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Autore: Napee    18/04/2018    9 recensioni
"FANFICTION SCRITTA PER IL CONTEST "SFIDA A CATENA - GARA A COPPIE" INDETTO DAL GRUPPO SU FACEBOOK "TAKAHASHI FANFICTION ITALIA".
L’abitacolo della sala del trono del signore caduto del feudo era sontuosa e piena di sfarzi inutili.
Sul lussuoso tappeto vermiglio svettavano le informi carcasse di demoni morti che, grondanti sangue, insozzavano l’aria di miasma ed il pavimento con il loro sangue scuro.
Mi sedetti a terra, con le gambe incrociate, ed iniziai ad afferrare pezzo dopo pezzo, arto dopo arto, cercando di assemblare quella che sarebbe divenuta la mia servitrice.
Attaccai una gamba al busto, poi l’altra ed infine aggiunsi le braccia e la testa mozzata di una donna che avevo trovato nelle rovine del villaggio.
Mi era parsa graziosa e sarebbe stato un vero peccato se fosse finita mangiata dai vermi.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kagura, Naraku
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"FANFICTION SCRITTA PER IL CONTEST "SFIDA A CATENA - GARA A COPPIE" INDETTO DAL GRUPPO SU FACEBOOK "TAKAHASHI FANFICTION ITALIA". 
Sfida a coppie: Napee e Xingchan- prompt: bacio è stato un incubo
 





Origin of the wind
 





 
 
Pov Naraku scritto da Napee
 
 
Una notta scura e tempestosa imperversava nel paesaggio lugubre che si estendeva dalla finestra del palazzo abbandonato.
Il vento ululava fra le case diroccate, stridendo e gemendo come lamenti tormentati.
La pioggia sferzava il terreno impervio e sterile con irruenza, dissetando quelle risaie aride fin quasi ad affogarle.
Tuoni assordanti rimbombavano fra le mura in rovina del palazzo signorile come tamburi di guerra. I lampi, illuminavano la notte a giorno come fiaccole di guerriglieri pronti alla battaglia.
Una notte che pareva perfetta, nella quale riuscivo a sentirmi davvero bene.
Un tiepido sorrisetto increspò le mie labbra poco prima che mi alzassi dallo stipite traballante della finestra.
L’abitacolo della sala del trono del signore caduto del feudo era sontuosa e piena di sfarzi inutili.
Sul lussuoso tappeto vermiglio svettavano le informi carcasse di demoni morti che, grondanti sangue, insozzavano l’aria di miasma ed il pavimento con il loro sangue scuro.
Mi sedetti a terra, con le gambe incrociate, ed iniziai ad afferrare pezzo dopo pezzo, arto dopo arto, cercando di assemblare quella che sarebbe divenuta la mia servitrice.
Attaccai una gamba al busto, poi l’altra ed infine aggiunsi le braccia e la testa mozzata di una donna che avevo trovato nelle rovine del villaggio.
Mi era parsa graziosa e sarebbe stato un vero peccato se fosse finita mangiata dai vermi.
Cucì tutto assieme con meticolosa attenzione, mentre il fragore di tuoni e fulmini mi teneva compagnia.
Il corpo era assemblato, ma mancava ancora la fiamma della vita a scaldare quelle membra gelide.
Presi il volto della donna con cura fra le mie mani e le feci dischiudere le labbra pallide.
Il vento si fece più violento, ululando fra le fessure delle mura diroccate come impazzito.
Mi ferii il pollice della mano con un morso e passai il liquido scuro sulle labbra del cadavere affinché qualche goccia di esso finisse all’interno della bocca.
“Bevi, mia emanazione, e ruba la vita dal sangue che ti sto donando” pronunciai mellifluo, con un sorriso maligno a distendermi le labbra.
