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Autore: Giovievan    03/04/2018    5 recensioni
«Credi che non si noti?»
Alzo le sopracciglia, dubbioso ma fermo. Non ho intenzione di mostrare a questo ragazzino neanche la minima esitazione.
«Di che stai parlando?»
«Del fatto che non ti importa. Di lei. Del Concilio. Di Nemanan. Non ti interessa di nulla, Zarbon, solo del potere. Non so come facciano tutti a essere cosi ciechi… eppure è palese. Traspare da ogni tuo movimento, dalla superbia con cui parli; te lo si legge persino negli occhi.»

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Sul pianeta Nemanan sono trascorsi ottant'anni da quando il Concilio, formato dai tre saggi regnanti, ha eletto il Gran Sapiente: è tempo di trovare il suo successore tra i tre migliori allievi e studiosi del Palazzo, che si preparano a competere per aggiudicarsi il trono. Zarbon non ha dubbi sul fatto che sarà lui il degno erede: il potere è tutto ciò che desidera, anche più di quei due occhi dorati che deve a tutti i costi dimenticare. Eppure non tutto va come previsto: l'arrivo di un'incredibile minaccia, un tiranno che si fa chiamare Lord Freezer, sconvolge Nemanan... e non solo.
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Questa storia è uno spin-off di Freezer:Origins, e si ambienta tra i capitoli 10 e 11.
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer, Nuovo personaggio, Zarbon
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Origins: come tutto ebbe inizio'
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Prima di iniziare.
Innanzitutto grazie per essere qui! Prima di iniziare volevo precisare che questa storia nasce come uno spin-off della long 
Freezer: Origins e si ambienta tra i capitoli 10 e 11 di quest'ultima, quindi (dal capitolo 3 [Fascino] in poi) presenta lievi spoiler fino al capitolo 10 di Freezer. Può tuttavia essere letta come una storia a sé stante: la necessità di scriverla è nata proprio dal fatto che Zarbon meritasse più spazio di quanto sarei riuscita a dargli in Origins, dove non potevo inserire in modo coerente la sua storia passata e non mi andava di sacrificarla. Quindi eccola qui!
Se è la mia prima storia che leggete e vi viene la curiosità di "incastrarla" nella storia principale per leggerne il continuo, per non spoilerarvi nulla vi consiglio di leggere l'intera serie secondo l'ordine in cui è pensata:
1 - Freezer:Origins (capitoli 1-10)
2 - Zarbon: Il canto del Potere
3 - Freezer:Origins (dal capitolo 11 in poi).
E basta, mi eclisso... buona lettura! :3
- G


 
*  *  *

 
Ogni giorno questa maledetta chioma diventa più difficile da domare.
Intingo nuovamente il pettine nell’olio, infilandolo tra i capelli e compiacendomi di quanto fluidamente scivoli, districandosi tra i nodi che ho sapientemente sciolto. Ogni ciocca si separa dall’altra, l’olio lentamente si assorbe. Alla fine del mio rituale i capelli mi ricadono sulle spalle asciutti, splendenti, perfettamente lisci e morbidi.
Poso il pettine sulla specchiera, alzandomi dalla mia seduta. Non posso non osservare il mio corpo riflesso allo specchio: il mio sguardo indugia sullo statuario profilo dei pettorali, scendendo lentamente a carezzare gli addominali scolpiti: frutto di dura fatica, di sudore, di allenamenti intensi oltre le mie capacità, o almeno così mi ammonisce Illerio. Se i risultati sono questi sarò felice di superare me stesso ogni giorno di più.
Mi sorprendo a sorridere a quella incantevole vista, ma non ho altro tempo da perdere. Afferro la veste nera con una certa urgenza e curandomi di non sgualcirla la indosso stringendomela ai fianchi. La cintura d’oro la sigilla con un click.
«Tornerai presto?»
Non alzo nemmeno lo sguardo. Il monile mi scivola tra le dita, sfiorandomi la fronte quando lo richiudo attorno al mio capo. La campana ricade perfettamente al centro delle sopracciglia emanando un sottile tintinnio.
«Tornerò appena posso» taglio corto.
Vedo con la coda dell’occhio cosa sta accadendo. Olei si stiracchia come una gatta e la sottile coperta di seta le scivola via dal seno, dubito senza che lei lo volesse. Purtroppo per lei non è più il momento degli istinti carnali e al momento non mi interessa darle ulteriori spiegazioni. Anzi, non mi è mai interessato.
«Non farmi attendere» sussurra, languida, e sono certo che si stia aspettando un mio bacio o una mia carezza. Non avrà neanche un sorriso. Un’altra rapida occhiata oltre lo specchio per assicurarmi che tutto sia al suo posto e poi esco dalla stanza, richiudendomi alle spalle la pesante porta di legno.
