Ouverture
Crescendo
Requiem per un Nome
Caron non nacque dal dolce sentimento di due cuori
innamorati, né dai tumultuosi sentimenti che rapiscono i giovani e imprudenti
amanti. Non fu certo il desiderio di tepore familiare di due sposi novelli che
la volle in questo mondo; non fu nemmeno il triste risultato di una violenza
prevaricante o della ennesima nascita di una povera famiglia in cerca di altre
braccia per lavorare i campi.
Forse si può dire che Caron non nacque
affatto.
Chi può a maggior diritto ricoprire il
titolo di “padre” fu uno stregone che aveva venduto la propria anima alle forze
oscure in cambio dei poteri della non-vita. Lo scambio lo aveva lasciato con
enormi poteri magici, conoscenze proibite e un corpo che, pur essendo
immortale, mostrava chiaramente quanto corrotta fosse la sua anima, essendo
poco più che ossa ricoperte da una pelle grinzosa e grigia. Benché avesse ormai
da tempo lasciato dietro di sé le convenzioni sociali e i normali bisogni umani,
lo stregone era divorato da un’intensa brama di potere e di conoscenza e per
saziarla stipulava continuamente patti sempre più oscuri con entità sempre più
immonde e conduceva esperimenti sempre più raccapriccianti. Ciò però lo poneva
nella irritante situazione di aver ancora bisogno del mondo mortale, che in
fondo costituiva la maggior parte dei suoi sacrifici e coltivava, allevava o
reperiva la maggior parte dei suoi ingredienti. Era però un fatto che la sua
putrescente figura risultasse abominevole a chiunque ancora possedesse un
briciolo di sanità mentale e che tutti gli orrori che la sua magia aveva creato
per servirlo nella torre dove perpetrava le sue sciagure non fossero affatto
più rassicuranti. Questo fu il motivo che fece “nascere” Caron.
Nata dalla magia, assemblata da semplice
materiale organico informe all’interno delle vasche magiche di incubazione, la
vita di Caron fu creata artificialmente dalle arti negromantiche che lo
stregone conosceva alla perfezione e con le quali sapeva molto bene di poter
sfidare persino il reame della creazione che è di norma riservato ai vivi o
agli dei. A lei sarebbe toccato il compito di giungere là dove l’aspetto
orribile dei non-morti non poteva giungere o dove il sole avrebbe bruciato le
carni maledette. Ma non sarebbe stata un’ambasciatrice… ma piuttosto una
messaggera di morte…
Sono molti quelli che lamentano di aver
avuto un’infanzia infelice o breve o poco intensa… Ma Caron non ebbe di questi
pensieri: lei non ebbe alcun tipo di infanzia. Destinata a essere ciò che
avrebbe infallibilmente portato a termine gli ordini dello stregone nelle terre
dei vivi, il suo corpo fu fatto crescere magicamente fino ad avere le
proporzioni di una bimba e così lasciato solo il tempo strettamente necessario
perché i legamenti, le articolazioni e i muscoli fossero impostati per la
massima agilità, forza e resistenza che il suo futuro da assassina avrebbe
necessitato. Insieme al suo corpo lo stregone provvide ad addestrare anche il
suo carattere, perché fosse marchiato a fuoco nella sua mente chi fosse che
l’aveva creata e a chi per l’eternità avrebbe dovuto appartenere.
Con il corpo di una bambina, Caron
trascorre le sue giornate seguendo i più rigidi e terribili addestramenti: le
sue gambe sono costrette ad imparare a correre tra gli alberi marci e gli
acquitrini della palude, mentre deve sfuggire ai feroci cani infernali che le
vengono sguinzagliati dietro per darle la caccia, i suoi muscoli sono costretti
in arnesi e imbracature metalliche che rendono uno sforzo disumano anche il
solo distendere un dito e con essi addosso le è imposto di brandire spade e
armi con le quali deve al più presto imparare ad uccidere. A tutti gli effetti,
la bambina non può dirsi nemmeno tale: nonostante il cervello le sia stato
creato per essere incredibilmente ricettivo, la capacità di parlare non si
manifesta che molto avanti nei suoi addestramenti, essendo i suoi giorni
completamente lontani da creature intelligenti. Tutto ciò che conosce sono i
lamenti dei cadaveri animati dalla magia e i ringhi o gli altri orribili rumori
emessi dalle altre abominazioni della torre o delle paludi. La voce che le
impartisce i primi ordini e che lei impara a capire a forza di essere colpita
violentemente per punire la sua disobbedienza è quella dello spettro di un
antico cavaliere a cui è affidato il compito di istruirla nelle arti della
guerra. Nonostante impari in fretta a comprendere il linguaggio degli uomini (o
di ciò che una volta lo fu), Caron impara in fretta anche a non usarlo; le
furiose vergate che riceve quando tenta di usare il dono della parola per
lamentarsi delle brutali fatiche le insegnano che la parola è un privilegio
riservato ai padroni e non certo a una serva come lei. Senza mai osare fiatare
la piccola Caron stringe i denti e sopporta qualunque genere di dolore: “Solo i
cani hanno il permesso di guaire quando sono battuti, perché loro almeno sono
utili: hanno il fiuto, hanno le zanne e sanno sbranare le carni umane. Tu non
sei affatto degna dei loro privilegi, sei solo un’inutile bambola di carne!”
Con queste parole la voce cavernosa del Cavaliere della Morte sottolinea i
calci che le infligge per punirla della sua scarsa resistenza o anche solo per
vedere se ha imparato a tenere la bocca chiusa. Così tace e tenta in tutti i
modi di eseguire i disumani ordini dello spettro perché così, forse, non verrà
più colpita… Ma spesso è solo una vana speranza del quale viene privata anche
solo perché impari a non sperare. Ancor più spesso, le tredici ore al giorno di
allenamenti la sfiniscono al punto che non è più in grado di tendere l’imbracatura
metallica che le costringe i muscoli e per passare la notte non può fare altro
che strisciare con le sue ultime forze in uno dei putrescenti fossi che
circondano i campi intono alla torre maledetta dove tenta infine di chiudere
gli occhi e far riprendere le sue stanche membra. Quando invece è abbastanza in
forze può recarsi nelle segrete della torre dove riceve il suo lauto pasto: un
pastone che, pur avendo tutto ciò che il suo corpo richiede, ha un aspetto
orribile e un sapore ancora peggiore. Nei giorni di festa Caron mangia quello
schifoso impasto in una ciotola gettata per terra, sforzandosi di raggiungerla
tendendo la catena del collare che la lega al muro, ma il più delle volte
pranzo e cena le vengono servite direttamente per terra e deve contenderselo
con gli scarafaggi che infestano i piani sotterranei della torre… Ma quelli
sono i giorni facili, perché a volte sono gli stessi mastini che la inseguono
nelle paludi quelli con cui deve lottare per poter ottenere almeno un boccone.