Una raffica di vento dirompente spalancò le finestre chiuse e le palizzate di legno che le tenevano serrate caddero a terra rumorosamente. Sembrava quasi che l’aria stesse mutando, acclamando a gran voce l’arrivo di quel nuovo essere fatto di carne morta.
Pian piano l’incarnato del cadavere si fece via via più roseo e le labbra macchiate di sangue assunsero una sfumatura rossa suadente e salubre.
“Benvenuta alla vita, mia emanazione.” Mormorai gentile e garbato. In risposta, la donna corrugò leggermente le sopracciglia e contrasse i suoi lineamenti fini.
Sembrava quasi che si stesse svegliando da un sonno profondo.
Infine, aprì gli occhi. Lentamente, come se fosse tremendamente spossata, ed il colore scarlatto e acceso di quelle iridi mi colpì all’istante lasciandomi interdetto.
Rosse.
Rosse come le mie.
Rosse come il mio sangue che scorreva dentro di lei.
Rosse come quel tappeto su cui eravamo seduti.
“D-dove sono?” Chiese la donna con voce arrocchita, guardandosi intorno spaesata.
“Sei in un castello abbandonato ed io sono Naraku, il tuo creatore.”
La lasciai scrutarmi a lungo, permettendo a quelle iridi gemelle delle mie di scandagliare ogni parte del mio viso.
Poi fece leva sulle braccia e provò a sedersi, allontanando il suo corpo nudo da me.
Indugiò qualche secondo osservandosi, scrutandosi le braccia con sorpresa di poterle muovere. Si carezzò le gambe, il viso ed il collo stupita di sentire il tocco delle proprie dita ed il calore che la propria carne emanava.
Infine poggiò i palmi sul suo petto sussultando, mentre un sorriso commosso si andava espandendo sulle sue labbra.
Che avesse percepito il suo cuore battere?
La vidi guardarsi intorno ancora e rabbrividire per il freddo pungente che attanagliava quelle mura abbandonate.
“Ho freddo” si lamentò abbracciandosi le braccia.
Presi il kimono che avevo recuperato fra le rovine del villaggio e mi avvicinai per aiutarla ad indossarlo.
Lei si voltò e mi guardò ancora, profondamente, come se si sentisse braccata ed avesse paura di me.
“Ti aiuto a metterlo.” La informai cauto e lei annuì nonostante l’ombra del sospetto che le macchiava il viso.
Scostò i capelli su una spalla e subito i miei occhi caddero sull’immensa cicatrice a forma di ragno che le deturpava la pelle della schiena.
Un sorriso tronfio mi nacque spontaneo.
Il mio marchio su di lei la rendeva mia. Avevo ogni potere su quell’ammasso di carne e sangue.
Potevo decidere della sua vita e della sua morte a mia completa discrezione.
La aiutai ad indossare il kimono e la osservai girovagare curiosa per tutta la sala del trono.
Era molto aggraziata e leggiadra nei suoi movimenti. Pareva quasi una piuma che viene trasportata nel vento.
“È qui che vivi?” Chiese infine, senza posare il suo sguardo su di me.
“Per adesso, sì.”
“Dove andrai quando andrai via di qui?”
Corrugai le sopracciglia confuso da quella domanda.
“Andremo.” La corressi indurendo la voce e lei infine osò voltarsi verso di me.
Le sue iridi vermiglie mi scrutavano circospette, non riuscendo però a celare un bagliore di scherno dei mei confronti.
“Io non voglio vivere con te.” Esordì infine, risoluta e determinata.
Aggrottai le sopracciglia oltraggiato da tanta insolenza.
Quell’inutile ammasso di carne osava ribellarsi a me?!
“E cosa vuoi?” Mi sforzai di chiedere con voce quanto più atona mi fosse possibile.
“Essere libera di andare dove voglio” rispose lei con aria sognante, rivolgendo il suo sguardo al di fuori della finestra, dove la tempesta imperversava ancora implacabile, ma il vento aveva smesso di agitarsi senza tregua alcuna.
