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Autore: Shainareth    16/04/2018    7 recensioni
*** ATTENZIONE! *** Questa storia si svolge dopo l'episodio "Gorizilla".
Avrebbe voluto dirgli che le dispiaceva, che non meritava di stare male a causa sua e che avrebbe dovuto rivolgere i propri sentimenti altrove, eppure… eppure Marinette aveva capito che Chat Noir era come lei, qualcuno di speciale che la capiva e che condivideva la sua medesima concezione dell’amore. Il destino sapeva essere davvero crudele.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUARTO




Quella sera Adrien rientrò a casa di buon umore. Certo non aveva dimenticato che Ladybug gli era sfuggita di mano in preda ad una strana crisi emozionale, dovuta a qualcosa di non meglio specificato, né che lui aveva perso il portafortuna di Marinette. Era proprio grazie a quest’ultima, però, che adesso si sentiva meglio. La sua vicinanza lo faceva rilassare e riusciva a distrarlo dai problemi con suo padre e dai turbolenti batticuori che gli procurava Ladybug con la sua semplice esistenza.
   Marinette era il suo portafortuna formato gigante. Gli bastava un suo sorriso per sentire il benefico effetto che gli faceva. Era stata ad ascoltarlo per tutto il tempo, mentre lui si lasciava andare spontaneamente alle riflessioni più disparate, senza fare nomi che potessero smascherarlo in qualche modo agli occhi dell’amica – che però, sapendo la verità, aveva compreso ogni singola confidenza senza che lui potesse sospettarlo. Prima di salutarsi, oltretutto, Marinette aveva voluto renderlo partecipe di una decisione molto importante: «Non credo che dirò nulla, ad Adrien. A meno che non sia lui a chiedermelo esplicitamente, non gli dichiarerò i miei sentimenti. So già quale sarebbe la risposta che mi darebbe, al momento, e non ho alcuna intenzione di metterlo in difficoltà.»
   «Ne sei sicura?» le aveva domandato lui, preoccupato che questo potesse nuocerle in qualche modo.
   «Sì», aveva risposto lei, sorridendogli con serenità. «Va bene così, aspetterò che lui sia pronto.»
   Quell’ultima frase e il modo in cui Marinette lo aveva guardato gli avevano fatto sussultare il cuore, facendogli quasi credere che lei avesse capito più di quanto gli aveva dato ad intendere. Ciò nonostante, Adrien si sentiva più rilassato e ottimista. Forse era egoistico, da parte sua, sperare che Marinette mantenesse davvero il suo proposito, ma a conti fatti quello era l’unico modo per evitare ad entrambi di farsi del male, rischiando persino di compromettere almeno in parte quella meravigliosa amicizia – ma avrebbe potuto ancora godere della sua compagnia nei panni di Chat Noir, di questo bisognava comunque tenerne conto, anche se sarebbe stato disonesto da parte sua.
   «Come farai con il portafortuna che hai perso?» s’incuriosì Plagg, mentre Adrien finiva di prepararsi per la notte.
   «Domani proverò a cercarlo ancora», rispose lui. «È probabile che mi sia caduto da qualche parte, lungo il tragitto fra il Musée Rodin e casa di Marinette.»
   «E se lo trovasse qualcuno prima di te? O se lo avesse già trovato…»
   La sola idea gli faceva rimescolare lo stomaco. «In quel caso… sarò costretto a dirle la verità, cioè che l’ho perso», sospirò con aria mogia, sprimacciando il cuscino prima di tuffarci dentro il viso. «Spero non si arrabbi, per questo», aggiunse poi, allarmato per l’idea che potesse accadere.
   «È geneticamente incapace di arrabbiarsi con te», lo rassicurò con un enorme sbadiglio Plagg, rannicchiandosi accanto a lui.
   Adrien sorrise e, coccolato da quel dolce pensiero, si abbandonò infine al sonno senza ulteriori preoccupazioni.

Marinette ci aveva riflettuto su tutta la notte.
