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Autore: Nereisi    30/03/2018    4 recensioni
A Punk Hazard gli Strawhats si scontrano con le abominevoli realtà del Nuovo Mondo: innocenti vittime della crudeltà di persone potenti, traffici di Frutti del Diavolo, esperimenti umani. Nonostante la loro vittoria, vengono a conoscenza di una terribile verità: non sono riusciti a salvare tutti i bambini. Decisi a porre fine ai rapimenti, gli Strawhats si imbarcano in un viaggio che li porterà alla ricerca di un nemico nascosto in piena vista.
La chiave per la soluzione di questo mistero sembra essere una ragazza che avrebbe preferito di gran lunga rimanere nell'ombra, capitata nel posto giusto al momento sbagliato.
Tra nuove isole, combattimenti contro il più insospettabile degli avversari, aiuti inaspettati e fin troppi Coup De Burst la ciurma di Cappello di Paglia verrà coinvolta in un viaggio che potrebbe scuotere - e forse distruggere - le fondamenta del mondo e dell'ordine che lo governa.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Mugiwara, Nami, Nuovo personaggio, Sorpresa | Coppie: Franky/Nico Robin, Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Footprints'
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Note autrice: *inhales* FACCIO SCHIFO CON LE INTRODUZIONI QUINDI GRAZIE PER AVER APERTO LA FIC NONOSTANTE QUELL’ABORTO.
Allora. Chi mi segue su Tumblr sa di questa storia già da un po’. Postando il capitolo finale di PDF parlavo di un mio grande progetto. Ed è questo.
Avevo fatto una promessa alla mia beta: non avrei iniziato a postare se non dopo aver scritto 10 capitoli. Questo per evitare che finisse come Ringil, senza capitoli pronti, aspettando per mesi un aggiornamento. Sto aggirando per metà quella promessa: la trama è già scritta dall’inizio alla fine e sto scrivendo il quarto capitolo; ma posto ugualmente il primo. Voglio vedere come viene accolto e spero che si crei già una base di lettori. Tengo davvero troppo a questo progetto per vederlo non cagato da nessuno quando inizierò a postarlo regolarmente. Per questo motivo, oggi posterò il primo capitolo. Poi tornerò a tenere fede alla promessa: i restanti capitoli cominceranno ad uscire una volta pronto il 10, in modo da non avere hiatus di ere geologiche tra un capitolo e l’altro.
Questa fanfiction è stata in gestazione per anni. Ci ho lavorato come una dannata, pensando ad ogni minimo particolare per renderla più “verosimile” possibile. È ambientata tra la fine di Punk Hazard e Dressrosa; mi sono presa un paio di libertà artistiche per allungare il tempo che intercorre tra le due isole/saghe in canon. Ci saranno delle coppie, ma la fic di per sé non è “ship-centric”; per questo non ho messo nessuna ship negli avvertimenti.
Scusate l’eccessiva serietà – che non è per niente da me – ma come ho scritto sopra tengo davvero troppo a questa fic. Ed è da davvero troppo tempo che non vedo una gioia sul mio profilo personale. L’attività di traduzione sta andando a gonfie vele e per questo vi ringrazio molto, ma vorrei veder apprezzato anche un lavoro creato da me dall’inizio alla fine. Ho un paio di complessi di inferiorità da combattere. :))))
Senza ulteriori indugi, vi lascio al primo capitolo di Barefoot. Spero vogliate compiere questo primo passo insieme a me! <3
 



 
Barefoot 
- The fist step -
 


 
“Allontana quei cosi dalla mia faccia.” Sibilò pericolosamente Law. “Te lo dico per l’ultima volta Mugiwara-ya: forze che nemmeno immagini stanno per convergere qui da un momento all’altro. Non possiamo farci cogliere impreparati o verremo spazzati via, lo vuoi capire?!”
Luffy si strinse al petto i bastoncini che aveva così generosamente offerto a Law, simili a quelli che aveva lui stesso infilati nel naso e nel labbro inferiore. La supernova si esibì in un broncio, seguito da un’espressione di superiorità che fu resa incredibilmente grottesca a causa dei suddetti bastoncini. Lo Shichibukai storse il naso e appoggiò la mano all’elsa di Kikoku, nell’eventualità in cui gli fosse venuto in mente di insistere. “Aw Torao, non metterti a fare la ramanzina a tutti quanti solo perché tu non sai divertirti.”

Law sentì distintamente un paio di vene chiudersi da qualche parte nel suo corpo. “Neanche voi dovreste divertirvi al momento!” Ci volle tutta la sua forza di volontà per non suonare come una casalinga frustrata. “Te l’ho già spiegato: ora che abbiamo interferito con Punk Hazard e la fabbrica degli SMILE, Doflamingo non starà fermo. Venire qui sarà la prima cosa che farà, probabilmente si sta dirigendo qui in questo preciso momento!”
Luffy sembrò non ascoltarlo – che novità – e passò i bastoncini ad uno dei bambini che avevano salvato, sorridendogli e mostrandogli come usarli. Un capitano, per l’amor del cielo! Quell’uomo era il capitano di una nave, aveva il suo stesso rango!
Il bambino corse via ridendo e Luffy si girò di nuovo verso Law, sparandogli un sorriso a trentadue denti. “È per questo che ho detto a tutti di sbrigarsi! Oh!” Esclamò improvvisamente, battendosi un pugno sulla mano. Monkey D. Luffy sembrava essere stato colto da un’idea e Law non era certo di volerla sentire. “Visto che siamo alleati e ti ho aiutato a catturare il pagliaccio gassoso, ora in cambio voglio che tu venga a festeggiare con noi.” Ecco, appunto.

Law si chiese se per caso tutte le vene gli si fossero chiuse. Si sentiva stordito, come se non avesse abbastanza afflusso di sangue al cervello. Si passò una mano sulla faccia, sospirando e cercando di raggruppare tutta la pazienza che gli rimaneva. Inutile dire che era molto poca. “Mugiwara-ya.” Iniziò “La nostra era un’alleanza TEMPORANEA. Significa che una volta portato a termine l’obiettivo, ognuno va per la propria strada. La missione è conclusa, io ho Caesar e voi avete rimesso insieme il samurai e salvato i bambini. Non puoi più chiedermi di fare cose in nome di quell’alleanza perché quell’alleanza è sciolta! Ti è chiaro adesso?”