“Temo che questo non sia possibile.” Dissi infine alzandomi dal gelido tappeto e dirigendomi verso di lei.
La donna mi rivolse uno sguardo irritato che mal celava la sua ostilità nei miei confronti.
“Non deciderai per me.”
“Sei un mio oggetto.” Ribattei sorridente, affiancandola davanti alla finestra.
Stavolta il vento riniziò a spirare violento, scuotendo i nostri indumenti e gemendo lamentoso fra i corridoi deserti del castello.
La donna alzò la testa orgogliosa, tuffando i suoi occhi nei miei con spudorata sfrontatezza.
“Me ne andrò e non puoi impedirmelo.” Mi fronteggiò ed io le sorrisi in risposta.
“Vedremo.” Bisbigliai mellifluo.
Il vento pareva impazzito in quel momento e, spirando funesto ed implacabile, scoperchiò il tetto del castello facendo cadere nella sala del trono detriti e calcinacci.
Alzai il braccio verso di lei e le carezzai dolcemente il viso. Lei non si ritrasse, ma la percepii irrigidirsi.
Infine, con un gesto inaspettato ed irruente, le perforai improvvisamente il petto.
La sentii boccheggiare senza fiato per il dolore, mentre quella sua strenua opposizione veniva pian piano placata.
Le carni del suo torace si muovevano in contrazioni straziate per quell’intrusione mortale ed il sangue sgorgava copioso da foro nel quale stanziava la mia mano.
Sorrisi davanti al suo sguardo smarrito e confuso e, alla fine, quando raggiunsi il suo cuore e glielo strappai via dal petto, la vidi accasciarsi a terra esausta e sfinita con immensa gioia.
Mi rigirai quell’organo fra le mani, come se non sapessi cosa farmene di quel pezzo di carne pulsante.
Lo sguardo intimorito di lei gonfiò il mio petto di ego.
Ecco lo sguardo che una sottoposta dovrebbe tenere, non quello spavaldo e sbruffone con cui era venuta al mondo.
Inglobai il suo cuore nel mio corpo e sorrisi tronfio quando la vidi boccheggiare senza fiato, come se avesse appena perso una battaglia.
In quel momento, il vento impervio che aveva assistito alla scena, si acquietò all’istante.
“I-io…” gracchiò sconvolta, la donna, abbassando lo sguardo sul tappeto rosso.
“Tu volevi essere libera come il vento, non è vero?” La interruppi con voce suadente quanto maligna.
La donna annuì piano, tornando ad alzare gli occhi sulla mia persona.
Stavolta un bagliore di speranza le illuminava lo sguardo.
“E lo sarai, ma solo dopo che mi avrai aiutato a schiacciare degli insetti davvero fastidiosi.”
“V-va bene…” rispose di getto, incespicando sulle parole.
Si alzò barcollando e fu costretta a reggersi al muro gelido e muffoso di quel luogo dimenticato dagli dei.
“Va bene, farò qualunque cosa, ma tu devi promettermi che mi ridarai il mio cuore e mi renderai libera non appena avrò finito di aiutarti.”
Un altro sorriso mi distese le labbra.
“Certamente, te lo prometto.”
Povera illusa.
Mi avvicinai lentamente a lei e la vidi sgranare gli occhi terrorizzata. Risposi con un sorriso tronfio e le carezzai delicatamente le labbra con le mie in un gesto di derisione e di scherno.
Infine mi voltai e feci per andarmene, oramai avevo creato la sottoposta che mi serviva e l’avevo resa una schiava, non occorreva che indugiassi oltre in quel luogo.
Poi mi sovvenne una dimenticanza. Una sciocchezza, un’inezia, ma la voglia di torturarla e punirla ancora per quell’insolenza che aveva osato rivolgermi mi stuzzicò particolarmente.
“Un’ultima cosa: il tuo nome.” Esordì voltando il capo verso di lei.
