalle si sporgeva l'elsa della sua spada, una lama dall'impugnatura possente e dal potere distruttivo, che tuttavia era solo una piccolezza in confronto alla forza che Sabo poteva far esplodere nella sua vera forma, ovvero quella della creatura alata e sputa fuoco che gli umani temevano con ogni fibra del loro essere mortale. 
Quella era un'altra differenza in realtà tra Unseelie e Seelie: i primi utilizzavano nel loro esercito draghi ed in generale creature legate al fuoco e alla terra, mentre i secondi facevano capo a creature legate all'acqua e al vento, benché gli stessi sidhe possedessero il potere della natura. «Ti ho fatto chiamare per affidarti una missione, non per udire la tua lingua tagliente.» 
«Ero già in missione, vostra altezza.» 
Gli fece notare ancora con irriverenza il biondo, ottenendo in risposta un'altra occhiata infastidita. 
«Questa è più importante!» 
Certo come no, ci scommetteva il drago che fosse una cosa importante... 
«Allora ditemi vostra grazia, sono tutto orecchi.» 
Stava esagerando con il sarcasmo anche per il suo solito, ed infatti Ace con un movimento fulmineo gli afferrò la gola, per poi abbatterlo al suolo con un tonfo, sedendosi infine sul comandante delle guardie con un espressione tanto furente da deturpargli il bel viso squadrato e spruzzato di delicate efelidi. Ennesima dimostrazione che i Sidhe avrebbero potuto difendersi senza esercito qualora lo avessero desiderato. 
«Non esagerare con lo sfidare la tua buona stella, Sabo. Amo il tuo viso, ma esso può essere cancellato e l'amore può vedere la sua fine. Ci sono un sacco di uomini ed un sacco di donne che ambiscono ad essere miei prediletti. Non costringermi a scegliere davvero uno di loro.» 
Vi era minaccia negli occhi del principe, le sue iridi erano passate dalla pura ossidiana all'ardente coloro della lava bollente. 
«Chiesto scusa, Maestà.» 
Il comandante deglutì e si decise a fare il bravo. Quanto detestava essere schiavo di quel bambino viziato! Tuttavia quello era il suo destino. I draghi non potevano avere un loro regno, la loro avarizia li rendeva incapaci al governo, e vivere tra i mortali per il biondo era impensabile. Era pur sempre un animale leggendario imbrigliato in un corpo dalle fattezze umane. 
«Molto bene.» Commentò Ace compiaciuto, senza togliersi da sopra il suo capitano. Amava in fondo quella posizione. «Ora ti esporrò la mia richiesta: ebbene desidero una fenice.» 
Una... che? No. Questo era folle persino per la solita pazzia del principe.
«Vostra Grazia... vi prego di essere ragionevole. Le fenici sono creature imparziali. Non hanno mai desiderato schierarsi né con i Seelie né con gli Unseelie. Vivono disperse per il mondo, senza contatti con nessuno del popolo fatato... come posso trovare una fenice e portarla a voi?» Obiezione più che ragionevole. Ace però non si sarebbe arreso alla ragionevolezza, non gli era stato insegnato nulla del genere. 
«Mio cugino è riuscito a mettere le mani su una chimera! Se lui può avere una chimera, io posso avere una fenice!» 
E rieccoci ai capricci. Sabo avrebbe potuto scommetterci le sue ali fiammanti.
La voglia di prendere a pugni il bel principe era forte in lui, tanto che le mani gli prudevano intensamente ed i suoi denti si erano parzialmente allungati come se fosse in procinto di trasformarsi, lui che aveva un controllo perfetto sulla magia che lo mostrava più umano che belva del cielo. 
«Vi troverò una fenice se è questo che desiderate, mio Principe.» 
Rispose digrignando le zanne. Tutto pur di levarsi dai piedi. Perlomeno se fosse stato impegnato in quella ricerca assurda avrebbe avuto una scusa per stare a lungo lontano da lui. Non tutti i mali venivano per nuocere... 
«Lo sapevo che avrei potuto contare su di te, Sabo. Vedi perché sei il mio preferito?» 
Trillò oramai tutto contento il principe. Gli esseri fatati potevano soffrire di bipolarismo? Probabilmente si.

