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Autore: shilyss    28/03/2018    18 recensioni
Ci sono problemi che il martello di Thor non può fracassare né l’astuzia di Loki aggirare. Più inesorabili della Voluspa e dannosi di Hulk dentro a una cristalleria esistono solo due cose. Il Solstizio presso quei gran bacchettoni dei Vanir e i parenti molesti degli Asi. Dal 1 capitolo: Il punto ora è che Odino, a suo tempo, aveva deciso di svecchiare e rendere più moderna l’idea che si aveva all’estero degli Asi. Il suo spiccato senso della pubblicità e del marketing, concetto midgardiano che evidentemente trovava proseliti anche ad Asgard, gli aveva fatto mettere su una campagna lunga secoli che si proponeva l’ambizioso programma di far cambiare nettamente idea ai Nove Regni tutti
Attenzione! Sebbene la storia sia ambientata nell'universo di "Tutte le tue bugie", può essere considerata come una fanfiction a sé stante! Buona lettura!
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heimdall, Loki, Sigyn, Thor, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La tela degli inganni'
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Vanir brava gente

 
C’era qualcosa di sommamente confortante, nel lungo turpiloquio cui Loki si abbandonò mentre camminava avanti e indietro nella camera da letto di una bettola da quattro soldi alla periferia di Vanheim. Forse, decise Thor, l’articolata sequela di insulti, minacce e imprecazioni di suo fratello gli appariva familiare perché era un miscuglio rivisitato delle peggiori battute da caserma che circolavano tra le truppe di Odino. Il dio degli inganni, come lui del resto, le aveva apprese quando non era che un dodicenne imberbe e gracilino. Ricordò con nostalgica gioia la prima volta che si erano ritrovati a condividere il rancio con un branco di nerboruti guerrieri Asi. Loki indossava quel suo assurdo elmo cornuto che gli calzava ancora un po’ troppo grande e guardava con aria schifata e terrorizzata l’inquietante zuppa di chissà cosa che gli era toccata in sorte, domandandogli con una vocetta spaventata e ansiosa quanti dei loro compagni d’arme, secondo lui, ci avessero sputato dentro.

All’epoca, Loki sembrava un ragazzino adorabile. Era il classico cucciolo di casa affettuoso dagli occhioni sinceri che ogni tanto, per farsi notare, si inventava qualche buffo, adorabile, scherzetto. Quando qualche sua marachella veniva scoperta, si limitava a chiedere scusa con un sorrisetto furbo e irresistibile, letteralmente adorabile, che aveva il malefico effetto di far sciogliere il cuore dei loro genitori. Certo, a voler essere obiettivi, Thor doveva ammettere che i giochi di Loki avevano degli standard tutti loro. Quel piccolo muta forma maledetto, a soli otto anni, aveva deciso di tramutarsi in serpente al solo scopo di farsi prendere in braccio e infilzargli la mano con un pugnale. Che bello scherzo. A ogni modo, quando si erano trovati per la prima volta a dover mangiare con gli altri soldati Asi, entrambi avevano deciso di tenersi i crampi allo stomaco dovuti alla fame e gettare via la brodaglia. Si era trattata di un’idea di Loki particolarmente lungimirante: all’arrivo delle nuove reclute, l’anno successivo, avrebbero partecipato anche loro al disgustoso benvenuto.

Ora però non era il momento di lasciarsi andare a dolci e soffici ricordi. Il problema era serio e reale. Suo fratello non la smetteva di maledire e imprecare e ragionare ad alta voce, proponendogli la rivisitazione del più turpe linguaggio di Asgard mescolato alla più sopraffina delle dialettiche. Un sorriso gli spuntò dalle labbra e fu subito intercettato dall’altro.

“Cosa c’è da ridere, illuminami.” Loki gli si parò davanti con le braccia incrociate dietro la schiena e gli occhi fiammeggianti d’ira. “È tutta colpa tua, zucca vuota che non sei altro.”
“Penso che tu stia dando un po’ troppa importanza a tutta la vicenda.”
“Oh. Ma guarda. Tu pensi! Sarebbe una novità.”
“Loki…” l’ammonì il tonante.

L’ingannatore non gli badò. “Hai perso la nonna di Sigyn!” esplose, “lei mi ha buttato fuori per colpa tua! Spiegami come si fa, dimmi come sei riuscito a perdere un’innocua vecchina! Il grande Thor, il dio del tuono il Re degli Asi… che non riesce a tenere d’occhio una donna anziana.”
“Vale anche per te. Tu dov’eri, genio? E poi piantala. Sigyn è solo vittima degli ormoni e nonna Ufa tornerà."
“Non si chiama Ufa,” si spazientì il mago. “Così la chiama Sonje che ha quattro anni. Il suo nome è Ullfriaehdkkeh” disse, aspirando l’acca, calcando la d e facendo capire a Thor perché Sigyn avesse insistito tanto per dare alla loro bambina un nome Asi.
“Ufa è meglio. Dai, Loki, non fare così. Ti farà rientrare prima o poi. Zio Vili ci darà una mano a trovarla.”
“Zio Vili?! Quel vecchio ubriacone inaffidabile?”
 

