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Autore: _Bri_    27/04/2018    2 recensioni
Se fossi sotto processo dinanzi la più feroce costituzione del Wizengamot per cattive e poco ortodosse intenzioni.
Se minacciassero di togliermi la bacchetta e di relegarmi ad Azkaban per il resto della mia vita.
Se mi obbligassero con il Veritaserum a confessare le mie più oscure passioni e tutti i miei atroci peccati.
Beh, se accadesse tutto questo, sarei costretta a parlare di quel giorno in cui la mia casa vinse la prima partita di campionato, ed il mio capitano decise di festeggiare come si deve la nobile casa di Salazar Serpeverde e la nostra schiacciante vittoria su Tassorosso.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kain Montague, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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CATTIVA CONDOTTA
 
 
 
Se fossi sotto processo dinanzi la più feroce costituzione del Wizengamot per cattive e poco ortodosse intenzioni.
 
Se minacciassero di togliermi la bacchetta e di relegarmi ad Azkaban per il resto della mia vita.
 
Se mi obbligassero con il Veritaserum a confessare le mie più oscure passioni e tutti i miei atroci peccati.
 
Beh, se accadesse tutto questo, sarei costretta a parlare di quel giorno in cui la mia casa vinse la prima partita di campionato ed il mio capitano, decise di festeggiare come si deve la nobile casa di Salazar Serpeverde e la nostra schiacciante vittoria su Tassorosso.
 
Padre perdonami, perché ho peccato. L’ho combinata grossa, ho condotto la mia intera esistenza ai limiti opposti delle tue volontà; l’ho fatto con sommo piacere. Perdonami padre, perché non me ne sono affatto pentita, ma c’è stato un momento in cui saresti stato fiero di me, in cui ho sfiorato quella vita che tanto hai desiderato per la tua bambina.
 
Al tempo non avrei mai sospettato come sarebbero andate le cose: non ero che una ragazzina imbronciata ed iraconda, presa ad andare contro ogni dettame familiare, non capendo ancora che quei capricci ostinati mi avrebbero resa quella che sono ora; ero quella ragazzina che non voleva ammettere di essere invaghita di un ragazzo non proprio sano di mente, intenzionato ad incastrarsi in quell’angolino della mia testa e che cercavo di ignorare. Quello stesso ragazzo poi diventò mio marito (chi l’avrebbe mai detto, sciocca ingenua che non sono altro!), ma questa è un’altra storia.
Avevo accantonato la pseudo relazione con labbra-da-favola-Zabini, perché davvero, Blaise era tanto bello quanto noioso, borioso oltre ogni limite senza alcuna reale giustificazione e specialmente ipocrita. Certo, lui mi tentava, questo non posso negarlo, ma sapete com’è quando mangi troppa torta di zucca? Ci si stufa. Ma non è esattamente la torta a stufarti (e no, quella non stanca mai, come potrebbe?), più che altro è quel gusto che la rende identica a tutte le altre e questo succede quando una cosa non è stata preparata con sufficiente attenzione, oppure quando si hanno pochi galeoni nel conto per potersene permettere l’acquisto nella migliore pasticceria di Diagon Alley.
Va bene, ho divagato come al solito ma perdonatemi, questa è una confessione e, come tale, va affrontata con le doverose tempistiche e le più puntuali spiegazioni. Per tornare alla torta, aver smesso di sbaciucchiarmi con Blaise Zabini aveva si, posto fine ad una tediosa tiritera che non stava apportando nulla di buono nella mia vita, ma per controbilanciare (maledette leggi della magofisica, avete sempre ragione voi), era esplosa la fame.
Ve lo ricordate che stiamo parlando di un’adolescente?
Potete immaginare quante complicazioni porti avere quindici anni e non potersi più permettere dei bocconcini glucosici?
Per il santuario di Merlino e tutti i suoi doni votivi, ve lo spiego, cosa accade.
 
