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Autore: Shainareth    28/03/2018    6 recensioni
*** ATTENZIONE! *** Questa storia si svolge dopo l'episodio "Gorizilla".
Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, che non meritava di stare male a causa sua e che avrebbe dovuto rivolgere i propri sentimenti altrove, eppure… eppure Marinette aveva capito che Chat Noir era come lei, qualcuno di speciale che la capiva e che condivideva la sua medesima concezione dell’amore. Il destino sapeva essere davvero crudele.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO




Tutto iniziò un giovedì mattina.
   Scendendo dall’auto che lo aveva accompagnato a scuola, scorse Marinette attraversare la strada e decise di aspettarla davanti all’ingresso. Vide comparire sul suo volto un’espressione sorpresa ma felice, un leggero rossore sulle guance piene ed un sorriso che gli scaldò il cuore. La giornata era iniziata nel migliore dei modi. Fu questo che pensò Adrien quando, affiancandosi a lei e chiacchierando del più e del meno, attraversò il cortile interno della scuola per raggiungere insieme l’aula al primo piano.
   Quando giunsero a destinazione rimasero entrambi stupiti di trovare Chloé seduta sulla cattedra, le gambe accavallate e il busto leggermente all’indietro, una mano posata sul ripiano a sorreggere il peso del corpo. «Sono certa di ciò che dico», stava sostenendo in direzione di altri loro compagni di classe, «perché mi sono trovata più e più volte in pericolo e loro mi hanno salvata.»
   D’istinto, Adrien irrigidì la schiena: Chloé stava forse parlando di lui e di Ladybug? Il sorriso compiaciuto che stava per dipingersi sulle sue labbra, tuttavia, si congelò quando Alya, braccia conserte, decise di fronteggiare la figlia del sindaco. «E allora lo vedi che ho ragione io? Ti hanno salvata. Tutti e due.»
   L’altra scosse il capo, facendo oscillare la lunga chioma bionda dietro di sé. «In realtà è sempre stata solo Ladybug», ci tenne a precisare. «Chat Noir, in soldoni, non serve a niente.»
   Fu come una stilettata in pieno petto, per il giovane. Davvero Chloé era ancora convinta che lui non fosse all’altezza della sua collega? Serrò le mascelle e strinse i pugni, ma non fece in tempo a fare altro perché, accanto a lui, Marinette si fece avanti con espressione visibilmente stizzita. «Non dire idiozie!» fu dunque il buongiorno che la ragazza diede alla sua eterna rivale. «Chat Noir non è affatto inferiore a Ladybug.»
   Chloé la fissò con aria oltraggiata. «Nessuno ti ha insegnato a non intrometterti nei discorsi degli altri?»
   «Sono obbligata a farlo, se si getta discredito su qualcuno per pura cattiveria», ci tenne a precisare Marinette. Adrien si domandò se quella dell’amica fosse una reazione dovuta all’antipatia per la compagna di classe o se piuttosto lei credesse davvero in ciò che stava dicendo. «Conosco Chat Noir meglio di te», fu ciò che seguì nel discorso in sua difesa, «e ti assicuro che vale quanto e forse persino più di Ladybug.»
   Sgranò gli occhi verdi, fissando Marinette del tutto attonito. Che lui l’avesse incontrata più volte nei panni di Chat Noir era vero; ed era vero anche che lei lo conoscesse meglio di Chloé, perché si erano soffermati a parlare di cose personali non troppo tempo prima. Che però addirittura lo facesse più in gamba di Ladybug… questa era un’autentica novità, per Adrien.
   «Dimentichi che è sempre Ladybug a salvare la situazione?» replicò Chloé, per nulla convinta di ciò che diceva Marinette.