Il dio degli inganni era infinitamente abile nella difficile arte di dipingere con pochissimi aggettivi azzeccati le persone. Il suo ritratto del fratello del compianto Odino non rappresentava un’eccezione, anzi. Vili Borson era stato un grande guerriero Asi, ma i suoi atteggiamenti e lo stile di vita quantomeno discutibile che aveva scelto di adottare lo avevano allontanato da molto tempo dalla corte di Asgard, con sommo disappunto di Loki e Thor bambini.

Ai due fratellini Odinson, quello zio con lunghissimi capelli e folti baffi biondi che ai banchetti raccontava di come lottasse con gli orsi, staccasse le teste di pesce a morsi e frequentasse bettole di malaffare, piaceva in maniera incredibile. Era il loro eroe. Ridevano fino a soffocare quando l’imponente guerriero si metteva a raccontare le sue avventure pecorecce, e rimanevano letteralmente incantati di fronte ai doni che portava loro: zanne di povere bestie divorate dal famelico uomo, bruttissime statue intagliate quando la sua capanna nel bosco veniva letteralmente sepolta dalla neve, coltellacci affilati che facevano aggrottare la fronte persino al severo Odino.

Se fosse possibile fare una proporzione, potremmo dire che l’adorazione che i principini Asi tributavano al parente fosse direttamente proporzionale al sommo disgusto che il signore di Asgard nutriva per lui. Il motivo dell’insofferenza di Odino era abbastanza lampante. I popoli stranieri stimavano moltissimo la forza e la temperanza Asi, il coraggio e la fierezza dei loro guerrieri e l’indomito coraggio che li spingeva a combattere anche nelle situazioni disperate, ma ne criticavano aspramente i modi ritenuti barbari e rozzi. Per darvi un’idea di questo concetto, vi basti considerare che la prima volta che Sigyn ragazzina aveva visto Loki Laufeyson era rimasta molto colpita dal suo aspetto: il mago non era solo molto bello, ma rappresentava il primo esemplare di Ase che vedeva e differiva completamente dall’idea che si era fatta di quel popolo di nerboruti guerrieri.

Si era aspettata di trovarsi al cospetto di un omone dallo sguardo truce alto almeno due metri, con baffi, barba e capelli lunghissimi, avvolto nelle pellicce e ricoperto di armi affilate e sporche. Inconsapevolmente, aveva fatto un ritratto assolutamente affidabile e veritiero di Vili, ma grandissimo era stato il suo stupore nel vedere Loki: era quello il fiero figlio di Odino, il terribile dio dell’inganno? Si era ritrovata davanti un giovane uomo sbarbato, elegante e dal sorriso affascinante, vestito sì con un mantello bordato di pelo e abiti in cuoio e tessuto, ma dall’aria distinta e per nulla selvaggia, ad eccezione forse di quello sguardo allo stesso tempo furbo feroce. Ma questa, è un’altra storia*.
Il punto ora è che Odino, a suo tempo, aveva deciso di svecchiare e rendere più moderna l’idea che si aveva all’estero degli Asi. Il suo spiccato senso della pubblicità e del marketing, concetto midgardiano che evidentemente trovava proseliti anche ad Asgard, gli aveva fatto mettere su una campagna lunga secoli che si proponeva l’ambizioso programma di far cambiare nettamente idea ai Nove Regni tutti. Basta dunque, con l’idea che gli Asi fossero un popolo di barbari guerrafondai che vivevano in capanne di legno, razziavano i popoli vicini grazie ai loro drakkar veloci e mangiavano senza posate. Ci voleva un’immagine nuova, più confortevole, capace di adeguarsi alla morale delle genti vicine, prime tra tutti gli altezzosi e bigotti Vanir, che si lavavano continuamente le mani prima di fare qualsiasi cosa. Il primo passo per migliorare l’opinione degli Asi all’estero era stato quello di liberarsi di tutti i parenti che avrebbero potuto affossare maggiormente la già traballante percezione degli alleati. Inutile dire che Vili** e le sue canzoni fatte a suon di rutti rientrassero nel progetto.