Avevo giocato mettendo nella partita tutta me stessa. Io, unica ragazza (peraltro decisamente piccina, più capelli che resto del corpo), in una squadra formata principalmente da energumeni ben piazzati. Io, in veste non di cercatore, ma di cacciatrice. Ero stata così tanto derisa prima delle selezioni che avevo quasi rinunciato a parteciparvici; fortuna che il capitano aveva ruggito, pretendendo il silenzio assoluto in campo. Grazie capitano, perché quel giorno mi hai dato la possibilità di fare ammutolire tutti gli idioti che avevano pensato bene di deridermi. Grazie capitano, per avermi dato una pacca sulla spalla alla fine delle selezioni e aver buttato lì, con il solito viso duro e perennemente rigido “ci siamo Malfoy, sei la nuova cacciatrice”. Grazie capitano, perché hai permesso la mia prima gloriosa vittoria in campo, in braccio alla mia scopa nuova di zecca.
 
Di ringraziarlo, non finii certo in campo.
 
L’euforia mi aveva portata a catapultarmi nel mio dormitorio subito dopo la fine della partita, per prepararmi con dignità ad una festa nella sala comune, laddove ogni regola veniva cancellata via e dove tutto era permesso, senza professori o guardiani a mettersi in mezzo per riportare l’ordine costituito.
 
Capelli composti in un alto e vaporoso chignon (grazie Daphne, amica cara, e alle tue mani fatate), un vestitino che tu, Lucius, mai avresti approvato, che mi ero fatta cucire su misura dalla più abile sarta del mondo magico, incredibilmente capace di risaltare delle forme di cui il mio corpo è sempre stato sguarnito, vertiginosi tacchi, atti a sollevarmi fino ad un più che dignitoso metro e sessantadue, il tutto infiocchettato da mascara e lucidalabbra al sapore di violette.
Così conciata non l’ero stata mai, ma chissenefrega Matilda, mi dissi guardandomi allo specchio, per una volta lasciamola chiusa in biblioteca la tua austerità, che quando si ha fame le regole del bon ton non valgono più; quindi con estremo coraggio mi precipitai in mezzo ad uno psichedelico scenario verde argento, dove la musica a tutto volume accompagnava fiumi di alcol che i miei compagni più ammanicati avevano fatto apparire per l’occasione.
Cos’era quello, un mattatoio? Di una cosa ero certa: come in campo, quella sera la cacciatrice ero io e nessun angelo mi avrebbe tentata promettendomi accessi rapidi in paradiso, a patto di mantenere basso il livello di frenesia che, già lo sentivo, riverberava in tutto il corpo.
Quando feci il mio ingresso da Regina del campo, muovendomi con miracolosa grazia su quei tacchi che, maledetto Godric, facevano già un male da impazzire, tutti i miei compagni smisero di fare festa per un attimo.
 
E poi un boato di grida e giubilo mi circondò, facendomi sguazzare nella vanità delle attenzioni che mi stavano rivolgendo.
La piccola Matilda Malfoy.
Quella che non doveva valere una mezzasega in mezzo a quei colossi (eccezion fatta per il mio gracile fratellino, sebbene lui a differenza mia si salvasse quantomeno per l’altezza).
La ragazzina che, invece, aveva segnato ben 7 goal mandando in visibilio la tribuna dei nostri tifosi, superando persino Warrington-la-montagna-umana ed il nostro capitano, di cui colsi lo sguardo spietatamente acceso fra la folla dei miei osannatori improvvisati. Bletchley e Pucey mi tirarono su come fossi un fuscello e mi trasportarono fino al divano facendomi saltellare, mentre tutti gridavano il mio nome.
 
Mi sentivo viva più che mai, avevo conquistato tutta la mia casa e, nello specifico, la mia squadra che ora mi circondava servile ed adorante, tranne il capitano che si limitava a tirare via dei sorrisi abbozzati mentre rigirava una sigaretta fra le labbra e Draco, evidentemente molto seccato dalla risonanza che la mia persona stava avendo in quel contesto; dopotutto il boccino che aveva portato alla vittoria l’aveva catturato lui, ma si sa, che senza quei punti non ce l’avremmo fatta a vincere.
Quindi, gongolante e con l’ego alle stelle, venivo posta sulla spalliera del divano, come fosse un podio o meglio ancora, un trono, dove sedetti composta e, fra risatine di ringraziamento, accolsi ogni genere di bevanda che mi veniva offerta. Avevo il mondo intero ai miei piedi e non mi sarei fatta sfuggire quell’occasione.
 