Nelle prime fasi di questo suo brutale
svezzamento, Caron ripete questo ciclo di tredici ore di allenamento e cinque
di gelido sonno intervallate dalle ore di servizio che deve prestare al suo
“padre” non-morto, che la impiega come semplice sguattera o per lavori di
fatica anche solo perché non possa conoscere cosa sia il riposo o perché si
cominci ad abituare alla sua terrificante figura e a prendere ordini dal suo
vero padrone. A volte deve semplicemente pulire i pavimenti imbrattati troppo
di sangue, altre deve smembrare i corpi per recuperare organi o arti ancora
sani, o anche solo accatastare cadaveri: l’importante è che sappia quale sia il
suo posto e a cosa dovrà abituarsi. Una volta raggiunti gli standard più
basilari di obbedienza, Caron viene infine assegnata a quello che dovrà poi
essere il suo eterno destino: messaggera dei desideri e delle condanne a morte
dello stregone.
È con l’ordine di recuperare alcuni
banali ingredienti dal mercato itinerante che Caron entra per la prima volta
nel villaggio sulla collina; marchiata dai simboli del suo demonico padrone,
non è cosa anormale che chiunque la rifugga o la scansi nonostante il suo
aspetto infantile. Sono loro, sono proprio gli abitanti di quell’insignificante
villaggio a coniare per lei il suo nome: sono loro a chiamarla Caron… Caron, Il
Traghettatore del Regno dei Morti… Perché chiunque lei prenda per ordine dello
stregone, non farà mai più ritorno… Quello è il suo nome, perché fino a quel
momento lo stregone non ne ha mai pensato uno: per lui Stupida, Schiava, Cane,
Bambolina o Caron sono tutti uguali, purché lei scatti non appena le viene
ordinato qualche cosa. Per un fisico temprato dalla crudeltà dei morti come
quello di Caron, il viaggio verso una meta tanto “florida” è un lusso e un
riposo, ma l’incontro con quelle persone, con i primi Vivi, può essere
considerata forse come la più grande tortura perpetrata dallo stregone… Infatti
mentre Caron muove i suoi primi passi nel villaggio, vede la gente fare
qualcosa che lei non ha mai visto: sorridono… Finché non si accorgono del
simbolo tatuato sul suo corpo tutti sembrano strani… Caron non conosce ancora
la parola per chiamarli… Ma sono Felici… Prima che i genitori le afferrino per
braccia e le trascinino in casa, Caron può anche vedere delle altre bambine… Le
somigliano nelle proporzioni, ma anche loro sono strane… le chiedono da dove
viene… Lei risponde… loro non ci credono… là non vive nessuno… Caron fissa quei
buffi attrezzi di pezza che hanno tra le mani… loro le chiedono se vuole
“giocare”… ma lei non ha idea di cosa significhi… Le bambine un po’ spazientite
le spiegano come si fa, come si gioca con le bambole, come prendono il tè, come
si gioca alle signore… Caron rimane gelida… e gelide diventano anche le bimbe
quando è lei a formulare la sua domanda… “Ti fa correre più veloce? Rende i
tuoi muscoli più forti? Serve a uccidere più in fretta?”… Le bimbe la guardano
con gli occhi sgranati… No… No ovviamente… A quale bambina potrebbero mai
interessare quelle cose… Ma lei una bambina non lo è mai stata … E chiede ancora
“E allora a cosa serve?”… E con i suoi occhi di ghiaccio rimane a fissare
mentre i genitori si affrettano a raccogliere da terra le loro figlie e a
chiudersi in casa… Lontani dalla figlia del demonio… Non è poco… Non è poco da
sopportare… non è poco venire a sapere che c’è qualcuno che non vive come lei…
Che non viene picchiato ogni giorno… Che non mangia il cibo per terra… Che non
deve imparare a uccidere per non essere ucciso… Non è poco sapere che esiste la
felicità… Una condanna come la sua si sopporta meglio se si pensa che tutti
sono venuti al mondo nello stesso modo… e invece… In quel villaggio Caron
scopre che esiste qualcosa che lei non può avere… e questo non è poco da
affrontare… Ma Caron è già fredda e dura come l’acciaio che deve brandire…
L’addestramento del Cavaliere pare essere stato davvero impeccabile… E Caron
non batte nemmeno ciglio nel vedere quel barlume di normalità allontanarsi
dalla sua vita… Le scivola addosso come l’acqua su di un sasso, senza che il
pensiero di aver perso qualcosa di importante nemmeno la sfiori… Per lei già
non esiste più nulla che non sia
Ed è compiaciuto lo Stregone… È
compiaciuto di vederla priva di qualunque traccia di turbamento… È pronta
Caron… È pronta per cominciare ad assisterlo nei suoi laboratori… Nei suoi
studi… È pronta per cominciare a estendere sulle terre dei vivi la nera ombra
del padre… Così Caron ripete i suoi viaggi verso il villaggio, a volte portando
pegni da scambiare con oggetti o componenti arcane, a volte portando con sé
l’ordine di consegnare qualche tributo per evitare che l’ira dello stregone si
abbatta su di loro… E questi obbediscono… Anche se è solo una piccola bambina a
portare quel messaggio, sanno chi tira i suoi fili… Sanno cosa significhi
sfidare lo stregone… E obbediscono… Con odio… Con riluttanza… Con lacrime… Ma
obbediscono… E Caron continua a osservarli con i suoi occhi di ghiaccio… Non
trova nulla di strano in quello che le succede attorno… non trova nulla di
male… Per lei il mondo funziona davvero così… Il forte domina… Come suo “padre”
domina lei… Il debole obbedisce… Come lei obbedisce… Non vi è nulla al di fuori
di questa semplice legge… Caron è nata in un mondo in cui Giustizia… Carità… Amore…
non sono mai arrivati… e mai sono stati attesi…
In questo suo nuovo inferno fatto di
sacrifici umani, orribili torture e esperimenti crudeli a cui lei assiste impassibile,
Caron fa un altro incontro “strano”… Un giovane segue ora il padre nella torre…