Il suo interlocutore sembrava essere estremamente deluso. E irritato. “Aveva ragione Robin,” Mugugnò incrociando le braccia. “Le alleanze tra pirati sono davvero condite dal tradimento.”
“Caratterizzate.” Lo corresse Law. “…Aspetta un attimo!” Esclamò indignato. “Io non ti ho tradito!”
“E come lo definisci non partecipare al banchetto?!” Gli berciò dietro il ragazzo, come se la sola idea di rifiutare del cibo fosse un reato mortale.

Law aprì e chiuse la bocca più volte, incapace di trovare una risposta logica ad una domanda illogica. O almeno, illogica secondo lui. “Io… Io lo dicevo per voi… Doflamingo-“ “HA?!” Lo interruppe la supernova, arrivandogli quasi naso a naso per l’impeto. Law lo guardò, smarrito. Sembrava che qualsiasi cosa gli rispondesse, niente avrebbe potuto giustificarlo, nemmeno l’imminente attacco del più crudele membro della Flotta dei Sette. Anzi, era possibile che Luffy si mangiasse pure lui vista la fame che aveva. “… Fate come volete.” Sospirò, sconfitto. Rilassò le spalle e il collo- a momenti pure le sue cervicali avevano le cervicali. Aveva decisamente bisogno di un massaggio. “Anzi, sai cosa? Portami un piatto di quella zuppa.” Ignorò il ghigno vittorioso e si avviò verso l’unica persona apparentemente sana di mente in quella baia.

Smoker lo accolse con uno sguardo a metà tra il pietoso e il comprensivo, occhieggiandolo da sopra il proprio piatto di zuppa senza dire nulla. Law si sedette ad una discreta distanza dal viceammiraglio, stringendosi Kikoku al fianco come se fosse il suo unico sostegno psicologico.
Rimasero entrambi in silenzio per un po’, assaporando la piccola bolla di tranquillità – e normalità – che si era venuta a creare a qualche metro di distanza dal banchetto a cielo aperto.
Dopo un paio di minuti Black Leg, il cuoco degli Straw Hats, si avvicinò porgendogli un piatto fumante. Law lo accettò con un breve cenno del capo. “Non te la prendere.” Law alzò la testa e incontrò lo sguardo comprensivo del biondo. “È fatto così. Non ti preoccupare, siamo abituati alla toccata e fuga.” Law sentì Smoker grugnire con il cucchiaio ancora in bocca.

“Sarebbe meglio sbrigarsi in ogni caso.” Insistette. “Direi che un piatto sia sufficiente prima di p-“
“Oh no, non ci provare.” L’unico occhio visibile del cuoco si era assottigliato notevolmente. “Questa è una delle poche cose su cui do ragione a quella testa vuota. Dopo uno scontro del genere è essenziale tornare in forze e nutrirsi decentemente, specialmente nel tuo caso.” Law gli rivolse uno sguardo confuso. “Ho sentito che il tuo potere ti prosciuga le forze. Quindi: mangia. Non voglio sentire altre lamentele.” Detto ciò, il biondo si girò verso Smoker, indicando il suo piatto vuoto. “Dammi qua. Grande e grosso come sei sicuramente non te ne basta uno.” Il marine lo squadrò in silenzio prima di allungargli l’oggetto con uno sbuffo.

Sanji rivolse un ultimo sguardo a Law. “Appena ha finito di controllare i bambini e i feriti più gravi ti mando Chopper. Non sei messo malissimo ma un controllo prima di ripartire non è mai una cattiva idea.”
Il Chirurgo della Morte sbatté più volte gli occhi. “Veramente io sono un dot-“
“USOPP! ALLONTANATI DALLE MIE SPEZIE O È  LA VOLTA BUONA CHE TI PROCURO UN NASO NORMALE!” Ululò BlackLeg marciando verso il proprio compagno, beccato a ficcare il naso (letteralmente) tra gli ingredienti lasciati incustoditi vicino al pentolone.
“Oh Sanji, dai! Per favore, solo un po’! Fammele studiare, chissà in che tipo di proiettile potrei trasformarle… No! Stavo scherzando, no, i coltelli no! Zorooo!” Gridò il cecchino, cercando asilo dietro il compagno. Scelta che poi comportò lo scaturire di un duello tra il cuoco e lo spadaccino, tra i cori esultanti dei membri del G-5.

Law, nuovamente solo con il suo trauma, lasciò aderire la schiena alla parete e cercò di raccogliere i propri pensieri. Prese fra le mani la ciotola, ricercando il calore del suo contenuto. Nonostante il cappotto, faceva un freddo dannato. Era in momenti come questo che la mancanza della sua ciurma si acuiva. Gli mancavano, quelle canaglie. Erano imbecilli ma almeno erano i suoi imbecilli. Ci era abituato, li poteva gestire. La ciurma di Cappello di Paglia invece…

Law sentì un brivido scendergli lungo la schiena. Si accoccolò un po’ meglio sul posto, immaginandosi Bepo di fianco a lui. Bepo e la sua pelliccia calda e folta. Forse aveva sbagliato a non portare almeno il suo vice?
Lo Shicibukai strinse la bocca. No. Era un problema era cominciato e doveva finire con lui. Quello in cui si stava cacciando era troppo pericoloso, non contava di uscirne vivo. Non avrebbe sopportato se per questa causa fosse morto qualcuno della sua ciurma.

“Non è come ce lo si aspetta, vero?” Law si riscosse dai suoi pensieri. Girò la testa verso Smoker, che si era acceso due sigari non appena gli era stato portato via il piatto. Il viceammiraglio esalò una boccata densa di fumo. “Cappello di Paglia.” Chiarì. “Sai, stavo per chiederti che intenzioni avevi con lui, visto che hai uno spiccato talento per la manipolazione. Ma credo che non ce ne sia più bisogno.” Ghignò.
Law gli indirizzò un’occhiata irritata. “Che vuoi dire?”