   L’aver scoperto che sotto la maschera di Chat Noir si nascondeva nientemeno che lo stesso Adrien aveva scombussolato non poco il suo cuore, rivoltandolo e scuotendolo come fosse stato su una giostra. Le aveva fatto male? No, non proprio. Questo perché Chat Noir era sempre stato molto importante, per lei, soprattutto dopo averlo conosciuto meglio. Era davvero l’amico più fidato che avesse, e continuava ad esserlo anche adesso, nonostante lui non si fosse comportato in modo del tutto corretto; ma anche lei non lo aveva fatto, sin dall’inizio. Era forse una stupida a giustificarlo e a concedergli il beneficio del dubbio? No, affatto. Adrien era un ragazzo di cuore, gentile e buono come pochi altri al mondo. Aveva confidato a Ladybug di essere dilaniato dal pensiero di doverle fare del male, di respingerla e farla soffrire così come soffriva lui. E a Marinette, invece, aveva dichiarato che il portafortuna che lei gli aveva dato era così importante che, senza di esso, si sentiva addirittura inquieto. Non potevano non contare nulla, quelle dichiarazioni, anzi.
   Adesso, a mente più fredda, aveva pensato anche a come comportarsi con lui quella mattina, quando l’avrebbe rivisto a scuola. Anzitutto si era persuasa a ridargli l’amuleto. Doveva ancora stabilire in che modo, però. Forse nascondendolo nella sua borsa come aveva fatto per il cellulare che gli aveva sottratto qualche tempo prima? No, non avrebbe avuto senso: Adrien era convinto di averlo smarrito mentre era nei panni di Chat Noir. Avrebbe dovuto farglielo recapitare a casa in un pacchetto anonimo? Sarebbe stato troppo strano. E se glielo avesse portato Ladybug? Sì, così poi gli avrebbe lasciato capire che lei sapeva la verità. In effetti, era davvero necessario tacere ancora?
   Fu rimuginando su questo che uscì di casa, il portafortuna stretto nella mano destra e quello che le aveva regalato Adrien in quella sinistra. Glielo aveva dato per il compleanno e per lei era stato il più prezioso dei doni: lui, che avrebbe potuto regalarle il mondo con i soldi di suo padre, aveva invece preferito per lei qualcosa di meno pretenzioso, ma dal valore inestimabile, poiché aveva scelto accuratamente gli elementi con cui comporre il portafortuna e lo aveva confezionato con le proprie mani con tutto l’affetto che provava per lei. Marinette sorrise, ancora una volta commossa per quel gesto, e alzò lo sguardo alla strada quando scattò il semaforo. Attraversò e proprio in quel momento vide l’auto della famiglia Agreste svoltare l’angolo e fermarsi poi davanti all’istituto. La ragazza esitò un istante, infine prese coraggio e, dopo aver messo in tasca entrambi i portafortuna, raggiunse l’amico che stava già per mettere piede sul primo gradino della scalinata d’ingresso.
   «Buongiorno», esordì con voce calma, senza balbettare.
   Adrien fu stupito da quella novità, ma l’accolse in modo più che positivo: sarebbe stato meraviglioso se Marinette avesse iniziato a non farsi prendere dalle emozioni quando erano a tu per tu. Sarebbe stato proprio come quando si trasformava in Chat Noir e parlava con lei di tutto e di niente, ridendo e scherzando insieme come due vecchi amici. «Buongiorno», rispose allora, constatando soprattutto una cosa che gli aveva fatto sussultare inaspettatamente il cuore: quella mattina Marinette si era presentata a scuola con i capelli sciolti.
   Era la prima volta che lo faceva e Adrien non poteva che ricollegare quella scelta ad una frase che le aveva detto la sera addietro, sia pure nei panni di Chat Noir, quando lei si era tolta gli elastici dalla chioma con fare stanco, dandogli l’impressione che, dopo un’intera giornata, le facessero male. Per questa ragione, lui aveva colto la palla al balzo e le aveva detto senza troppi giri di parole che stava meglio così, con i capelli sciolti che le incorniciavano il viso e le davano un aspetto più grazioso. Marinette era arrossita vistosamente in seguito a quel complimento, aveva distolto lo sguardo con fare imbarazzato e aveva persino tartagliato parole di ringraziamento proprio come se, anziché Chat Noir, quelle dichiarazioni le avesse fatte Adrien.
   Ed ora eccola lì, con un cerchietto fra i capelli ed il sorriso più dolce del mondo tutto per lui. Ciò nonostante, il giovane non parlò della cosa né le fece complimenti espliciti mentre insieme percorrevano la distanza che separava l’ingresso della scuola e l’aula di scienze. Tenne per sé quei pensieri e ingoiò tutte le parole carine che gli vennero in mente per timore di illuderla inutilmente. Dal canto suo, Marinette apprezzò quella premura, convincendosi una volta di più che, che ricambiasse o meno il suo amore, Adrien le voleva bene per davvero.