I corridoi del Palazzo sono così ampi e intricati che, se non fossi cresciuto qui dentro, mi ci perderei senza dubbio. Il pavimento di marmo si estende sempre uguale, distinguendosi soltanto per le screziature che variano di continuo come le vene di un immenso mostro dalla pelle limpida; alle pareti gli arazzi sono tutti diversi, ma estremamente simili, e chi non conosce la Storia non saprebbe nemmeno distinguerne i soggetti, figurarsi riconoscerne le scene e notarne i particolari.
I miei piedi mi conducono esattamente dove sono richiesto. Quando metto piede nella sala il Gran Giudice è già al suo posto, sul seggio centrale dell’ampio scranno a mezzaluna che si trova proprio al centro della stanza. Mi inchino con una rapida riverenza, come è dovuto a un allievo del mio rango.
«Zarbon» mi saluta, con un gioviale sorriso. «Sei in anticipo.»
«È mio dovere» dico, avvicinandomi a lui e ricambiando il sorriso. «Il tempo si avvicina. È bene che inizi a comportarmi come si conviene, nel caso in cui la sorte mi sia propizia.»
«Si avvicina, sì» annuisce lui. Mi fa cenno di sedermi al suo fianco, ma esito.
«Non so se posso, Maestro…»
Mi compiaccio del tono che sono riuscito a formulare. Tormentato, riverente, umile. L’effetto è così immediato che lui stesso si preoccupa di giustificare la sua richiesta.
«È solo una sedia» dice, stringendosi nelle spalle. «Ammiro la tua devozione, figliolo, ma nessuno ti criticherà per esserti seduto al mio fianco.»
M’inchino ancora in segno di ringraziamento e poi avanzo, facendo come mi ha ordinato. Quando mi poggio sulla seduta alla sua destra, quella riservata al Gran Sapiente, un brivido di piacere mi attraversa le membra al pensiero che tra qualche tempo quel posto sarà il mio.
Il volto del Maestro è scavato e le rughe formano una fitta tela che parte dagli angoli degli occhi e giunge fino a quelli della bocca. Provo a non guardare l’orrore della vecchiaia: mi concentro sulle sue iridi, l’unica cosa che in tutti quegli anni è rimasta invariata in lui. Occhi dorati, attraversati da venature nere come profonde crepe, molto meno brillanti dei miei ma comunque incredibilmente affascinanti.
«I tuoi studi?» mi chiede. «A che punto ti trovi?»
«A un ottimo punto, Maestro. Prevedo che tra pochi mesi li terminerò e potrò finalmente dedicarmi alla prova.»
«Ottimo lavoro, figliolo, dico sul serio. Sapevo che saresti stato in gamba. L’ho sempre saputo, a dire il vero, dal momento in cui ti ho trovato sui gradini del Gran Tempio.» lo vedo sorridere con la sua bocca sdentata che mette in vista le sue gengive scure. «Quanto tempo è passato! Decenni. Fitti decenni. E in tutto questo tempo ho sempre creduto in te.»
«Sono così onorato» dico, prendendogli la mano avvizzita tra le mie. È fredda, più di quanto dovrebbe. L’anima di questo vecchio, che tanto ha fatto per me e per la mia vita, si sta lentamente spegnendo e ho l’impressione che non mi dispiaccia abbastanza, come se ormai fossi rassegnato a quella consapevolezza. «Sono così onorato e grato, Maestro. Se non fosse stato per te non avrei neanche raggiunto quest’età. O forse l’avrei fatto, ma non avrei mai avuto l’onore di giungere a un tale livello di sapienza.»
Il cielo oltre le grandi vetrate rettangolari inizia a tingersi del rosso dell’alba. Presto questa stanza si riempirà. Ho poco tempo.
«Io voglio davvero superare questa prova» dico. «Sto studiando per questo da quando ho imparato a leggere. Il benessere di Nemanan è l’unica cosa che realmente mi interessi, l'unico futuro che immagino per me. Se non dovessi riuscire a superarla, io… non so cosa farei.»
La sua mano si irrigidisce tra le mie.
«Non accadrà» mi rincuora. «Toqueda e Illerio sono ottimi studiosi, ma tu hai qualcosa in più di loro. Tu sei determinato, Zarbon, te lo si legge negli occhi. Sono certo che questo ti aiuterà.»
«Lo spero» sorrido. Te lo si legge negli occhi, ha detto, ma sta sbagliando: se mi permette di sedere al suo fianco non ha idea di cosa i miei occhi realmente celino. «E spero che i tuoi insegnamenti possano rendermi degno.»
Annuisce lievemente mentre i primi raggi dell’astro rosso iniziano a penetrare attraverso i vetri. Allo stesso tempo qualcosa si muove alle mie spalle. Dalla grande porta fanno il loro ingresso due figure che indossano la toga rossa e due che indossano quella nera. Quando li vedo entrare mi alzo di scatto, liberando il trono che avevo occupato indebitamente.
«Gran Sacerdote, Gran Sapiente.»
Mi salutano con un cenno dello sguardo mentre io mi inchino. I due in veste nera nemmeno si degnano di alzare gli occhi, ma non mi sorprendo; non mi aspettavo un loro saluto.  