Oh, padre, per la prima volta in vita tua saresti stato davvero fiero della tua bambina, che portava alto l’onore dei Malfoy e di Serpeverde, seppur racchiusa in un vestitino succinto che mai avrebbe passato il tuo controllo di garanzia.
 
Ma altissimi e stimati giudici, io non ho colpe, ve lo garantisco! Magari la boria e la vanità mi fecero perdere un po’ il controllo, questo è vero, ma tutti noi peccatori abbiamo bisogno di abbandonarci alle gioie terrene, per avere la possibilità di essere infine redenti.
Non suona bene, come scusa?
 
Eppure lo feci, mi immersi nell’estasi di quella serata standomene quasi sempre seduta su quel trono improvvisato, placando la sete con della burrobirra, che abbandonai quasi subito per dei più decisi bicchieri di whisky incendiario, più adatti a sublimare la voglia che cresceva con costanza nella mia bocca.
Blaise aveva preso a girarmi intorno come una falena, attirata dalla tiepida luce di una lampada ad olio; io, amorale streghetta, credetti di cedere all’alcol e alla fame, perché alla fin fine le labbra di Blaise erano sempre state irresistibilmente succose ed invitanti, perciò dovetti deglutire un paio di volte e tossicchiare, per poi pigolare la richiesta di un ennesimo bicchiere, di modo da allontanare quella vipera velenosa da me. E quando Blaise si allontanò altri ragazzi mi circondarono, cercando di attirare l’attenzione della Regina con battute più o meno squallide.
Ma signori tutti, organo di questa corte, il mio stomaco proprio non voleva sentire ragioni perché il mio radar da cacciatrice aveva intercettato un’azione ben più promettente, che avrebbe reso futili tutti gli altri tentativi di segnare.
 
Perché ve lo assicuro, esimi esaminatori della mia coscienza, nulla fui in grado di fare, quando il whisky cominciò a fare il proprio effetto sul mio corpo, mentre i miei occhi finivano, con cadenza regolare, a fissare l’adone poco distante da me, i suoi occhi tanto taglienti da ferire i miei, quei capelli bruni che ricadevano appena sulla fronte con ineccepibile compostezza, quella bocca rigida, sempre spezzata dalla sigaretta e su tutto, il corpo statuario, che più volte sul campo da gioco mi aveva mostrato azioni poco corrette (con quale maestria si muovevano quei muscoli per commettere fallo, maledette siano Tosca e Cosetta!), abbandonato con apparente noncuranza sul divano dirimpetto al mio, laddove un braccio teso come l’acciaio si teneva sulla spalliera ed ogni tanto, fra uno sbuffo e l’altro, mi fissava senza muovere altro muscolo.
Io, dall’alto della mia seduta, riuscivo quasi a guardarlo ad altezza d’occhi, tanto il capitano era colossale. Cominciai ad avere caldo, un caldo che mai avevo provato prima e nonostante cercai di convincere quell’ingenua me stessa che fosse tutta colpa del whisky, la parte più meschina e spavalda di me sapeva che la colpa era di quello sguardo che affettava il mio.
Re e Regina, uno di fronte l’altra, circondati da paggi e damigelle che non avevano alcuna intenzione di lasciarci divorare con lo sguardo, mettendosi con costanza in mezzo. Per quanto tentassi di non guardare quegli occhi che tanto mi mettevano in soggezione, finivo sempre lì, incapace di resistere.
Che fossi diventata io, la falena?
Nonostante mi piacesse non poco starmene seduta lì a farmi adorare da ragazzi ed amiche (fu la prima volta che vidi Daphne interessata al Quidditch dato che, in veste di amica prediletta, si stava beccando anche lei una buona dose di attenzioni), decisi di sgranchire un po’ le gambe e con un saltino agile, che non finì in catastrofe nonostante i tacchi, atterrai con grazia e scavallai sei o sette colleghi decisamente ubriachi, prima di poter raggiungere l’imbocco al corridoio, nella speranza di riempirmi di un po’ d’aria fresca
 
