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Autore: _happy_04    29/03/2018    1 recensioni
[ Itona/Terasaka | fluff I guess | 2395 parole ]
Solo un altro venerdì pomeriggio, ma forse non proprio normale.
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«Sono soldatini, quelli?»
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai | Personaggi: Itona Horibe, Ryoma Terasaka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- toy soldiers -
 
La classe si stava ormai svuotando, dopo un’altra giornata di lezione nella 3-E.
Terasaka se ne rese conto solo dopo che Itona era già uscito: sotto il suo banco era rimasto qualcosa, chiaramente dimenticato dal ragazzo.
Si avvicinò al posto dell’amico e sfilò l’oggetto dallo scomparto sotto il banco; come si aspettava, era uno dei soliti stupidi carri armati giocattolo che a Itona piaceva tanto costruire per ammazzare il tempo.
Per un attimo si chiese cosa fosse meglio fare. In teoria avrebbe potuto lasciarlo lì sotto, e aspettare il successivo giorno di scuola perché lui tornasse a prenderselo. Tuttavia, ricordò che era venerdì, quindi sarebbero tornati direttamente lunedì; dunque, a conti fatti, avrebbe dovuto aspettare due giorni prima di riaverlo. Forse avrebbe preferito recuperarlo prima.
Anche se, in realtà, quello non era altro che un pretesto, dato che la verità era ben altra.
Per quanto si conoscessero, Terasaka non era mai stato a casa di Itona; certo, sapeva che vivesse da solo – cosa abbastanza logica, visto che i suoi genitori erano praticamente dispersi –, ma sapeva solo vagamente dove si trovasse la casa, né tantomeno aveva idea di come dovesse fare a gestire il tutto.
Sì, Terasaka era curioso. Molto curioso.
E poi, vedere Itona gli faceva sempre piacere. Quel ragazzo aveva fin troppa poca esperienza del mondo reale, e il suo cuore era stato inaridito da quegli esperimenti con i tentacoli che quel pazzoide di Shiro aveva eseguito su di lui. Quindi, Terasaka aveva tutte le intenzioni di rimanere al suo fianco, di aiutarlo a tornare a vivere.
Anche se tutte queste cose non le avrebbe mai ammesse davanti a tutti gli altri. Per quanto lo riguardava, aveva una reputazione da preservare, lui.
Prese la sua decisione. Infilò il modellino nella cartella e si diresse a casa, prevedendo un pasto alquanto veloce.
Era almeno il cinquantunesimo campanello che controllava, quando finalmente trovò quello giusto.
Da alcuni stralci di conversazione, Terasaka era riuscito a ricordare approssimativamente la zona in cui viveva Itona, e, una volta finito in fretta di consumare il pranzo, era uscito nuovamente di casa, imponendosi l’obiettivo di trovare l’indirizzo esatto senza chiedere il suo aiuto. Per una volta, la sua cocciutaggine lo aveva portato a qualcosa.
Si trattava di un piccolo appartamento, di quelli relativamente economici che si trovano spesso in città. Effettivamente, considerando la condizione del ragazzino, era la scelta più fattibile.
Stava per suonare il campanello quando si rese conto che la porta era semiaperta, sentendo un tuffo al cuore. Era probabile che l’avesse semplicemente lasciata così, forse non notando di non averla chiusa bene, ma per qualche motivo, quando si trattava di lui, nella mente di Terasaka si generavano tutte le opzioni più terrificanti possibili e immaginabili.
Tuttavia, cercando di tranquillizzarsi, prese un respiro, ed entrò, stavolta chiudendo bene la porta alle proprie spalle e togliendosi le scarpe per educazione – non che accedere alla casa di qualcuno senza permesso ne fosse un perfetto esempio, ma in fondo era anche un po’ per apparare.
«Itona!» chiamò, dall’ingresso. Davanti a lui si allungava per qualche metro un piccolo corridoio, con una porta che conduceva a una camera su ciascun lato e un’altra stanza in fondo – da quel che vedeva, doveva essere la stanza da pranzo, con il tavolo e il piano cucina.
Dai rumori che sentì in risposta alla sua voce, suppose che il suo amico fosse nella stanza sulla destra; al suo interno, come ebbe modo di vedere, c’erano un letto, una libreria e una scrivania, il tutto compattato nel piccolo ambiente della camera. Itona era in piedi davanti al letto; la sua espressione era sostanzialmente sempre la stessa, ma i suoi occhi tradivano sorpresa, un poco di spavento e una sorta di colpevolezza, come se avesse compiuto qualche cosa che non voleva svelare. «Terasaka? Tu che ci fai qui?»