   «Solo perché i suoi poteri le consentono di farlo», rimbeccò lei, le mani sulle anche e lo sguardo determinato. «Ma senza Chat Noir, Ladybug non avrebbe risolto neanche la metà di quelle situazioni di cui parli», aggiunse subito dopo, senza neanche dare all’altra il tempo di ribattere. «Io stessa sono stata salvata da lui più volte. Mi ha protetta a costo di farsi male e mi ha sempre portata al sicuro.» Anche questo era vero, dovette riconoscere Adrien, sentendo il suo orgoglio tornare a palpitare e a ricordargli che sì, lui e Ladybug avevano un rapporto alla pari. «E ti dirò di più, Chloé», stava continuando Marinette, guadagnandosi tutta la sua riconoscenza. «Chat Noir è senza dubbio la persona di cui mi fido di più al mondo.»
   Calò il silenzio. Soprattutto da parte di Adrien che, oltre a trattenere il fiato, di nuovo si ritrovò a fissarla con tanto d’occhi: sul serio contava così tanto, per Marinette? Il cuore gli si riempì di gioia ed un sorriso enorme gli illuminò il volto quando si lasciò scappare: «Ti adoro, Marinette!» Diverse paia d’occhi si volsero nella sua direzione con palese stupore. Quando si accorse che la sua amica era arrossita per quelle parole, Adrien vacillò e corresse il tiro. «Voglio dire… adoro il modo in cui difendi la tua opinione. Lo fai con ardore… con passione.»
   «Questo, evidentemente, perché la nostra Marinette s’è presa una bella sbandata per Chat Noir», affermò Chloé che, non avendo gradito per nulla il solito affiatamento fra lei e Adrien, aveva deciso di puntarle il dito contro.
   «Cosa?!» esclamò la ragazza, imbarazzata non tanto da quell’accusa infondata quanto dal fatto che fosse stata mossa proprio in presenza del giovane di cui era realmente innamorata. Avvertì lo sguardo rovente di Adrien su di sé e si sentì morire.
   «Spiegami allora per quale motivo dovresti essere così generosa nei confronti di quel bell’imbusto», insistette l’altra.
   «Si chiama gratitudine», tornò a prendere parola Alya, intervenendo subito in soccorso dell’amica. «Cosa di cui tu, evidentemente, ignori il significato.»
   Chloé la fissò in tralice. «Non dirmi che sei davvero della sua stessa opinione.»
   «Lo sono eccome!» chiarì l’altra, ferma nelle proprie convinzioni. «Anch’io ho avuto a che fare con i nostri amati eroi… e ci ho anche collaborato!» asserì con una luce scintillante negli occhi scuri. Se si riferisse a quella volta che li aveva aiutati quando monsieur Damocles s’era messo in testa di fare il supereroe o se alla sua avventura nei panni di Rena Rouge, non aveva davvero importanza. «E poi dimentichi che seguo continuamente le loro apparizioni», proseguì indomita, premendo la punta del pollice contro il petto formoso. «Sono pur sempre la creatrice del Ladyblog, e posso assicurarti che Ladybug e Chat Noir sono una squadra sotto tutti i punti di vista.»
   «Lo penso anch’io», esclamò allora Adrien, felice di sapere che Marinette non era l’unica a pensarla in quel modo. Ciò nonostante, erano state le sue parole a colpirlo di più, per via di quella cieca e incondizionata fiducia che la ragazza aveva deciso di riporre su di lui senza neanche sapere la verità. Il suo ego si gonfiò, per questo, in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile. E no, non per pura vanagloria, quanto perché ci teneva davvero tanto all’opinione di Marinette.
   Chloé gli lanciò uno sguardo imbronciato e forse fu sul punto di controbattere; tuttavia fu costretta a tacere quando la professoressa Bustier si palesò sulla soglia dell’aula. Subito scese dalla cattedra e, come anche gli altri suoi compagni, si affrettò a raggiungere il proprio posto, occhieggiando un’ultima volta in direzione di Adrien che, dall’altra parte del corridoio che separava i loro banchi, continuava ad avere sulle labbra un sorriso meravigliosamente soddisfatto, quasi come se avesse vinto chissà quale ambito premio.