   Per tutta la mattinata rimase nel dubbio su quale fosse il momento migliore per restituirgli il portafortuna e alla fine decise di farlo alla fine della giornata scolastica, raggiungendolo quando era ormai in procinto di salire in auto per andar via. «Adrien, aspetta!» lo chiamò appena in tempo, lasciando in sospeso Alya all’ingresso della scuola con un saluto frettoloso. Lui si volse a guardarla con aria stupita e Marinette tentennò un’ultima volta prima di inspirare a fondo e tirare fuori dalla tasca ciò che gli apparteneva. La vista del portafortuna fece sgranare gli occhi al giovane, che li alzò di scatto sui suoi con aria smarrita. La ragazza accennò un sorriso incerto, sperando di non infliggergli un colpo troppo duro quando spiegò: «L’ho trovato ieri.»
   Adrien spostò il peso del corpo da un piede all’altro e sistemò meglio la tracolla della borsa dei libri sulla spalla. «Dove?» le domandò, quasi con timore.
   «Nella… tua tasca», ammise Marinette, temendo il peggio. Lo vide sbiancare, difatti, e fu subito costretta ad aggiungere: «Lo so, sono stata scorretta a prendertelo, ma… avevo bisogno di accertarmi che fosse proprio quello che ti avevo regalato io… Per questo… Per questo l’ho preso prima di scappare via senza darti alcuna spiegazione.»
   Adesso Adrien la fissava con occhi vacui e la bocca socchiusa. Sembrava sul punto di avere un collasso e la ragazza si sentì tremendamente in colpa per essere stata così diretta. Abbassò lo sguardo, mortificata. «Prenditi tutto il tempo che ti serve per metabolizzare la cosa. In fin dei conti… io ho avuto tutta la notte, per farlo.» Detto ciò, esitò un’ultima volta prima di mettergli in mano il portafortuna e di voltare le spalle per tornare a casa, lasciandolo lì da solo, sconvolto e disorientato proprio come aveva fatto il giorno precedente, seppur nei panni di Ladybug.
   Quasi non fece in tempo a muovere un passo che la mano di Adrien le ghermì un polso, bloccando la sua fuga strategica e inducendola di nuovo a guardarlo in viso. La fissava ancora con aria frastornata, ma sembrava almeno aver ripreso colorito. «Tu…» annaspò, non riuscendo ad articolare un discorso di senso compiuto. Si erano davvero invertite le parti? Adesso era lui quello incapace di parlarle, quello a cui il cuore sembrava voler esplodere da un momento all’altro, quello a cui stavano tremando le gambe al pensiero di avere davanti a sé la persona che amava con tutto se stesso? E l’aveva avuta sempre lì, a portata di mano, sotto ai suoi stupidi occhi ciechi…
   Riprese il controllo di sé, o almeno ci provò, e chiuse con uno scatto secco lo sportello dell’auto, facendo sì che nessun altro, all’infuori di loro due, potesse udire il resto del discorso – neanche Nathalie e il suo autista. «Marinette… sei… davvero tu?» domandò infine, cercando di aggrapparsi a quella speranza. Perché sì, di colpo il suo cuore aveva capito che era quello ciò che voleva: che dietro la maschera di Ladybug si nascondesse proprio lei, l’unica ragazza capace di scuoterlo al punto da tenerlo sveglio la notte.
   L’altra trovò a stento il coraggio di reggere il suo sguardo e si impose di non cedere. Annuì. «Mi spiace non avertelo detto ieri sera… dopo che avevo capito che tu eri…» Si fermò per prudenza, temendo che qualcuno potesse comunque cogliere quelle parole. «Avevo bisogno di… realizzare… e capire… e…»
   Le dita di Adrien scesero dal polso alla sua mano, stringendola con calore e quella che le parve addirittura possessione. «Vengo da te. Subito.»
   «Hai lezione di scherma, oggi», gli ricordò lei, che teneva a mente ogni suo singolo impegno e non voleva in alcun modo che l’amato potesse venir meno ai propri doveri a causa sua.
   Lo vide stringere le labbra con fare stizzito prima di sentirlo ribattere: «Chi se ne importa della scherma?!»