Smoker incrociò le braccia. “Un pirata è sempre un pirata.” Law alzò gli occhi al cielo. “Ma persino tra la feccia c’è distinzione. Sono più di due anni che lo inseguo e ho capito una cosa di quell’idiota: è totalmente impossibile da controllare. Pensi che si comporterà in un modo e invece fa tutt’altro. Persino i suoi compagni fanno fatica a contenerlo. Le uniche volte in cui si comporta da pirata sono quelle in cui scappa dalla Marina. Sto cominciando a pensare che lo veda come un dannato gioco.” Tirò una boccata dai sigari. “Per questo non vuoi più allearti con lui. È una variabile troppo imprevedibile, e l’imprevedibilità è pericolosa.”

Law si girò di nuovo, puntando lo sguardo verso il fuoco. Smoker non poteva saperlo, ma aveva molto più che ragione. La sua missione era troppo importante, troppo delicata e pericolosa e soprattutto incerta già di suo, senza bisogno di aggiungerci individui gommosi senza il benché minimo buon senso. “Sembri avere una buona opinione di lui, stranamente.” Lo guardò con la coda dell’occhio. “Perché continui ad inseguirlo allora?”

“Questione di principio.” Rispose immediatamente l’uomo. Corrucciò lo sguardo. “Perché è un pirata. Perché sono un marine. E perché non lo sopporto.” Concluse. “Mi fa venire il mal di testa pensare a quali altri disastri potrebbe causare se lasciato a piede libero.”
“Ha” rise Law, sarcastico. “Mi trovi d’accordo su questo punto.” Entrambi volsero lo sguardo verso il banchetto, dove l’oggetto dei loro discorsi si stava azzuffando con alcuni membri del G-5 per della carne. Law rabbrividì di nuovo, e ringraziò la sua previdenza che gli aveva fatto stipulare un’alleanza temporanea e non a lungo termine.
Sogghignò. “Più di due anni? E ancora non sei riuscito a prenderlo, White Chase-ya?”
Il viceammiraglio strinse il proprio jitte. “Taci, pirata.”
 
 
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Tashigi si fermò sui suoi passi e si sporse dal corrimano della nave, la sua attenzione attirata dalle voci che si levavano da qualche metro più in là. Si appoggiò con i gomiti alla balaustra e guardò con tenerezza la scena che si stava svolgendo poco più sotto. I bambini che avevano salvato dai laboratori di Caesar erano finalmente salvi e ridevano spensierati davanti agli assurdi siparietti offerti dai membri della ciurma di Cappello di Paglia e da alcuni del G-5. Sembravano aver dimenticato che fino a poche ore prima erano ignare cavie di terribili esperimenti umani. Tutto quello a cui pensavano ora era divertirsi con i loro nuovi amici e tornare a casa dai loro genitori. Un sorriso le tirò le labbra quando il cecchino degli StrawHats fece esplodere in risate sguaiate i presenti premendo il naso del suo compagno cyborg donandogli una capigliatura a dir poco stravagante.
La donna tornò seria, tirandosi di nuovo in piedi. C’era un motivo se si trovava a bordo della nave militare mentre tutti festeggiavano e si ingozzavano, dopotutto.

Entrò all’interno della nave, percorrendo un corridoio e arrivando alla porta della propria cabinapersonale. Una volta all’interno si richiuse la porta alle spalle e si diresse verso la propria scrivania. Appoggiò Shigure contro la piccola libreria posta di fianco alla scrivania e si sedette, sbottonandosi il colletto. Tashigi chiuse gli occhi e rilassò la schiena e il collo, lasciando ciondolare leggermente la testa all’indietro e respirando a fondo. Aveva bisogno di un momento per fare mente locale.

Quando erano sbarcati su quella losca isola si erano aspettati che qualcosa sarebbe - molto probabilmente -  andato storto, ma non avevano previsto tali livelli di pericolosità. C’erano stati momenti in cui aveva creduto che non sarebbero riusciti ad uscirne vivi, a tornare alla nave.

Per non parlare di tutte le cose che avevano scoperto. Era come sollevare un vecchio tappeto e scoprire che sotto di esso avevano germinato le più disparate e disgustose specie di scarafaggi e insetti. Un’isola che, sotto al naso della Marina, aveva coltivato le più oscure oscenità concepibili alla mente umana: sperimentazioni mortali su bambini, scienziati pazzi, una produzione di massa di frutti del diavolo controllata da uno Shichibukai e usufruita da uno Yonko. Avevano scoperchiato il peggiore vaso di Pandora che si potesse immaginare.
Tashigi si rimise dritta, sospirando e massaggiandosi la radice del naso.
Non lo avevano solo scoperchiato, lo avevano anche distrutto. Non poteva fare a meno di pensare che si fossero immischiati in qualcosa di molto più grande di loro e questo, specialmente dopo gli eventi di quella giornata, la riempiva di… preoccupazione.
Tashigi aprì gli occhi, fissando il muro con un’espressione corrucciata. Era inutile negarlo. Si tolse gli occhiali e li pulì con movimenti secchi che lasciavano trapelare la sua frustrazione. Era un capitano della Marina, doveva affrontare la situazione con maturità.

Paura. Era quella l’emozione che le ghiacciava il sangue quando pensava alla sua patetica prestazione. La verità era che non si sentiva lontanamente all’altezza del suo ruolo di braccio destro di Smoker. Erano passati due anni da quando aveva giurato di diventare più forte, ma… Tashigi strinse i denti.

Contro Law non aveva avuto la benché minima chance. E aggiungendo alla sconfitta anche la beffa, aveva ricevuto uno smacco umiliante da parte della supernova. Era stata salvata da Ronoroa Zoro, che aveva sconfitto in un solo colpo l’avversario che lei era riuscita a malapena a ferire. Era stata salvata dai suoi sottoposti. Si erano sacrificati per lei, dando in cambio la vita, quando dovrebbe essere il superiore che guida e protegge i suoi subordinati! Anche in quell’occasione era stata aiutata da un pirata, Black Leg Sanji. Se non ci fosse stato lui a salvare la situazione, Tashigi non osava immaginare quanto sarebbe salito il conteggio delle vittime. Certo, avevano scoperto che il gas non era veramente mortale e avevano già inviato delle squadre a recuperare i membri del G-5 rimasti indietro… Ma se invece fosse stato mortale come aveva millantato Caesar? Quanti sottoposti sarebbero morti per salvare lei? Quanti di più se Black Leg non fosse stato lì?