Lo stregone le dice che è suo “fratello”… Un altro essere creato con la magia
per essere tutto ciò che lei non potrà essere… per essere un mago… per essere
un’assistente da istruire nelle arti arcane… Sapendolo lontano dalle paludi in
cui Caron fugge di giorno e dalle segrete in cui dorme di notte, si sarebbe tentati
di pensarlo più fortunato di lei… Ma le torture sanno avere molti aspetti… E se
lei è torturata nel corpo ancor più che nella mente, per lui è vero l’opposto…
Rinchiuso nella torre nera studia i folli segreti della necromanzia lordando il
suo animo dei segreti dei morti… e della brama di potere che hanno lasciato
dietro di loro… Lui ha un nome…
Perché lui deve sapere chi è… Lui è Mephisto…
Mephisto Vox…la Voce di Mephisto… La voce del Diavolo… La Voce di suo
Padre…
Sorpresi da quel destino così comune e
pure tanto diverso i due figli del demonio sembrano capire immediatamente quali
sono i piani del padre per loro… Capiscono subito di essere stati creati per
essere due metà di una cosa sola, di essere fatti per compensare a vicenda le
mancanze dell’altro… E forse per un’affinità scritta con la magia nelle loro
menti ben prima che nascessero, sanno di doversi premurare che l’altro
sopravviva se loro stessi vogliono avere un futuro… Questo è l’unico logoro
brandello di sentimento che è loro consentito… Lordo dell’istinto di
sopravvivenza è però solo questo che li unisce non per paura a un altro
essere…E così è Caron che lo trascina via dalle sale in cui spiriti ululanti lo
riducono all’incoscienza mentre lui tenta di dominarli con le immature arti che
il padre gli insegna… Ed è Mephisto che scende di tanto in tanto nelle segrete
per far scivolare di nascosto dell’acqua o un unguento per le ferite tra le
sbarre della cella di lei. Per qualche tempo questo è tutto ciò che può
rassomigliare a un rapporto umano che Caron conosce, poi… Poi un giorno…
Caron cammina per le strade sterrate del
villaggio e come al solito tutti svaniscono non appena la sua ombra si allunga
verso di loro. Caron non è lì per loro quel giorno, non deve chiedere nessun
pegno in nome del Nero Signore della torre… Ma è bene che quei mortali fuggano,
perché non devono scordare la paura… È questo quello che comanda il padre… Ma
quel giorno, tra i mortali che hanno paura, ce n’è una particolarmente strana… Una
strana bambina… Non scappa… Non si nasconde… E non arrivano neanche quegli
altri mortali più alti a portarla via… E per di più continua a fare quella
strana cosa… Continua a sorridere… Gli altri smettono sempre quando la vedono…
Ma questa no… Le chiede anche se vuole “giocare” con lei… Caron le chiede perché
si giochi… perché, ad essere sinceri, lei ancora non lo ha capito… “Perché è
divertente” Le risponde l’altra semplicemente. Diversamente dalle prime
bambine, questa non sembra sorpresa della domanda… E non la fissa con gli occhi
sgranati… e le parla con quell’espressione così sicura che quasi, per un
momento, Caron ha l’impressione di aver capito… Ha l’impressione che stia
dicendo la verità… Anche se non ha proprio idea di cosa significhi
“divertirsi”… Ma la bimba lo dice così bene che deve per forza essere vero… È
per quegli occhi decisi… Per quegli occhi sinceri… Occhi che lei non aveva mai
visto… È per loro che prova curiosità… E chiede “Cosa significa divertirsi?” E
la bambina non sembrava aspettare altro: “Divertirsi significa stare bene”…
Concentra la bambina strana… Caron non sa davvero cosa significhi “stare bene”,
ma pensa che si riferisca a quando il calci e i colpi di bastone si sentono di
meno e i lividi cominciano a sparire… E Caron quel giorno li sente tanto e non
ricorda nemmeno perché è stata picchiata… Ma le piacerebbe che il dolore
diminuisse… Così, pensando che la bimba conosca un segreto, le dice “Puoi
insegnarmi?”… Non sgrana gli occhi la bambina, non la fissa di stucco… Continua
a sorridere e la prende per mano, invece… E la fa correre fino sui prati che
circondano il villaggio… È primavera, anche se per Caron è sempre autunno… Si
guarda attorno Caron, cercando di carpire i segreti del divertimento… ma lì
intorno non c’è niente… a parte loro… La bimba si siede sull’erba e Caron
subito la imita… Forse è quella strana cosa verde che sta per terra che
guarisce… Suo “Fratello” dice che gli unguenti che le dà sono fatti di “Erbe”…
La bambina intreccia tra loro dei fiori e Caron la fissa per imparare la tecnica,
come fissa lo Spettro per imparare i suoi movimenti nell’arte della spada… Ma
quando la piccola vede che è ferma a fissarla, coglie un fiore e glielo porge…
Caron lo fissa un attimo, poi pensa che sia quello il segreto… e sporgendosi in
avanti ne fa un sol boccone… lo inghiotte subito, come è abituata a fare con i
suoi pasti per non sentirne il terribile sapore, ma, nel breve tragitto nella
sua bocca, pensa che in effetti non è affatto male… È un sapore strano, ma
certo assai migliore di quella cosa che le gettano sul pavimento della cella…
Quella bambina deve saperne di cose… E adesso la bambina ride... Ride divertita
nel vedere Caron inghiottire il fiore e quando Caron le chiede cosa stia
facendo lei ancora col sorriso risponde “Rido. Anche ridere fa stare bene” Ma
quella è una lezione davvero difficile per Caron… Così decide di tornare…
Perché vuole imparare quella cosa che non capisce bene…
Da quel giorno Caron ogni volta che
torna al villaggio scopre delle cose nuove… E finalmente quel suo gelido
autunno muta in una pallida primavera… La bambina la stupisce… Fa cose che per
lei non avevano senso, prima di incontrarla… Ha premure per lei… le parla, non