 

 

…..

 

La fenice si voltò, ammantata di fiamme color blu marino che lentamente si affievolirono, sino a lasciar emergere una figura di uomo dalla pelle brillante come marmo e corti capelli biondi, dalla strana acconciatura a ciuffo proprio sulla sommità del capo. Nulla di particolare in realtà, le creature mitologiche possedevano colori e forme che esulavano dalle norme umane, e tuttavia vi era da chiedersi come potesse mimetizzarsi in quella maniera, dato che sembrava... be un ananas. 
Forse il volatile di fuoco centenario possedeva altre magie e si era palesato a Sabo nel suo vero aspetto solo perché aveva percepito che entrambi non erano umani. Non era importante in realtà. 
«Mi seguite da giorni messere. Desumo che abbiate bisogno di me.» 
 Il militare storse il naso davanti a quell'uomo che parlava in maniera tanto forbita. Perché dovevano esprimersi tutti così? Lui forse era fin troppo grezzo, ma preferiva il proprio modo rozzo piuttosto che quelle frasi inutilmente pompose. 
«In effetti si, vorrei che venissi con me.» 
No, non gli diede del voi, era già molto che si rivolgesse ai reali in tale maniera, ed anzi andò dritto al punto. 
«Il principe Ace della corte del Fuoco Nero richiede i tuoi servigi a palazzo.» 
«Ace non è il mio principe.» 
Lo corresse in tono pacato e morbido la fenice, sebbene fosse facilmente intuibile che essa non si sarebbe lasciata comandare. 
Mai che qualcosa fosse semplice. 
Non che al comandante ovviamente desse fastidio utilizzare le maniere forti, la violenza faceva parte del suo essere. 
«Lo diverrà se egli ha deciso così.» 
«No, non lo diverrà. Io non intendo farmi domare, creatura fiammeggiante. E non avreste dovuto lasciarglielo fare nemmeno voi. Ma non oserò dire di più sulle scelte del vostro popolo. Tuttavia ho diritto a parlare per me. Ed io vi dico che non desidero essere schiavo o peggio ancora giocattolo di nessuno.» 
Sabo ovviamente si sentì punto nel vivo da quella breve filippica e per questo estrasse la spada dal fodero, una lama di ferro freddo, l'unico elemento in grado di ferire un essere immortale. 
«Io non sono il giocattolo di nessuno. Sono il capo della guardia reale, possiedo un grado e possiedo prestigio a corte. Non sono uno schiavo.» 
L'uomo dai capelli biondi e lucenti quasi quanto i propri allora sorrise con mestizia. 
«Lo state dicendo a me, oppure cercate di convincervene voi stesso?» 
La voce profonda dell'animale mitologico continuava ad essere fastidiosamente neutra, ma quella era la sua natura. Le fenici erano animali pacifici fin tanto che non venivano provocate o messe in estremo pericolo. 
«Non ci provare uccellaccio, non mi farai vacillare.» 
«Il mio nome è Marco invero, e sarebbe gradito conoscere anche il vostro nome, considerando che mi state puntando una lama alla gola. Non che ciò mi impensierisca molto, onestamente. Sono già rinato dalle mie stesse ceneri un'infinità di volte. La morte ahimè, non è il modo giusto per spaventarmi, impetuoso soldato.» 
L'unica persona in grado di far venire voglia a Sabo di prenderlo a pugni a quel modo era il principe Ace, ma quel Marco si stava seriamente guadagnando il primo posto. E lo sapeva bene quel bastardo. Il sorriso sulle labbra chiare che era divenuto quasi impertinente, diceva chiaramente al drago che il suo interlocutore sapeva come irritarlo a morte. 
«Il mio nome è Sabo. E ti chiedo ancora una volta di seguirmi. Se non lo farai sarò costretto ad usare la forza.» 
