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Autore: _Lightning_    19/04/2018    5 recensioni
Pepper corrugò appena le sopracciglia, finché la realizzazione di cosa stesse leggendo non la colpì come un maglio in pieno petto.
"Oddio."
Non poté evitare di portarsi una mano davanti alla bocca per lo sconcerto, e si voltò di scatto verso Tony ad occhi sgranati, trovandolo a scorrere intentamente la lista con lo sguardo sicuro di chi la conosce a memoria.
«Questi sono...» cominciò, esitante e timorosa di ricevere la risposta che già conosceva,
«Demoni,» rispose invece lui, ancora senza guardarla. «Una parte, almeno.»

Un preambolo a Civil War che esplora le conseguenze del disastro in Sokovia e i suoi effetti su Tony, Pepper e la loro relazione.
[post-Sokovia // pre-Civil War // PoV Tony+PoV Pepper // Missing Moments]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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Serie: Schegge
 

 

Numeri

 

 


"What I create depends on my inside
There is no difference when
That's not what meets your eye
I'll never be the superhero
They're expecting me to be"


[About Wayne – Caries]

 

 

La bottiglia si stava sciogliendo. Tremava nelle sue mani e perdeva a poco a poco consistenza sotto le sue dita, sempre più simile a gelatina.
Il suo sguardo sfocato fu attirato dai riflessi cangianti del vetro che catturava le luci fioche della città oltre la vetrata. Gli ricordavano quelli della luna sull'oceano a Malibu, quando aveva ancora una villa da cui ammirarli. 
La sua presa incerta si allentò di colpo e lo schianto del vetro che si abbatteva sul pavimento risuonò nell'attico della Avengers Tower, ferendo le sue orecchie sensibili.

Tony indietreggiò barcollando, scostandosi dalla pozza d'alcol costellata di schegge, simili ad iceberg su un mare ambrato. Fissò quel disastro con occhi annebbiati senza la minima intenzione di fare qualcosa per arginarlo e lasciò che la pozza raggiungesse il tappeto. Tornò sui suoi passi, verso l'ampia vetrata affacciata su New York al momento completamente occupata da un ologramma dal riverbero azzurrino.

Un elenco, ordinatamente disposto in colonne.

Si appoggiò al vetro: anche quello aveva una consistenza gommosa, dandogli l'impressione che potesse cedere da un momento all'altro precipitandolo nel vuoto. Fu distratto da un lieve luccichio che gli era parso di scorgere in cielo, proprio dove il portale alieno si era aperto anni fa, quando era stato scaraventato attraverso quello stesso vetro. Barcollò appena sul posto, colpito da una lieve nausea che si sforzò di contenere. Distolse lo sguardo dal cielo e scorse rapidamente la lista, tenendo il segno con l'indice malfermo. Si fermò senza esitazioni.

"Ventitré. Andrej Trudnov."

Annuì tra sé e pronunciò una volta il nome con voce fiacca e impastata, per poi tornare a vagare per il salone evitando con passo ondeggiante i vari soprammobili e bicchieri caduti qua e là durante i suoi passaggi precedenti. Ripeté il nuovo nome un altro paio di volte per memorizzarlo.
Poi ricominciò.

"Bogdan Sokolov. Andy Winter. Frida Bauer. Dimi Novak."

Si accostò alla penisola della cucina, recuperando un'altra bottiglia di quello che sembrava whiskey da dietro il bancone. La inclinò in controluce, verificando che ci fosse ancora del liquore dentro.

"Rodion Petrov. Dunja Petrov. Sasha Zimmer. Goran Fen."

La accostò alle labbra, sentendo la testa che si faceva di nuovo leggera. Il salone vorticò davanti a lui e per un attimo sembrò capovolgersi ignorando ogni legge di gravità.

"Heinrich Zemo. Hilda Zemo. Carl Zemo."

Attraversò la stanza con l'impressione di camminare sul soffitto e calpestò inavvertitamente la pozza d'alcol di poco prima. Sobbalzò al contatto del liquido freddo coi piedi nudi e deviò appena in tempo per non ferirsi con i vetri, senza distogliersi dai nomi che continuava a recitare un po' a mente, un po' a mezza voce.

"Andrej Trudnov. Ventitré."

Interruppe di colpo la sua marcia cieca, ondeggiò sul posto e si diresse di nuovo alla vetrata. Trovò rapidamente il segno, ticchettando sul vetro con sguardo assente.

"Ventiquattro. Charles Spencer."

Bevve un sorso di whiskey e riprese la sua ronda senza meta attraverso il salone, ripetendo da capo la lista. Adesso era il pavimento ad essere molliccio, simile a sabbie mobili. Ebbe l'impressione di sprofondare fino alle caviglie e sollevò con forza un piede, quasi perdendo l'equilibrio quando non incontrò alcuna resistenza. Incespicò e riuscì ad aggrapparsi a una poltrona appena prima di collassare a terra; non si fermò, continuando a costeggiare la parete opposta alla vetrata. Seguiva il muro col palmo per avere un appoggio sicuro, sentendolo deformarsi sotto il suo tocco.