le urla… le insegna… E anche se molte cose Caron trova che non servano a nulla,
anche se intrecciare i fiori non ti aiuterà uccidere un uomo, la ascolta e
impara, solo perché trova che sia “bello” che le mostri quelle cose con una
voce dolce e con premura, anziché picchiandola… Quando sta con lei, a Caron
sembra quasi di “essere” qualcuno… quasi si ricorda di avere una voce… dei
pensieri… forse anche, nascosti in fondo, sotto il ghiaccio che imprigiona la
sua anima, dei desideri… Ma tutto questo Caron ancora riesce solo a sentirlo
come un debole calore in fondo al cuore… Niente di più, ma è abbastanza per
farle desiderare di tornare… Adesso, quando gli esercizi si fanno estenuanti,
quando lo stivale dell’armatura del cavaliere le schiaccia il viso nel fango,
quando le urlano di fare più in fretta, Caron obbedisce senza fiatare non per
paura di essere picchiata… Ma perché spera che, se sarà obbediente e se
eseguirà gli ordini, potrà tornare ancora nel villaggio e potrà rivedere la
bambina…
Un giorno Caron scopre che, come suo
fratello, anche la bambina ha un nome… Deve essere davvero importante… Si
chiama Amabel… e quando Amabel le chiede il suo di nome… Lei dice che non ce
l’ha… “Allora dovremo trovartene uno!” Esclama lei felice a quella prospettiva
“Ci vorrebbe un nome dolce e bello, come te… Vuoi chiamarti… Millishea?”…
Volere… Desiderare… Ancora non sa bene se lei può… Se le è consentito… Ma se
glielo danno… Forse un nome può prenderlo… un nome tutto suo… E poi… Suona così
diverso dai suoni che le rivolgono per chiamarla alla torre… è… strano… chissà
poi cosa significa davvero Dolce… o Bello…
Per sentire ancora quel nome, Caron tace
e subisce qualunque tortura che alla torre pensino possa meglio forgiarla… sono
addirittura compiaciuti, i suoi padroni… Sembra finalmente aver perso ogni
traccia di resistenza… Sembra accettare la sua sorte con pregevole
sottomissione… Come si addice a una schiava dei Morti… Ma è in realtà ai vivi,
anzi a una sola di loro, che va la dedizione di Caron… E mentre la vita
comincia debolmente a sorridere a Caron… Caron comincia a sorridere alla vita…
E a pensare che forse… in un piccolo angolo della sua “vita”… In quel piccolo
angolo su quel lembo di prato verde… In quel piccolo angolo insieme ad Amabel…
Forse lì può avere qualcosa che la fa “Stare bene”… Che forse esiste qualcosa
di “Bello” che anche lei può avere… anche se nel resto della sua vita vige un
perenne e terribile autunno… Caron comincia a credere che, come tutte le
persone che ha visto nei suoi viaggi al villaggio, anche per lei possa esserci
almeno un piccolo posto in cui conservare la primavera… in cui un giorno,
forse, anche lei potrà imparare a fare quella strana cosa… potrà imparare a
sorridere…
…Caron si sbaglia…
…È un giorno d’estate, di fine estate,
il giorno in cui compie il suo primo vero errore… Spesso al maniero la hanno
picchiata dicendole che stava sbagliando, ma era sempre diverso… In quei
momenti semplicemente non sapeva ancora fare qualcosa e i colpi violenti le
servivano per “imparare”, non per correggere… In fondo Caron è stata creata per
essere brillante e intuitiva e, una volta imparate, le lezioni non le scorda…
né le mette in dubbio… E sempre si attiene agli ordini… sempre perfetta
nell’esecuzione… Tranne quella volta… Quel giorno d’estate, di fine estate…
Amabel le chiede di giocare ancora un poco… ma il sole sta già calando… Ma
Amabel dice che non c’è problema… può dormire a casa sua… È sempre così sicura,
Amabel… I suoi occhi sembrano sempre avere un segreto… Sembra sempre sapere
cosa sia giusto… Forse Caron si fida di quegli occhi… Forse Amabel è la prima e
unica persona di cui Caron si fida… E pensa che se lo dice lei non possa
esserci niente di “male”… E, inoltre, per la prima volta Caron sente che non è
un ordine a cui deve obbedire… Per la prima volta Caron Desidera rimanere un poco più a lungo insieme ad Amabel…
…È quello il suo errore… Aver imparato a
Desiderare… Volere qualcosa… Avere una volontà…
…Mentre per la prima volta nella sua
vita Caron si corica tra delle soffici coperte e un morbido materasso, la
piccola non si chiede nemmeno più perché anche i mortali alti, gli adulti della
casa, la accolgano senza fuggire… Hanno anche loro quello sguardo “buono” che
ha Amabel… E poi, la bambina la ha oramai abituata alle cose “strane” a che le
cose possano funzionare anche in maniera diversa da come vanno dentro la torre…
Non si fa domande Caron, mentre per l’unica volta nella sua vita “dorme”
davvero… Ma è qualcun altro a porsi domande e a darsi risposte in quella notte…
È uno stregone che, per la prima volta da quando ha lasciato il suo corpo
mortale, assapora il gusto della disobbedienza… un gusto che non sa e non ha
intenzione di sopportare… La domanda è ovviamente dove sia finita la stupida
marmocchia che aveva mandato al villaggio con un compito troppo semplice per
prendere più di un giorno… La risposta giunge invece nella forma di un branco
di licantropi che sotto la luna piena ulula il comando di sbranare e
distruggere fino a quando la schiava non sarà trovata… Brucia il villaggio…
Grida il villaggio… Fugge il villaggio… Ma Caron non è lì, non è nelle case dei
contadini, dei commercianti… È nella magione del padre di Amabel… Fuori dal
villaggio… Ma questo non li salva a lungo… Presto il branco raspa con gli
artigli affilati le strade sterrate che escono dal villaggio, continuando la
ricerca nelle terre circostanti e poco dopo infrangono le finestre della villa,
trascinando la tranquilla notte in un vortice di urla e terrore .
