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Autore: ToscaSam    30/03/2018    0 recensioni
Luglio 1940, i due squadristi fascisti Alfredo Nespi e Gioacchino Rifredi sono costretti a tornare al podere di Santa Luce, luogo che già fu teatro di infelici eventi.
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« Amore, perché non vai a badare alle pietanze? Credo che i signori non vedano l'ora di un po' di rifocillo, dopo aver viaggiato»
Disse infine Gualtiero Masi, padrone di casa.
Lui, invece, se lo ricordava bene.
« Ammirevole conclusione, amico mio»
lo incoraggiò lo sfacciato Gioacchino, che senza invito sfilò dal tavolo una sedia e vi si accomodò con gran rumore. Alfredo detestava la prepotenza immotivata del suo superiore, dunque cercò di sedersi con quanta più educazione gli riuscì. Ringraziò i due bravi mezzadri italiani che provvedevano alla loro salute.
« il duce ammira molto i buoni lavoratori come voi, signor Masi. Egli ha molto a cuore le fatiche degli italiani che rendono l'Italia produttiva e indipendente».
Il Masi gli rispose con un sorriso un po' fiacco, ma del resto quell'uomo era fiacco in tutta la sua natura. Alfredo provava commiserazione per lui. Non poteva non leggergli negli occhi la disgrazia che lo aveva colpito e di cui lui era ignaro.
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Genere: Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La serata era tranquilla: il sole stava sfumando verso un rosso contagioso, che macchiava tutto l'orizzonte circostante. I campi, silenziosi e profumati, trasudavano l'idea della fatica: serre, viti e pertiche innalzate con cura, a cui si arricciavano piante di pomodoro; file ordinate a perdita d'occhio di fagioli, zucchine, peperoni; ciuffi verdi di cipolle; alberi da frutto, carichi di faticosi figli pronti per la raccolta.
Erano giunti sin là due uomini vestiti di nero. Uno dei due, Alfredo, ammirava con poco interesse lo spettacolo agreste tutt'intorno: non era felice di rivedere il podere di Santa Luce. L'altro uomo, il suo superiore, il caposquadra Gioacchino Rifredi, pareva parimenti turbato.
C'erano stati i soliti convenevoli, sulla porta.
Alfredo si era aspettato anche quella sorpresa, che complicava ogni cosa irrimediabilmente. Che sciocca donna. E che uomo svergognato!
Ma non poteva pensare a questo, non adesso.
Tutti si stavano disponendo nella sala da pranzo.
Lorella, la giovane padrona di casa, veleggiava con gioia verso il Rifredi, per raggiungerlo e salutarlo a dovere, in quanto ospite più illustre. La sua figura era più o meno come la ricordava: certo, quel dettaglio rigonfio che spuntava dal vestito estivo, non era presente alla prima visita.
Alfredo notò come uno degli abitanti del podere, che non ricordava di aver visto lì in precedenza, la trattenne per un braccio. Sembrava che non volesse farle raggiungere Gioacchino.
Interessato dalla scena, il vice caopsquadra si voltò impercettibilmente per scrutarli:
« Mario ma che ha oggi?» lo rimbeccò Lorella con voce leggermente stridula.
Lui fu costretto a lasciarle il braccio, tanto la padroncina di casa aveva strattonato.
È strano, pensò Alfredo. Perché gli dà del lei? Non era un suo cugino, quello?
Ripensò alle presentazioni vaghe e veloci avvenute un attimo prima sulla soglia: si, avevano detto che c'era anche un cugino.
Lorella dava del tu alla cognata, Norma, anch'essa non presente alla cena di mesi prima. Alfredo ricordò di conoscere certa gente che dà del voi ai genitori, ma quella giovane Lorella gli sembrava troppo frivola per badare a queste costumanze.
Era una cosa da niente, in realtà. Alfredo non sapeva nemmeno perché ci stesse facendo caso. Forse non aveva voglia di impegnarsi in futili cortesie o sorrisi di circostanza in una casa di contadini. Non c'era niente da ridere, al momento. C'era una guerra là fuori e frotte d'uomini capaci combattevano per la Causa.