   Non vista, alle sue spalle Marinette continuava a sentire il cuore martellarle in petto con prepotenza: benché avesse cercato di riparare all’istinto che lo aveva lasciato pronunciare quelle parole, Adrien aveva detto chiaro e tondo che la adorava. Aveva forse capito male? Aveva inteso una cosa per un’altra perché, oltre che le lentine rosa, l’amore le aveva anche foderato le orecchie con soffici batuffoli d’ovatta? Rivolse uno sguardo ad Alya che, seduta accanto a lei, le strizzò un occhio con fare complice. «Non sarà amore, ma… direi che ci siamo vicini, no?» le sussurrò mentre la professoressa iniziava a fare l’appello.
   Quindi non l’aveva sognato! Adrien l’adorava! Marinette iniziò a gongolare così tanto che, quando mademoiselle Bustier pronunciò il suo nome, neanche se ne accorse. Ma che importanza poteva avere, un richiamo da parte di un’insegnante, se Adrien l’adorava? «Posso morire felice…» le sfuggì di bocca, in tono sognante ma abbastanza alto da poter essere udito da buona parte dei suoi compagni di classe.
   «Possibilmente fra cent’anni», intervenne allora la professoressa, portandosi le mani sulle anche con fare paziente. «Ora però concentrati sulla lezione o sarò costretta a spedirti dal preside.»
   Complice anche il colpetto al braccio che le diede Alya e le risatine degli altri, Marinette finalmente si riebbe e si strinse nelle spalle con fare vergognoso, arrossendo e balbettando: «C-Chiedo scusa!»
   Il resto della mattinata passò senza altri incidenti di sorta, ma per lei fu comunque difficile riuscire a mantenere desta l’attenzione perché alla mente continuavano a tornarle non soltanto le parole di Adrien, ma anche l’espressione di gioia che gli aveva scorto in volto mentre le pronunciava. Ci teneva così tanto, alla sua opinione? Su Chat Noir, poi? No, probabilmente, come lei, era rimasto sorpreso dal fatto che entrambi la pensavano allo stesso modo riguardo ai supereroi di Parigi. Chissà cos’avrebbe detto, Adrien, se avesse scoperto che una dei due era proprio lei!
   I loro occhi si incrociarono più volte nell’arco della giornata, sorridenti e timidi, ma non fu loro concesso di scambiarsi altre parole e Marinette vide il giovane scivolarle via dallo sguardo quando, alla fine delle lezioni pomeridiane, fu inghiottito dall’auto di famiglia, che lo portò via da lì. Rassegnata ma comunque felice per quanto accaduto, la ragazza salutò Alya e Nino e si diresse a passo leggero verso casa.
   Adrien la seguì con la coda dell’occhio fino a che l’auto non svoltò. In tutta onestà, non capiva la ragione per cui suo padre si ostinasse a far scomodare la sua guardia del corpo e Nathalie per accompagnarlo durante il tragitto da casa a scuola e viceversa: la villa in cui abitavano era ridicolmente vicina all’istituto Françoise Dupont e lui avrebbe benissimo potuto percorrere la strada a piedi. Di più, gli dava noia la consapevolezza che, in auto, avrebbe sempre dovuto passare davanti a Le Grand Paris, con il rischio di essere intercettato da Chloé e bloccato da uno dei suoi capricci. A piedi, invece, avrebbe di sicuro percorso una strada diversa, costeggiando Place de Vosges dall’altro lato e, magari, avrebbe potuto persino fare tappa alla boulangerie dei genitori di Marinette, che sfornava i dolci migliori di tutta la città.
   Quel pensiero gliene fece venire in mente un altro e subito si rivolse a Nathalie, che se ne stava seduta al suo fianco. «Hai mai avuto la piena e incondizionata fiducia di qualcuno?»