D'un tratto il suo mantra di nomi scemò nel silenzio e si concesse qualche secondo per fare un rapido calcolo.

"Ventiquattro su centosettantasette."

Erano appena le nove di sera. Entro mezzanotte, se continuava con quel ritmo, poteva memorizzare circa altri ottanta nomi. Poi ne sarebbero mancati poco più di settanta.

Annuì di nuovo e svuotò in un sorso la seconda bottiglia di quella sera, poggiandola poi con noncuranza sul divano dove la lasciò a gocciolare.

Avrebbe potuto velocizzare quel processo, senza quegli intervalli tra un nome e l'altro. Dopotutto, quando era al MIT aveva memorizzato in qualche ora le prime cento cifre decimali del Pi greco per una scommessa. Quei nomi però corrispondevano a delle persone, non erano numeri astratti e inutili. Avevano avuto un preciso significato e un'importanza inestimabile nella vita in cui erano inseriti prima di scomparire. Probabilmente, da qualche parte nella successione numerica del Pi greco c'erano le loro date di nascita, la loro età, il numero dei loro figli, la data della loro morte, uguale per tutti...

"Centosettantasette persone, cento cifre. Una cifra a persona..."

Si rassettò con un gesto distratto i capelli, a malapena consapevole di dove fosse davvero la sua testa, come se ciò potesse riportare ordine anche tra quelle riflessioni.

"Altre settantasette cifre per far quadrare i conti."

Si accigliò profondamente e rinunciò a trovare un senso ai suoi pensieri. 
Mosse appena la testa e la stanza sembrò rimescolarsi davanti ai suoi occhi, come una scatola di costruzioni scossa da un bambino. Mise di nuovo a fuoco le colonne di nomi che assediavano la vetrata: ne mancavano centocinquantatré.

Riprese a camminare, con la voce stanca e monocorde ad accompagnare i suoi passi.

 

***

 

Al novantottesimo nome e alla terza bottiglia di whiskey Tony si accasciò contro la vetrata, col mondo ormai ridotto a un tornado che gli vorticava attorno in un miscuglio di colori indecifrabile. Si prese la testa tra le mani e poi premette i palmi sulle palpebre serrate, ma tutto ciò che ottenne fu la sensazione di essere risucchiato in un buco nero, o di sprofondare in acque torbide, o di essere inghiottito in un portale...

Aprì di scatto gli occhi e quasi fu accecato dalle luci notturne di New York che occupavano la sua visuale, oltre la lista ordinata di nomi. Fissò quei puntini luminosi fino a sentirli come spilli conficcati nella sua retina mentre si lasciava scivolare piano a terra, adagiandosi sul pavimento molliccio e instabile. Rimase rivolto verso la vetrata, con gli occhi stanchi e appannati che fondevano le lettere azzurrine della lista con lo sfondo punteggiato di finestre illuminate, lampioni e insegne, in un caleidoscopio agitato e tremolante.

Fissò i grattacieli che sembravano ondeggiare leggermente, scossi dalle fondamenta. Poteva quasi immaginarli mentre si sollevavano lentamente verso il cielo, come qualche mese prima le vecchie case del centro storico di Novi Grad, coi tetti di tegole rossicce che collassavano e i muri in pietra grezza che si sbriciolavano...

Delle vibrazioni lo attraversarono da capo a piedi e il tempo sembrò dilatarsi. Per un momento credette di vedere i palazzi crollare su se stessi e di sentire il pavimento che tremava e vide il soffitto che stava per schiantarsi su di lui mentre tutto sussultava a ritmo con quel terremoto improvviso. Cercò di alzarsi in piedi, ma crollò di nuovo a terra, la testa che ronzava e girava su se stessa come un trottola mentre i suoi respiri si facevano più rapidi e superficiali. Le vibrazioni cessarono di colpo così come erano iniziate, ma lui continuò a tremare da capo a piedi, carponi e col fiato corto. Guardò i grattacieli, trovandoli immobili e stabili, anche se dai contorni sfocati. Il pavimento era cedevole, ma immobile, e il soffitto era ancora intatto sopra di lui.

In uno sprazzo di lucidità tastò la tasca dei pantaloni alla ricerca del cellulare, trovando una spia di notifica che lampeggiava sullo schermo, a segnalare il messaggio appena arrivato. Lo aprì con un gesto automatico, faticando a mettere a fuoco lo schermo che gli feriva gli occhi col suo riverbero. Dovette leggere il messaggio cinque volte prima di comprenderlo:

Tony, sono appena rientrata dalla riunione: è durata più del previsto e ho rimandato la partenza a domattina.
Arriverò a NY nel pomeriggio.

Buonanotte, non fare troppo tardi.

Si abbandonò di nuovo sul pavimento, steso sulla schiena e con lo sguardo puntato oltre la vetrata ricoperta di nomi. Cercò di ripetere la lista da capo, ma si bloccò dopo poco, con le parole del messaggio che si sovrapponevano e interferivano con quelle stringhe di numeri insensati che sembravano dipanarsi all'infinito nella sua mente. Prese un respiro profondo più simile a un rantolo e il suo corpo reagì indipendentemente dalla sua volontà: si ritrovò a premere il tasto di chiamata rapida.
Il tu-tu ovattato proveniva da un'altra dimensione, era un flebile segnale perso nello spazio.
Chiuse gli occhi per oscurare le stelle apparse davanti a lui.

