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Autore: Tigre Rossa    27/03/2018    1 recensioni
“Non voglio dirti addio, perché so che non ne sarei mai davvero capace. So che ti porterò con me per tutta la vita. So che non ti dimenticherò mai, né smetterò di chiedermi come sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente.”
Si alza appena sulle punte per far scivolare tra le sue dita, al sicuro dalla vista del resto del mondo, una piccola ghianda.
Aveva promesso di riportarla a casa sua, di piantarla lì dove il suo cuore desiderava ardentemente tornare, di vederla trasformarsi e cambiare, fino a divenire un grande albero, forte ed immune alle crudeltà del tempo.
Ma ora tutto è cambiato, e lui sa che il posto di quella piccola ghianda ora è lì, tra le sue mani ormai fredde.
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Bagginshield senza pretese. Mi mancano i miei ragazzi.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ciò che avremmo potuto essere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Avremmo voluto, avremmo dovuto, avremmo potuto.

Le parole più dolorose del linguaggio.

 
- Jonathan Coe -

 

 

 

 

 


C’è un piccolo hobbit lì, in mezzo alla neve, rannicchiato in quel manto bianco come se volesse scomparire.

Potrebbe sembrare solo, ma non lo è. Accanto a lui, disteso come un fiore ormai schiacciato, giace un corpo senza più vita.

Il piccolo hobbit è raggomitolato addosso a questo corpo spezzato, incapace di allontanarsi, di sottrarsi a quella vista.

Quel corpo diventa sempre più freddo ogni minuto che passa, ma lui non riesce a vederlo, o forse non può. Non può accettare che abbiano strappato via da lui il suo tesoro più grande, e così continua a restare al suo fianco, in una fedele attesa che non potrà mai essere ricompensata.

 

“Thorin, ti prego . . . Thorin . . .”

 

Continua a chiamare per nome qualcuno che non può più rispondergli, nella speranza di ritrovare in quegli occhi ormai vuoti qualcosa che è andato perduto per sempre.

Stringe con forza la sua mano, nonostante le proprie siano già macchiate di sangue scarlatto, e continua a chiamare, e chiamare, e chiamare ancora, in una litania di dolore che probabilmente non svanirà mai.

 

“Non lasciarmi, ti supplico, Thorin . . .”

 

Piange, il piccolo hobbit.

Piange ed urla e si stringe a quel corpo che ormai non è altro che un guscio vuoto.

Piange, e il suo pianto non si esaurirà mai, fino alla fine dei suoi giorni, e lui ne è consapevole. E questa consapevolezza fa quasi più male di quel dolore straziante che gli spezza in due il cuore.

Quasi.

Perché nulla potrà mai competere con l’agonia di un amore stroncato prima che potesse sbocciare davvero.

Nulla potrà mai cancellare la sofferenza di due anime legate che non hanno avuto il tempo di riconoscersi, se non nei loro ultimi momenti insieme.

Nulla potrà annullare quel futuro colmo di ombre che avrebbe potuto essere loro, se solo avessero avuto la possibilità di viverlo.

 

“Non ho potuto . . . non ho nemmeno potuto dirti che  . . . che . . .”

 

 

C’è un piccolo hobbit dagli occhi tristi, solo tra le mura fredde di un’alta montagna.

Non piange più, ma non perché abbia finito le lacrime. Semplicemente, sa che se si lasciasse andare in quel momento non avrebbe più la forza di fermarsi.

Così continua, lentamente, con le mani che gli tremano, a prendersi cura di quel morto che non ha ancora avuto il coraggio di lasciare. Toglie con delicatezza quel sangue maledetto, nasconde le sue ferite, gli intreccia con dolcezza i capelli. Tutto deve essere perfetto, prima che gli altri possano vederlo per il loro ultimo addio.

Dopo aver posto sul suo grembo la sua spada e quelle gemma insanguinata che gli è costato tutto, il piccolo hobbit tira su con il naso, incerto se osare o meno.

Sfiora con la punta delle dita quel viso tanto nobile anche in quel triste momento, prima di sospirare.

 

“Non voglio dirti addio, perché so che non ne sarei mai davvero capace. So che ti porterò con me per tutta la vita. So che non ti dimenticherò mai, né smetterò di chiedermi come sarebbe stato se le cose fossero andate diversamente.”