   La donna sollevò un sopracciglio scuro, senza tuttavia mutare espressione. «Me lo ha chiesto davvero?» volle sapere in tono retorico.
   Adrien si sentì uno sciocco. «Domanda idiota, hai ragione», mormorò quindi, quasi ridendo di sé. Nathalie era pur sempre l’assistente di suo padre, l’unica di cui lui si fidasse e alla quale aveva persino affidato l’educazione del suo unico, prezioso figlio. Ciò nonostante, per Adrien non era la stessa cosa, perché quello era più che altro un rapporto di lavoro fine a se stesso. La fiducia che invece Marinette riponeva in lui – o meglio in Chat Noir – era decisamente di natura diversa. Avrebbe voluto farle sapere quanto lo aveva reso felice e orgoglioso con quella sua dichiarazione, ma temeva che, facendolo, la ragazza avrebbe finito per sospettare qualcosa circa la sua doppia identità.
   L’idea gli venne dopo cena, quando, lanciando uno sguardo al cielo al crepuscolo oltre i vetri della grande finestra della sua stanza, vide sorgere la luna, bella e piena per oltre tre quarti, ma pallida come se dovesse ancora acquistare le forze per la lunga veglia notturna sulla città. Alla mente gli tornò il plenilunio del mese appena passato, che gli aveva addolcito i pensieri e ingentilito il cuore, portandolo a prendere una delle decisioni più significative della sua vita: dichiarare il proprio amore a Ladybug. Non era andata come aveva sperato, proprio no; ma almeno aveva scoperto di essere ugualmente importante per lei. Non solo: quella sera aveva anche aperto il proprio animo ad un’altra persona, l’unica a cui avesse mai confidato i suoi sospiri più segreti. Anche lei col cuore a pezzi, Marinette era stata ad ascoltarlo, gli aveva fatto compagnia e, soprattutto, aveva cercato di risollevargli il morale nonostante fosse la prima ad aver bisogno di qualcuno che le facesse dono di un sorriso. Non c’era ragione per cui Adrien non si sentisse in qualche modo debitore nei suoi confronti, specie dopo quanto la sua amica aveva affermato con decisione quella mattina.
   Attese che il buio scendesse su Parigi e, complice il suo costume scuro e l’agilità da gatto, dopo aver richiamato il potere del proprio miraculous, saettò fuori dalla finestra e fuggì sui tetti vicini, fino a che non fu su quello di casa di Marinette. Le luci del suo balcone erano accese anche quella sera, ma lei non c’era. Cercando di fare il meno rumore possibile, Chat Noir si acquattò sulla facciata del palazzo e sbirciò attraverso il vetro della piccola finestrella che dava sul letto della ragazza. Era vuoto, ma la stanza era illuminata, a testimonianza che lei doveva essere lì da qualche parte. Se ricordava bene la struttura della sua camera – Adrien c’era stato due volte, ma solo in un’occasione aveva avuto abbastanza tempo e testa per guardarsi attorno – la finestrella a cui si era affacciato doveva essere quella posta sul soppalco. Lì sopra al letto, da qualche parte, doveva esserci la botola che introduceva all’interno, ma probabilmente era chiusa e in ogni caso lui non voleva risultare invadente fino a quel punto. Riflettendoci bene, lo era già stato, spiando la sua amica in quel modo. Vergognandosi di se stesso, tornò ad issarsi sul tetto dell’edificio. Forse non era stata una grande idea presentarsi lì all’improvviso, eppure Adrien non aveva alcuna intenzione di abbandonare il proposito che si era fissato quella sera. Saltò di nuovo sul balcone e, prendendo un bel respiro, bussò alla botola con fare educato.