Il Gran Sacerdote si siede alla sinistra del mio Maestro, il Gran Sapiente a destra. Spirito, Giustizia e Sapienza: i tre pilastri del culto e del regno di Nemanan, i tre Grandi del Concilio.
«Come mai eri già qui?» mi chiede il Gran Sapiente.
«Sono venuto a comunicare al mio Maestro di aver quasi terminato gli studi. Mi sono necessari due, al massimo tre mesi, poi potrò iniziare la preparazione per la prova.»
«Molto bene» si complimenta. Poi si rivolge ai due allievi. «E voi? A che punto siete?»
«Due mesi saranno sufficienti.»
Toqueda si sfila il cappuccio con fredda compostezza, lasciando che i lunghi capelli mossi gli ricadano sulle spalle accogliendo gli orecchini come cuscini di velluto. Il suo tono di voce non lascia dubbi sul suo fastidio alla mia presenza. Non prova di certo affetto verso di me, e questo vuol dire che mi teme. Ciò non può che compiacermi.
«Sì, basteranno anche per me» segue a ruota Illerio. Anche lei si sfila il cappuccio, ma con un unico gesto che le lascia 
scomposti i corti capelli color smeraldo. Indugio sui suoi occhi che non si voltano a incontrare i miei. La sua poca grazia mi infastidisce, ma del resto non mi sorprende: è sempre stata così.
«E sia» sentenzia il Gran Sapiente, volgendosi a guardare gli altri due membri del Concilio. «Se siete d’accordo fisserei la prova tra quattro mesi esatti, così da dare ai ragazzi tutto il tempo necessario.»
Annuiscono entrambi, stringendosi nelle spalle.
«Per me può andar bene, sì.» annuisce il Gran Sacerdote, incrociando le braccia sotto la lunga barba. Nonostante i suoi centodieci anni è il più giovane dei tre, per questo è tranquillo riguardo il suo posto su quel trono. Anche il mio Maestro dovrà attendere ancora qualche anno. È il Gran Sapiente, il più anziano, colui il cui tempo è ormai scaduto: i suoi ottant’anni di regno sono terminati e il suo successore deve presto essere designato. Sarò io, ovviamente, ma purtroppo la legge impone una selezione ed ecco che queste due menti inferiori tentano di competere con me; nonostante ciò tutti, qui dentro, sanno che uno dei tre voti dei Grandi è già a mio favore. Non potrebbe essere altrimenti, dopo tanti anni di cieca devozione.
Osservo i miei avversari scrutarmi. Illerio sorride, da sbruffona qual è, mentre Toqueda mi guarda sott’occhio con un’ostilità che quasi mi sorprende.
«Potete andare, adesso» ci fa cenno il Grande Giudice. «Ci rivediamo nel pomeriggio. Vi auguro buono studio.»
Ci inchiniamo all’unisono. Le tuniche nere danzano nel lieve vento che penetra dalla porta semiaperta mentre ci voltiamo, dirigendoci verso la Biblioteca per iniziare un nuovo giorno di intenso studio. Prima che possiamo uscire fa il suo ingresso nella stanza un messaggero, che non ci guarda e prosegue ad ampie falcate dinnanzi al trono a mezzaluna.
Rallento e Toqueda mi supera a passo svelto. Mentre voltiamo l’angolo, uscendo dalla sala, riesco a cogliere a stento le prime parole del messo.
Non riesco a resistere alla curiosità e mi fermo, spalle al muro, tentando di ascoltare. Sento distintamente che stanno parlando ma le parole si perdono nell’immensità della sala del Concilio, sfumando senza riuscire a giungermi alle orecchie.
«Impiccione.»
Un lieve pugno si infrange sul mio braccio. Mi volto. Illerio si è fermata accanto a me e sta scuotendo il capo, spaccona come sempre. Senza che possa impedirlo il cuore mi si stringe nel guardarla, ma nego a me stesso questa sensazione.
«Non riuscirai mai a sentire cosa dicono, a meno che tu non abbia allenato anche i muscoli delle orecchie» mi schernisce.
Mi viene da ridere.
«Tentar non nuoce. Di solito un messaggero è sinonimo di guai.»
Nonostante sia qui per prendermi in giro, in fondo è più curiosa di me. Si ferma al mio fianco, gettando lo sguardo oltre la soglia con cautela per non farsi vedere, e io la imito. Il messo sta parlando e i Grandi sembrano ascoltarlo con apprensione, ma non si comprende altro. Quando capisce che non c’è nulla da ascoltare Illerio si stringe nelle spalle.
«Se sta accadendo qualcosa di importante lo scopriremo. Adesso sarà meglio che andiamo.»
Senza aggiungere altro mi supera e si allontana seguendo Toqueda, che è quasi sparito all’orizzonte dell’ampio corridoio. Sono costretto ad abbandonare il proposito anch’io, mio malgrado.
Ha ragione, se ci sono guai saremo i primi a saperlo.
Non perdo altro tempo. Senza esitare mi immergo nel corridoio che, ai raggi dell’astro rosso, sembra intriso di sangue.
   
 
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