 

Si alza appena sulle punte per far scivolare tra le sue dita, al sicuro dalla vista del resto del mondo, una piccola ghianda.

Aveva promesso di riportarla a casa sua, di piantarla lì dove il suo cuore desiderava ardentemente tornare, di vederla trasformarsi e cambiare, fino a divenire un grande albero, forte ed immune alle crudeltà del tempo.

Ma ora tutto è cambiato, e lui sa che il posto di quella piccola ghianda ora è lì, tra le sue mani ormai fredde.

Quelle ghianda resterà lì, ricordo indelebile di quello che avrebbe potuto essere ed invece non è stato. Non diventerà mai una quercia; resterà per sempre una promessa irrealizzata, qualcosa che avrebbe potuto essere magnifico, ma che non ha avuto la possibilità di diventarlo.

Resterà lì, al sicuro con l’unica persona che avrebbe potuto diventare la sua vera casa.

Resterà lì, stretta nella mani che custodiranno il suo cuore per tutta l’eternità.

 

“Questa è tua ora. Così avrai sempre qualcosa di me, ovunque tu andrai da questo momento in avanti. Qualcosa che ti ricordi ciò che eravamo e ciò che avremmo potuto essere.”

 

Lo hobbit sospira, asciugandosi in fretta una lacrima.

Non vuole piangere, non più.

Non vuole piangere per delle ombre che non hanno avuto il tempo di divenire realtà. Non vuole piangere per qualcosa che non è stato. Ha già pianto a sufficienza per tutto quello che ha perso e per qui sentimenti che, già lo sa, lo tormenteranno per sempre. Non vuole piangere anche per qualcosa che avrebbe dovuto essere suo ed invece non lo è stato.

Però, una cosa la vuole fare. La deve fare, per entrambi. L’unica cosa che non può restare imprigionata nell’oscurità.

Lentamente, con delicatezza, porta il proprio viso alla distanza di un respiro da quello del nano di cui non potrà mai più vedere il sorriso.

Chiude gli occhi e poi, come in un sogno sul punto di dissolversi nella luce del giorno, sfiora le sue labbra fredde con le proprie, in un bacio amaro che sa di lacrime e di promesse mai pronunciate.

 

“Porta via con te anche questo. Così avrai qualcosa a cui aggrapparti e che possa ricordarti che ti ho amato, ti amo e ti avrei amato per tutta la tua vita, se ne avessi avuto la possibilità.”

 

Lo sussurra contro le sue labbra, mentre una lacrima ribelle cade sulla guancia di lui, accarezzandola in una timida e gelida carezza.

Lo sussurra e poi, ad occhi chiusi, senza voltarsi indietro, scappa via, prima di sentire il proprio cuore spezzarsi ancora una volta.

 

 

C’è un piccolo hobbit triste, addormentato accanto al fuoco con un libro in mano.

Potrebbe sembrare solo, ma non lo è.

Accanto a lui, malinconica e nostalgica, sta un’ombra dai lineamenti familiari.

È sempre stata lì, al suo fianco, anche se lui non è mai stato capace di vederla.

L’ombra lo osserva dormire con quei penetranti occhi azzurri che la morte ha chiuso troppo presto.

È invecchiato, il piccolo hobbit. I suoi capelli sono fiocchi bianchi, il suo viso inizia ad essere segnato dal peso del tempo, le sue mani sono farfalle fragili e delicate. Se i suoi occhi fossero aperti, potrebbe scorgere nelle sue iridi blu tutti i rimpianti e i tormenti di una vita intera.

È invecchiato, il piccolo hobbit. Ha vissuto tutti quegli anni che all’ombra sono stati portati via.

Eppure, nonostante sia passato tanto tempo, la notte continua a chiamarlo per nome ed a sognare quello che avrebbero potuto essere, se l’unico amore della sua vita non gli fosse stato strappato via troppo presto.

La notte continua a cercare il suo viso nel sonno, ed inseguire il ricordo delle sue labbra fredde e di quel sorriso che sta lentamente dimenticando, e in quei sogni le lacrime gli rigano le guance sempre più vuote.

L’ombra tutto questo lo sa, ma non può fare nulla.