Tashigi strinse i pugni. Non era abbastanza forte. Sicuramente non lo era per gli standard del Nuovo Mondo. Occhieggiò la sua preziosa spada – che aveva quasi rischiato di perdere, quel giorno – e scosse la testa. Inutile torturarsi per quello che ormai era già accaduto. Doveva farsi forza e pensare alla sua prossima mossa.
Il che la riportò al motivo per il quale era tornata nella sua cabina durante il banchetto.

Aprì uno dei cassetti a destra della scrivania e ne prese una cartella gonfia di documenti. Fece spazio sulla scrivania e la aprì sfogliandone il contenuto. C’era una vocina nel retro della sua testa, come una strana sensazione che non voleva andare via. Qualcosa non andava e doveva scoprire cosa altrimenti non sarebbe riuscita a pensare ad altro per il resto della settimana.
Continuò a passare in rassegna i numerosi fogli senza nemmeno sapere con precisione cosa stesse cercando, chinandosi sempre di più sulla scrivania.
Poi, qualcosa attirò la sua attenzione. Aggrottò le sopracciglia, studiando meglio il documento che aveva tra le mani. Sbatté gli occhi, colta da un’improvvisa intuizione. Impilò di nuovo i fogli come erano all’inizio, allungò un braccio e prese una penna. Si mise a controllare daccapo il contenuto della cartella, segnando alcuni fogli e lasciandone altri intonsi. Infine, separò i primi dai secondi.
Tashigi mise di nuovo la penna sul tavolo con un’espressione amara. Si appoggiò sullo schienale della sedia e, proprio in quel momento, l’ennesima risata fragorosa dei bambini le giunse alle orecchie.
Tashigi si morse il labbro, strinse i pugni e ne sbatté uno sulla scrivania.
Non era riuscita a completare nemmeno una delle missioni che si era prefissa.
Nemmeno una.
 
 
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“Va bene, lasciatelo pure qui. Grazie per l’aiuto ragazzi!”
La nerboruta coppia di marine replicò con un grugnito affermativo e scaricarono il loro carico senza la minima cura. “State attenti, dannazione! Se mi ferirete ancora Joker lo saprà!” Non che a qualcuno interessasse il benestare del suddetto carico.

Chopper si chiese per l’ennesima volta se ci fosse un modo per aggirare il suo giuramento come dottore e la sua morale. Voleva curare il ferito, ma voleva procurare ulteriore dolore alla persona. Il che la diceva lunga, visto che Tony Tony Chopper era una delle creature meno violente di natura che esistessero al mondo. La piccola renna osservò con occhi tristi come i bambini intorno a loro smisero immediatamente di ridere, stringendosi gli uni agli altri. Il dottore si trasformò nella sua forma umana per spingere in malo modo Caesar più vicino al fuoco, ignorando il suo berciare indignato. Non avrebbe avuto senso trattare le sue ferite se poi avesse preso un gelone. La piccola renna sentiva di tradire i bambini, in qualche modo, dando cure mediche alla persona che li aveva rapiti dalle loro case e usati come cavie da laboratorio; il carceriere che non aveva pensato due volte prima di condannarli a morte. Tornò nella sua forma base, rovistando nella cassetta del pronto soccorso col muso corrucciato.

“Beh, è proprio un peccato che lui non sia qui ora.” Sputò Nami, velenosa. La navigatrice faticava a trattenersi dal rendere letterale il gesto, il disgusto e la rabbia evidenti nella sua espressione e nella sua postura. “Verme. Non sai fare assolutamente nulla da solo e ti nascondi dietro a persone più forti di te per fare del male a innocenti, a bambini!” Dietro di lei, Mocha le prese timidamente una mano per tentare di calmarla. Nami sembrò rilassarsi leggermente, ma non si poteva dire lo stesso delle sue parole. “Sei il tipo di persona di cui questo mondo ha meno bisogno, feccia.”

“Ehi ragazzina, a chi credi di poter fare la ramanzina?” Sbraitò Caesar Clown, dimenandosi contro le catene e le manette di agalmatolite. “Io sono un geniale scienziato, tu una miserabile pirata! Gente del tuo calibro ha sempre portato odio e miseria ovunque andassero, anche il tuo gruppetto non sarà di certo differente. E fai piano, dannazione!” Si lamentò quando Chopper gli applicò una pomata sul viso, volutamente con più forza del necessario.

Gli occhi della navigatrice erano puro gelo. “Se Luffy fosse quel tipo di persona l’avrei ucciso con le mie mani molto tempo fa. Sicuramente nessuno di noi lo avrebbe mai seguito.”

“Ha!” Esclamò Caesar, sbeffeggiandola. “Folle ignorante, che puoi saperne tu?” Ignorò l’occhiata assassina della ragazza “Siete appena arrivati nel Nuovo Mondo, non avete idea di quello che si annida in questi mari. Siete andati a disturbare l’alveare sbagliato e ve ne pentirete!” Berciò. Rivolse lo sguardo verso i bambini lì presenti, nascosti per come potevano dietro alla navigatrice. Ghignò. “Quei mocciosi dovrebbero essermi riconoscenti, invece! Non gli ho fatto mai mancare niente quando erano qui. Accade molto di peggio nel Nuovo Mondo che mangiare qualche innocua caramella, bambini.” Disse, enfatizzando l’ultima parola e tornando per un momento nel ruolo di ‘Master’.
Nami scattò, furiosa, afferrando l’asta del suo Clima Tact e piantandola nella gola dello scienziato, facendogli pressione sulla trachea e permettendogli appena di respirare. Caesar emise un verso strozzato, seguito da altri patetici lamenti e tentativi di scacciare l’arma da sé. Chopper non batté ciglio e semplicemente fece finta di niente, aprendo di nuovo la borsa di fianco a lui per riporre la pomata e prendere pinzette e cotone. “Che stai dicendo?” Sibilò Nami. “Che significa?”

Ma Caesar non rispose, troppo preoccupato a cercare di spostare il bastone dalla propria gola. Tentativi inutili dato il suo stato indebolito e la rabbia della sua avversaria. La ragazza strinse ulteriormente la presa sul Clima Tact, ferendosi leggermente il palmo con le unghie. “Rispondi, brutto-“
“Per quanto mi riempia di gioia vedere quell’essere calpestato, Nami-ya, ti chiedo di trattenerti. Caesar Clown è mio prigioniero e mi serve tutto intero.”

