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Autore: alessandroago_94    23/04/2018    13 recensioni
603 d.C, Italia Settentrionale.
Rufillo ben sapeva che esistevano due realtà quasi contrapposte, due mondi distinti. Ciò che c’era al di là del Limes Tiberiacus, l’ultimo baluardo a difesa di quello che restava della romanità, era qualcosa di travolgente, nella sua immensa barbarie.
O, almeno, così era stato fin all’avvento della regina Teodolinda, prima sovrana cattolica dei Longobardi. Si diceva che ella amasse dedicarsi alla lettura.
Allora, l’ultima missione di una vita lunghissima e resa però resistente dalle continue e tanto desiderate privazioni, sarà quella di far giungere tra le mani di una regnante barbara un preziosissimo testo sacro, così che i suoi occhi così dotti potessero essere per sempre illuminati e guidati dalle parole che avrebbero influenzato per secoli la vita di milioni di persone.
Racconto classificato secondo (a pari merito con FatSalad, Le due cetre) al Contest In Medio Stat Virtus indetto da mystery_koopa sul forum di Efp.
Racconto vincitore di due premi speciali; Rivelazione maschile (miglior personaggio maschile) e Verità o Menzogna (miglior storia di genere giallo/thriller).
Genere: Avventura, Storico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Medioevo
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Capitolo uno

CAPITOLO UNO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Silva erat vasta (Litanam Galli vocabant),

qua exercitum traducturus erat”.

Tito Livio, Ab urbe condita libri.

(C’era una gran foresta, chiamata Litana dai Galli,

attraverso la quale doveva passare l’esercito).

 

 

 

 

 

 

 

 

Un refolo di vento sfiorò la fronte di Rufillo. Era così che a lui sembrava che la mano di Dio gli stesse facendo una calda carezza, a spronarlo a proseguire nella sua missione divina ed evangelica.

Ma il vento non sfiorava solo la sua pelle; come un incantesimo profondo ed ancestrale, percuoteva con delicatezza le fronde dell’infinità di alberi che lo circondavano.

Il rumore prodotto dal sommarsi di tutti questi fruscii creava un sottofondo che non era affatto piacevole, se sommato al fatto che la natura incontrastata circondava il drappello umano da ogni lato, e nessuno sapeva con precisione quale fosse la sua estensione.

La via Emilia era inghiottita ormai dal verde; dopo secoli di scarso interesse nei confronti delle strade e della viabilità romana, e in virtù del successivo e totale abbandono, tutto era finito in rovina. Restava solo l’indelebile tracciato in pietra sconnessa che attraversava una foresta primigenia, quella che era stata chiamata Selva Litana(1) dagli avi, quand’essi giunsero nelle terre di confine a combattere aspre guerre contro i Galli.

Sembrava infatti che le orecchie del monaco potessero avvertire ancora le grida dei legionari Romani mentre venivano massacrati dai fedeli dei druidi(2).

“E’ una foresta maledetta”, borbottò tra sé Flavio Massimo, il Vescovo di Nursia, che era stato incaricato dal pontefice in persona a recarsi in quelle terre remote, ai confini del ristretto mondo conosciuto.

Rufillo, la sua fedele guida, stringeva i finimenti del cavallo tra le mani e guidava l’animale lungo il percorso deserto, mentre le guardie greche che li scortavano e che li avrebbero dovuti proteggere, in caso di pericolo, apparivano a loro volta molto impressionate.

L’anziano monaco aveva imparato a non avere più paura dell’infinità di rumori agghiaccianti che la natura sapeva offrire all’orecchio umano. Lui aveva scelto di abbandonare appositamente la civiltà, per addentrarsi in territori ormai da lustri interi in mano a quelli che venivano considerati barbari e pagani, dove la scrittura e la burocrazia di palazzo lasciavano spazio ai continui scontri armati, e, talvolta, all’anarchia.

Sapeva ormai che a spaventarlo non dovevano essere piante e fruscii, bensì la parte più incline alla violenza dell’essere umano, per questo stava sempre molto attento, e i suoi occhi, anche se ormai segnati dall’età, si sforzavano in continuazione di perlustrare l’ambiente circostante.

“Invoco il Nostro Signore affinché sia clemente con noi. Temo altrimenti che, senza la Sua guida, non raggiungeremo mai la nostra meta”, tornò a dire il Vescovo, a voce alta, quella volta.

Rufillo non si volse a guardarlo, e si limitò a sorridere in modo benevolo.

“La natura è la casa che Dio ci ha donato, non c’è motivo di temerla”, rassicurò l’anziano amico a parole, senza mai abbassare la guardia.

“Una casa che può essere piena di ospiti, possibilmente violenti. È che non sono abituato a tutto questo, e…”.

Le restanti parole di Flavio Massimo furono portate via dal vento, le cui raffiche sembravano intensificarsi in continuazione. Il monaco si concesse così un attimo di pace, ad occhi aperti.

Lasciò che la sua mente si crogiolasse in alcuni suoi ricordi che lo riportavano a vivere anni di durissime ma volute e desiderate privazioni, in cui il suo corpo martoriato dai digiuni si era finalmente sentito vicino all’ultima ed estrema sofferenza del Cristo Salvatore.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

(1)La Selva Litana era una foresta primigenia che si estendeva, presumibilmente, dall’attuale Emilia fino all’attuale Romagna(probabilmente, all’incirca, da Bologna fino a Ravenna, ma anche oltre, fino a Modena). Essa fu poi quasi totalmente abbattuta a seguito della conquista romana e dell’avvento dell’agricoltura e della centuriazione. Ricrebbe e rioccupò lo spazio perduto dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente.

 

(2)La Selva Litana divenne infatti molto famosa poiché fu teatro di una sanguinosa battaglia(presumibilmente nei pressi dell’attuale Forlì), tra truppe romane e celtiche. I celti vinsero grazie ad un’astuta imboscata, e sterminarono ben due legioni.

 

 

 

 

 

NOTA DELL’AUTORE

 

 

Grazie per aver letto fin qui. Spero che anche i prossimi piccoli capitoli possano essere di vostro gradimento ^^

   
 
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