È subito in piedi, Caron… Il morbido
letto non ha cancellato i rigidi insegnamenti dei padroni… Capisce subito cosa
sta succedendo… Sa subito cosa fare… si getta giù per le scale, raggiunge di
corsa quelle strane armi con cui i suoi ospiti si portavano il cibo alla bocca
il giorno prima… le è bastato uno sguardo di sfuggita per capire che erano
d’argento… che servivano per difendersi da creature come quelle… Il suo corpo è
piccolo, ma il suo istinto assassino è già affilato… tenendo dietro di sé
Amabel e la sua famiglia combatte come una furia ignorando le ferite e
uccidendo una belva dopo l’altra… Ma dopo poco capisce che quello non è un
semplice assalto per sbranarli… per mangiare… sono venuti per riportare
indietro qualcosa… sono venuti per lei… Sono come lei… sono i servi assassini
di suo “padre”… E la sua primavera… È stata solo un’illusione… Breve e intensa
come il lampo di un acquazzone estivo… Aveva ragione lo Spettro…
Il sangue, le fiamme, le zanne… Sono
quelle le cose di cui è fatto il suo mondo… No, non solo il suo… Il Mondo
intero obbedisce a quella legge crudele… Se quando Amabel le ha chiesto di
dormire nella sua casa Caron ha espresso il suo primo desiderio, è quella
stessa notte che Caron fa la prima vera scelta della sua vita… Può scegliere se
continuare ad aggrapparsi a quella sua Primavera a ogni costo, uccidere tutti i
lupi e tutti quelli che verranno dopo per non lasciarsi portare via
quell’angolo di Primavera… Oppure può scegliere di desistere… di abbandonare la
sua Primavera… Di sacrificarla per salvare quella di Amabel…
Anche tra i saggi, molti potrebbero
arguire a lungo su cosa mosse una creatura dal gelido passato a quella scelta…
alcuni potrebbero dire che la bambina fosse davvero riuscita nel pur breve
tempo a far capire alla fredda Caron cosa significasse “voler bene” a qualcuno…
Che la dolcezza dei suoi insegnamenti avesse vinto la crudeltà delle punizioni
del “padre” e che così Amabel avesse aperto una breccia nel cuore della gelida
allieva e attraverso essa avesse fatto filtrare la luce dell’Amore… Altri
potrebbero obiettare che Caron fosse semplicemente troppo intelligente e
calcolatrice per non rendersi conto di come in realtà la sua Primavera fosse
già finita… Conosceva fin troppo bene di cosa fosse capace lo stregone e sapeva
che non importava quanto duramente combattesse o quanto lontano fuggissero, la
punizione sarebbe stata certa e terribile… La fuga o la resistenza sarebbero
state inutili… Avrebbero solo incrementato le perdite…
Come che sia, Caron abbandona le armi e
ordina ai lupi di lasciare insieme a lei la villa, senza toccare i superstiti…
tornerà di sua volontà, ma ogni inutile spargimento di sangue lo compenserà con
la morte che ha già dimostrato di saper portare… la rabbia, sentimento
congenito per un lupo mannaro, quasi spinge le belve a balzarle nuovamente alla
gola, per punirla di quella sua irriverenza… Ma i cadaveri sgozzati dei propri compagni
ricordano loro come quella piccola creatura sia stata addestrata a portare a
termine i suoi compiti anche a costo della sua vita e se anche l’orgoglio
impedisce loro di pensare alla sconfitta, sanno che dovranno sbranarla del
tutto prima di farla cedere… Perché Caron è addestrata a spezzarsi, ma mai a
piegarsi… E lo stregone ha detto che devono riportargliela viva… Così,
ringhiando e sbavando, a malincuore le creature accettano e scortano la piccola
Caron lontano dalla villa, lontano da Amabel… Lontano dalla Primavera.
Al suo ritorno del maniero, Caron si
aspetta la punizione che sa di meritare e certo lo Spettro non le risparmia
calci e percosse, ma è quasi stupita… Pensava che i colpi sarebbero stati più
numerosi e più forti di tutte le altre volte, visto che tale era stata la sua
disubbidienza… Ma Caron ancora è ingenua… E pensa che la violenza sul suo corpo
possa essere l’unico modo che lo stregone ha per correggere gli errori di
quella che ai suoi occhi non-morti è l’evidente segnale di carente disciplina nel
suo addestramento…
“Mi avevi illuso, piccola stupida…” La
accoglie il Padre seduto sul suo trono d’ossa “…Mi avevi illuso che per una creatura
viva e “pensante” fosse sufficiente ciò che basta ai cani per imparare
l’obbedienza… Ma il folle gesto che hai compiuto stanotte mi conferma quanto
spregevoli siano le creature in cui ancora batte un cuore… Ciò non ostante, non
pensare che ti sarà così semplice convincermi che meriti di essere annientata:
mi servirai, spregevole marmocchia… Mi servirai per l’eternità… E sarai il mio
braccio nelle terre dei vivi… E come ogni braccio, non avrai alcuna volontà
tua… Se l’acciaio che hai finora assaggiato non ha ancora cancellato in te quelle
inutili zavorre che i vivi chiamano emozioni, significa unicamente che la dose
non è stata sufficiente… È giunto per te il momento di crescere…”
E con quelle parole, lo stregone non vuole
certo alludere alla sua maturità, ma parla della sua forma… Rinchiuso
nuovamente nel laboratorio dello stregone, il corpo di Caron abbandona infine
quella breve finzione di infanzia e riemerge dalla vasca di cristallo con le
forme di una stupenda, perfetta e triste giovane donna… Ora, con un corpo più
adatto a quegli occhi già tanto disillusi da non poter mai appartenere a una
bambina, Caron viene richiamata di fronte al trono d’ossa… per ricevere il vero
compenso per la sua disobbedienza…
“Da oggi lascerai
…E Caron non disobbedirà mai a
quell’ordine… Come predetto da suo “padre”, l’arena affoga nel sangue quel
principio di curiosità che una creatura appena venuta alla luce possiede
istintivamente. Nell’arena le cose sono estremamente semplici: Impugna la
spada, Entra nell’Arena, Uccidi i tuoi avversari, Esci dall’arena… Ricomincia… Nessun
mistero, nessuna domanda, solo Sangue e Acciaio… Se la tecnica che lo spettro
le ha impresso nell’istinto le ha fatto conoscere ogni movimento della spada
che assicura la vittoria, il corpo perfetto che il padre ha creato con la magia
le concede tutte le capacità per mettere a frutto quegli insegnamenti. Più
forte degli uomini più grossi dell’arena, più agile delle più svelte acrobate
che volteggiano oltre i dorsi di tori infuriati, Caron, più che grazie a queste
doti, trionfa con il suo freddo istinto omicida che giorno dopo giorno
obbedisce alle parole del padre diventando più e più affinato e radicato nella
mente e nell’anima della giovane assassina… Come gladiatrice il successo di
Caron è meno grande di quanto si possa credere: se la tecnica letale è sempre
più chiara nella sua mente, essa non lascia però spazio ad altro, specie
l’inutile senso dello spettacolo che la vita del gladiatore richiede. Il vero
spettacolo che tutti attendono alla sua entrata nell’arena è quello delle sue
perfette forme: una donna bellissima, senza alcun difetto, che difficilmente si
può osservare nelle corti dei più grandi regni, che poggia piede sul polveroso
terreno del circo. Le battaglie di Caron sono certo poco remuneranti dal punto
di vista dello spettacolo: va troppo diretta al punto, non gioca con
l’avversario, pensa solo a ucciderlo nel minor tempo possibile… Questo non
piace particolarmente al pubblico… Ma le sue tecniche sono strabilianti… Con
quel corpo perfetto volteggia con grazia inumana e colpisce con potenza letale…
Le sue tecniche sono così perfette da risultare irreali: sembrerebbero delle
semplici dimostrazioni da parata… se inevitabilmente non si concludessero con
il decesso del loro bersaglio.