La navigatrice assottigliò gli occhi, lanciando un’ultima occhiata di disprezzo alla sua vittima prima di girarsi a guardare il suo nuovo interlocutore. “Law.” Lo squadrò da capo a piedi. Con la coda dell’occhio vide Smoker guardare la scena in silenzio. “Hai mangiato qualcosa?”

Lo Shicibukai apparve spiazzato per un secondo, prima di riprendersi e rispondere con un cenno del capo. “BlackLeg-ya ha già provveduto.”
“Mh.” Nami tornò a lanciare sguardi truci allo scienziato ai suoi piedi, come a sfidarlo di dire qualcos’altro. L’uomo si limitò a frignare a mezza voce e a occhieggiare con malcelata paura il Clima Tact nelle mani di lei, senza dire nulla. “A proposito, non ci hai detto cosa vuoi fare con lui. So che è un ostaggio e so che ti serve contro Doflamingo. Qual è il tuo piano?”

Law rimase in silenzio per qualche momento. “È meglio per voi che non lo sappiate.” Rispose infine.
“Faccende più brutte rispetto a quelle successe qui?” Law annuì. “Ugh. Allora no, grazie. Non lo voglio sapere.” Alzò il braccio per controllare il Log Pose. “Puoi almeno dirmi in che direzione andrai? Se è così pericoloso non voglio averci niente a che fare.”
Il moro tacque, ponderando le varie opzioni. “Dressrosa.” Mormorò, abbassando la voce.
“Afferrato. Grazie per la dritta, mi impegnerò affinché il mio capitano non lo sappia.” Disse allegra la navigatrice, salutandolo. Law la guardò allontanarsi in silenzio.

“Law-dono!” Una mano callosa calò improvvisamente sulla spalla dell’interpellato. Law si girò. Kin’emon, il samurai che aveva affettato qualche ora prima lo guardava con evidente apprensione. “Law-dono, ho sentito bene? La vostra prossima meta è Dress-“
“Abbassa la voce.” Ringhiò Law, riducendo drasticamente la distanza che lo separava dal samurai. Si guardò intorno con circospezione. Nessuno sembrava aver notato il loro scambio, per fortuna.

“Law-dono!” Ripeté con urgenza il samurai. Law lo guardò spazientito. “Hai sentito male. La mia prossima meta è Green Bit.”
“Queste orecchie non possono essersi sbagliate! Voi avete senza ombra di dubbio detto Dress-“ Law si affrettò a schiaffargli una mano sulla bocca. Quel dannato samurai era troppo rumoroso. Perché gli domandava una cosa se sapeva già la risposta? Il chirurgo sentì l’irritazione salire. Incrociò lo sguardo del suo interlocutore con cautela (e giusto una puntina di aggressività). “Se anche fosse? Perché ti interessa?”
Il viso di Kin’emon si accese in un misto di attenzione e speranza. “Law-dono, da questa parte!” Gli sussurrò con tono risoluto, incamminandosi verso il fuoco. “Affrettatevi!” Aggiunse, quando vide che il ragazzo non lo aveva seguito.

Law strinse l’elsa di Kikoku. Non gli piaceva per niente come si era sviluppata la situazione. La sua meta sarebbe dovuta restare un segreto, invece ben due persone ne erano venute a conoscenza.
“Momonosuke! Law-dono è diretto al luogo dov’è Kanjuro!” Tre persone.

Momonosuke – che altri non era se non il bambino che aveva mangiato lo Zoan-Drago – distolse la sua attenzione dagli assurdi siparietti di Luffy e Usopp e posò lo sguardo su di loro, gli occhi spalancati e la bocca aperta. Law non sapeva chi fosse quel ‘Kanjuro’, né cosa gli fosse successo; ma a quanto pare per il ragazzino doveva significare qualcosa di ben preciso visto come aveva reagito. Momonosuke tirò giù fino ai polsi le maniche che prima aveva arrotolato per mangiare più comodamente e si rivolse al padre, annuendo deciso. Kin’emon annuì in risposta e si girò nuovamente verso Law. “Law-dono, credo che dovremmo parlare in privato.”
Il Chirurgo della Morte rimase in silenzio, ma il samurai colse l’implicito assenso.

Tutti e tre si spostarono dietro ad una roccia ghiacciata in un luogo appartato della baia, vicino abbastanza da poter sentire ancora i rumori della festa ma abbastanza lontano per non essere sentiti da nessuno. Law occhieggiò i due abitanti del regno di Wano ora in piedi di fronte a lui. “Parlate.”
“Quest’uomo deve premettere che non può raccontare tutta la sua storia, Law-dono.”

Law assottigliò gli occhi. L’uomo, inconsapevole, continuò. “Momonosuke è giunto qui per errore.” Disse. Law inarcò un sopracciglio. Il ragazzino giochicchiò con la manica del suo kimono e guardò a terra, imbarazzato. Kin’emon immediatamente continuò: “Ovviamente nemmeno quei bambini innocenti non dovrebbero essere qui… Ma Momonosuke… Mh. Ritengo sia meglio partire dall’inizio anche se, come vi avevo anticipato, non posso raccontare tutta la nostra storia. Per evitare di perderci in parole inutili parlerò chiaramente: io e Momonosuke eravamo in viaggio con un nostro caro amico, Kanjuro, ma la malasorte ci ha colpiti e abbiamo naufragato in un luogo di nome Dressrosa.” Law sbatté gli occhi ed incrociò le braccia, decisamente interessato. Kin’emon strinse i pugni. “Purtroppo siamo capitati nel luogo sbagliato al momento meno opportuno. Abbiamo assistito a qualcosa di molto disturbante: degli uomini hanno ucciso a sangue freddo un loro compagno perché incapace di portare a compimento una missione che richiedeva la morte di qualcuno.” Kin’emon fece una pausa, guardandolo negli occhi. “Quegli uomini si sono rivelati essere i sottoposti di Don Quixote Doflamingo. So che è un tuo nemico.”
Law sbiancò. Strinse ancora di più Kikoku e se la spinse contro la spalla al punto di farsi male, nel tentativo di restare lucido e impassibile. “Sì.” Rispose semplicemente.