   «Adrien», tentò di farlo ragionare Marinette, ricambiando la stretta di mano con sincero affetto e guardandolo negli occhi con tenerezza. «Riflettici su, prima. Avremo modo di riparlarne. Anche stasera, se lo vorrai. Ma, ti prego, non dire o fare nulla adesso. Non hai avuto il tempo per assimilare la cosa.»
   «Neanche tu lo hai avuto, ieri», le fece notare il giovane, addolcendo di nuovo i tratti del volto. «Non te ne ho lasciato. Ho continuato ad importi la mia presenza anche se…» Tacque, dispiaciuto di essersi comportato slealmente, con lei.
   «Attento a non farti bucherellare, durante la lezione di oggi», scherzò invece lei, distogliendolo da quei pensieri nocivi.
   «Non sarà facile evitare distrazioni…»
   «Lo so, perdonami. Ma volevo sapessi la verità e avessi il tempo per ragionarci su.»
   «Grazie. Per la fiducia, soprattutto.»
   «Ti aspetto.»
   «Verrò sicuramente.»
   Non aggiunsero altro, ma fu quasi con dolore che lasciarono andare l’uno la mano dell’altra.

Quello fu un pomeriggio a dir poco travolgente, per Adrien.
   Tornò a casa apparentemente perso fra i suoi pensieri e ascoltò a malapena ciò che gli venne detto da Nathalie, prima, e da suo padre, dopo. Fu sordo a tutto, non perché volesse estraniarsi dal resto del mondo, quanto perché non riusciva a rimanere con i piedi per terra. Aveva la netta sensazione di sentirsi molto più che un pesce fuor d’acqua, molto più confuso di Alice nel Paese delle Meraviglie. Avvertiva un vuoto abissale nella mente ed un profondo qualcosa nel cuore.
   Provò a decifrarlo durante la lezione di scherma, finendo per distrarsi e facendo magre figure davanti a tutti. Non poteva farci nulla, davvero. Nella testa continuava a ronzargli un solo pensiero, lo stesso che lo assillava da giorni; gravato però da una nuova consapevolezza: Marinette era Ladybug. Cosa gli aveva procurato, esattamente, quella rivelazione? Sconcerto? Assolutamente. Più volte si era ritrovato ad associare le due, ma mai aveva creduto per un attimo che fossero la medesima persona. Anche Marinette doveva senza dubbio essere rimasta scioccata dalla scoperta che lui era Chat Noir, e adesso Adrien si spiegava la reazione avuta dalla collega in seguito al loro ultimo incontro. Non era solo questo, però, che gli rimescolava lo stomaco. C’era dell’altro. Molto altro.
   Sollievo? Diamine, sì! Perché adesso non aveva più senso che lui si preoccupasse tanto di scoprire la vera identità della sua buginette. E se anche aveva detto a se stesso che non gli importava chi si nascondesse dietro quella maschera, la verità era che aveva a lungo temuto di rimanerne deluso. Lo aveva capito quando Alya aveva messo in giro la voce che forse Ladybug era nientemeno che Chloé. Adrien era rimasto scottato da quell’esperienza e da allora era stato sempre sul chi va là. Adesso però sapeva, e più ci ripensava, più si rendeva conto che non avrebbe potuto sperare in qualcosa di meglio. Chi altri, se non lei, poteva essere la sua Ladybug?
   Questo pensiero, questa realizzazione, fu quasi l’interruttore che riuscì a riaccendere il suo sistema operativo. Il sorriso tornò ad illuminargli il volto e i suoi occhi riacquistarono la loro naturale lucentezza. Si sentì di colpo rinvigorito: Marinette era Ladybug, ed era innamorata di lui. Di lui e di lui solamente.
   Schivò, avanzò e affondò. Punto. E ancora e ancora, fino a che il suo avversario non fu costretto a indietreggiare così tanto da ritrovarsi con le spalle al muro. «Adrien!» lo chiamò, sperando che quello tornasse in sé. Lo vide fermarsi e fu allora che si azzardò a sollevare la maschera da schermidore dal volto. «Hai deciso di umiliarmi del tutto?»
   Adrien abbassò finalmente il fioretto e scoprì il viso a sua volta, mortificato per quanto aveva appena fatto. «Scusa! Mi dispiace, ero sovrappensiero e…»
   «Me ne sono accorto…» borbottò l’altro, tirando un sospiro di sollievo. «Almeno adesso mi spiego perché poco fa sono stato sul punto di batterti…»
   Il giovane gli rivolse un sorriso e gli porse la mano per aiutarlo a riguadagnare una posizione più dignitosa. «Non dovresti sottovalutarti in questo modo. È vero, ero distratto, ma sei uno dei migliori, qui.»