L’altro passo era stato quello di spingere, anzi sfruttare il più possibile l’appeal dei due figli maschi. Il giovane Thor, irruente e scapestrato com’era, suscitava ancora diverse perplessità nei re e negli ambasciatori stranieri, sebbene la sua forza prodigiosa e il bell’aspetto lo rendessero simpatico ai più, ma Loki si era rivelato davvero un elemento indispensabile alla politica estera di Odino. Al contrario del fratello era colto, educato, gentile. Parlava perfettamente le lingue dei vari alleati, ne conosceva gli usi e i costumi ed evitava caldamente di offenderli con battute o azioni sconsiderate. Mangiava con le posate, non eccedeva con il vino, assecondava quel tanto che bastava i suoi interlocutori per poi portare a casa promesse e accordi ignobilmente vantaggiosi per gli Asi, ma soprattutto, era la prova vivente di come l’educazione di Asgard non producesse solo ed esclusivamente macchine da guerra prive di cervello e amanti delle volgarità, tutt’altro.

A forza di sentirsi inculcare questi concetti nella testa, i due principi avevano finito per assimilare e fare propri i desideri del padre. Loki si era persino convinto che la sua intelligenza e i modi di fare posati che fingeva di adottare naturalmente, un giorno, lo avrebbero condotto diritto al trono al posto di quella zucca vuota del fratello. Eh sì, perché il giovane dio dell’inganno quando ancora teneva la sua chioma rigidamente pettinata all’indietro non solo mortificava un po’ il suo indubbio fascino selvaggio, ma nascondeva la sua natura di Ase vendicativo, bilioso e anche un po’ folle. Anche questa è un’altra storia***: quello che conta è che con gli anni Thor e Loki si erano abituati a considerare zio Vili per quello che era: una figura macchiettistica con uno scarso senso dell’igiene legata al passato, capace di creare situazioni profondamente imbarazzanti.

Era stato per tutte queste ragioni che Loki aveva assottigliato pericolosamente gli occhi quando Thor e il vecchio zio Vili erano venuti a fargli visita a Vanheim. L’inopportuna visita si inseriva in uno dei momenti più problematici della vita dei Vanir: quella del Solstizio, una ricorrenza in cui si si festeggiavano le giornate che tornavano ad allungarsi, si addobbava qualunque cosa mobile e immobile con ghirlande e biancospini, ci si ingozzava di cibo altamente calorico e si stava in famiglia. A Loki Laufeyson non servì sfoggiare la sua proverbiale astuzia per intuire che c’era lo zampino di sua moglie, nella nefasta visita.

Sigyn adorava il Solstizio fin da quando era bambina e se c’era una cosa di cui si era sempre rammaricata, era che in quel giorno ricorresse anche la dipartita del vecchio Odino. La trovava una coincidenza proprio triste e, sull’onda emotiva che le suscitava quella consapevolezza aveva, una volta lontana, offerto dei biscotti al miele a Loki. L’anno successivo aveva replicato lo stesso iter in camera da letto, quello dopo ancora lo aveva fatto in veste di moglie e con una bimba urlante in braccio. Pian piano la frugoletta era cresciuta, e all’ultimo Solstizio il fiero dio degli inganni aveva avuto la soddisfazione di ricevere ben due porzioni di biscotti. Al tempo non aveva dato importanza alla promessa che gli aveva fatto Sigyn. Mentre si ingozzava di dolcetti, aveva annuito distrattamente alla bionda sposa che gli assicurava come l’anno seguente avrebbe invitato anche gli Asi per l’importante ricorrenza, in modo tale che la piccola Sonje**** potesse trascorrere la festività in compagnia dello zio Thor.

Sonje Lokadottir era entrata come un uragano nelle vite dei suoi genitori: finché non aveva emesso il primo vagito li aveva letteralmente tenuti sotto scacco e dopo, ve l’assicuro, non era stata assolutamente da meno. Da Sigyn aveva ripreso il viso dolce e lo sguardo liquido e grigio, da Loki i capelli nerissimi, il broncio, lo sguardo torvo, il sorriso furbetto e, probabilmente, la chiacchiera. Thor aveva decretato che era innamorato di lei e sosteneva fosse la bambina più bella di tutti i Nove Regni. Diceva anche di non capire come avesse fatto quell’idiota slavato di suo fratello a contribuire alla creazione di tanta perfezione.

Ora, che la principessa e futura regina dei Vanir volesse ospitare quel rompiscatole di Thor, ci poteva anche stare. Del resto il tonante adorava la sua unica nipotina, ma che alla festa del Solstizio di Vanheim fosse presente anche quel truce soggetto che rispondeva al nome di zio Vili, era un’eresia. Della ricorrenza Vanir a Loki piacevano nell’ordine i biscotti e il cibo, ciò che Sigyn gli faceva e si lasciava fare sotto le coperte spinta dal freddo e dalla passione, e l’entusiasmo di quel piccolo tornando ambulante di sua figlia di fronte agli addobbi e alla neve. Basta. Tutto il resto era un’agonia che sopperiva col punto uno della sua scaletta in attesa del punto due. A ben pensarci, avrebbe dovuto invertire quella parte del suo elenco, ma questo non cambia il senso della nostra storia.