Pareva provata e stanca. Il buco nel petto si era già rimarginato, ma il dolore doveva averla straziata molto.
“Dato il tuo desiderio di libertà, il tuo nome sarà Kagura, la Signora del vento.”
 
 
 
Pov Kagura scritto da Xingchan
 
 
Un vortice d'aria sferzò con violenza il mio corpo raccolto, e l'ultimo soffio di quel vento impetuoso si insinuò come una carezza nelle mie narici.
Un sapore metallico - sangue - mi macchiava le labbra.
E poi, il battito sordo di un cuore.
Così travolgente, così forte.
Era il mio.
Qualcosa di caldo mi teneva dolcemente il viso, e mi sussurrava con voce tonante, primordiale, seducente, il suo saluto.
"Benvenuta alla vita, mia emanazione."
Vita.
Emisi un gemito di sorpresa a quel primo pensiero e, eseguendo ciò che la testa mi suggeriva di fare, aprii piano gli occhi iniettati di sangue denso.
E videro lui, l'essere che mi scaldava così teneramente il volto, l'unico appiglio a quel buio profondo. Mi specchiai nei suoi occhi scarlatti e freddi allo stesso tempo, rimanendone inspiegabilmente succube.
Era un demone, lo sentivo, ma con le sembianze di un uomo perfetto.
E potevo anche percepire un legame di sangue fra noi, tenace e indissolubile. Colta da una strana pulsione di curiosità, spostai con timore gli occhi da lui per poter guardarmi intorno.
"D-dove sono?"
La mia voce impastata e cavernosa, benché fosse di donna, mi risuonò nelle orecchie come se fossi appena uscita da una tomba. L'ambiente che mi circondava pareva un lussuoso castello di un qualche signore caduto, malridotto dall'incuria e dall'acuta e pestilenziale aura demoniaca che sprigionava... lui.
"Sei in un castello abbandonato, ed io sono Naraku, il tuo creatore."
Provai a sedermi con fatica sul tappeto; e nel mentre, con sorpresa constatai che potevo muovermi. Tremanti, le mie mani sfiorarono quelle che erano le mie gambe, per poi scorrere fino al viso.
Calore.
Prima non ero niente, prima ero fredda; mentre in quel momento percepivo il calore del mio corpo aumentare, e il tocco delle mie dita solleticarmi il corpo, che incredibilmente reagiva.
Mi portai le mani al petto, al mio cuore, chinando la testa quanto più possibile per sentirlo rimbombare nell'anima. E per quanto fosse la prima sensazione provata, nessuna sarebbe stata così straordinaria quanto quella di sentirlo pulsare dentro di me.
Le morbide labbra sorrisero d'istinto; i lunghissimi capelli si mossero, solleticandomi la schiena nuda.
In quel momento avvertii un brivido freddo. Era quel luogo. Ebbi paura di veder scivolare via quel calore dal mio corpo, così cercai di trattenerlo il più possibile con le braccia mentre speravo con tutta me stessa che quel demone tanto simile a me desse importanza a quel mio bisogno. Anche se in cuor mio pensavo che, piuttosto, avrebbe ripreso a sé quella vita che mi aveva donato pochi istanti prima.
"Ho freddo."
 Naraku recuperò dal buio un kimono, e con gentilezza me lo fece indossare.
"Ti aiuto a metterlo."
Paura.
Mentre annuivo senza battere ciglio, una parte di me urlava di non toccarmi neanche con un dito. Era una sensazione opprimente quella che Naraku mi trasmetteva, e l'ombra del sospetto cresceva dentro di me, sempre di più, sempre più velocemente, fino a toccare punte insormontabili che in un modo o nell'altro avrebbero lacerato quel legame di sangue.
Sì, presto o tardi.
Lo assecondai, ma per esigenza personale. Scostai i miei capelli, mostrandogli la mia schiena con il cuore in gola. Non per vergogna, ma perché era un punto vulnerabile. Le pugnalate migliori sono quelle date alle spalle.