   «E nonostante questo, mi hai fatto a pezzi», gli fece notare il suo compagno, accettando di buon grado l’aiuto con rassegnata ammirazione nei suoi confronti. «So che sei sempre impegnato», cominciò poco dopo, allorché monsieur D’Argencourt dichiarò la lezione terminata, «ma mi chiedevo se non ti andasse di andare a bere qualcosa insieme.»
   Stupito da quell’invito, Adrien si domandò se davvero il portafortuna di Marinette non fosse stato ricaricato della sua positività grazie al semplice fatto che lei lo aveva tenuto con sé tutta la notte. «Mi piacerebbe molto», rispose allora, sinceramente felice di avere l’opportunità di provare ad imbastire una nuova amicizia. «Oggi però non posso davvero.»
   «Un altro impegno di lavoro, immagino», disse l’altro, seguendolo verso lo spogliatoio maschile.
   «Un’amica», gli rivelò lui, con un certo orgoglio. Aveva davvero senso continuare a chiamarla in quel modo? Adesso che Adrien sapeva la verità, gli sembrava troppo riduttivo. Si accorse che il suo compagno aveva preso a fissarlo con espressione sorniona e arrossì, capendo di essere stato sgamato in pieno. «Sì, beh…»
   «Fammi indovinare: è la ragazza con cui sei stato fotografato giorni fa? O è una nuova?» iniziò allora a tempestarlo di domande l’altro, entusiasta di essere il primo a cui Adrien aveva fatto quella confidenza. O forse il primo non era, ma non gli importava granché: era pur sempre una prova di fiducia, giusto?
   «Sempre la stessa, ovviamente!» esclamò il giovane modello a voce un po’ troppo alta, non sapendo se ridere o indignarsi per l’essere considerato un possibile playboy.
   «È la tua ragazza? Da quanto tempo state insieme?»
   «Cos…?»
   Quelle domande furono udite anche dagli altri loro compagni, già attirati dal tono non più confidenziale che aveva preso la conversazione. Subito si incuriosirono e cominciarono ad interessarsi alla cosa, circondando il povero Adrien in attesa di risposte e di succosi particolari riguardo la graziosa moretta con cui il rampollo della famiglia Agreste era stato avvistato per le vie di Parigi non troppi giorni prima.
   Marinette mi ucciderà, pensò fra sé il ragazzo, alzando gli occhi al cielo ed implorando al suo Lucky Charm personale di dargli soccorso il prima possibile. Funzionò ancora una volta poiché, allarmato dal fatto che Adrien si stesse attardando troppo dopo la fine della lezione, la sua guardia del corpo fece irruzione non soltanto nella scuola, ma anche all’interno dello spogliatoio, lasciando tutti esterrefatti. «Non sono mai stato tanto contento di vederti…» sospirò il giovane, affrettandosi allora a raggiungere il proprio armadietto e a recuperare la roba per cambiarsi e fuggire via da lì il prima possibile – il tutto mentre il suo salvatore teneva alla larga gli altri ragazzi, rei di essere tanto, troppo curiosi della sua vita privata. Quella, però, apparteneva a lui soltanto. E, ora, anche a Marinette.

«Credi che abbia fatto la cosa giusta?» aveva domandato a Tikki quando erano tornate a casa. L’aver rivelato la verità ad Adrien un po’ le metteva ansia: Marinette avvertiva costantemente la paura che si scoprisse ogni cosa e che le loro famiglie e le persone a cui volevano bene potessero poi pagarne lo scotto.
   Il piccolo kwami aveva sorriso con fare rassicurante. «Lo hai detto tu stessa che Chat Noir è la persona di cui ti fidi di più al mondo, no?» le aveva ricordato, quasi ridendo con tenerezza del suo timore del tutto immotivato. «E se Chat Noir è Adrien, direi che puoi davvero dormire sogni tranquilli.»
   Rincuorata da quelle parole, Marinette aveva allora indossato il portafortuna che lui le aveva regalato, allacciandolo al polso come un braccialetto, e lo aveva rimirato a lungo con amore, sperando che, fatta sua l’informazione che lei gli aveva dato nel pomeriggio, Adrien tornasse a bussare alla sua camera anche quella sera – foss’anche solo per un chiarimento riguardo le loro doppie identità.