Arriverà un tempo in cui tutto questo finirà, in cui anche quel cuore ormai stanco si fermerà e tutto questo sarà solo un pallido ricordo.

Arriverà il tempo in cui aprirà gli occhi e finalmente lo vedrà, ed allora potranno essere di nuovo veramente insieme, come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.

Arriverà quel tempo, ma fino ad allora l’ombra resterà lì al suo fianco, ad aspettare, proprio come ora.

Lo guarda dormire, facendosi cullare da quell’immagine tanto cara e familiare e allo stesso tempo sentendosi morire un’altra volta.

Tutti quegli anni vissuti in timida solitudine dallo hobbit, li avrebbero dovuti condividere. Avrebbero dovuto crescere insieme, invecchiare mano nella mano.

Avrebbero dovuto essere quello che erano destinati ad essere.

Ma la morte ha distrutto ogni cosa, lasciandoli nel buio e nel rimpianto.

Come lo hobbit, anche l’ombra non fa che ripensare al passato e a quello che avrebbero potuto avere, se solo gli fosse stato concesso più tempo.

Ed è in momenti quieti e tristi come questo che capisce davvero quanto ha perduto.

L’ennesima lacrima solca la guancia dello hobbit, e l’ombra si sporge in avanti per asciugala via, sentendo il proprio cuore morto fermarsi ancora una volta.

Lo hobbit sembra quasi avvertire il suo tocco, perché si muove nel sonno e chiama piano il suo nome, con la dedizione riservata ad una preghiera e la disperazione propria di una supplica.

 

“Mi dispiace, amrâlimê. Mi dispiace così tanto. Non avrei mai voluto condannarti a tutto questo. Avremmo dovuto avere una lunga vita in cui imparare ad amarci senza ferirci. Avremmo dovuto avere più tempo per essere davvero quello che nei nostri cuori eravamo già. Meritavamo il tempo di diventare ciò che avremmo dovuto essere.”

 

La voce dell’ombra si spezza, consapevole che l’altro non potrà mai udirla, e una lacrima gemella  di quella di lui gli ferisce il viso.

L’ombra chiude gli occhi solo per un momento, prima di sfilare la ghianda che porta sempre all’altezza del cuore e stringerla forte come un talismano.

Poi, ha finalmente abbastanza forza per riapre gli occhi e guardare quel piccolo hobbit, perso nella vita che avrebbe dovuto essere loro.

Allunga una mano e gli accarezza piano i riccioli candidi, le orecchie a punta, le palpebre abbassate, le guance, le labbra semiaperte. Accarezza tutto quello che, dentro di sé, sente ancora suo, nonostante non abbia mai avuto modo di reclamarlo.

 

“Avrei voluto donarti il mio cuore quando ancora era pieno di battiti. Avrei voluto chiederti di reclamarmi come tuo. Avrei voluto poterti chiamare mio. Avrei voluto amarti come meritavi, e non come ho fatto. Avrei voluto . . .”

 

Il viso dell’ombra si fa talmente vicino da avere quasi l’impressione di condividere il suo stesso respiro. Chiude gli occhi, per rendere quell’illusione reale, e pronuncia quelle ultime parole sulle sue labbra.

 

“ . . . avrei voluto baciarti, almeno una volta.”

 

Si tira indietro, senza avere la forza di riapre gli occhi.

Resta così, immobile, stringendo quella ghianda ed aggrappandosi a quell’illusione flebile.

 

“Ti amo, mio piccolo Bilbo. Ti ho amato, ti amo ancora e ti avrei amato per tutta la mia vita, se ne avessi avuto la possibilità.”

 

Sussurra quello che sembra tanto un giuramento ad occhi chiusi, tenendosi forte al ricordo di quell’unico bacio struggente del suo hobbit.

Non sa che, se avesse avuto la forza di riaprili anche solo per un momento, avrebbe visto quegli occhi blu, colmi dello stesso tormento e dello stesso amore negato, guardarlo proprio come facevano una volta, quando era ancora vivo e i loro cuori, giovani ed inconsapevoli ma innamorati, battevano all’unisono.

Non lo saprà mai, fino a quando non verrà il tempo di stringere davvero quel piccolo hobbit tra le sue braccia e mormorare tutte quelle promesse mai pronunciate.

 

 

  
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