«Dovresti fare più attenzione, avevi lasciato la porta aperta.» lo rimproverò, per poi tirare il modellino fuori dalla cartella e lanciarglielo perché lo prendesse al volo. «Lo avevi dimenticato a scuola. Pensavo che non avresti avuto nulla da fare da solo a casa.»
Itona prese tra le mani il piccolo carro armato. «Capisco. Certo che sei veramente idiota se pensi che questo unico modellino sia tutto quello che ho da fare nella mia vita. Non che non si fosse già capito.»
Terasaka fece per rispondergli per le rime, ma poi la sua attenzione fu catturata da qualcos’altro. Per afferrare il modellino, l’albino aveva dovuto alzare le mani, che finora aveva tenuto stese a nascondere il letto. Nel farlo, aveva dunque lasciato visibili…
«Sono soldatini, quelli?»
Sopra il cuscino c’era una scatola aperta, poggiata in orizzontale, da cui cadevano sulla coperta beige diversi soldatini, di quelli di plastica verde con il piedistallo e le armi in mano, realizzati in modo che si mantenessero in piedi e potessero essere posizionati a rappresentare una vera e propria battaglia. Sulla scrivania, notò poi dei modellini di carri armati, che molto probabilmente aveva costruito lo stesso Itona; alcuni erano anche diversi tra di loro, lasciando intendere che erano stati realizzati nel corso di diverso tempo. La cosa che però più colpì Terasaka era che tutto sembrava in modo abbastanza evidente preposto per giocare.
Nel comprendere ciò che l’amico aveva inteso, un intenso rossore esplose sulle guance del ragazzino, per la prima volta da quando Terasaka lo aveva conosciuto. Nervosamente, cercò di mormorare un «Io non… Non è come…», ma la sua bocca non sembrava collaborare, e, pieno di imbarazzo, si girò di spalle, stringendosi su se stesso. «Quella sera…» riuscì a biascicare alla fine, con una voce così bassa e flebile che Terasaka dovette avvicinarsi per afferrare tutte le sue parole, o almeno una buona parte. «Mio padre era riuscito a comprarli nonostante le nostre condizioni economiche disastrose. Era la sera del mio compleanno… quella subito prima che mi ritrovassi da solo in un vicolo. Non ho mai potuto giocarci da piccolo. Però… mi piacevano. Ti sembrerà patetico, un quattordicenne maturo che gioca con i soldatini.» Fece una pausa. Terasaka non riusciva a vedere il suo volto e la voce era apatica quasi come al solito, ma era abbastanza sicuro che i suoi occhi fossero semichiusi e le labbra strette, nel tentativo di restare calmo e non piangere. Tuttavia, drizzò leggermente il collo, come se si fosse pentito di essersi scoperto così. Non era da lui, del resto, non lo aveva mai fatto con nessuno dopo quella maledetta sera. «Ma un idiota come te non può capire.» aggiunse, con tono forzatamente – molto forzatamente – acido.
Invece, Terasaka aveva capito eccome, fin dall’inizio. Già lo aveva pensato la prima volta in cui ci aveva avuto a che fare come studente invece che come avversario, ma Itona era solo un bambino costretto a crescere in fretta, a cui era stata sottratta una parte della sua crescita; adesso, questa parte gli mancava, si ritrovava come a dover realizzare un dipinto senza però aver mai avuto nessuno ad insegnargli le basi e i principi dei colori; poteva tentare, dedurre da sé, osservare, ma non avrebbe mai avuto le stesse opportunità di un professionista che ha avuto un maestro, un mentore a seguirlo passo dopo passo.
Shiro nel privarlo della sua umanità, quel suo fantomatico zio (sempre se fosse esistito), i suoi genitori nell’abbandonarlo, tutti loro avevano contribuito a sottrarre a Itona un’infanzia completa, e questo Terasaka non glielo avrebbe mai perdonato. Lui purtroppo non poteva risolvere da solo questa questione – era solo un ragazzo anche lui, del resto, e, ne era consapevole, prendersi cura degli altri non era esattamente la sua specialità. Ciononostante, teneva davvero a Itona, e si era ripromesso che, perlomeno, lo avrebbe aiutato a comprendere almeno un po’ meglio le sfumature di colore da stendere sulla sua tela.