-Malfoy, hai da accendere?-
Se era l’aria, quella che andavo cercando, quella domanda pose fine al mio bisogno fisiologico di ossigeno. Boccheggiai, mi girai lentissima e molto molto impaurita alzai la testa, ma pare che quella risalita non avesse fine, data la maestosità e l’altezza smisurata di Montague che, con le mani in tasca ed una sigaretta spenta in bocca, mi guardò dall’alto del suo metro e novanta senza scomporsi affatto. Comunque, che io avessi preso ad annaspare, pare se ne fosse accorto perché notai un impercettibile movimento della sua bocca, che curvò verso l’angolo destro del suo viso così duro
 
-Certo- improvvisai, perché io non fumavo, tranne un paio di sigarette boccheggiate durante qualche festa come quella lì. Afferrai la bacchetta, fino a quel momento incastrata per bene nello chignon e la agitai con assoluta sicurezza
 
-Incendio!-
 
Ora, io non sono mai stata davvero brava a produrre il fuoco, lascio ai miei amati draghi l’arduo compito.
Ma non quella volta.
Una fiammata particolarmente potente partì dalla punta del legno, perfetta imitazione di quella che i babbani chiamano fiamma ossidrica. Mi agitai talmente tanto che la bacchetta, con tutta la fiamma accesa, mi saltò via di mano; fortuna che l’incantesimo si arrestò quasi all’istante, evitando così di incenerire i dormitori, ma procurandomi una sconsolante figura barbina con il capitano
 
-Oh santissimo Salazar, scusa!- ma non feci in tempo a chinarmi per raccogliere la bacchetta che Montague ci aveva già pensato e, non pago e con noncuranza, la agitò realizzando con lei un incantesimo perfetto, con cui accese la sua sigaretta.
Rimasi di sasso.
Primo, perché nessuno aveva mai e poi mai usato la mia bacchetta, secondo perché lui era stato decisamente più bravo di me. Persa in tutto quel pensare, toccata nell’orgoglio e al contempo assuefatta da tanta bravura, non mi resi conto che la sua mano con una sigaretta spenta era testa davanti alla mia faccia
 
-Tieni, fammi compagnia-
 
Mi guardai intorno frastornata e notai che più di un paio d’occhi erano puntati nella nostra direzione, ma ero decisa a rifarmi davanti a lui, dovevo riscattarmi da quell’orribile figuraccia di poco prima
 
-Grazie- cinguettai sicura di me. Fu il capitano ad accenderla per me. Sempre con la mia bacchetta, che mi restituì in un secondo momento e che io, agitatissima, mi premurai di risistemare fra i capelli, a quel punto più scomposti.
Mi persi ad osservare i rivoli di fumo che scappavano dalla sua bocca
 
-Facciamo due passi Malfoy, vieni-
 
Continuava ad usare con me lo stesso tono imperativo che riservava sul campo e, proprio come in quelle occasioni, non avevo il coraggio di negargli alcunché. Ma almeno lo anticipai nei passi e quando giungemmo davanti l’ingresso del dormitorio maschile, ci arrestammo. Abbandonai la schiena al muro, tirai una lunga boccata di fumo e tornammo a guardarci, silenziosi. Non avevamo che scambiato qualche parola di circostanza, fino a quel momento e quindi ritrovarsi in quel corridoio semibuio a fumare come fosse normale, era assurdo, passatemi l’ossimoro.
 
-Te la sei cavata abbastanza bene oggi- laconico, il capitano si rivolse a me, con una mano in tasca e l’altra a trattenere la sigaretta. La sua voce tanto profonda mi faceva salire i brividi, così come quegli occhi che mi perforavano con colpi decisi. Non la smetteva di fissarmi, a stento sbatteva le palpebre mentre io ero in tangibile stato d’agitazione. Di certo non mi sentivo più la cacciatrice; semmai schiacciata addosso a quel muro, ritta sui tacchi vertiginosi con il capitano davanti a me, minaccioso quanto incredibilmente sexy, mi sentivo la preda.
 