Il giovane uomo di cui Alfredo aveva già scordato il nome non aveva risposto alle accuse di Lorella, anzi si era ritirato da lei balbettando e arrossendo. Un comportamento poco mascolino e del tutto fuori luogo.
« Amore, perché non vai a badare alle pietanze? Credo che i signori non vedano l'ora di un po' di rifocillo, dopo aver viaggiato»
Disse infine Gualtiero Masi, padrone di casa.
Lui, invece, se lo ricordava bene.
« Ammirevole conclusione, amico mio»
lo incoraggiò lo sfacciato Gioacchino, che senza invito sfilò dal tavolo una sedia e vi si accomodò con gran rumore. Alfredo detestava la prepotenza immotivata del suo superiore, dunque cercò di sedersi con quanta più educazione gli riuscì. Ringraziò i due bravi mezzadri italiani che provvedevano alla loro salute.
« il duce ammira molto i buoni lavoratori come voi, signor Masi. Egli ha molto a cuore le fatiche degli italiani che rendono l'Italia produttiva e indipendente».
Il Masi gli rispose con un sorriso un po' fiacco, ma del resto quell'uomo era fiacco in tutta la sua natura. Alfredo provava commiserazione per lui. Non poteva non leggergli negli occhi la disgrazia che lo aveva colpito e di cui lui era ignaro.
Per evitare di pensare ancora a quel che aveva visto sei mesi prima, proprio in quel podere, dedicò la sua attenzione alla terza donna presente nella stanza: gli abiti ordinati e meticolosamente alla moda, l'acconciatura perfetta e la montatura di tartaruga le davano un'aria da cittadina.
C'erano però dei rammendi, sapientemente nascosti con artificio da mani di sarta, che ne tradivano l'origine umile. Doveva essere l'insegnante di campagna, la maestra Righi.
Era lei che doveva tenere ben d'occhio. Lei era la chiave di quella serata. Senza la sua soffiata, non ci sarebbe stato un ritorno a Santa Luce e lui e Gioacchino non sarebbero dovuti prestarsi a quell'imbarazzante supplizio.
La Righi era una brava attrice: non dava segno di intesa con i due fascisti e si dimostrava garbatamente a suo agio nella situazione. L'unico sintomo di nervosismo, forse, si evinceva dalla posa rigida delle gambe, incollate con eleganza ferrea l'una sull'altra.
Alfredo buttò un occhio a Gioacchino, ma se ne pentì subito: era chiaro che il suo caposquadra non aveva ancora studiato i commensali; si versava da solo il vino casereccio e tracannava senza riguardo ancor prima che la cena fosse servita.
Un altro importante ospite della serata era Osvaldo Bernardini. Il reverendo. Dalla sua sedia accanto ad Alfredo, si dimostrava discreto. Non avrebbe parlato di quell'affare di cui solo loro due sapevano; non finché l'occasione non fosse giunta. Ecco un'altra persona intelligente, pensò Alfredo.
C'erano due persone molto astute – o almeno così pareva – lì dentro: la maestra e il prete. Il prete era un suo uomo, ma la maestra andava tenuta d'occhio.
Di tutto questo, Gioacchino non si preoccupava. Beveva e si innervosiva da solo in un circolo vizioso di autodistruzione.
« Eccomi con la cena! In tempi di guerra vanno serviti prima gli ufficiali, in ordine di grado. Ha visto Gioacchino? Ha visto che ho studiato bene, per lei e il suo compagno?»
« Di “compagni”, mia cara, non ce ne sono proprio a questa tavola. O almeno, me l'auguro»
rispose Gioacchino sgarbato, senza guardarla.
Lorella cinguettò: « Non si arrampichi sugli specchi. Vedrà che un buon sorso di brodo la metterà di buon umore».