Non ci rifletté molto. Si avvicinò al letto, afferrò un paio di manciate di soldatini giocattolo e un modellino e si sedette per terra dall’altro lato della camera, posizionando poi con cura i diversi pezzi sul pavimento, sotto lo sguardo confuso e sorpreso dell’amico. «E adesso si può sapere che diamine stai facendo?» domandò, la voce apparentemente di nuovo più o meno stabile.
«Gli unici soldatini che abbia mai avuto da piccolo li ho persi quando avevo cinque anni,» si limitò ad affermare Terasaka, sempre intento nell’accurata disposizione dei piccoli fieri militari sul campo di battaglia. «ma mi divertivo a giocarci. Solo che non li ho mai più riavuti. E poi, si tratta pur sempre della simulazione di una battaglia, potrebbe tornare utile in qualche piano di assassinio.»
In realtà, era una verità solo per metà. Sì, era vero che non aveva visto uno di quegli omini verdi per anni, ma l’ultima volta era stata in quarta elementare, quando i suoi genitori glieli avevano sequestrati per punizione dopo che aveva combinato chissà quale marachella; gli avevano promesso che gli sarebbero stati restituiti dopo un mese, ma dopo di allora non ci si era mai più molto interessato, perciò li aveva buttati.
Piazzò l’ultimo soldatino, poggiandolo in piedi sul carro armato, con il fucile puntato in direzione dell’avversario, e rivolse uno sguardo all’ancora sbigottito Itona. «Beh? Non giochi? Hai la certezza che ti sconfiggerò nel giro di cinque minuti?» lo provocò con un ghigno, certo di farlo tornare in sé.
Come previsto, la schiena dell’albino si drizzò. «Non ci scommettere.» dichiarò, posizionando ordinatamente la sua parte di soldatini sul letto e sul tappeto. Il suo sguardo era tornato normale – anzi, anche se solo per un attimo, a Terasaka parve addirittura di vedere una scintilla di entusiasmo nei suoi occhi dorati.
Bastarono dieci minuti perché i due si ritrovassero coinvolti in quella battaglia in miniatura. Il ragazzo non ricordava quanto fosse divertente – o forse, non avendo mai avuto un amico al suo fianco, semplicemente non lo aveva mai saputo. Fatto sta che giocarono fino a tardo pomeriggio, perdendo completamente la cognizione del tempo. Decidere chi fosse in vantaggio era difficile, tra soldati caduti e resuscitati, altri comparsi dal nulla all’improvviso (ovvero presi direttamente dalla scatola nel bel mezzo del combattimento) e altri ancora dispersi o che “volavano” sulle teste dei camerati. Per non parlare dei cannoni che “non funzionavano”, dei giubbotti antiproiettile di cui veniva di punto in bianco svelata l’esistenza e dei pantani immaginari in cui affermare che si dovessero bloccare i carri armati nemici. Doveva ammetterlo, a Terasaka sembravano secoli che non si divertiva così.
Purtroppo, non seppero mai chi fosse il comandante più abile capace di portare il proprio esercito alla vittoria. All’improvviso, il cellulare di Terasaka squillò, spezzando la magia. Seccato, il ragazzo si alzò, pronto a rispondere di lasciarlo in pace, ma la sua espressione cambiò radicalmente quando sul display luminoso lesse, a caratteri cubitali, Mamma, sotto cui erano segnate altre dodici chiamate perse. Un pensiero gli sfiorò la mente, ed ebbe l’impressione di impallidire quando capì: l’orologio del telefono segnava le 19:00, ovvero più di quattro ore da quando era uscito di casa per portare il modellino a Itona. E lui aveva avvertito che sarebbe tornato a casa in non più di un’ora.
Per poco non gli scappò un’imprecazione. E ora?
«Cosa c’è? Tua madre?» La voce di Itona richiamò la sua attenzione. Il ragazzo si era seduto a gambe incrociate sul letto, e lo fissava interrogativo, indice del fatto che il viso di Terasaka era molto più sconvolto di quanto lui sperasse. «Perché non rispondi?»
Sospirò. Decisamente non aveva il coraggio di rispondere a telefono, soprattutto in presenza di Itona. E poi, comunque, quando fosse tornato a casa sua madre lo avrebbe sicuramente conciato per le feste in ogni caso. Perciò, si limitò a lasciare squillare il telefono, nell’attesa che la chiamata cadesse da sola. «Non importa, ci parlerò direttamente a casa.»