-Grazie, capitano- come diavolo dovevo chiamarlo non l’avevo ancora capito. Qualcuno lo chiamava Craig, altri Graham, altri ancora semplicemente Montague. Optai per capitano, perché per me, Craig-Kain-Graham-Montague non era nient’altro che quello. Con tutti gli annessi e connessi che la sua condizione di superiorità rappresentava
 
-Malfoy, stai boccheggiando-
 
-Non ci avevo fatto caso, colpa del whisky-
 
-Colpa del whisky?-
 
-Si, bere mi fa fare cose strane-
 
Montague non rispose, ma ancora una volta mi sorprese, perché pensò bene di sfilare la mia bacchetta dal groviglio di capelli (che, a quel punto, esplosero nella solita nuvola ingestibile) e richiamò due bicchieri, porgendomene uno e decidendo di infilare momentaneamente la bacchetta nella sua tasca, non avendo più un posto dove lasciarla. Che lui avesse la mia bacchetta era inconcepibile, ma non riuscii a fare null’altro che mormorare un grazie poco convinto
 
-Dobbiamo parlare della tua tattica di gioco- riprese poi tra un tiro di sigaretta ed un sorso di whisky –è ancora molto immatura, non sei abbastanza aggressiva-
 
-Veramente ho quasi rotto il naso a Moore-
 
-Hai detto bene, lo hai quasi rotto-
 
-E…ho spinto con un calcio la Fishman giù dalla scopa- tentai invano di giustificarmi, ma il capitano scosse il capo, abbattuto
 
-Non è abbastanza, Malfoy, dovrei sospenderti per cattiva condotta, sai?-
 
-Addirittura sospendermi…- mi accigliai, nonostante quel lieve ciondolare del corpo mastodontico di lui, davanti alla mia figura decisamente ridicola al confronto, mi stava facendo divampare. Il capitano mi scrutava, sussurrava come un vero serpente prima dell’attacco mortale, mi aveva incastrata all’angolo. Letteralmente, incastrata all’angolo
 
-Io…ma ho segnato tutti quei goal…ti prego!- la mia voce acuta ridotta ad un sussurro, quando lui gettò ciò che rimaneva della sua sigaretta e faceva fluttuare via i nostri bicchieri
 
-Purtroppo l’indulgenza non è una mia prerogativa, Malfoy-
 
La sua mano copriva la mia spalla e buona parte del braccio. Presi a tremare un po’, ma non era paura la mia. Era tutta colpa della maledetta voglia della più succulenta torta di zucca che mi fosse capitata vicino negli ultimi quindici anni
 
-Allora che vuoi che ti dica, capitano: puniscimi, sospendimi, fai quello che vuoi…non mi permetterei mai di ribellarmi alle tue decisioni- mi sforzai di mantenere un tono fermo, prima di sputargli l’ultima boccata di fumo in faccia con arroganza; ma tutto di me trasudava abnegazione e lascività, perché quella presa tanto salda, che ci avrebbe messo un attimo a spezzare la mia spalla se solo avesse voluto, mi stava facendo perdere la ragione. Quante volte avevo indugiato con lo sguardo sul mio capitano, durante gli allenamenti? Sulle spalle taurine, quegli occhi sempre cupi e la sua voce che non permetteva mai alcuna replica. Mi terrorizzava, e al contempo mi faceva rabbrividire di piacere.
Per questo quando sul suo viso apparve quel sorriso sfrontato che quasi mai avevo colto, mentre il capitano calava su di me come un rapace maestoso su un coniglietto troppo stupido per mettersi in salvo, ricordo di aver sussultato vistosamente. Mi fissò a pochi centimetri dal viso e la mano che non mi tratteneva con tenacia, andò a sollevarmi il viso con galanteria
 
-Sai, io lo so chi sei, ragazzina- rauco, il suo respiro arrivò quasi alla mia bocca –tu sei una piccola doppiogiochista del cazzo. Ti credi tanto furba…- quel dannato sorriso, sul suo viso di pietra, ad un centimetro dalla mia faccia tremolante –ti difendi bene dietro al tuo cognome, ti coccoli negli agi anche se li rinneghi…- sempre più vicino, potevo sentire con distinzione il fuoco vivo che scoppiettava sulle sue labbra pronte a mordere –ti nascondi in questo piccolo corpicino da fatina…- impossibile distinguere le sue labbra dalle mie, mentre le sue dita contorcevano la mia spalla –ti piace fare la ribelle solo perché sai di potertelo permettere. Ma io non ci casco, Malfoy. Tutto quello che millanti di disprezzare è proprio davanti a te- rise sulla mia bocca, pietrificata dalle sue parole e dal suo respiro ingombrante –e lo sappiamo entrambi, che non desideri altro che essere sbattuta al muro dal tuo capitano dal sangue puro-
 
Perdonatemi, voi tutti, perché quel giorno non riuscii a mentire a me stessa. Questo, il più atroce peccato mai commesso in vita mia, quando da cacciatrice diventai preda; mi feci boccino, annoiato dal volo, desideroso di essere stretto da una mano di ferale intransigenza, con presa violenta, critica, che non lasciava spazio al perdono.
 