Una volta vestita mi alzai, provando a errare per il salone, per regalare a me stessa la sensazione che si prova quando ci si può muovere a proprio piacimento.
La penombra non permetteva di vedere granché: nel profondo della sala scorsi una finestra rovinata, al di fuori della quale le tenebre regnavano come all'interno. I muri erano ammuffiti, il tetto era irrimediabilmente danneggiato: non c'era niente che potesse fare pensare che un tempo era la dimora di un uomo facoltoso.
"E' qui che vivi?" chiesi. Come si poteva stare in un posto del genere?
"Per adesso sì."
"Dove andrai quando andrai via di qui?"
Pensai con ironia che sicuramente avrebbe trovato un posto peggiore di quello, sempre che ce ne fossero.
"Andremo."
Andremo?
Noi?
Mi voltai e lo fissai negli occhi, in un disperato ed inutile tentativo di nascondere la mia angoscia e di fare emergere quel barlume di rabbia che brillava nella mia testa.
No, non c'è nessun "noi"!
Non voglio stare con te!
"Io non voglio vivere con te."
Nonostante fossi tremendamente impaurita e arrabbiata, la mia voce era incredibilmente piatta, determinata, con quel sarcasmo che fino a quel momento mi ero concessa solo nei miei pensieri.
E per la prima volta, mi sentii forte, sfrontata. Più di ogni altra cosa. Più di lui.
Lo sfidai con lo sguardo non appena vidi il suo volto contrarsi in una smorfia di disappunto.
Non mi fai paura, Naraku.
"E cosa vuoi?"
La sua voce vacillò per un istante, e finalmente mi sentii davvero potente. Che strano, prima era lui ad avermi sotto scacco, e adesso ero io quella che aveva in mano le redini di quel gioco pericoloso.
Ma non era il potere ciò a cui agognavo. Era qualcosa che avrei difeso, per cui avrei combattuto, per cui avrei ucciso.
La libertà.
Rivolsi nuovamente i miei occhi all'imposta. Oltre il buio e la tempesta, la vedevo. Fievole, timida. Una luce al di fuori delle tenebre di quel posto; e me ne sentii irrimediabilmente attratta, nonostante sembrasse che lo stesso luogo si desse pensiero di tenerla a debita distanza.
Chissà come deve essere intensa, là fuori.
"Essere libera di andare dove voglio."
"Temo che questo non sia possibile."
La speranza morì di colpo come lo schianto secco di un ramo, mentre salì una furia dirompente che doveva essere espressa in qualche modo, o ne sarei stata consumata. E lo guardai di nuovo, con tutto ciò che straripava dal mio cuore: rabbia, rancore, e un irrefrenabile desiderio di ammazzarlo.
La sua morte per la mia vita.
"Non deciderai per me."
"Sei un mio oggetto", e il suo sorriso mi ferì come una violenta pugnalata alla fronte. L'esplosione della mia collera si manifestò improvvisamente per mezzo del vento, che prese a gridare scuotendo tutto intorno a noi.
Mi aveva fatta come il vento, e il vento è libero.
Sorrisi con fierezza, sentendo ormai che il vento aveva spazzato via tutta la mia insensata paura. Non c'erano ostacoli, perché il vento non può averli. E' la sua natura, ed era anche la mia.
"Me ne andrò e non puoi impedirmelo."
"Vedremo."
Era troppo.
Basta!
Come in risposta alla mia esasperazione, il vento si sollevò con rinnovata violenza, e scoperchiò il tetto già malandato del castello, disperdendone i pezzi intorno.
Per nulla impressionato, Naraku fece un gesto che mi lasciò perplessa: mi carezzò il viso con la sua schifosa mano, facendomi irrigidire per il ribrezzo.
Come si permetteva di fare il bello e cattivo tempo con me?