Ciò che di solito impedisce agli altri
gladiatori di perdere ogni rispetto per la vita non ha alcuna presa sull’animo
di Caron; i cori degli spettatori e il favore della folla, la fama e la gloria,
sono di solito la moneta di scambio con cui i combattenti dell’arena barattano
la vita dei loro avversari… È poco, molto poco… ma almeno ha un senso, anche se
distorto… la fama e la gloria non hanno però corso per Caron: la morte dei suoi
nemici non rappresenta altro che una prova d’obbedienza alla tirannia del
padre… le loro vite vengono immolate in un oscuro rituale privo di senso di cui
Caron è sacerdotessa, carnefice e spettatrice… e così tante volte assiste a
tutto ciò che la terribile profezia dello stregone si fa sempre più vicina…
sempre più vera… Fino a che il mondo lontano dalla spada, lontano dall’arena
cessa di esistere... Quando scoppia una rivolta e i gladiatori tentano la fuga,
Caron rimane seduta nella sua cella e anche quando un altro schiavo spalanca la
sua porta e la invita a fuggire, lei non muove un passo…
“Non c’è niente là fuori per me che sia
diverso da ciò che sto già facendo in questo luogo…” È la fredda risposta
all’insistenza del “compagno” che è costretto a lasciare di corsa le prigioni
senza che la fredda lottatrice si sia mossa… Non c’è luogo dove andare per
Caron, non c’è altro che la vita le possa offrire… L’Autunno di Caron è infine
calato su ogni angolo della sua anima, vestendola di un abito d’acciaio e
nutrendola col sangue di mille e più uomini…
Anche se ci sono voluti anni per
raggiungere questo gelido autunno, infine Caron è all’”altezza” delle
aspettative del padre che, non avendola mai lasciata lontana dal suo occhio
sempre vigile, se ne compiace e fa giungere al padrone della scuderia l’ordine
di riportargli la “figlia”… È così che Caron torna infine alla lugubre torre, il
suo sguardo gelido ancor più di prima, il suo corpo infine forgiato a dovere
per compiere le terribili condanne a morte del padre. Senza più vestigia di
umanità nello sguardo, la giovane donna viene accolta con favore dallo stregone
che con soddisfazione constata quanto la sua cura sia stata efficiente… È ora
che tutto il sangue che l’ha nutrita dia infine i suoi frutti…
Lasciate le arene degli uomini, per
Caron la quiete non giunge affatto: pronta infine per il compito di emissaria
nelle terre dei vivi, essa è ora il braccio dello stregone che si allunga per
predare e riscuotere nelle terre circostanti… Se i giorni in cui aveva vestito
le spoglie di bambina l’hanno fatta conoscere come chi riscuote merce da
scambiare con l’oscuro signore della torre, il suo bellissimo eppur
terrificante aspetto da adulta porta un nuovo orrore nei mortali: se prima
infatti la “figlia del Demonio” portava via solo oggetti e tributi, ora torna a
calpestare le strade dei villaggi per chiedere sacrifici ben più dolorosi…
Sacrifici umani… Giovani uomini e donne da immolare sugli abominevoli altari di
demoni e divinità dell’oscurità… È per questo… È per questi viaggi in cui accompagna
le vittime che i villici cominciano a chiamarla con quel nome oscuro…
Cominciano a chiamarla Caron…. Il Traghettatore del Regno dei Morti… Ma quello
che gli abitanti dei villaggi non sanno è che l’orribile compito che tocca a
Caron non finisce con il semplice “trasporto” della vittima… Il padre la ordina
sua assistente… Deve assisterlo negli strazianti rituali in cui giovani donne
vengono offerte in dono alle perverse brame carnali e alla fame di carne umana
di demoni dell’Abisso e Signori delle forze oscure, aiutando il padre dove le
scarne e gelide braccia del suo cadavere non sono adatte ad afferrare le carni
dei vivi o dove le chele dei demoni le lacererebbero prima di averne tratto
piacere… Nel maledetto vortice di questi riti violenti e rivoltanti, le mani di
Caron costringono ora questa ora quella giovane donna a piegarsi ai riti
depravati che il padre compie… Ma nemmeno questo può più rompere il ghiaccio in
cui il padre l’ha intrappolata… Tutto avviene come deve essere, come le hanno
insegnato che deve essere… Nemmeno lo strazio più orribile la smuove dalla
meccanica freddezza con cui compie quei gesti… I forti dominano… i deboli
obbediscono… Come suo padre domina… Come lei obbedisce… non ci sono altre leggi
nel mondo di Caron… come il padre aveva detto, oramai Caron non sta con animo
malvagio calpestando pietà e umanità nel compiere quei terribili rituali…
Semplicemente la “vita” che il padre le ha assicurato ha fatto in modo che
questi concetti non potessero mai germogliare sotto lo spesso strato di
ghiaccio eterno: non esiste una morale che possa essere calpestata o preservata
e dove non esistono alternative, non esistono nemmeno scelte da prendere… E
dove non ci sono possibilità di scelta non c’è né gioia né dolore, c’è solo una
neutra necessità che non ha nemmeno il sapore della rassegnazione… dove non ci
sono possibilità di scelta, non c’è volontà… non ci sono desideri… come un
sasso lanciato in aria non può fare altro che ricadere… Caron non può fare
altro che obbedire a quella onnipotenza che il padre le ha marchiato a fuoco
nell’animo e il coinvolgimento che prova non è né più né meno di quello di quel
sasso che cade inesorabilmente verso terra…
Anche uno smeraldo, anche un diamante o
un rubino… rosso come il sangue di cui Caron è macchiata… anche la pietra più