L’interminabile banchetto allestito da Njord era straziante. Il vecchio re non la finiva mai di raccontare sempre gli stessi noiosi eventi con una identica sequenza di parole. Ogni tanto esclamava quanto fosse bella e somigliante a sua nipote o a qualche altra parente deceduta millenni prima la piccola Sonje, per poi precipitare di nuovo nel suo infinito ripetersi. Poi c’era da sopportare Freyr. La questione dei suoi debiti, alla fine, era venuta a galla. Colpa di Sigyn. Nell’accordo matrimoniale che aveva stipulato con l’Ase, era stato decretato che fosse messa al corrente degli affari finanziari del dio degli inganni. Poteva non comprendere la natura di certi investimenti e il modo in cui l’Ase giocasse con i cambi, ma vide e riconobbe il buco gigantesco creato dalla corona di Vanheim nei confronti di Loki. Era incinta, all’epoca. La pancia le si vedeva discretamente, e l’Ase passava serate intere a spalmarle creme e unguenti sulla pelle tesa. Sbuffava mentre lo faceva, ma portò avanti il compito fino alla fine per evitare che le rimanessero segni troppo evidenti sulla sua bella pelle morbida. Ad ogni modo, Sigyn guardò i conti e vide a quanto ammontava il debito di Freyr e si sentì male. Di fatto, mezza Vanheim era già di proprietà di Loki.

Gli chiese per quale motivo non lo avesse detto a suo nonno, a lei, a Freya a chiunque. Successe una mezza tragedia – ma anche questa è un’altra storia, che si concluse con la confessione di Freyr a Njord. Il vecchio re, incredibilmente, sapeva tutto da anni. Aveva ammesso di essere a conoscenza di cosa facesse il figlio e del suo evidente problema con l’alcool e gli era toccato pure ringraziare il dio dell’inganno per la discrezione che aveva mantenuto su tutta quella vicenda. Loki ovviamente ne aveva approfittato per strafare, come al suo solito. Le cose andavano sempre bene, quando se ne occupava personalmente, e l’unica volta in cui gli erano sfuggite quasi di mano era stata quella volta che Theoric, quell’essere privo di attributi virili, si era lagnato con Njord in persona. Il re si era stizzito al ricordo di quella vicenda e questa non è neanche la sede opportuna per sviscerare il rapporto tra l’anziano sovrano di Vanheim e il prode e arrogante dio dell’inganno. Vi basti sapere che a Njord Loki piaceva un sacco, davvero. Adorava quel suo atteggiamento da figlio di una gigantessa quale era e stravedeva per le sue trovate crudeli. Ciononostante, era impazzito quando si era accorto di non essere proprio l’unico ad avere un debole per l’Ase, in famiglia. Alla fine aveva dovuto ammettere che una piccolissima parte di lui si era messa a gongolare, all’idea che la sua progenie potesse sfoggiare un po’ del carisma e dell’astuzia del figlio adottivo di Odino. Per questo motivo la scoperta della dipendenza dall’alcool e da mille altre cose di quella delusione ambulante di Freyr non aveva sortito poi questa grande reazione in lui. Suo figlio era inabile al lavoro di re e col fegato praticamente squagliato, sua figlia tra incantesimi e gatti non ci pensava proprio a fare la regina. Rimaneva Sigyn, che alla fine della fiera lo aveva positivamente colpito impalmando proprio quel figo del dio degli inganni.

Njord, sebbene fosse decisamente in là con gli anni non si era del tutto bevuto il cervello, non ancora perlomeno. Tra sé e sé aveva deciso che Sonje sarebbe diventata regina di Vanheim nel momento stesso in cui l’aveva presa in braccio per la prima volta, ma si era dimostrato estremamente elusivo su chi e in quale veste gli sarebbe succeduto nel futuro prossimo. Sulla carta tutto avrebbe lasciato pensare che i genitori della piccola dovessero essere i prossimi sovrani, ma Njord era un vecchio eclettico e adorava i colpi di teatro e in più non desiderava affatto dare a Loki un valido motivo per accorciargli l’esistenza. Il suo ragionamento era astuto quanto semplice. Finché non rendeva nota la sua decisione, l’Ase aveva il guinzaglio corto.

Una questione spinosa che certo non era il caso di affrontare la sera del Solstizio e che la vista di Vili non contribuì a migliorare, anzi.
Possiamo dire senza temere di esagerare che il piano elaborato a suo tempo dal compianto Odino per dare un’immagine positiva degli Asi e coltivato con cura per secoli, venne bellamente distrutto da Vili nel tempo record di dieci minuti, e fu principalmente per questo motivo che quando Sigyn buttò fuori casa il marito per avergli smarrito la nonna materna, Lingua d’Argento non dimostrò alcuna particolare propensione ad affidarsi alle dubbie capacità del parente.

Diciamo la verità: Loki era proprio infuriato con quel pecoraro avvinazzato di Vili. Gli aveva fatto passare una delle serate più brutte della sua vita da quando era alla corte di Njord, seconda solo a quella volta che Freyr gli aveva vomitato sugli stivali poco prima di un appuntamento galante.

