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Autore: Monique Namie    26/03/2018    4 recensioni
Cina imperiale. Feng Huang della famiglia Jiang è una ragazza dall'animo ribelle costretta contro la propria volontà a seguire le regole morali confuciane. Una donna esemplare deve vestire in modo consono, camminare sempre dalla parte sinistra della strada e non deve intervenire nelle conversazioni tra uomini. È opportuno che non abbia pensieri peccaminosi e che riceva un'istruzione di base. Una donna troppo istruita finirebbe per provocare danni alla famiglia. Feng Huang ha già disubbidito molte volte, per sua fortuna senza incorrere in conseguenze. Non ha nessuna intenzione di sottostare a delle antiche norme che le tolgono la libertà di agire e pensare. Vorrebbe fuggire con Chun, un amico che le porta di nascosto libri da leggere, ma...
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Cina Imperiale
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Il racconto partecipa alla XX Challenge Raynor's Hall.
La sfida non è competitiva.
Il tema estratto è
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Il loto del giardino del Drago

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Si intuiva facilmente che non era destinata a sostare ancora per molto in quella realtà. Lo si capiva dal modo in cui sollevava le vesti per arrampicarsi sul ciliegio nel giardino del Drago: sembrava un essere etereo. Feng Huang della famiglia Jiang
[1] saliva su quell'albero ogni terza luna e, dopo aver raggiunto l’altezza del muro di cinta, una mano gentile le porgeva puntuale un libro fatto di listarelle di bambù rilegate.

Le donne nell'antica Cina non potevano leggere. Una ragazza istruita era considerata fonte di guai, ma lei aveva deciso di disobbedire e aveva imparato da sola.

«Ti è piaciuta l’ultima raccolta di poesie?», le chiese il ragazzo dall'altra parte.

«Molto.»

«Sono certo che questo ti piacerà ancora di più. Contiene nozioni occulte proibite. Tienilo ben nascosto».

Sulla copertina c’era scritto “Libro dei Cinque Spiriti” [2]. Feng Huang sollevò lo sguardo e annuì.

Aveva conosciuto quel ragazzo, che si faceva chiamare Chun, in una delle sue rare uscite in città. Lavorava come catalogatore e commentare di antichi testi nella biblioteca di un signorotto locale, così poteva facilmente procurarle letture di ogni tipo.

«Grazie e fa' attenzione mentre scendi!», esclamò la ragazza.

Per portarle i libri Chun si arrampicava sul ginkgo cresciuto sul perimetro esterno della proprietà dei Jiang. Era un albero alto con una ramificazione scomoda. Lei temeva ogni volta che scivolasse e si facesse male. Ed era anche per il rischio corso che i testi acquisivano agli occhi di Feng Huang maggiore interesse e valore.


Il giardino del Drago era il luogo di casa preferito della ragazza. Al centro di un laghetto c’era un piccolo tempio al quale si poteva accedere attraverso due ponticelli. L’area era immersa nel verde. Numerosi percorsi lastricati si snodavano come sinuosi serpenti di roccia tra l’erba rigogliosa, i fiori dai colori caldi e le canne di bambù. Il perimetro era fitto d’alberi: il boschetto offriva la propria ombra nelle estati più calde e forniva una copertura per gli incontri tra i due ragazzi.

Feng Huang della famiglia Jiang passava molto tempo lì a leggere di nascosto i libri che Chun le procurava. Ogni tanto sollevava lo sguardo dalle pagine e osservava il laghetto. La dottrina della Pietà Filiale [3] prevedeva il rispetto per il proprio corpo, in quanto dono ricevuto dai genitori, eppure a lei capitava di peccare spesso con i pensieri in tal senso. Guardava i fiori di loto sull'acqua desiderando di essere uno di loro. Avrebbe volentieri abbandonato la propria forma umana per vestirsi di clorofilla. “Come starei bene lì, sul velo cheto dove si specchia il cielo, accarezzata di tanto in tanto dalle carpe”. Un desiderio, quello, tanto proibito quanto capace di darle sollievo.

Da un punto di vista materiale non le mancava nulla. Suo padre era un mercante che le assicurava cibi sani e stoffe pregiate per gli abiti, gioielli provenienti da terre incantate e prodigiose erbe medicinali. Ciò che le mancava era la libertà. Non poteva leggere, né ricevere istruzione. Non poteva uscire dal giardino, se non in rare occasioni. Quando le veniva dato il permesso di andare in città, doveva camminare obbligatoriamente sulla parte sinistra della strada e portare un velo sul viso. Non avrebbe potuto scegliere chi sposare, perché già dalla nascita era stata promessa a un uomo molto più grande di lei. Non poteva scegliere come vestirsi. Non poteva agire né pensare in contrasto con le antiche regole morali e, ovviamente, non poteva arrampicarsi sugli alberi e intrattenere conversazioni segrete con individui estranei.

Aveva violato molte norme, alcune volte per sfida, altre per esasperazione, ma era stata abile e fortunata da non farsi mai scoprire.