bella e perfetta, rimane pur sempre una pietra… che non può piangere, che non
può ridere… E Caron è perfetta… perfetta come assassina, perfetta come schiava,
ma perfetta deve essere anche come pedina… una pedina da muovere ancora una volta
sui campi polverosi delle arene… per questo benché il suo animo venga
incurantemente tinto nel sangue di vittime innocenti e deturpato da quella
glaciale obbedienza, il suo creatore si premura di lasciare mondo il suo corpo
da quei rituali… perché quando i riti sono conclusi, quando le missioni sono
terminate, è nelle arene del sottosuolo che il padre la porta… qui non
combattono esseri umani… qui lei è l’unica cosa che assomigli a un essere
umano… qui le creature simili a suo padre conducono le creature più orribili e
potenti perché diano spettacolo… e soprattutto… Prestigio… Dai troni del palco
d’onore, lo stregone vanta la sua potenza manifestata a tutti nella forza e nell’abilità
nell’uccidere dimostrata da quella sua creazione che tanti trae in inganno con
il suo aspetto così aggraziato e flessuoso… uno dopo l’altro, gli altri
stregoni, le matriarche degli elfi oscuri, i signori della guerra degli orchi,
i decani dei vampiri sono tutti costretti a riconoscere il valore della sua
arte necromantica nel forgiare un simile corpo e, ancor più importante, quanto
duro sappia essere il suo pugno di ferro per essere riuscito ad addestrare
tanto bene una di quelle inaffidabili creature…
Nell’arena le vittorie si susseguono…
Sull’altare i sacrifici si consumano… E il battito del cuore di rubino di Caron
non è mai irregolare… Nemmeno quel giorno…. Quel giorno in cui deve recarsi di
nuovo al villaggio… la fase della luna è corretta… gli astri sono in posizione…
è il giorno propizio per il sacrificio… e lei deve andare a reclamarlo dal
villaggio…. Non c’è nessuno per le strade… come al solito… hanno sprangato
tutte le finestre e lasciato la vittima sola nel crocevia… senza dire nulla
Caron si avvicina alla giovane… che questa volta non sta piangendo e non è
stata legata… ma a lei non interessa, l’avrebbe trascinata per tutte le paludi
dopo averla fatta svenire, se fosse stato necessario… come lo era stato altre
volte… la ragazza continua a fissarla e, con la coda dell’occhio, Caron fissa
la ragazza… Già altre vittime lo hanno fatto: sono state quelle più “noiose”,
sono quelle che stanno aspettando che lei si distragga per tentare di fuggire…
Ma Caron non si distrae mai… E la ragazza non tenta mai nemmeno uno scatto…
nemmeno di fronte alle porte della torre…
Non Piange… Non Parla… Solo Guarda…
All’ingresso della torre…. Sulle scale per i sotterranei…. Nei corridoi umidi e
dall’aria malsana…. Anche di fronte all’altare macchiato di sangue…. Quando i
ceppi si chiudono attorno ai suoi polsi, quando oramai non c’è più scampo…
nemmeno allora parla o piange… solo la fissa… E il Rito ha inizio… i Signori
dell’Inferno rispondono all’oscuro richiamo dello stregone… E come sempre,
pretendono un pegno… Il Pegno è pronto… Caron lo tiene fermo tra le sue braccia
mentre il padre invita i suoi crudeli ospiti a indulgere nelle loro oscure
passioni… E ancora… Lei non lotta tra le braccia di lei… E ancora… Lei non
fissa quelle terrificanti creature con paura… Guarda solo il volto gelido della
sua carceriera… Come sempre, il rito si svolge come un filo nero e contorto,
annodandosi intorno alle membra dalla pelle candida e liscia, fino a
strangolare ogni pudore, ogni decenza, ogni speranza… Come sempre, Caron è
sempre lì, le sue braccia avvolte intorno al corpo della vittima durante la
tortura, per contenerne gli spasmi, per offrirla alle mostruose attenzioni
degli immondi aguzzini… Come sempre Caron obbedisce silenziosa e fredda…
Diversamente dal solito… la ragazza non urla e non scalpita… Sopporta in
silenzio ogni orrore che viene inflitto sul suo corpo, lasciandosi sfuggire un
grido sommesso solo quando le torture sorpassano l’umanamente sopportabile… È
diverso dal solito… ma Caron è troppo fredda per notarlo… solo alla fine… solo
quando il corpo di lei giace in fin di vita su quel maledetto altare, intriso
dei diabolici veleni e dal gelo della non-vita, solo allora Caron nota qualcosa
di diverso… ma non nella crudeltà del rito o nella vittima… ma nel padre…
“Puoi rimanere con lei finché non muore”
Echeggia la voce cavernosa dello stregone che lascia la sala… Caron è per la
prima volta confusa…. Quel “puoi”, quella possibilità, le è aliena… E incomprensibile
è anche che sia il padre a lasciarle quella scelta… Forse, pensa, è un modo per
metterla alla prova… Per capire se in lei giace ancora una traccia di quella
sua precedente umanità… Caron conosce la risposta giusta a quella domanda…
Caron pensa di sapere cosa il padre voglia sentirsi dire… Ma proprio quando sta
per gelidamente rispondere, solo allora la voce morente che viene dall’altare
la risveglia alla terribile realtà… una realtà che chiunque avrebbe afferrato
ben prima… se il suo cuore non fosse stato così profondamente sepolto sotto il
ghiaccio…
“Millishea…” Chiama una debole voce da
dietro di lei. Un nome… Basta un nome… A Caron, che credeva ogni sua emozione
rinchiusa per sempre, basta quel nome per sentire nuovamente il suo animo
prendere fuoco per poi gelarsi immediatamente per la paura… Quel seme gentile
piantato così tanto tempo fa che non vuole morire… Nemmeno nel più gelido Autunno…