   Aspettò diverso tempo, ma Marinette non diede segni di vita. Che non lo avesse udito? In caso contrario, non poteva biasimarla se aveva deciso di non fidarsi di quell’intrusione inaspettata, soprattutto se non sapeva che si trattava di lui. Ma in che altro modo avrebbe dovuto avvertirla del suo arrivo? Come poteva contattarla senza destare in lei sospetti di vario genere? Rimuginando su questo, Chat Noir si lasciò cadere a gambe incrociate sul balcone, la mano sinistra sul ginocchio, il gomito alto, e le dita della destra che tamburellavano sul mento a sottolineare l’espressione pensierosa. Prima ancora che potesse giungere ad una qualsivoglia conclusione, compresa quella di lasciar perdere e tornare a casa, la botola davanti a lui si schiuse e due grandi occhi azzurri apparvero attraverso la fessura, guardinghi.
   «Marinette!» saltò su il giovane, spalmandosi sul pavimento per farsi vedere meglio da lei, un sorriso enorme ad illuminargli il volto mascherato. La vide sgranare le orbite con fare sorpreso e sollevare di più il portello per affacciarsi meglio. Indossava ancora gli abiti da giorno, ma aveva i capelli sciolti che le incorniciavano il viso rotondo, rendendola più graziosa di quanto già non fosse. Adrien non riuscì ad evitare di divorarla con lo sguardo, sentendosi ancora più allegro di prima. «Spero di non disturbarti.»
   Lei lo fissò stordita, le labbra socchiuse e mille domande che le si affastellavano in testa. «Chat Noir…»
   «Hai tempo per me?» le chiese lui, tornando a sedere composto. «Avevo bisogno di vederti.»
   Marinette s’irrigidì appena, incapace di credere a ciò che aveva appena sentito. «Di vedere me
   L’altro annuì con vigore. «C’è un posto in cui devo assolutamente portarti.» La confusione sul viso della ragazza fu tale che Adrien fu costretto a smorzare il proprio entusiasmo e a tornare con i piedi per terra. «Hai ragione, perdonami. Vengo qui e ti travolgo senza neanche darti il tempo di ragionare», ricominciò allora, rivolgendole un sorriso di scuse.
   Lei ridacchiò, rilassando le spalle e posando i gomiti sul pavimento davanti a sé, come se fosse serenamente appoggiata al davanzale di una finestra. «È successo qualcosa?»
   «Forse», fu la risposta sibillina che le diede Chat Noir, lasciandola volutamente in sospeso. Se non poteva dirle la verità, poteva almeno stuzzicare la sua fantasia. «Lo so che non ero atteso, ma, sul serio, c’è una cosa che vorrei mostrarti», tornò a dire con fare più serio.
   «Come mai?»
   «Quando un eroe mascherato viene a bussare alla tua porta, non dovresti mostrarti tanto restia ad accettare il suo invito, sai?»
   Marinette rise di nuovo. «Dammi un minuto e sono da te», promise allora, sparendo oltre la botola e richiudendola dietro di sé per precauzione. Sedette sul letto e rivolse uno sguardo interrogativo alla piccola Tikki che era rimasta nascosta lì accanto per qualunque evenienza. Il kwami, però, scrollò le spalle minute, a conferma che neanche lei aveva la più pallida idea del perché Chat Noir fosse tornato sul suo balcone a distanza di qualche settimana. Marinette poteva fidarsi? Certo, che domande. Tuttavia la curiosità aveva iniziato a divorare entrambe e questo indusse la ragazza a recuperare la borsetta che era solita portare a tracolla e a farci entrare la sua amica insieme ad un paio di biscotti per le emergenze. Quindi, dopo aver dato una fuggevole occhiata al proprio riflesso sullo specchio, tornò ad arrampicarsi sul soppalco e poi sul letto, uscendo di nuovo all’aria aperta.
