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Autore: ToscaSam    30/03/2018    0 recensioni
Luglio 1940, i due squadristi fascisti Alfredo Nespi e Gioacchino Rifredi sono costretti a tornare al podere di Santa Luce, luogo che già fu teatro di infelici eventi.
**************** dal testo*****************
« Amore, perché non vai a badare alle pietanze? Credo che i signori non vedano l'ora di un po' di rifocillo, dopo aver viaggiato»
Disse infine Gualtiero Masi, padrone di casa.
Lui, invece, se lo ricordava bene.
« Ammirevole conclusione, amico mio»
lo incoraggiò lo sfacciato Gioacchino, che senza invito sfilò dal tavolo una sedia e vi si accomodò con gran rumore. Alfredo detestava la prepotenza immotivata del suo superiore, dunque cercò di sedersi con quanta più educazione gli riuscì. Ringraziò i due bravi mezzadri italiani che provvedevano alla loro salute.
« il duce ammira molto i buoni lavoratori come voi, signor Masi. Egli ha molto a cuore le fatiche degli italiani che rendono l'Italia produttiva e indipendente».
Il Masi gli rispose con un sorriso un po' fiacco, ma del resto quell'uomo era fiacco in tutta la sua natura. Alfredo provava commiserazione per lui. Non poteva non leggergli negli occhi la disgrazia che lo aveva colpito e di cui lui era ignaro.
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Genere: Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Faceva molto più freddo, l'altra volta.
Era gennaio. L'oceano di campi su cui galleggiava Santa Luce erano aridi, allora. Pieni di sterpaglie ammassate ai lati, di rami secchi caduti dagli alberi, di crepe nella terra sterile.
Nemmeno quella volta era stato un piacere per Alfredo Nespi prendere littorine, farsi dare indicazioni dai passanti, macchine, centinaia di metri a piedi. Non era fatto per la campagna, nossignore. Il suo pollice verde si limitava al giardino decorativo davanti casa propria. Lui e sua moglie coltivavano gerani e tulipani.
Sua moglie e suo figlio non avevano idea di cosa fosse la campagna, né a parere di Alfredo v'era bisogno che lo sapessero. Lui adorava il rumore delle auto, il vociare indistinto dei cittadini, l'odore di tabacco lasciato dalla pipa di un passante, mischiato a quello di pesce della bottega, di inchiostro dei giornali e di calcina da costruzione.
La sera si sedeva spesso in veranda, cullandosi su una sedia a dondolo di legno, talvolta col bimbo in braccio. E poi si accendeva un sigaro, socchiudeva gli occhi e non pensava assolutamente a niente.
Il silenzio, a Santa Luce, pareva assordante.
Lo era stato quella fredda notte di gennaio, lo era adesso.
L'altra volta aveva udito un unico eco, nella notte: un vociare lieve, che si era fatto man mano più forte in direzione del granaio.
Adesso, che era piena estate, il concerto dei grilli gli ricordava quell'avvenimento che avrebbe tanto voluto dimenticare.
Cricricricri. Per niente piacevole. Sembravano un trapano perforatore dentro le orecchie.
I grilli cantavano; gli unici esseri in grado di dir qualcosa.
Lorella era sopraffatta da una gioia palpabile. Non riusciva a proferir verbo. Le guance rosee e ingenue si tingevano sempre più di vermiglio.
 