Non appena si era seduto al tavolo, aveva confermato un pregiudizio da sempre esistente tra i Vanir nei confronti degli Asi, che il dio degli inganni si era sforzato in tutti i modi di sfatare: aveva iniziato a mangiare senza posate e si era lamentato perché il cuoco di Njord aveva tolto la testa e le interiora del pesce che era stato appena servito. La simpatica esternazione aveva fatto illividire Loki e generato una fragorosa risata nervosa di Thor, ma erano stati i Vanir quelli più colpiti dalla vicenda.

Tutto in Vili era imbarazzante, a cominciare dal modo in cui addentava lo stinco di maiale alla faccia schifata che faceva di fronte alla vellutata di purè condita con fiori di zucca e altre sofisticate amenità tipiche della ricca e ricercata cucina di Vanheim. Beveva rumorosamente, mangiava a bocca aperta e quando non era intento in queste due fondamentali attività, ne approfittava per mortificare tutti con i suoi racconti imbarazzanti. I soggetti preferiti ovviamente erano Loki e Thor, neanche a dirlo.

“Ricordami perché è qui,” sibilò il dio degli inganni al fratello.
Il tonante fissò il piatto tragicamente vuoto. “Non ha mai festeggiato il Solstizio di Vanheim,” esordì.
“A tutto c’è un perché,” fu la laconica risposta.
“Si sente molto solo da quando nostro padre non c’è più,” insistette l’altro, cercando di smuovere il cuore di pietra di Loki.
Lingua d’Argento gli rivolse un’occhiata di puro, assoluto odio. Erano lì da meno di due ore, quei due deficienti, e già gli avevano rovinato la giornata, la settimana, l’anno. “Nostro padre,” sillabò torvo, “non lo voleva vedere neanche dipinto. Ha raschiato personalmente con le unghie tutti gli affreschi che avevano la sua faccia volgare sopra. Cosa gli manca esattamente? Il suo disprezzo?”
 

Ovviamente aveva ragione. Thor sbuffò maledicendo mentalmente l’insopportabile pedanteria di quel rompiscatole di suo fratello e le sue tragedie. D’accordo, zio Vili aveva abitudini pecorecce, ma era vecchio e malato e gli era toccata la sfiga di non morire in battaglia: che doveva fare, lasciarlo in un ospizio a importunare le infermiere? Ci aveva provato, ma era stato richiamato con urgenza per riprenderselo. E poi il Solstizio era una ricorrenza da trascorrere rigorosamente in famiglia e dove tutti si sforzavano di essere più buoni: con che faccia avrebbe ammesso di aver lasciato il povero zio Vili da solo?

“Con la faccia di un uomo intelligente,” fu la severa risposta di Loki, “caratteristica che non ti appartiene.”
Per avere un’idea di cosa fosse esattamente il Solstizio per i Vanir, dovete pensare al Natale midgardiano: gli ingredienti che caratterizzavano le due festività erano praticamente gli stessi, dalle litigate con i parenti all’odore di cucinato che impestava le case per giorni, passando per lo scambio di doni simbolici. All’appello non mancava nemmeno la tradizionale visione del classico una “Una poltrona per due”. Nel regno di Njord si chiamava “Un trono per due” ovviamente, e raccontava la storia di come Loki e Thor si fossero aspramente combattuti mentre si litigavano il sobrio scranno d’oro di Odino. Come tutte le opere di finzione, la commedia si concedeva alcune licenze poetiche che il dio degli inganni classificava sotto il nome di spazzatura, senza se e senza ma. Verso la fine della trama, Loki si pentiva amaramente di essersi comportato da maledetto sociopatico senza controllo e chiedeva perdono al padre e al fratello, per poi andarsene tutto solo soletto in esilio su Vanheim. Qui incontrava un’improbabile fatina munita di bacchetta che gli indicava la via per trovare qualcosa di più importante dell’oro e del potere, vedeva Sigyn e si innamorava di lei giurandole eterno amore e sottolineando tre volte – che imperdonabile errore di sceneggiatura! – che era sincero.
Loki iniziava a imprecare precipitando in un crescendo di volgarità più o meno dal punto in cui il suo alter ego teatrale iniziava il suo monologo su quanto era dispiaciuto per aver seminato il caos in giro per i Nove Regni. Pentito un corno, diceva, e continuava imperterrito inframezzando le sue considerazioni con una serie di risate nervose. Col piffero che gli aveva chiesto scusa, al vecchio e a quel tonto di Thor. Li aveva sconfitti piuttosto, stracciati e ridotti a doversi abituare di nuovo a mangiare le teste di pesce, finché non lo avevano supplicato di stipulare un accordo.
L’invettiva quell’anno trovò finalmente dei commentatori altrettanto informati dei fatti e pronti a dire la loro. Il dio del tuono e zio Vili si divertirono moltissimo alla rappresentazione, ma il primo si sentì in dovere di puntualizzare che la vittoria di Vanheim non era stata proprio schiacciante, e se Loki non avesse bluffato pesantemente, avrebbero vinto gli Asi, come al solito. Vili aggiunse che gli scarti del pesce erano una prelibatezza di Asgard e il nipote doveva farla finita di fare lo snob come Odino, perché piacevano pure a lui.