Gualtiero Masi, con triste cipiglio, guardò la sua giovane moglie che sfrecciava tutta contenta in direzione del caposquadra. La ragazza ebbe anche l'ardimento di sfiorare una spalla del militare con una grazia un po' sfacciata, malamente dissimulabile con la cortesia di un'ospite di casa.
« Ecco a lei, sergente. Assaggi e mi dica se il brodo è buono o no. L'ho fatto io con le mie mani, per lei».
Alle strette, Gioacchino dovette obbedire. Prese il cucchiaio di argento, un po' vecchio, lo intinse nel brodo e soffiò, poi portò il contenuto alle labbra.
« Si può mangiare di meglio che le brodaglie, ma va bene» concluse.
Lorella fu estasiata dal triste complimento. Alfredo avrebbe tanto voluto tirare un sospiro, ma Gioacchino l'avrebbe notato. Si contenne e tornò ad osservare la strana riunione: Gualtiero Masi, pover'uomo, sembrava onesto; un lavoratore, di quelli semplici che piacevano al duce. Sfortunato destino, quello che gli aveva fatto sposare l'infausta fanciulla, quella sciocchina di Lorella, che tanto si compiaceva nel mostrarsi al sergente. Quel pancione di madre, che stonava sul suo volto da bambina capricciosa, nascondeva un bel mistero, oltre che a un bambino.
La sorella del Masi, Norma. Giovane ancora, sebbene bruttina e con carattere schivo. Bruna, come il fratello, portava una pezzola in capo, come una vecchia. Si prosternava ad aiutare la cognata Lorella, nel servire le pietanze (non che la padroncina di casa le avesse permesso di servire il primo boccone all'ospite d'onore!).
La maestra, Nedda Righi, con le sue gambe accavallate, strettissime. Sorrideva con cortesia a tutti gli estranei. Se lo immaginava solo Alfredo quel sorrisetto soddisfatto?
Il prete, il reverendo Bernardini, con cui Alfredo aveva dei discorsi segreti da condurre. Il prete se ne stava in silenzio, gioendo del cibo che i padroni di casa gli mettevano sotto il naso.
Quel Mario, quello strano cugino, che arrossiva ogni volta che Lorella rivolgeva sguardi languidi al sergente e cercava di trarla lontana da lui. Un tipo silenzioso quanto palese, a detta di Alfredo.
Si divertiva a categorizzare tutti. O meglio, non poteva farne a meno. Non sarebbe mai riuscito a sedersi e bere vino, come Gioacchino, senza aver la più pallida idea di chi fossero quelli che gli stavano intorno e cosa potessero pensare.
Il brodo fu servito anche ad Alfredo, che assaggiò e ne constatò la buona qualità. Fu poi il turno del sacerdote, che non si perse in complimenti e si dedicò con immediatezza alla consumazione del pasto.
Alfredo sapeva che era arrivato il momento della pantomima. Probabilmente, almeno questo doveva averlo capito anche Gioacchino. Sicuramente anche la maestra lo sapeva.
Toccava a uno di loro due iniziare il discorso, l'imbarazzante finzione. Alfredo sperava che la sua inferiorità di rango servisse ad esentarlo da questo peso, ma temeva anche che l'autorità di Gioacchino gli imponesse il contrario.
Si era creata una connessione di consapevolezza fra i due. Gioacchino aveva lanciato uno sguardo rapido al sottoposto, che di rimando lo aveva fissato quasi interrogativo. “Devo parlare io?” Diceva l'occhio azzurro di Alfredo. Quello di Gioacchino rispondeva: “ dobbiamo veramente cominciare questo discorso?”. Si, dovevano, altrimenti la loro venuta al podere di Santa Luce era perfettamente inutile. Alfredo avrebbe preferito mille volte trovarsi sul treno per il fronte, piuttosto che in quel podere dimenticato da Dio nel cuore dell'agricola Toscana.