Kin’emon fece un cenno col capo prima di continuare. “Come ho anticipato poco fa, abbiamo avuto uno spiacevole imprevisto. Siamo stati visti e, per questo motivo, costretti a scappare. Momonosuke ha trovato rifugio a bordo di una nave ancorata al porto mentre io e Kanjuro tentavamo di avere la meglio sui nostri inseguitori. Ma poi…” Il samurai abbassò lo sguardo. “Poi la nave ha preso il largo. Non potevamo inseguirla entrambi con dei nemici alle nostre calcagna, quindi Kanjuro si è sacrificato per permettere a me di seminarli e tallonare la nave.”
Law alternò lo sguardo tra il bambino e il samurai. “Quindi mi state dicendo che volete un passaggio fino a Dressrosa?”
L’altro uomo si agitò, l’imbarazzo evidente dal rossore delle guance.

“Sì, per favore.” Rispose una voce limpida. Entrambi gli uomini si girarono verso Momonosuke. Il bambino guardò Law con determinazione, poi spostò lo sguardo verso il padre. “Padre, riunirci con Kanjuro è la nostra priorità. Non possiamo permettere all’orgoglio di impedirci quando la meta è così importante!”

Kin’emon sembrò attraversato da un fulmine. Crollò in ginocchio di fianco al figlio, prendendolo per le spalle con gli occhi lucidi. “Hai ragione. Perdonami.” Sempre in ginocchio, si girò verso Law, poi poggiò a terra anche le mani e abbassò la testa. “Law-dono. Vi prego di portarci assieme a voi a Dressrosa. Ci impegneremo per non esservi di intralcio.”
Momonosuke si unì al padre nella prostrazione anche se, per qualche motivo, quando lo fece il padre lo guardò con sbigottimento e orrore. “Ti prego, Law-dono.”

“Non c’è bisogno di pregare.” Padre e figlio alzarono la testa di scatto, guardandolo con occhi sgranati. Law picchiettò l’unghia dell’indice sul fodero della sua spalla. Fece un cenno con la testa e i due si affrettarono a rimettersi in piedi, spazzandosi via la neve dai vestiti. Law occhieggiò le due spalle all’anca di Kin’emon. “Ho visto cosa sei in grado di fare con quelle spade. Ho sentito che ti chiamano Kin’emon del Fuoco Volpesco.”
Il samurai gonfiò il petto, sentendo riconosciuta la propria abilità. “Nulla di più corretto! Sono uno dei samurai più abili del mio paese e non esiste fuoco che io non possa tagliare!”
“Mh.” Law si girò, lo sguardo rivolto verso il mare. “… Come avete visto, ho un prigioniero con me. Un prigioniero che dovrò difendere da chi vorrà riprenderselo.” Gli lanciò un’occhiata significativa. “Tre spade sono meglio di una.”
Due sorriso identici si dipinsero sui visi dei suoi interlocutori. “Avete la mia gratitudine, Law-dono!” Esclamò il samurai.
“A-A-Anche la mia!” Balbettò Momonosuke, stringendosi nei vestiti.

Lo Shicibukai sospirò. “Tornate vicino al fuoco. Se vi ammalate ora, mi sarete davvero d’intralcio.”
Kin’emon sorrise. “Sono d’accordo. Momonosuke, coraggio.” Disse, accompagnando il bambino verso il cuore della festa.
Law li guardò allontanarsi.

Che incredibile coincidenza, pensò. Aveva pianificato di procedere verso Dressrosa da solo con estrema cautela e lentezza e, sebbene non avrebbe sicuramente diminuito la prima, ora aveva una scusa per ridimensionare la seconda. Certo, un bambino a bordo non era la cosa più auspicabile mentre si fuggiva dagli scagnozzi di un broker potentissimo tenendo in ostaggio uno dei suoi sottoposti più utili, ma a controbilanciare c’era la notevole abilità in combattimento di Kin’emon, un autentico samurai del rinomato paese di Wano. Che un po’ della famosa fortuna sfacciata di Mugiwara-ya mi si sia attaccata? Beh, se anche non fosse così non sprecherò quest’occasione.
Law rimase per qualche minuto a fissare il mare, poi si incamminò anche lui di nuovo verso il fuoco. Visto che c’era, avrebbe approfittato del cibo procurato da BlackLeg-ya.
Quella zuppa era davvero ottima.


 
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“La Marina vuole prendere in custodia i bambini?!” Esclamò esterrefatta Nami.
Gli occhi della navigatrice, pieni di sgomento, erano incollati alla donna inchinata di fronte a lei.
Tashigi in silenzio, gli occhi puntati sul pavimento in legno della nave e Nami non riusciva a capire se fosse vergogna o timore quello che vedeva irradiarsi dalla donna di fronte a lei. “Vi rendete conto che quelle povere creature hanno sofferto per la vostra negligenza?! Non è la prima volta che succede!” Gridò, furiosa. “Io ho fatto una promessa a quei bambini. Ho promesso loro che li avrei protetti e che io sia dannata se non lo farò.” Un’improvvisa raffica di vento scompigliò i capelli ad entrambe. Nami si spostò le ciocche ramate dal viso con un gesto stizzito; Tashigi rimase inchinata, senza muoversi. La navigatrice sentì una nuova ondata di rabbia di fronte al silenzio della sua interlocutrice. “Potete commettere qualsiasi errore, crimine o misfatto ma alla fine sarete sempre voi a interpretare il ruolo degli eroi, vero? Ci sarà sempre il governo mondiale a coprirvi le spalle e a spazzare tutto sotto il tappeto. Dopotutto, voi siete i buoni. Non siete diversi dalla feccia che solca questi mari.”

A quelle parole Tashigi scattò, rimettendosi dritta e stringendo i pugni lungo i fianchi. “Anche io ho fatto una promessa!” Esclamò, le gote arrossate per la foga. “Ho promesso ai genitori di quei bambini che li avrei cercati quando chiunque altro si è rifiutato di farlo!”

Nami osservò con sorpresa lo sfogo del soldato. Il capitano la guardò dritta negli occhi e continuò. “Non pretendo di redimere l’intera marina militare. Se devo essere sincera, non credo che una singola persona ci possa mai riuscire. Però-“ Si interruppe. Riprese fiato, chiuse gli occhi, inspirò a fondo e si calmò. Quando riprese a parlare, la sua voce aveva di nuovo un tono normale, seppur tinto da un’inconfondibile velatura di tristezza. “Però, per una volta, ho il potere di aiutare qualcuno, aiutare veramente qualcuno. Voglio finalmente afferrare quest’occasione che cercavo da tempo… e voglio mantenere una promessa.” Riaprì gli occhi e Nami vide grande calma e pazienza e gentilezza in quelle iridi. Il petto le si strinse e il ricordo di Bellemere tornò con prepotenza a invaderle la mente.