   Chat Noir, che l’aveva aspettata seduto sulla ringhiera del balcone, si volse nella sua direzione e si rallegrò di vederla ancora con i capelli sciolti. Era una novità, per lui, e aveva deciso che gli piaceva molto. «Sei pronta?» le domandò, porgendole il palmo della mano proprio come aveva fatto la volta precedente. Marinette sorrise e accettò il suo invito; un attimo dopo, si sentì sollevare da terra mentre allacciava le braccia attorno al collo del giovane e si abbandonava completamente a lui. Ecco la conferma che non aveva mentito, quella mattina, quando aveva affermato a gran voce di fidarsi ciecamente di Chat Noir. Fu questo che pensò Adrien con soddisfazione, balzando sul tetto del palazzo e portandola via con sé nell’oscurità. «Chiudi gli occhi», le sussurrò, sentendo il dolce peso della sua testa contro la spalla, il respiro caldo sul collo che si confondeva con l’aria fresca della sera.
   Marinette obbedì e non fece domande, lasciando che lui la conducesse in quel posto speciale in cui aveva deciso di portarla. In tutta onestà, dentro di sé si chiedeva quale fosse la vera ragione per cui Chat Noir era tornato da lei, a quasi un mese di distanza dall’ultima volta che si erano incontrati in circostanze analoghe. Aveva forse mancato di nuovo nei suoi confronti mentre vestiva i panni di Ladybug? Non ricordava di averlo fatto e sperò di tutto cuore che la memoria non la ingannasse; anche e soprattutto perché, dopo essersi resa conto di quanto fosse stata ingiusta nel giudicare il suo amico mascherato senza curarsi di conoscerlo davvero, si era preoccupata di essere più premurosa e meno superficiale con lui. E anche se così non fosse stato, cosa mai poteva spingerlo a cercare di nuovo Marinette anziché Ladybug? A meno che Chat Noir non avesse scoperto la verità… possibile che fosse quella, la ragione che lo aveva spinto a bussare al suo tetto?
   Rimase con quella curiosità fino a che non si fermarono. «Ora puoi guardare», si sentì dire con voce rassicurante. Sollevò di nuovo le palpebre e quel che vide la lasciò senza parole: Chat Noir l’aveva portata in cima alla Tour Eiffel. «Con molta probabilità avrai già visto questo panorama in altre occasioni», e invero una di queste l’aveva creata lui stesso, accompagnandola lì per farla sfuggire all’attacco che Papillon aveva sferrato il giorno del suo compleanno, dopo aver akumizzato sua nonna. «Però non credo che tu abbia avuto la fortuna di ammirarlo di sera.» Invece Marinette lo aveva fatto, molte volte, e sempre insieme a lui. Chat Noir però non poteva saperlo, perché lei aveva sempre indossato la maschera di Ladybug. «Era questo che volevo mostrarti: la bellezza della Ville Lumière.»
   A ben guardare, il giovane aveva ragione: mai le era capitato di ammirare quello spettacolo con la dovuta calma, ma sempre e solo di sfuggita, nei concitati momenti di questa o quella battaglia, senza mai godere davvero di quell’incanto. Senza che potesse evitarlo, Marinette sorrise come una bambina mentre gli occhi le si riempivano di meraviglia. «È splendida.»
   Felice che lei avesse apprezzato la sua idea, Chat Noir la mise infine giù con estrema cura e la lasciò scivolare via dal suo abbraccio. La vide avvicinarsi al parapetto e volgere lo sguardo all’intera città con espressione estasiata. Le si fece vicino e poggiò i gomiti sulla ringhiera, volgendo anche lui lo sguardo alla città sottostante. Con i suoi trecento metri e più di altezza, la Tour Eiffel sovrastava Parigi in modo impressionante, dando quasi la sensazione di osservarla dalle nuvole. Di sera, però, quello spettacolo diventava ancora più suggestivo, con quelle innumerevoli luci che da quasi due secoli rischiaravano le strade cittadine.
   «Posso chiederti cosa ti ha spinto a portarmi qui?»
   La voce di Marinette lasciava trasparire tutta la sua curiosità e Adrien non ebbe cuore di tenerla ancora sulle spine. «Volevo ringraziarti.» Lei corrucciò la fronte, voltandosi a guardarlo. Le sorrise. «Per quella sera, quando mi hai permesso di rimanere in tua compagnia e hai cercato di tirarmi su di morale.»