«Tony?»

La sua voce era chiara, segnata da un velo di stanchezza. Cercò di articolare un saluto, ma gli rimase incastrato in gola mentre cercava di ancorarsi a quel suono dolce senza riuscirvi. Sembrava sfuggirgli; si protendeva verso quelle parole, verso mille altre parole pronunciate in quella voce che amava, senza riuscire mai a raggiungerle. Le sfiorava sempre per poi scivolare ancora più lontano.

«Tony, sei lì?» una nota di preoccupazione si insinuò nelle sue parole, la stessa che le aveva letto negli occhi nel corso degli ultimi mesi.

Stanchezza e preoccupazione. A volte un sorriso, di quelli che sembravano far risaltare le sue lentiggini, che portavano alla luce le fossette sulle guance e che le facevano arricciare appena il naso mentre assottigliava gli occhi radiosi. Erano sorrisi vecchi, che si trovava a ricordare più che vedere. Adesso, preoccupazione e stanchezza.

Di nuovo, scivolò un po' più lontano.

Chiuse la chiamata e scostò il telefono dall'orecchio, sapendo che si sarebbe agitata e che probabilmente l'avrebbe richiamato a breve e che lui non avrebbe risposto.Si girò sul fianco e strinse le ginocchia al petto, con la guancia bollente che aderiva al pavimento freddo. Lo sguardo cercava di seguire il reticolo di strade illuminate sotto di lui, ma veniva calamitato inesorabilmente verso il cielo. Le luci tremolanti e calde dei grattacieli sembravano guizzare come mille fiammelle oltre il muro di vetro e nomi. Centosettantasette nomi indelebili. Chissà quanti ne mancavano alla lista.

"Avresti potuto salvarli tutti."

Rimase a guardare impotente la città che bruciava.


 

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Note dell'Autrice:

Cos'è questo? Cos'è questo

Oh, beh, questo è semplicemente un super-iper-concentrato di angst per smorzare l'imperdonabile ventata di gioia che aveva animato i miei scritti nell'ultimo periodo. Questo è la conseguenza del rewatch Marvel in vista di Infinity War, alias "quando guardi i film prendendo appunti". Questo rappresenta i miei giri mentali su tutto ciò che è accaduto dopo il disastro in Sokovia che non ci è stato mostrato direttamente, e che secondo me è fondamentale per capire le prese di posizione di Tony in Civil War.
In soldoni è una supercazzola ad alto tasso etilico di Tony ho-problemi-con-l'alcol-anche-se-nei-film-non-lo-dicono Stark. L'obiettivo sarebbe concentrarsi su tutto ciò che l'ha spinto a sostenere gli Accordi e, su una nota secondaria ma non meno importante, a rompere con Pepper.

Questo capitolo è scritto volutamente in modo piuttosto ambiguo, raffazzonato e sconclusionato: non ho voluto dare un filo logico saldo ai pensieri di Tony persi nell'alcol. Ci sono diversi riferimenti più o meno espliciti a vari traumi dei precedenti film, il che rende il tutto una sorta di "dov'è Wally?" un po' dark tra i pensieri di quel poveraccio. Ah, sì, nel mio fantaviglioso (?) headcanon Tony non ha ancora superato del tutto gli attacchi di panico.
Ultime note: 1) dai dati che ho trovato in giro le vittime in Sokovia sembrano essere davvero 177 (mi sembrano poche per un disastro di quella portata, ma le fonti concordano); 2) i loro nomi, a parte quelle della famiglia Zemo e di Charlie Spencer, sono inventati ma coerenti col fatto che si tratta di un paese dell'est-Europa e presumibilmente slavo; 3) Il rating giallo è per "sicurezza", visto che vi è abuso di alcol.

Il prossimo capitolo sarà anche quello conclusivo... prendetela come una "bi-shot" :D
Ringrazio chiunque leggerà e/o recensirà
<3

-Light-

 

P.S. Vorrei poter dire che la riflessione sulle cifre del Pi greco è mia... in realtà è estrapolata dalla puntata 2x11 di Person Of Interest in cui si fa un discorso del genere. Ho pensato che una mente razionale come quella di Tony potesse arrivare a questo tipo di ragionamento a metà tra il poetico e lo scientifico, soprattutto in un frangente così vulnerabile.
P.P.S. [SPAM
Seguirà probabilmente a breve una one-shot a sé stante con un post-CW bello carico, giusto perché ho poco da dire sull'argomento.



   
Disclaimer:
Non concedo, in nessuna circostanza, né l'autorizzazione a ripubblicare le mie storie altrove, anche se creditate e anche con link all'originale su EFP, né quella a rielaborarne passaggi, concetti o trarne ispirazione in qualsivoglia modo senza mio consenso esplicito.

©_Lightning_

©Marvel
   
 
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