“Ti prego, permettimi di farlo. Voglio riportare i bambini alle loro famiglie e, con l’aiuto di Smoker-san, farli visitare da Vegapunk. Lui è l’unico che potrebbe trovare una cura al loro gigantismo.”
Nami sorrise. “Va bene. Te li affido, prenditi cura di loro.” Tashigi sembrò essere presa in contropiede dalla sua risposta. Balbettò una serie di parole incoerenti gesticolando con le mani, ma alla navigatrice non sfuggì il movimento verso l’alto degli angoli della sua bocca.
“In ogni caso, se fossero visti assieme a noi ci verrebbe data la colpa di tutto come al solito.” Disse Nami, ridendo. “È un bene che siano accompagnati dal simbolo della giustizia. Usatelo bene, per una volta.” Scherzò. Tashigi si rabbuiò. Nami si risentì. Forse aveva fatto una battuta un po’ troppo pesante. “Ah… Scusa.”

La donna scosse la testa. “Non scusarti. Hai ragione.” Tashigi le si avvicinò, rovistò nella tasca interna del suo cappotto e ne tirò fuori un plico di fogli. Glieli porse e la pirata li prese con un’espressione confusa. “Cosa sono?” Chiese.

Tashigi si morse il labbro inferiore. “C’è un’altra cosa che ti volevo dire.” Nami iniziò a sfogliare i documenti. Ognuno di essi era accompagnato da una foto di bambini e bambine più o meno grandi, con descrizioni dettagliate di ognuno di loro. “Quando eravamo alla base del G-5 ci arrivavano spesso denunce di bambini scomparsi. Molti erano anche residenti nell’isola dove era locata la base. Ho provato a portare più volte questi casi all’attenzione di… Vergo,” Sputò il nome con disgusto “Ma ha sempre o minimizzato la questione o deviato le indagini. Quando sono partita con il viceammiraglio Smoker mi sono portata i documenti, nella folle speranza di riuscire a trovarne almeno uno. Non avrei mai pensato che sarei riuscita a trovarne così tanti in un colpo solo…” Sorrise mestamente. Nami strinse i fogli al petto e la guardò, smarrita e spaventata. “… Tanti. Ma non tutti.”

“Vuoi dire che… tutti questi…?” Mormorò Nami.
“Tutti quelle denunce sono di bambini scomparsi che non sono stati ancora trovati. L’ho scoperto ieri sera, quando ho escluso dalla pila gli annunci dei bambini che abbiamo trovato qui a Punk Hazard.”
“Ma sono tantissimi!” Soffiò la ragazza, sfogliandoli di nuovo. “Vuoi dirmi che tutti questi bambini sono ancora dispersi chissà dove?”
“Sì.” Disse mestamente Tashigi.

La navigatrice rimase in silenzio per un po’, sfogliando e studiando i documenti con dispiacere. “Perché li dai a me?” Chiese infine, alzando la testa per guardarla negli occhi.
“Perché non sono l’unica copia che ho, prima di tutto.” Rispose Tashigi. Poi: “Perché so che tipo di persone siete, voi della ciurma di Cappello di Paglia. Lo so da due anni e l’ho rivisto oggi, qui su quest’isola.” Si sistemò gli occhiali e aggiunse: “E soprattutto perché più persone sanno di loro, più probabilità hanno di venire ritrovati.”

Le due donne si guardarono in silenzio per un po’. Infine, Nami annuì. “Prenditi cura di ciò che è davanti a te, per adesso.” Le disse. “Proteggili anche per me.”
“Lo prometto.” Rispose Tashigi con determinazione.
“Hai il peso di tre promesse sulle tue spalle, capitano.” Nami le sorrise. “Non ti piegare sotto di esse.”
 
 
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La Gatta Ladra affondò il viso nel cappotto di Mocha quando la bambina la strinse a sé in un abbraccio. La ragazza fece del suo meglio per ricambiare, ma le sue braccia riuscivano a malapena a stringere metà del torso della bambina. “Onee-chan, la signorina con gli occhiali ha detto che tra poco dovremo partire. Quando potrò rivederti?” La ragazza dai capelli rossi alzò la testa, incontrando gli occhi di Mocha con uno sguardo pieno di affetto, e sorrise. “Non lo so, Mocha. Magari, se avremo fortuna, accadrà presto.” La bambina la guardò con i lucciconi agli occhi e la strinse più forte.

Rimasero per un po’ in quella posizione, la bambina gigante e la giovane pirata. Nonostante la grandezza, nonostante la sua forza e l’emozione, Mocha non strinse mai troppo forte.
Si udirono le rudi urla dei membri del G-5. “Mocciosi, è ora!” Le due si sciolsero e Nami guardò la bambina salire sulla nave militare e si affrettò a far sparire la lacrima traditrice che aveva fatto capolino tra le sue ciglia.

“Buon viaggio.” Sì girò. Tashigi aveva la mano tesa verso di lei. La strinse. “Anche voi.” Un cenno del capo da parte di entrambe. Tashigi ritirò il braccio, la salutò con un sorriso e si imbarcò.

“Ti piace la donna marine?” Chiese Luffy con voce allegra di fianco a lei. Nami incrociò le braccia, un sorriso sornione a stirargli le labbra. “Suppongo di sì. Luffy?”
“Mh?” Mugugnò lui, una coscia di pollo in bocca.
“C’è una cosa che vorrei chiedere a te e alla ciurma. Una cosa che voglio fare.”
“Va bene!” Fu la risposta del suo capitano. Semplice. Innocente. Allegra.
Nami sospirò con affetto e rassegnazione, portandosi una mano sul fianco. “Non vuoi prima chiedermi cosa voglio fare?” Domandò con un sorriso sulle labbra.
“È una cosa brutta?” Biascicò Luffy.
La navigatrice rise. “No.”
“Ci sarà da combattere?” Poteva sentire chiaramente la speranza nella sua voce.
Nami si prese il mento fra le dita, pensierosa. “Non ne sono sicura… forse.”
“Ok, andiamo!” Esclamò Luffy, marciando verso la Thousand Sunny. Nami lo guardò andare scuotendo la testa. “Che stupido.” Un sorriso le stirò le labbra.
 