Calò il silenzio. Sonje, la voce dell’innocenza, storse la boccuccia e tirò la manica al genitore commentando con uno squillante ma accorato “davvero papà?” che spezzò qualunque cosa ci fosse nel petto dell’Ase.
Il dio degli inganni sibilò a denti stretti che trovava il sapore del suddetto piatto un po’ troppo aspro e si affrettò a spiegare, per la cento miliardesima volta da quando era nato, che si trattava di un’usanza ormai morta appannaggio solo degli accattoni di Asgard, di cui Vili condivideva per scelta le abitudini e le usanze.

Non gli credette nessuno, probabilmente perché Freya, per essere gentile con i parenti acquisiti, aveva chiesto al cuoco di corte di recuperare qualche scarto e servirlo agli Asi, cosa che fu prontamente fatta proprio mentre Loki tentava di arrampicarsi sugli specchi. Il vecchio zio si gettò sulla leccornia mentre Lingua d’Argento ancora parlava, seguito subito dopo da Thor, che si giustificò con il fratello facendo spallucce. La figuraccia con i Vanir ormai era stata fatta, spiegò a bocca piena, tanto valeva approfittarne.

“Nostro padre ti sta guardando dal Valhalla e piange,” fu la tagliente risposta dell’offeso dio degli inganni. Poi fu costretto a mangiare anche lui, perché non avrebbe sopportato che quei due deficienti di Vili e Thor gli dicessero che faceva lo schizzinoso come un Vanir qualunque.
Lo spettacolo degli Asi che banchettavano con le loro stranezze culinarie destò curiosità mista a disgusto in tutti i presenti ad eccezione di Sonje e di Ullfriaehdkkeh, la compita nonna di Sigyn.

Ora signori lettori, è giunto il momento di lasciare Loki e Thor nell’imbarazzo e spendere due parole per questa anziana e pia donna che chiameremo, per la nostra manifesta incapacità di pronunciarne correttamente il complicato nome Vanir, Ufa. La nonnina di Sigyn e consuocera di Njord era una sacerdotessa laica che parlava con gli alberi, sussurrava alle piante e ai fiori e altre amenità simili. Viveva in un onirico isolamento contemplativo e sembrava sempre persa in un mondo tutto suo. Dicevano che alla sua morte si sarebbe trasformata in uno di quegli spiriti che proteggono i boschi e le sorgenti e conosceva le rune bene quasi quanto Loki. Il dio degli inganni e tutta Vanheim la trattavano con una profonda deferenza e rispetto, e l’aspetto esile e quasi etereo della vecchina contribuiva a suscitare questo atteggiamento: aveva lunghissimi capelli bianchi e grandi occhi di un azzurro chiarissimo e intenso. Parlava raramente e a bassissima voce e girava sempre avvolta in ampie vesti nere, stretta com’era nel perenne e disperato lutto per la perdita del marito avvenuta qualche secolo prima. Per spiegarvi un po’ meglio la situazione, vi basti sapere che Sigyn aveva affrontato coraggiosamente di fronte a Njord e a Freyr le conseguenze della sua relazione con il dio degli inganni. A testa alta aveva difeso la sua scelta controcorrente e in aperto contrasto con la morale di Vanheim, ma si era sentita come una bambina impaurita nel momento in cui aveva dovuto spiegare alla nonna di aver conosciuto approfonditamente Loki Laufeyson ben prima delle frettolose nozze. Ufa si era molto turbata sentendo quella confessione. Non aveva parlato per due giorni, poi le aveva messo le mani sulla pancia e aveva decretato che sarebbe nata una femmina.

Il giorno del Solstizio, la pia donna alzò lentamente gli occhi vacui verso Vili e Thor e Loki e disse con la sua voce bassa e cantilenante che era giusto non sprecare nulla dei doni della natura, neanche le teste di pesce, e così finì la discussione. Il secondo round dello scontro di civiltà tra Vanir e Asi ebbe luogo nella delicata fase dello scambio dei doni. Freyr e Freya erano, ognuno per i propri motivi, già ubriachi da un pezzo, Sonje saltellava allegra in cerca dei suoi regali. Sigyn, invece, osservava preoccupata Vili Borson domandandosi se in vecchiaia anche Loki avrebbe adottato un paio di lunghi baffi e si sarebbe tolto il cerume in pubblico e rammaricandosi, allo stesso tempo, per non aver potuto vedere in che stato si erano ridotti Odino e Laufey. Nel mentre, cercava anche di rispondere alle domande personali che le rivolgeva Vili con più grazia possibile: sì, Loki assolveva tutti i suoi compiti di marito e lei non si poteva lamentare. Non capiva a cosa si riferisse con precisione quando parlava di scettri e bastoni e lance e nemmeno lo voleva sapere – era una bugia quest’ultima, ma detta a fin di bene.