E mi piacque terribilmente, quando il mio capitano affondò la sua bocca sulle mie labbra incapaci di resisterle. Fremetti nel sentire la sua lingua, impietosa, ricercare la mia. Impazzii di gioia nel dimenticare ogni singolo mago che aveva osato paragonarsi a quella labbra che mi comandavano impazienti, i suoi occhi fustigatori e le sue mani, che senza sforzo mi tirarono su incollandomi al marmo gelido di quel corridoio isolato.
Mi aggrappai a lui, ormai totalmente assuefatta dal suo odore, dal suo sapore di whisky e tabacco; permisi ai suoi denti di affondare fra i miei capelli sconvolti per trovare il collo, dove si attaccarono facendomi ansare. Sentii la sua lingua lasciare una scia fino al mio orecchio, dove poi si incastrarono le labbra che, prepotenti e maligne, presero a sussurrarmi parole in cui mi riconobbi
 
Subdola
Perfida
Arrogante
Ingrata

 
E laddove la sua bocca indugiava senza pietà sul mio orecchio, il suo corpo mi schiacciava, ricordandomi (come se ce ne fosse stato bisogno) della nullità che ero, nelle mani capaci del mio capitano.
 
Chiedo scusa, perché di quel rendez vous ho un ricordo lucido e immortale, che mai si è dissipato. Dei suoi capelli che stringevo tra le dita, della mia bocca che cercava la sua, mai sazia; di lui, che tirò giù il mio vestito  per lasciarmi coperta solo da un top striminzito, su cui agganciò i denti, del mio bisogno di superare l’ostacolo della sua camicia d’alta sartoria e percorrere il suo torace.
L’ho voluto senza pormi freno, succube di lui e di tutto ciò che rappresentava. Divenni opera d’arte creata a misura delle sue esigenze, perché il nostro contatto, seppur fugace, fu epifania di un’elettricità, incarnazione perfetta dei sogni delle nostre famiglie dal sangue puro.
 
Perdonatemi tutti. Se in quel corridoio buio lasciai fare alle sue dita e alla sua bocca malvagia e non mi tirai indietro, mai.
 
Non punitemi, nonostante la mia cattiva condotta, in quanto mi limitai ad abbandonarmi solo per metà al mio capitano.
 
Saremmo stati l’epilogo idilliaco per le nostre rispettive e rispettabili famiglie, se nel dirci buonanotte, qualche ora più tardi, avessimo poi deciso di adempiere alle loro volontà.
 
Ed invece il suo sapore d’ambrosia fu tutto ciò che rimase su di me, come il ricordo di quella sera, che riaffiorava quando i nostri occhi di opposta luce si allacciavano nella sala comune, o sul campo da Quidditch, prima della sua improvvisa scomparsa non più di un paio di mesi dopo.
 
Ma di questo, sommi giudici, io non me ne pento. La mia cattiva condotta me la sono guadagnata.
E del resto, va bene così.

 
 
Piccole delucidazioni: questa storia è stata scritta grazie alla visione di Graham Montague, fornitami dalle abili dita di AdhoMukha. Senza “Le prodigiose sorprese di un Armadio Svanitore” non mi sarei mai innamorata di lui e non avrei dovuto trovare il modo di esorcizzare la mia cotta. Quindi prima di tutto: grazie A. per questo e per tanto altro.
Secondo: per chi non segue “di Ghiaccio e Tempesta”, devo specificare che la strega del misfatto, colei dalla cattiva condotta, è Matilda, protagonista della mia long, ipotetica gemella di Draco. Basta, tutto qui.
 
Spero vi sia piaciuta. Io mi sento più libera ora!
 
D.
 

 
 
 
 
   
 
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