   La ragazza stese le labbra a sua volta, addolcendo i tratti del viso in un’espressione che lui raramente le aveva visto: quando parlavano a tu per tu, a scuola o durante i pochi incontri che avvenivano al di fuori delle lezioni, Marinette sembrava sempre in preda all’ansia e alla timidezza, lasciandolo perciò del tutto all’oscuro di qualcosa che invece le veniva naturale mostrare a Chat Noir. «A dire il vero, sei stato tu il primo a regalarmi un sorriso, mostrandomi la sorpresa che avevi preparato per Ladybug.» Quella, invece, era tutta per lei, per Marinette. Quella consapevolezza le fece battere il cuore con gioia.
   «L’ho mostrata anche a lei, dopo», le raccontò il giovane, distogliendo lo sguardo. Lei ne osservò il profilo, soffermandosi sull’espressione dei suoi occhi e sulla linea della sua bocca. Non sembrava triste per il rifiuto che era stata costretta a dargli nei panni dell’eroina, quanto sereno o, forse, soltanto rassegnato. «Mi ha detto che mi considera un buon amico.»
   Incapace di rispondere, Marinette calò le ciglia sul viso con aria mortificata e si morse il labbro inferiore, avvertendo il battito del cuore scemare di nuovo d’intensità. «Anche lui ha detto la stessa cosa», confessò allora, volendo pareggiare i conti. Sapeva che Chat Noir non avrebbe potuto ricollegare il suo lui a quello di Ladybug, ma voleva comunque che sapesse.
   Il giovane tornò a sollevare lo sguardo su di lei, questa volta con aria stupita. «Ti sei dichiarata?»
   L’altra scosse il capo. «Alle volte quasi non riesco a parlargli, figurarsi dirgli quello che provo…» borbottò amareggiata. «L’ho sentito mentre lo diceva a qualcun altro», sospirò poi, sollevando gli occhi al cielo notturno e a quella grande, bellissima luna, ancora una volta unica testimone dei loro segreti più intimi e di quell’amicizia che stava sbocciando come una rosa preziosa.
   «È comunque un buon punto di partenza», affermò Chat Noir, con decisione.
   Marinette sorrise con tenerezza. «Non ti arrendi?»
   «Tu sì?»
   «Mai.»
   «Neanch’io ho intenzione di farlo.»
   Sentirglielo dire la commosse e le fece male al cuore al tempo stesso. Era lei la principale causa dei patemi d’animo di quel giovane innamorato, ma non c’era davvero nulla che potesse fare per alleviare le sue sofferenze. Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, che non meritava di stare male a causa sua e che avrebbe dovuto rivolgere i propri sentimenti altrove, eppure… eppure Marinette aveva capito che Chat Noir era come lei, qualcuno di speciale che la capiva e che condivideva la sua medesima concezione dell’amore. Il destino sapeva essere davvero crudele.












Rieccoci qui, con una nuova long. Anticipo che sarà breve, di appena quattro capitoli (tutti già scritti). In verità avrei potuto tranquillamente pubblicare l'intera storia come shot, ma tempo fa qualcuno aveva già protestato per la lunghezza di Sogni, quindi ho preferito evitare altri malcontenti (e poi, in effetti, in questo modo anche a me viene più facile rivedere con calma il tutto).
Non credo di avere molto da dire, a parte che questa sarà una fanfiction molto più leggera di Limiti, perché si concentra unicamente sul romanticismo, ma anche sulla fiducia e sull'amicizia incondizionate.
Ringrazio per i consigli e il betaggio sia Florence che RaffyChan e vi do appuntamento al prossimo capitolo, fra circa una settimana.
Buona giornata! ♥
Shainareth





  
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