Minacciò nuovamente il drago, che dopo pochi secondi però, si ritrovò a lasciarsi cadere di mano la spada: la fenice era divenuta intangibile fiamma bluastra ed era poi svanita alla sua vista, per materializzarsi alle sue spalle in un battito di ciglia. Le fiamme verdi e blu, stranamente fredde al contatto, avvolsero anche il drago, che subito venne pervaso da una sorta di calma innaturale per uno come lui sempre bisognoso di muoversi e vivere d'azione. 
«Io ti vedo Sabo. Conosco il tormento nascosto dietro i tuoi occhi arrabbiati, il tuo fuoco desta il mio.» 
Quel modo improvvisamente colloquiale di rivolgersi colpì più della stretta il drago, il quale immobile attese il resto del discorso, gli occhi sbarrati di sorpresa. 
«Nessuno conosce il mio tormento.» 
«Io si. Io come te temevo e temo tutt'ora la mia stessa natura. Ho dovuto accettare una vita solitaria, poiché in un modo di immortali solo per metà, io sono davvero l'unico che vivrà per sempre, risorgendo di era in era, lasciando dietro di me l'ombra delle persone che avrei potuto amare e alle quali mi sono negato. Solo coloro che appartengono alla mia stessa razza potrebbero comprendermi, ma un tacito accordo ci ha portato a non creare altri come noi, ad evitare di perpetrare la nostra razza maledetta. Chi vorrebbe mai condannare la propria prole ad una tale sofferenza? Vedere il mondo mutare sempre in peggio fino quasi ad autodistruggersi, senza poter essere distrutto a propria volta. Solo un pazzo egoista potrebbe fare una cosa simile.» 
Un brivido percorse la schiena del militare. 
«Mi dispiace per la tua condizione, tuttavia non vedo come questo possa c'entrare con me.» Protestò debolmente, sebbene cominciasse a pensare che quelle fiamme stessero danzando assieme al proprio scarlatto fuoco interiore, carpendone ogni oscuro segreto. 
«Tu temi l'avarizia e la malvagità che ha portato il tuo popolo a sottomettersi a quello di qualcun altro. Per questo detesti essere schiavo ma accetti ugualmente tale condizione, poiché un guinzaglio al collo ti permette di imbrigliare il tuo vero io. Ti inchini a qualcuno che non rispetti perché ancor meno rispetti te stesso e la tua discendenza. Speri che le catene del tuo principe ti impediscano di divenire uno di quei reietti nascosti nelle grotte a contare monete d'oro che ormai valgono più della loro stessa vita ai loro occhi malati.» 
Sabo deglutì, incapace di obiettare. 
 Era vero. Ogni sillaba era reale. 
Ed intanto le loro fiamme opposte continuavano a danzare all'unisono. 
«Allora sai perché devo portarti con me, Fenice.» 
Si, si rifiutò di chiamarlo per nome, quasi fosse lui ora quello capriccioso che non voleva accettare la realtà. 
«E tu sai perché non posso, Drago.» 
Marco lo ripagò con la stessa moneta, lasciando però andare la presa sul soldato. Entrambi erano due facce della medesima medaglia, intrappolati nel loro essere: il drago non poteva lasciare la corte, conscio che la solitudine avrebbe riportato a galla i lati più oscuri del suo essere, mentre la fenice non poteva permettersi di vivere in un luogo che avrebbe visto fiorire ed appassire, come uno spettatore impotente.
Non vi era un vincitore in quello scontro, solo due uomini sconfitti che specchiandosi l'uno nelle iridi dell'altro avevano compreso l'ennesima miseria della loro esistenza. Quello che per il principe Ace era stato solo un capriccio, era divenuto foriero di sofferenza per due creature che nemmeno avevano chiesto di venire al mondo. 
Le vie del fato sapevano essere crudeli dopotutto. Anche più di un principe viziato. 

// Spazio Autrice
Per il momento questa è una oneshot, ma non vi nego che sarei curiosa di vedere un possibile sviluppo quindi quando avrò più tempo e avrò terminato gli altri progetti, potrei rimetterci mano.
Stay Tuned.
E come sempre grazie per aver letto il mio scritto.
Bye 

   
 
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