   Erano ormai le nove e mezza, però, e di Chat Noir neanche l’ombra. Possibile che ci fosse rimasto così male? Che quella rivelazione lo avesse deluso tanto? E, dopotutto, aveva appena scoperto che Ladybug, il suo grande amore, altri non era che una delle sue migliori amiche, una ragazza per la quale non provava altro che affetto fraterno. Magari, anzi, non era neanche attratto fisicamente da lei, a dispetto del complimento gratuito che le aveva fatto la sera prima e che l’aveva persuasa a presentarsi a scuola con i capelli sciolti solo per lui.
   Seduta sul letto, poco sotto la botola aperta dalla quale sperava che il giovane entrasse da un momento all’altro, Marinette se ne stava con le ginocchia issate al petto e le braccia conserte su di esse, lo sguardo al cellulare lasciato lì accanto. L’avrebbe prima chiamata? Le avrebbe mandato un messaggio per avvisarla che non sarebbe passato? Che voleva chiuderla lì, con le sue visite serali? Che aveva solo bisogno di tempo? Lei gli avrebbe lasciato tutto quello che gli serviva, le bastava solo un segnale, una parola da parte sua, che l’aiutasse almeno a sciogliere il nodo d’ansia che le si era aggrovigliato all’altezza del petto, rendendole quasi difficile respirare.
   Poi, d’un tratto, il display del suo telefono si illuminò, facendola sussultare e facendole battere il cuore all’impazzata. Fu solo quando lesse il nome del mittente del messaggio che le era arrivato che il suo entusiasmo si smorzò: Alya, che le chiedeva cosa diamine stessero combinando lei e Adrien. Marinette sospirò, certa che la sua amica ci fosse rimasta male per quanto accaduto all’uscita di scuola, quando lei l’aveva abbandonata lì di colpo per correre dietro al loro compagno di classe. Iniziò a scriverle un messaggio di scuse, ma subito gliene arrivò un altro, questa volta con allegato: lo screenshot di un post di un social network. Le dita della ragazza si immobilizzarono quando lei lesse ciò che c’era scritto e la sua mente si svuotò di colpo, lasciandola assente così tanto che non si accorse di avere ospiti se non quando il materasso sobbalzò sotto al peso di Chat Noir. Spaventata, le scappò un grido strozzato e si voltò giusto in tempo per vedere il giovane che, atterrato accanto a lei sul letto, la fissava con i suoi profondi occhi verdi.
   Aveva bramato così tanto il suo arrivo, ma ora che lui era lì, la prima cosa che Marinette fece fu piazzargli lo schermo del cellulare davanti al naso. «Che diavolo è, questo?!»
   «Eh…?» balbettò Adrien, preso del tutto in contropiede da quella reazione. Si era aspettato di trovarla in sua adorante attesa, e invece eccola che quasi lo aggrediva armata di smartphone. Prese quest’ultimo fra le dita artigliate e lesse: qualcuno dei suoi compagni di scherma aveva avuto l’infelice idea di spiattellare online che lui aveva un appuntamento con la sua ragazza, la stessa con cui era già stato paparazzato in giro per la città. «Non ho mai detto che era un appuntamento! E non ho mai detto che sei la mia ragazza!» le assicurò a quel punto, imbarazzato per la piega tragicomica che stava prendendo la cosa. Marinette si era arrabbiata? Lo avrebbe preso a ceffoni per non averla prima consultata? Perché sì, forse lei avrebbe perdonato qualunque cosa ad Adrien, ma avrebbe fatto lo stesso con Chat Noir? «Marinette, credimi, non ho mai…»
   «Certo che ti credo!» ci tenne subito a chiarire lei, portandosi una mano al petto a mo’ di giuramento, i grandi occhi azzurri spalancati, quasi come se fosse rimasta stupita dalle sue parole. «Mi dispiace solo che tutti abbiano di nuovo frainteso il nostro rapporto», spiegò poi, cercando di recuperare un minimo di lucidità.