Gioacchino non si decideva. Era il sergente più ridicolo con cui un sottoposto avesse mai dovuto fare i conti. Inutile, mascalzone, prepotente e neghittoso. Un concentrato di difetti, incastonati in un corpo forte e robusto dalla faccia sprezzante ma piacente. Uno di quei delinquenti trasformati in milizia, senza motivazione che non fosse violenta, senza ideale che risiedesse nella verità profonda dell'animo, senza alcuna idea di come sia il mondo all'infuori della propria testa. Gioacchino aderiva al fascio per amor della violenza, senza alcun orgoglio più profondo.
Alfredo disgustava il podere di Santa Luce solo per colpa di Gioacchino. Sia per quello che era successo alla loro prima visita, sia perché Gioacchino non pareva così turbato come avrebbe dovuto, alla luce dei fatti.
Profondamente indignato, Alfredo si schiarì la gola, prese fiato e disse:
« Cittadini, sapete bene che siamo qui per un motivo ufficiale, nonostante vorrei dirvi che si tratta soltanto di una cena di piacere – non che il servizio non sia ottimo, per carità – ».
Gioacchino aveva già tirato un sospiro di sollievo per l'iniziativa del suo sottoposto. Era più facile per lui annuire, che parlare.
« Il mio sergente ed io siamo stati rimandati qui dalla commissione letteraria, cui la cara Lorella ha inviato le sue poesie alcuni mesi or sono. Dunque venimmo noi in gennaio, infelice occasione, in cui eravamo portatori di cattive notizie: le poesie della suddetta signora Masi venivano allora rifiutate dalla commissione letteraria fascista, in quanto poco aggraziate, poco letterate, poco coerenti e poco comprensibili. Un giudizio ...» “accurato” avrebbe voluto dire Alfredo, ma si trattenne. Continuò: « … rivalutato e totalmente cambiato. La commissione ha adesso deciso che la giovane Lorella merita l'attenzione che le spetta. Le sue poesie sono state inviate a contatti più alti che continueranno l'esame delle stesse e provvederanno alla futura e quasi certa pubblicazione» “quasi certa” era proprio una bugia. Quelle poesie non solo non sarebbero mai state lette da comitati poetici rilevanti, ma avevano la possibilità di pubblicazione pari a quella che avrebbe avuto il poema scritto da una formica.
Lorella, ad ascoltare le parole di Alfredo, si era fatta tutta rossa ed emozionata. Il volto giovanile, che emanava speranza anche solo dal colore roseo delle gote, sembrava risplendere di luce propria. Gli occhi erano come due stelle; unico elemento limpido in quel volto oscurato da una sporcizia irremovibile, di terra, sole e fatica, che l'acqua non avrebbe mai lavato.
Povera banale creatura, pensava Alfredo. Quanto è portata a credere nelle frottole; forse non sperava in altro: frottole, favole. Voleva sentirsi dire quello e nient'altro. Le bastava che qualcuno le dicesse che le sue poesie forse sarebbero state pubblicate, per pensarle già in vendita in libreria. Magari già stava pensando al vestito da indossare alle conferenze che avrebbe tenuto.
Alfredo provava profondo rammarico nel mentire a una donna giovane, che stava per donare un figlio all'Italia, che ne avrebbe – forse – donati altri e avrebbe eseguito il proprio ruolo di madre ed educatrice.
La maestra, la scopritrice del “talento poetico” di Lorella, non sembrava esultante nemmeno un po'. Sembrava solo furba, compiaciuta. Lei sapeva che la storia delle poesie rivalutate era tutta una farsa, perché era lei la mandante di tutto. Una donna molto interessante …
Nessuno sembrava molto convinto del discorso di Alfredo: non certo Gualtiero, il marito di Lorella. Sembrava addolorato. Non il cugino Mario, dubbioso e guardingo. Non Norma, la sorella apatica, che si era risvegliata dall'espressione di torpore per manifestare incredulità.
Solo Lorella ci credeva davvero.
Se quella serata non finiva presto, Alfredo rischiava di diventarci matto.
Guardò il fumo vorticante del brodo, per evitare lo sguardo di Lorella, così felice e commosso da risultare fuori luogo.
  
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