«Questo significa che devi andartene?»
Terasaka infilò il cellulare nella cartella e se la mise in spalla, riluttante. «Già.»
«Capisco.»
Itona accompagnò l’amico all’uscita – non rimisero a posto i soldatini, dal momento che il ragazzino disse che ci avrebbe pensato lui la sera –, aprendogli la porta quando si fu messo le scarpe.
Per la verità, Terasaka non aveva nessuna voglia di andarsene, sia per la battaglia che avevano lasciato in sospeso sia per la lavata di capo che lo aspettava a casa. Purtroppo, non c’era nulla da fare, anzi, ritardando avrebbe solo peggiorato ulteriormente la sua già non proprio rosea situazione.
Quando fu sulla soglia esterna della porta, si voltò nuovamente, a rivolgere un ultimo saluto a Itona. «Scusa il disturbo, ancora. Però è stato un bel pomeriggio.»
L’altro annuì con un appena percettibile «Mh», per poi fare qualcosa che Terasaka mai nella sua vita si sarebbe aspettato.
Il ragazzino si alzò in punta di piedi e posò le labbra su quelle di Terasaka – un bacio.
Fu forse meno di un secondo, ma bastò per mandare in tilt la mente del ragazzo, generando un miliardo di domande tutte insieme. Che Itona avesse una cotta per lui senza che se ne fosse mai accorto? E da quando? E, se fosse stato veramente così, lui cosa avrebbe fatto? Cosa provava lui? Non gli era mai capitato di riflettere sui propri sentimenti così a fondo, e, anche adesso che vi si trovava davanti a forza, non riusciva a pensare a nulla di logico.
L’albino continuò a fissarlo, con quello sguardo silenzioso ma diretto che lo caratterizzava. Gli parve anche di notare un’ombra di rosso sulle sue gote, ma su questo non avrebbe messo la mano sul fuoco. Prima che l’altro potesse chiedere qualunque cosa, il più piccolo disse, con una calma quasi disarmante: «Grazie. Mi sono divertito. Torna qualche volta. Tanto non mi sarà difficile batterti.»
Terasaka lo fissò. Sembrava perfettamente tranquillo, al contrario di lui. Si chiese come facesse, ma poi si rispose da solo: del resto, Itona era così, diretto, brutalmente onesto, tanto dannatamente semplice da risultare paradossalmente complesso.
Perciò, si limitò ad esibire un sorriso di sfida, cominciando a voltarsi. «Tornerò senz’altro, ma nella vittoria non ci sperare!»
Detto ciò, si incamminò definitivamente, mentre Itona chiudeva la porta dietro di lui.
Lungo la strada, ebbe modo di riflettere, ma decise di non fasciarsi troppo la testa per la questione del bacio – si trattava pur sempre di Itona, quando avesse voluto ne avrebbe parlato lui stesso. Piuttosto, la cosa migliore che poteva fare era elaborare qualche strategia militare per vincere contro l’amico, decisamente più abile di quanto avrebbe pensato… e preparare qualche scusa per sopravvivere all’assaggio di inferno che lo aspettava a casa.


--------------------Angolo dell'autrice
Buonasera!
Diciamo che non sono proprio nuova, perché comunque mi è capitato spesso di recensire nel fandom, ma è la prima volta che pubblico una fic, quindi per sicurezza mi presento: il mio nick è _happy_04, ma preferisco Happy. Piacere!
Duuunque... Ricapitoliamo, pubblico come prima storia una fic senza senso, su una coppia che non si calcola nessuno, e alle undici di sera.
Quando si dice "entrata in scena".
Okay no-
Il fatto è che avevo già questa roba nel computer da un po' (chiaramente vittima di infiniti cambiamenti e modifiche, come tutte le mie povere fanfic e testi in generale), e quando ho aperto la sezione di AC senza trovare nulla su questi due bambini ci sono rimasta un po' "nonloso", quindi mi sono chiesta perché non pubblicare questa. Del resto, non è un granché, ma, per qualche anima in cerca di questi due, può essere sempre meglio di niente ahahah
Eeee niente, se avevo fatto una figura relativamente decente con la fic mi sto seppellendo da sola con queste note. Bene---
Perciò, prima di combinare altri disastri, vi saluto! Au revoir~
Bacioni,
Happy.
   
 
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