   Il giovane sorrise, rassicurato e persino tentato di farle sapere che no, a lui non dispiaceva affatto che il resto del mondo pensasse a loro come ad una coppia. «Lasciamo perdere i pettegolezzi, per ora», ricominciò, gettando il cellulare sul materasso alle proprie spalle. «C’è una cosa che vorrei anzitutto chiarire.» Marinette avvertì tutta la tensione del momento e si spostò per sedere meglio di fronte a lui, un lieve rossore sul viso che Adrien trovò delizioso. Come tutto il resto che la riguardava. «Oggi mi hai aperto un mondo», ci tenne anzitutto a farle sapere, appropriandosi gentilmente della sua mano e scorgendo solo in quel momento il braccialetto che lei aveva attorno al polso. Il cuore gli si scaldò e a lui parve sul punto di esplodere da un momento all’altro. «Quando l’altra sera ho detto che non avrei rinunciato a Ladybug per nulla al mondo, dicevo la verità. C’è una cosa, però, che non ti ho detto», proseguì, ormai pronto a confessarle ogni più intimo pensiero. «Dentro di me, vivevo nel timore di ricevere una delusione, scoprendo chi si nascondeva dietro alla sua maschera. E no, non mi riferisco certo ad una delusione dovuta a mere questioni estetiche.»
   «Non… ci ho pensato neanche per un secondo», volle tranquillizzarlo Marinette con un filo di voce, troppo emozionata e sulle spine per riuscire a muoversi. Rimaneva semplicemente lì, davanti a lui, in balia di quegli occhi magnetici e delle parole e dei gesti che lui le avrebbe rivolto. Era del tutto alla sua mercé: Adrien avrebbe potuto fare di lei ciò che voleva, Marinette lo avrebbe assecondato senza opporre la minima resistenza.
   Lo vide portarsi la sua mano alle labbra, baciandone il dorso con tenerezza. La ragazza si sentì avvampare, mentre un fremito caldo la percorreva da capo a piedi. Era consapevole, Adrien, di quello che le stava facendo? «Confesso, però», riprese il giovane con voce roca, quasi in un sussurro, «di essere più che sollevato davanti alla realtà dei fatti.» Quindi non era rimasto deluso? Quindi era contento che fosse lei, la sua Ladybug? Marinette avvertì gli occhi farsi umidi per la gioia che quelle parole avevano portato con loro. «Di essere felice… di ciò che si nasconde dietro quella maschera.»
   Non resse oltre e la prima lacrima crollò giù dalle sue ciglia scure, spiazzando Adrien. «Ehi…» lo sentì mormorare, dispiaciuto e intenerito a un tempo, mentre lei si portava la mano libera davanti al viso per non farsi vedere in quelle condizioni. Sentiva il cuore battere come un tamburo, quasi volesse scoppiarle in petto, e ogni fibra del suo corpo anelava ora una cosa soltanto: un abbraccio. Non tardò ad arrivare, perché le braccia calde e protettive del giovane l’avvolsero con amore, stringendola con fare gentile e possessivo a un tempo. Avvertì la sua bocca sulla fronte, poi sulla tempia, fino a che non scese a baciarle gli occhi. Marinette alzò appena il viso e i loro sguardi innamorati si incrociarono, lasciandoli incapaci di dire alcunché. E, d’altra parte, cos’altro c’era da dire? Si sorrisero a vicenda, timidi e bisognosi di un ultimo gesto che parlasse per loro. Adrien si chinò sulle sue labbra, ghermendole con tenerezza ed infondendo infine a Marinette quel coraggio che la spinse a circondargli il collo con le braccia e a non negarsi oltre a quel giovane che l’amava con tutta l’anima. Unica testimone di quel momento d’amore, la luna piena che vegliava su di loro attraverso la botola del soffitto.












E anche questa è conclusa. Ripeto, poteva tranquillamente essere una shot, molto lunga, d'accordo, ma pur sempre una shot. Ho preferito dividerla in capitoli sia per non creare problemi ai lettori, sia per non crearli a me correggendo l'intero testo tutto d'un fiato. I miei occhi (e anche i vostri, suppongo) ringraziano.
Ed io ringrazio voi, di tutto cuore, per l'entusiasmo mostrato anche per questa storia (e non me ne aspettavo affatto, giuro... di certo non in questa misura), e spero di potervi intrattenere ancora, in futuro, con qualche altra fanfiction.
Concludo con un affettuoso pensiero soprattutto per Florence e Raffy Chan, che hanno letto in anteprima e mi hanno dato dei preziosi consigli per migliorare.
Un abbraccio a tutti e a presto, spero!
Shainareth
P.S. Ci sarà qualcuno, al Comicon?





  
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