« Ne sarete felici, immagino»
disse Alfredo, incapace di tollerare oltre quel silenzio cadenzato dai grilli.
Le sue parole gli parvero dette a un volume altissimo.
Che pessimo attore che sono, pensava. Eppure la donna c'era cascata. Come diavolo poteva pensare che quelle poesie avessero un valore? Alfredo giurava di non aver mai sentito niente di più ridicolo o sgrammaticato. Certo, non rientrava nelle qualità di una contadinella, il saper scrivere in versi. Questa qui si credeva davvero una nuova Saffo! Che ridicolaggini! Che speranze ed energie sprecate.
Se tutto fosse proceduto nel migliore dei modi, l'inganno si sarebbe estinto prima che il sole sorgesse. Lorella si sarebbe squarciata dal dolore per tutta la notte, piangendo fra le braccia del marito, lamentandosi che i fascisti l'avevano usata (e a detta di Nespi non era nemmeno la prima volta!); lui e Gioacchino sarebbero tornati alla base con un dissidente politico in catene.
Ecco cosa stavano cercando: un comunista.
Qualche giorno prima, una lettera di una certa maestra Nedda Righi era pervenuta ai superiori del Nespi e del Rifredi. Ecco che mentre si dichiarava guerra alla Gran Bretagna e alla Francia, mentre ci si preparava a vincere per ordine del duce nella Battaglia delle Alpi Occidentali, il superiore prendeva i due squadristi da parte e diceva: “voi due conoscete il podere di Santa Luce?”.
Alfedo era sbiancato, mentre Gioacchino si era limitato ad annuire in modo vago. Che delinquente! Lo sapeva che quella storia ki avrebbe perseguitati ancora. “una certa signora Righi, che fa la maestra ai poverelli campagna, dice che ha scoperto un nucleo di dissidenti attivisti, laggiù”.
Alfredo aveva tirato una specie di sospiro di sollievo: non c'entravano niente i fatti di gennaio; era un'avventura tutta nuova. Ma perché di nuovo in quel maledetto podere?
“La maestra è bene informata della vostra precedente visita laggiù” diceva il capo mentre leggeva la lettera della Righi: “questa lettera è spedita direttamente a voi. Dice che è stata lei a inviare le poesie di quella donna … quella giovane contadina, all'attenzione della commissione”. Bel talento, aveva pensato Alfredo.
“la signora suggerisce che voi due torniate laggiù, perché potrebbe indicarvi con certezza il capo sobillatore di quei rossi schifosi. Una donna ardimentosa, non c'è che dire! Se ci sono dei comunisti laggiù, sarà vostro compito consegnarli alla giustizia”.
 
*
 
Nedda Righi sorrideva con le labbra stirate in una smorfia compiaciuta:
« Visto Lorella? Che brava! Che ti avevo detto! Non t'ho sempre confortato, io?»
Lorella le fu in un attimo fra le braccia, le lacrime di felicità che scorrevano giù per il viso. Un comportamento indecente, da bambina.
« Lorella, amore, non dovresti fare tutti questi movimenti … il bambino … »
« Oh sta' zitto te!» Rimbeccò la mogliettina al povero marito. « Lo sento da me se c'è qualcosa che non va. E ora non mi posso trattenere! Oh! Maestra! Le nostre poesie … pubblicate
« Le tue, mia cara. Le tue. Prenditi il merito delle cose che fai»
« E fai molte altre cose, non è vero?» Sussurrò il prete, un po' troppo forte.
In un attimo tutti si voltarono verso di lui.
Sorseggiava ancora il brodo, ma un'aria furba gli si arricciava con gli angoli della bocca.
« Ebbene?» chiese Mario, il cugino elusivo: « che voleva dire con questa fola?».
Perbacco che temperamento inaspettato, pensò Alfredo. Si era rivolto con una sgarbatezza quasi violenta verso un bravo ecclesiastico, quel giovanotto. Se l'intera situazione non l'avesse interessato di più, Alfredo gli avrebbe fatto una ramanzina sul rispetto da portare alle autorità religiose.
« Oh, niente, niente. Ricordo solo molto bene la Lorella qui, quando veniva al catechismo. Te lo ricordi il catechismo, vero bambina?».
Lorella era rossa, sia per l'emozione delle poesie, che per qualche ricordo che il prete le voleva cavare dalla memoria.
« Ma si … non parliamo a sproposito. Che non escano dalla mia bocca parole poco legittime … così come uscirà dal suo ventre quel bambino, altrettanto poco legittimo, a mio dire… ».
Ci fu un colpo sonoro: le mani di Mario e di Gualtiero avevano picchiato forte sul tavolo.
« Reverendo, lei non può venire così in casa mia e dire queste cose!» gridava irato Gualtiero.
Mario non diceva nulla. Aveva già ritirato la mano dal tavolo, come se si fosse vergognato di aver esplicitato la propria rabbia.
Alfredo lanciò un rapido sguardo a Gioacchino, per studiarne la reazione: il suo sergente guardava i convitati con aria burbera, irritata, come se tutto quello che accadeva fosse fastidioso.
« Lei è buono solo a dir messa! Sa a sai lei di cosa faccio io!» cercò di difendersi Lorella, con un broncio molto bambinesco.
« Oh, lo so, lo so, cosa fai. È meglio che io taccia! Gualtiero non sembra contento. Povero ragazzo, ma che t'è preso di sposare questa qui, a te?»
« Reverendo non tollererò una parola di più su mia moglie!» tuonò il padrone di casa, che si rivelava capace di toni minacciosi. Chissà se anche la sorella, Norma, sotto provocazionea, riusciva a incutere così timore.
« Non turbiamo il sergente con queste sciocchezze!» cinguettò Lorella, cercando di riacciuffare le lacrime (fresche di dispetto e anche quelle antiche di commozione) e di ricomporsi. Lasciò l'abbraccio della maestra, poi prese a sparecchiare.
« Oh, mia cara, non sarà mica sergente per sempre!» gongolò il parroco, che ormai si beava del protagonismo. Aveva le orecchie infiammate di rosso, tanta era l'emozione di trovarsi al centro dell'attenzione.
Come Alfredo aveva subito immaginato, il Rifredi si agitò:
« Prete, cosa dici?!»
Lorella gli saltò di fianco e gli carezzò di nuovo la spalla, con dolcezza. Pensava che la stesse difendendo, la stupidina. Il Rifredi non ci pensava nemmeno, a lei.
« Niente, mio caro sergente. La Lorella ha detto di non turbare il sergente, ma immagino che nella sua vita, lei non sarà sergente in perpetuum. Quindi se fra un po' non sarà più quel che è adesso, pare irrilevante turbare quel che lei è ora, giacché è destinato a scomparire. Lei potrebbe ricoprire cariche diverse, più importanti … mi sembra un giovanotto in forze!».
Gioacchino, confuso, percependo un alone di scherno ma senza esserne del tutto convinto, borbottò:
« Veda di tenere a freno la lingua, prete».
 