 
 
 
 
La partenza fu, ovviamente, appariscente. I marine misero su una pagliacciata molto poco credibile, impedendo ai bambini di vedere il gruppo di pirati, berciando sulle presunte mille qualità della marina e le mille nefandezze dei pirati. Per tutta risposta, i bambini iniziarono a urlare di voler diventare anche loro dei pirati, tra le esclamazioni indignate dei membri del G-5. Il tutto finì in un mare di moccoli, lacrime e pianti. Smoker si schiaffò una mano sulla faccia, percependo un mal di testa incombente.

L’unico a non essere appariscente fu Law, insieme a Momonosuke e Kanjuro. Il gruppetto partì senza chiasso, solo un breve saluto tra i capitani delle due ciurme – durante il quale Luffy avviluppò Law in un intrico di membra gommose facendogli promettere di farsi sentire presto - dopodiché i tre presero in fretta il largo, portando Caesar con loro.
Gli Strawhat seguirono ben presto il loro esempio, salutando per l’ultima volta quell’inospitale isola di ghiaccio e di fuoco.
 
 
 
 
 
“… E questo è quanto.” Concluse Nami, appoggiando l’ultimo foglio sul tavolo davanti a sé.
“Aw! Poveri mocciosetti, chissà dove sono in questo momento!” Pianse Franky, esagerato come al solito.
“Altri bambini scomparsi…” Mormorò Chopper, corrucciando lo sguardo. Si sentiva ancora in colpa per non aver trovato prima quelli prigionieri a Punk Hazard. Una mano gentile gli carezzò il pelo. La renna alzò lo sguardo e vide Robin sorridergli con fare rassicurante. “Non ti preoccupare, li troveremo.”

“Tsk. Più che una ciurma di pirati ci stiamo trasformando in un dannato asilo. Non siamo mica dei marine, lasciamogli fare il loro lavoro.” Borbottò scocciato Zoro.
Nami lo squadrò con calma. “Come Punk Hazard?” Chiese. “Come il mio villaggio?” Lo spadaccino non rispose, ma fece una smorfia. “Dopo tutto quello che abbiamo passato direi che ormai sappiamo bene che la marina non è perfetta, anzi. È più buchi che formaggio.” Sentenziò la rossa spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Formaggio?” Luffy alzò la testa, la bava già alla bocca. “Sanji, puoi farci uno spuntino con del formaggio? Mi è venuta voglia.”
“Siamo. Appena. Partiti. Non rompere!” Berciò il cuoco. “Awwwwwwwww- Ouch.” Si lamentò Luffy quando il suo cranio venne raggiunto dal pugno del biondo.

“Quella donna… Tashigi, si è fidata di me. Dev’esserle costato molto visto la sua politica di odio assoluto verso i pirati… Ma non è tanto quello che mi preme. È il fatto che questi bambini, anche quelli di Punk Hazard, non si aspettano qualcuno che li salvi. Non si aspettano qualcuno che gli offra aiuto. Mocha e gli altri sono stati fortunati, siamo capitati per puro caso su quest’isola e appena ci hanno visto ci hanno supplicato di aiutarli. Hanno chiesto aiuto a noi, dei pirati, delle persone a loro sconosciute, al punto di piangere. Ora, immaginate di essere un bambino, strappato ai suoi genitori, senza nemmeno la speranza di poter tornare un giorno a casa. Vorreste o no che qualcuno venisse a salvarvi?”

Il silenziò calò sulla Sunny.
Nessuno usò la voce, ma ognuno di loro aveva risposto. E Nami lo sentì forte e chiaro.
Luffy fece un piccolo sforzo e saltò in piedi. “E questo è quanto!” Sorrise. “Sanji, alla fine per quello spuntino col formaggio?” L’intera ciurma rise, rompendo la tensione. Tutti tranne Sanji. Sanji piantò più volte la suola della scarpa nella faccia gommosa del proprio capitano prima di ritenersi soddisfatto.
Zoro sbuffò, inclinando il collo e guardando in silenzio il Jolly Roger che sventolava in cima all’albero maestro. “Quindi?” Chiese. “Dove dovremmo andare?”

“Usopp, per favore, vai a prendere la mappa che ci ha dato Re Nettuno.” Istruì Nami. “Beh… ad essere sincera ancora devo pensarci.” Ammise. “Avevo una mezza idea di andare nell’area dove c’erano stati più rapimenti, ma devo ancora controllare uno per uno i-“
“Namea.” Disse Robin, fissando i documenti sparsi di fronte a lei.
“Eh?”
“Namea. È un nome che compare un po’ troppo spesso per essere solo una coincidenza. Parecchi dei rapimenti sono avvenuti su questa singola isola.” Spiegò l’archeologa, indicando col dito svariati fogli. Nami li raccolse, controllandoli. “Hai ragione!” Esclamò.
“I tuoi occhi e la tua mente sono veloci come il vento del mare, Robin-san.” La complimentò Brook. “Ora… perché non lasci che la brezza marina dischiuda al mondo il segreto delle tue mutandin-“
“CREPA!”  Quel giorno, il musicista degli Strawhat rischiò di suonare il violino ai Re del Mare.

“Ecco, Nami.” Disse Usopp porgendole l’incartamento.
“Grazie Usopp.” Nami fece scorrere gli occhi sulla cartina. “È molto essenziale come mappa… Inoltre, dal momento che siamo stati sbalzati parecchio fuori rotta da quella corrente marina subacquea è possibile che non ci sia di molto aiuto…. HA!” Esclamò, puntando un dito accusatore in un angolo della mappa. “E INVECE! È destino, non c’è altra spiegazione! All’estremo margine della mappa, ma c’è!”

“E Namea sia allora!” Disse allegro Luffy. “Ciurma, levate l’ancora, spiegate le vele! Direzione...! Ehm…” Si girò verso la navigatrice. “Direzione?”
La rossa sbuffò una risata, poi scrutò la cartina. “Nord-est.”
“Direzione nord-est!” Riprese Luffy euforico. “Sunny, avanti tutta! Namea, arriviamo!”
 
  
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