Come osava lui tenere in gabbia il vento?
Non feci in tempo a cogliere una sfumatura del suo sorriso perché Naraku con velocità fulminea mi infilzò il petto con la sua mano, mozzandomi il fiato.
Dolore.
Il dolore mi macchiò la vista di rosso, il kimono si bagnò completamente del mio sangue; il mio corpo diventò immobile come la pietra, incapace di reagire. Ma se quello non rispondeva, la mia mente era consapevole di quello che mi stava facendo.
La sua orribile mano si muoveva dentro la mia carne con esaltata follia, mentre con orrore e sgomento mi resi conto che rovistava al mio interno per cercare qualcosa a me molto caro.
Il mio cuore.
Gemetti di dolore, e strinsi spasmodicamente le vesti lacerate e fradice nel disperato tentativo di arginare il dolore per potergli impedire di fare qualunque cosa.
Ma Naraku lo trovò: sentii le sue dita che si stringevano attorno al mio cuore e che lo strappavano con una crudele e secca precisione, svuotandomi completamente e lasciandomi cadere a peso morto sul pavimento, amareggiata e boccheggiante.
Il mio corpo devastato tremava vistosamente, preda del tumulto impietoso scatenatosi.
Quel battito che avevo amato e reputato mio era lì, nelle mani di quel maledetto, che se lo rigirava come se volesse valutarlo come qualcosa di poco conto e che poi mi guardava il viso contratto di terrore con trionfo e gioia. Lo vidi inglobare il mio cuore dentro di sé e posare il suo sguardo sul mio, completamente distrutto, mentre, piano, il vento cessava di ululare.
Ciononostante, volevo ancora urlargli che io ero libera comunque. Anche se mi avessero strappato tutti gli organi ad uno ad uno.
"I-Io..."
"Tu volevi essere libera come il vento, non è vero?"
Annuii con umile rassegnazione, e alzai i miei occhi su di lui.
Naraku troneggiava su di me con una spietatezza glaciale e assoluta, ma il suono della parola "libera" inaspettatamente mi rincuorò, a dispetto della situazione.
"E lo sarai, ma solo dopo che mi avrai aiutato a schiacciare degli insetti davvero fastidiosi."
Risposi immediatamente. Avrei fatto qualsiasi cosa per poterlo riottenere.
"V-va bene..."
Mi alzai a fatica addossandomi al muro, rimarcando con ostinazione quel che era diventato mio malgrado un patto fra me e lui.
"Va bene, farò qualunque cosa, ma tu devi promettermi che mi ridarai il mio cuore e mi renderai libera non appena avrò finito di aiutarti."
Lo vidi sorridere ancora, ma non era per nulla rassicurante.
"Certamente, te lo prometto."
Si avvicinò ancora a me, e un nuovo moto di paura si impossessò della mia mente. Provai a ritrarmi, ma ero paralizzata dal terrore per ciò che mi aveva appena fatto. Cosa avrebbe potuto ancora farmi, dopo... quello?
Contrariamente a ciò che mi sarei ormai aspettata da lui, Naraku posò le sue labbra sulle mie con una dolcezza sconcertante.
In un primo momento rimasi interdetta; poi però nella mia mente, slittò il pensiero che con quel bacio maledetto volesse farmi intendere che io ero sua schiava, sottomessa per sempre, e poteva fare di me ciò che voleva, senza remora alcuna.
Lo odiai profondamente, così come odiai quel bacio imperturbabile di derisione e onnipotenza che Naraku mi aveva lasciato.
Maledetto, bastardo!
"Un'ultima cosa: il tuo nome."
La sua insopportabile voce mi giunse nuovamente alle orecchie come un'ennesima stilettata.
"Dato il tuo desiderio di libertà, il tuo nome sarà Kagura, la Signora del Vento."
Signora del Vento, e mai libera.
Era quello, il mio destino?

 
  
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