Nel corso di una delle sue uscite in città, si era imbattuta in un gruppo di signori fermi a parlare proprio sul lato sinistro del percorso. Una rabbia indescrivibile si era fatta spazio dentro di lei. Secondo le buone maniere, una donna esemplare non doveva interrompere le conversazioni altrui. Ma lei si avvicinò al gruppo e superò gli uomini sulla destra facendo loro la linguaccia. Non videro il gesto perché aveva il velo, e non dissero nemmeno nulla. Proseguendo per la strada Feng Huang sorrideva immaginandosi nei panni di una ribelle: le guardie reali volevano catturarla, ma lei riusciva sempre a fuggire, viveva di furti, faceva tutto ciò che voleva, amava, odiava, urlava, sguainava la spada e uccideva per fare giustizia. Poi l’illusione lasciava il posto alla libertà e l’esaltazione lasciava il posto all’angoscia per l’aver trasgredito l’ennesima volta.


Per quanto ancora avrebbe sopportato quella vita? Il giardino era l’unico posto in cui poteva trovare un po’ di sollievo, anche grazie agli incontri con Chun. Una volta gli aveva proposto di fuggire con lei, ma il ragazzo aveva declinato. Se li avessero catturati, li avrebbero messi entrambi a morte. Non c’era modo per Feng Huang di cambiare in meglio quella sua esistenza. Al raggiungimento del ventesimo anno, l’uomo a cui era stata promessa l’avrebbe portata nel suo harem, e lei avrebbe perso Chun, i suoi libri e la pace di quel meraviglioso giardino.

Capì di averne abbastanza quel giorno stesso, mentre in un’azione abituale sollevò lo sguardo dal Libro dei Cinque Spiriti per dedicarsi alla contemplazione del laghetto che aveva davanti. I fiori di loto ondeggiavano al vento come strane barche in balia del fato. Si ricordò della storia di Li Bai, il poeta che si era gettato nel fiume Azzurro e si era lasciato cadere sul fondo per raggiungere la luna.[4] Dicevano che era un pazzo ubriaco e che era annegato mentre sognava la sua amata luna, ma Feng Huang non era certa fosse morto. In un paragrafo del Libro dei Cinque Spiriti c’era scritto che “nel fondo del mare della vita c’era la porta per la libertà”. Il “mare della vita” era interpretato in vari modi ma, in generale, qualsiasi specchio d’acqua abbastanza profondo da potersi immergere completamente era considerato tale.

Allora la ragazza si tolse le scarpe e iniziò a srotolare le fasce di seta bianca che le stringevano i piedi. Lo fece con lentezza, come se si trattasse di un prezioso rituale che necessitava di gesti delicati.

«Spero che Chun non se la prenda non trovandomi la prossima volta», bisbigliò Feng Huang tra sé, «del resto avrebbe potuto accettare di fuggire con me». Così, con determinazione, trattenne il respirò e s’immerse nell'acqua fredda del laghetto.

Quando toccò il fondo, aprì gli occhi e vide le fondamenta del piccolo tempio avvolte dalle radici degli alberi. C’era un arco, una specie di porta formata dagli intrecci vegetali. Nuotò sicura verso quella direzione, ma lo sforzo, accentuato dalle pesanti vesti che indossava, le fece consumare molto ossigeno. L’istinto di sopravvivenza le indicò come unica via di salvezza la superficie, d’altra parte un desiderio ben più potente la costringeva sott'acqua in apnea. Qualcosa le si attorcigliò attorno alle braccia e alle gambe prima che potesse raggiungere la passaggio per la libertà. Fu come se un retaggio di ciò che aveva lasciato in superficie fosse sceso con lei per bloccarla. Iniziò ad annaspare e a lottare contro quella forza che la imprigionava. Ormai aveva quasi terminato tutta la scorta di ossigeno quando, improvvisamente, vide davanti a sé la figura di una donna luminosa e bianca come il latte. Era una presenza capace di infondere calma e serenità. "La Luna di Li Bai", pensò. Guadandola, si sentì bene e dimenticò di essere sul fondo di un lago. Poi Feng Huang chiuse gli occhi e perse i sensi.


Tre lune dopo, Chun si arrampicò come al solito sul ginkgo per raggiungere il muro della residenza della famiglia Jiang con un nuovo testo. Sul ramo dell’albero, dov'era solita sedersi la ragazza, vide il Libro dei Cinque Spiriti. Lo prese e si accorse subito di qualcosa di anomalo: il testo era umido, l’inchiostro colava illeggibile. Tra pagine trovò una foglia di loto su cui era incisa, in pochi caratteri eleganti, la seguente frase: “Grazie a te ho trovato la libertà”. Chun si sentì inspiegabilmente triste. Aspettò nascosto tra il fogliame fino a tarda sera, sperando di rivedere Feng Huang, ma lei non arrivò.


Note:
1- Il nome della protagonista non è scelto a caso. Feng Huang (fènghuáng 凤凰) in cinese significa “fenice”, mentre il cognome Jiang (Jiāng ) significa fiume azzurro (particolare che si ricollega al punto 4).

2- Riferimento allo Shen, concetto che spazia tra religione e medicina cinese tradizionale, e in cui si citano cinque diversi spiriti che risiedono all’interno dell’uomo.

3- La Pietà Filiale (xiàoshùn ) nel confucianesimo è un’importantissima virtù. Il rispetto del proprio corpo, in quanto dono dei genitori, è il suo principio cardine. (op. cit. “Quindici donne perverse” di Liu Xiang, a cura di Riccardo Fracasso).

4- La leggenda del poeta Li Bai non è una mia invenzione, si tratta di un riferimento reale. Si dice che da ubriaco vide la luna riflessa sull'acqua e si gettò nel fiume Azzurro per prenderla, ma annegò nel folle tentativo.


"Il loto del giardino del Drago".
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