Norma Masi si stava occupando del piatto vuoto del sergente, ma Lorella glielo strappò di mano. Era stato Mario a spingere Norma affinché sparecchiasse per prima il Rifredi.
« Mario! Perché si comporta così, stasera? Mi vuol sempre stare fra i piedi!»
criticò una seconda volta Lorella.
Mario era di nuovo rosso e schivo: i capelli ricci, castani, gli conferivano un'aria innocua. Sembrava un balocco con i boccoli crespi di lana. Sulle guance gli si erano cuciti due rossellini di stoffa purpurea.
Provò a replicare, vergognoso:
« Perché … ecco … non fai sparecchiare solo Norma? Magari … ora come ora non ti sembra di sentire la fatica, ma poi il bambino ne risente. Ecco, vieni, siediti qui fra me e Gualtiero … »
« È proprio strano, oggi! Gualtiero, perché fa così?»
« Ti dà buoni consigli, amore. Riposati, su. Non c'è Norma apposta, per aiutarti nelle faccende?»
Alfredo colse uno spiraglio di conversazione e ci si tuffò:
« Ecco! Mi pareva proprio che la signora Norma non fosse presente, al nostro scorso ritrovo. È qui da quando sua cognata è incinta?».
Norma parve spaventata. Guardò il fratello, da sotto la pezzola, come per ottenere il permesso di rispondere.
« Si» disse poi, piano: « così Lorella non si affatica troppo»
« Mi sembra un'occupazione onorevole, la sua! Occuparsi dei propri familiari! Dunque la giovane Lorella dev'essere incinta da poco dopo la nostra dipartita … di quanti mesi è, mia cara?»
« Sei!» cinguettò Lorella, a capo vuoto.
« Sei!» le fece eco Alfredo, lanciando un occhio colpevole al suo sergente. Gioacchino ricambiò con un'aria poco amichevole.
« Ma tu e Gualtiero non siete sposati da un po'?» la voce del prete, che di nuovo sovrastò tutte le altre, trasudava malizia: « com'è che avete procreato solo ora?».
Lorella si fece gonfia d'orgoglio. Si toccava il pancione, fiera e innamorata della creatura che vi risiedeva: « Si … con Gualtiero sono sposata da quatt'anni. E lei se lo dovrebbe ricordare, visto che ci ha sposati lei! Il figliolo è venuto quando è venuto … non lo posso mica decidere io»
« Certo, certo ...» la liquidò il reverendo, mettendosi a sorseggiare il vino rosso. Aggiunse: « ma in questa casa si mangia solo brodo?»
« Oh, no, no. Io e la Norma andiamo a vedere se la frittata di cipolle è cotta giusta»
« Vi portiamo un po' di verdurine lesse, nel frattempo. E poi ci s'hanno anche le fave fresche, che ha raccolto la Lorella stamani»
« … come suo solito, allora …» concluse il prete, sussurrandolo così piano che forse solo Alfredo lo sentì.
  
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