Ma torniamo ai regali. Chiunque abbia dei simpatici pargoletti in casa saprà – o ricorderà, che gioia immensa è il momento in cui finalmente si dà un senso alla giornata e si scartano i regali. Sonje era praticamente l’unica bimba al noiosissimo tavolo dei Vanir e smaniava per tre motivi: voleva scartare i suoi regali, giocare con i suoi regali e assaggiare le teste di pesce. L’iniziale schifo era stato superato quando il particolare piatto era stato servito anche a suo padre e lui se lo era mangiato. Sonje non voleva essere da meno, e aveva iniziato a protestare ottenendo solamente una bisbigliata e frettolosa promessa da parte del dio degli inganni che le assicurava come, presto e lontano da occhi indiscreti, le avrebbe concesso di assaporare l’antico e controverso piatto Asi. Che ci volete fare, Loki era un tipo diplomatico e far assaggiare alla figlioletta mezza Vanir la tipica leccornia equivaleva a sputare in faccia a quel vecchio bilioso di Njord durante il Solstizio. Se Ufa appoggiava la severa cucina di Asgard che non ammetteva l’esistenza di alcun tipo di scarto, il re di Vanheim schifava quelle usanze e certo non desiderava che la sua unica nipotina le facesse proprie. Le teste di pesce insomma potevano causare una frattura diplomatica neanche troppo leggera in seno ai Vanir stessi, grazie a quel demente di Vili: Ufa e Njord si sopportavano a malapena. Lei lo chiamava “Vecchia Scopa,” lui optava per un sempre classico ma poco originale “strega.” Ecco perché quella cena doveva finire il prima possibile.

Lingua d’Argento distrasse sua figlia e tutta la sala proponendole di andare a scartare finalmente i regali. Gli occhioni grigi della bambina brillarono di gioia, e l’Ase si dileguò tirando un sospiro di sollievo. Non ne poteva più, davvero. La piaga ambulante che corrispondeva al nome di Njord si ingozzava di tartine tutto il giorno e di Vanheim si occupava ormai per modo di dire. Si infilava la corona, si sedeva su quel fottuto trono e si addormentava durante le udienze o si stancava dopo dieci minuti chiedendogli la cortesia di gestire la situazione. Cosa che Loki ovviamente faceva perché era nato per essere Re, ma in veste solamente ufficiosa, dato che quella vecchia scopa – qui Ullfriaehdkkeh aveva proprio ragione – si era messo in testa di crepare con addosso la sua fottuta corona. Poi c’era da gestire Freyr, che sbraitava di essere il legittimo successore al trono di Vanheim ma era sbronzo per la metà del tempo. “Non sono io che ti allontano dall’eredità di tuo padre,” gli aveva ricordato qualche minuto prima con un sorriso falso, “ma la tua cirrosi.”

A peggiorare la ridente situazione, insomma, mancavano solo Thor e quel truce soggetto di Vili, cui ovviamente Loki non aveva fatto alcun regalo. Eh sì, perché anche gli adulti si scambiavano doni, la sera del Solstizio. Ad essere sinceri, l’ingannatore non si doveva occupare nello specifico di queste quisquiglie. Era Sigyn a ordinare e impacchettare i doni per tutti, quindi probabilmente quel caprone di Thor e quello zotico di Vili avrebbero avuto un pensierino carino infiocchettato con un nastro rosso, e così tutti i presenti, lui compreso. A infastidire il dio degli inganni, era il fatto di dover apporre sulla piccola pergamena che accompagnava ogni pacco pure la sua sigla, cosa che avveniva ogni anno su supplica della bionda principessa circa dieci minuti prima dell’inizio della cena. A lui toccava rimediare solo due doni: quello per la moglie e quello per la figlia. Sfregandosi le mani osservò il risultato della prima delle sue opere geniali.