è quel seme che le ridà per un attimo la vita e la fa voltare e correre al
corpo avvelenato della ragazza. Con braccia che fanno fatica anche solo ad
immaginare come si stringe un corpo non per ucciderlo, ma per accudirlo, Caron
solleva il corpo di Amabel verso di lei… Ondata dopo ondata il terrore si
schianta su di lei con un’intensità tale che persino il crudele dominio del
padre non è mai riuscito a raggiungere…
“…Millishea…” Ripete la voce tra le sue
braccia, serena nonostante il terribile dolore che la sta conducendo tra i
morti “…Volevo rivederti… Almeno un’ultima volta… Tutti dicevano che tuo padre
ti aveva fatto tanto male… Volevo aiutarti… Volevo sapere se era vero… Millishea…
Per quello che è successo oggi… Per quello che è successo su questo altare…
Millishea… Io… Ti perdono…” Riesce a dirle con gli ultimi respiri… E anche se
tante altre cose vorrebbe rivelarle, la sua voce tace per sempre. Il cuore di
Caron, dopo tanto aver battuto gelidi rintocchi, sembra perdere un battito…. Il
Battito più caldo che il suo cuore abbia mai avuto… e mentre quel battito
precipita nel vuoto del suo animo, qualcos’altro risale prepotente dal ghiaccio
in cui quel seme appena venuto alla luce sta già appassendo… Sale dal cuore
passando per la gola… fino a giungere ai suoi occhi in quella sensazione che
non aveva mai conosciuto prima…
…Piange Caron… e grida, Caron,
disperata… E stringe a sé il corpo di Amabel, con le lacrime che le rigano per
la prima volta il viso… con la speranza che qualche dio la ascolti e scambi quelle
sue preziose lacrime con la vita di Amabel… Ma non c’è nessun dio… C’è solo la
Morte che veglia su un abbraccio triste e disperato, dolce e forte come solo
sotto il suo occhio può essere… E solo la morte raccoglie il suo pianto fino a
quando il giovane cuore non annega in esso anche il suo ultimo bagliore di
sole… Mutando per sempre quel suo già terribile Autunno in un perenne Inverno…
Una neve nera macchia tutto il suo animo senza dimenticarne nemmeno uno
spicchio… È neve nera come la colpa di cui si sente macchiata… È la neve che
accompagna la sua Marcia Funebre… Il funerale in cui Caron seppellisce insieme
al ricordo di Amabel anche il suo primo e unico Nome… Quel nome così dolce che
nessuno mai più chiamerà…
Non conoscere il senso delle proprie azioni…
Non avere scelta… è ben meglio di averlo ricordato e subito perso per sempre…
Ciò che prima era tanto semplice per Caron, ora non ha alcun senso… Benché sia
sprofondata in una stagione ben più fredda dell’Autunno, il ghiaccio in cui il
padre l’aveva imprigionata è spezzato per sempre… Il fiore che Amabel aveva
piantato è morto… ma la frattura che ha provocato per sbocciare, quella non se
n’è andata… rimane lì nell’animo di Caron collegandola con un immenso vuoto che
non smette mai di risucchiare ogni suo pensiero, ogni desiderio che Caron ha
appena riscoperto di avere…
È così che Caron fa ritorno alla sua
cella… Infine davvero vuota e non più solo gelida… Priva di ogni senso ascolta
la sua Marcia Funebre mentre gli occhi, tornati di ghiaccio, non smettono mai
di piangere… sempre fissi su quella frattura nel ghiaccio… ogni pensiero
ingoiato da essa per esserle restituito nelle immagini della tortura di Amabel…
E delle sue mani che la portano sempre più a fondo in quell’Inverno che lei non
meritava… E incatenata al muro Caron continua a sentire la neve nera che le
cade dentro, continua a piangere, continua, senza emettere più un suono, a
svuotarsi… Fino a quando quel suo fratello… Mephisto Vox… Che ha seguito le
orme del padre per diventare uno stregone… che si è nutrito di quei cibi che il
padre riteneva indispensabili per avere successo nelle arti oscure… che si è
nutrito di ambizione e inganno e astuzia… giunge da lei… Dischiude la porta
della cella con un incantesimo e le si china vicino all’orecchio..
Le sussurra poche parole… le sussurra
che ha capito che è pronta… Le sussurra che c’è qualcosa che si può fare… Le
sussurra che conosce i segreti del padre… Che lo stregone non è immortale e non
è onnipotente… Le sussurra che, forse, loro, insieme… possono farcela… possono
ucciderlo… di nuovo… e liberarsi…
E anche se, quando il fratello si alza,
lei non ha cambiato espressione e non risponde… anche se lui pensa di aver
agito troppo presto… o troppo tardi… quello che il fratello non sa è che quelle
parole hanno fatto scorrere un nuovo veleno nell’animo di Caron… un veleno dal
gusto amaro e irrinunciabile che vive solo in Inverno… un veleno che scivola
nell’animo innevato di Caron e serpeggia fino a giungere a quella crepa nel
ghiaccio e comincia a riempirla… Un Veleno che si chiama “Odio”… E anche se
Caron sente che non potrà mai più sfuggire a quell’Inverno se assaggerà anche
solo una goccia di quella dolorosa pozione, essa lascia che scorra fin nel
profondo del suo cuore… perché ha già rinunciato a una qualunque Primavera…
Perché sa di meritare quell’Inverno
Eterno per quello che ha fatto… Ma se quello è il prezzo per riempire quel
vuoto… Se con quel veleno potrà cancellare chi l’ha per sempre rinchiusa in
quella nera stagione… Se con quel veleno potrà cancellare chi, come lei, ha
fatto del male ad Amabel…
...Allora Caron trasformerà il suo ghiaccio nella
tomba di tutti i suoi nemici….
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