A Loki piacevano moltissimo le esternazioni di potere, specie quando era il suo. Stravedeva per le parate, le statue celebrative, le solenni rappresentazioni e, ovviamente, le feste in suo onore. Si crogiolava nel leggere poemi e storie che parlavano di lui e, sotto sotto, non gli dispiaceva nemmeno troppo Un trono per due, anche se per onestà intellettuale doveva criticarne le forti lacune. Del resto parlava di lui e lo osannava, e tanto bastava. Insomma, adorava essere adorato, e per questo motivo Sigyn diceva che ci sapeva fare con i bambini. Lui li stupiva con le sue magie e i suoi racconti, loro lo consideravano il miglior mago, guerriero, stratega, eroe dell’Universo tutto, senza cui Thor non era in grado nemmeno di tirarsi su le braghe. Provava un innegabile piacere anche nel mostrare quanto fosse geniale e magniloquente grazie alle sue trovate intelligenti. Dopo essersi sincerato che tutto fosse a posto, lanciò un’occhiata soddisfatta all’enorme pacco che campeggiava nell’ampio portico e ordinò che dalla sala tutti fossero fatti chiamare.

Sonje arrivò praticamente saltellando e trascinando per una mano Sigyn. Vide un incarto gigantesco di colore rosso e impazzì, letteralmente. Si coprì il viso con le mani, chiese a suo padre se era per lei col più tenero degli sguardi e l’Ase le porse un nastro e le disse di tirare. La bimba eseguì e tutti i presenti rimasero semplicemente a bocca aperta.
“Oh Loki, ci sei riuscito. Stavolta ti sei davvero superato,” boccheggiò Sigyn, che sapeva benissimo in che cosa consistesse il regalo, ma aveva dubitato fino all’ultimo circa la sua fattibilità.

“Un ponicorno! Un ponicorno! Papà è un ponicorno vero!” gridò la minuscola principessa saltando e correndo verso la cosa che più desiderava in assoluto: un cavallino bianco e un po’ tremante dallo sguardo languido cui era stato legato un gigantesco fiocco rosso dotato, come suggerisce il nome, di un’elegante protuberanza che sanciva innegabilmente la sua appartenenza ai più noti Unicorni. Sonje abbracciò la creatura, poi corse verso i genitori e saltò letteralmente in braccio al padre stampandogli un sonoro bacio a schiocco sulla guancia, infine trascinò Sigyn a fare la conoscenza del tremante esserino promettendole che sì, lo avrebbe curato tutti i giorni, gli avrebbe messo la coperta la sera e si sarebbe impegnata a nutrirlo con attenzione. Il dio degli inganni assistette alla scena con somma gioia. Aveva fatto felice la sua bambina e stupito tutta Vanheim con quel regalo rarissimo e quasi impossibile: era un eroe.

Se Loki si degnasse di spiegare a noi patetici midgardiani che cosa fosse esattamente un ponicorno, il suddetto userebbe all’incirca queste parole: i ponicorni erano degli incroci tra dei cavallini miti, dolci e buoni come i nostrani pony ma più alti – come la giumenta deliziosa di Sigyn cui il dio degli inganni salvò la vita, per intenderci, – e i più comuni unicorni che tutti conosciamo. Bestiacce infami dentro, queste ultime, dotate di una cattiveria insita spettacolare. Gli incroci che derivavano da queste due tipologie di cavalcature avevano creato i ponicorni per l’appunto: creature miti dolci e bellissime. Venivano allevate quasi esclusivamente ad Alfheim ed era lì che Loki era andato a recuperare il puledrino. Gli Elfi avevano brontolato pesantemente e solo le insistenze e le manipolazioni del dio degli inganni avevano permesso che il ponicorno giungesse dalla piccola Sonje. Non si trattava di un regalo impulsivo, anche se la richiesta veniva da una bambina di quattro anni.
Mentre la bimba baciava e accarezzava il nuovo compagno di giochi, Sigyn si volse verso il marito sbattendo le lunghe ciglia nere, in attesa del suo dono, e in quel preciso istante il dio degli inganni fu attraversato da una consapevolezza pungente e dolorosa che quasi gli strappò una sonora bestemmia. Qualche testa, giù in quella cloaca puzzolente che rispondeva al nome di Nidavellir, sarebbe saltata. Il corriere che doveva portargli il prezioso plico contenente una tiara disegnata da lui di indicibile bellezza, non era giunto a destinazione.

Continua...
*Mi riferisco a “Tutte le tue bugie,” la long fic collegata a questo scritto.
**Se segui le altre mie storie legate a “Tutte le tue bugie” ovvero la raccolta di shot “Oltre l’inganno,” ti sarà capitato di sentire nominare più volte Vili. Finalmente, eccolo qui! Vili Borson è effettivamente fratello di Odino nel mito norreno. La caratterizzazione pecoreccia del personaggio è completamente opera mia.
***Raccontata nel primo Thor.
****Anche la piccola Sonje è un parto della mia mente.
Credevate che scrivessi solo cose drammatiche, eh?? E invece "Surprise!"
Orbene, eccoci giunti a questo appuntamento pre-pasquale. Dedico questo capitolo a E, che insiste sempre nel farmi scrivere cose allegre. Grazie, o Lettore, per essere giunto fino a qui e avermi dedicato il tuo tempo
Recensisci questa storia e forse Loki regalerà anche a te un bellissimo ponicorno!
   
 
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