Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: malandrina4ever    01/05/2018    16 recensioni
«Perché sono il tuo migliore amico. E se c’è qualcosa che ti pesa, allora tocca a me portarla al posto tuo.»
~ James Potter
«E lui poteva appendermi a testa in giù tutte le volte che ne aveva voglia, ma questo non sarebbe mai cambiato. Perché Lily sorrideva a me e non a lui.»
~ Severus Piton
«Potrebbe essere un complimento, lo sarebbe, se solo non fossero la voce e gli occhi di Potter. È incredibile come riesca a far suonare anche le frasi più gentili come una presa in giro, socchiudendo appena gli occhi e imprimendo quella vena beffarda in ogni parola.»
~ Lily Evans
«La vocina acuta che continua a ripetere ‘Prefetto. Dovresti essere un Prefetto’ si attutisce appena di fronte ai sorrisi entusiasti dei miei amici.»
~ Remus Lupin
«Il Grifondoro che c’è in me crede che, forse, dovrei sentirmi almeno leggermente in colpa per aver barato. Ma il Malandrino che c’è in me continua a ghignare soddisfatto.»
~ Sirius Black
«James si sta approfittando spudoratamente della nostra volontà di risollevargli il morale, noi lo sappiamo, lui sa che noi sappiamo, ma finiremo comunque a dare l’assalto alla Sala Comune dei Serpeverde, perché a volte per essere un buon amico devi semplicemente essere bravo a lanciare bombe fatte di cacca.»
~ Peter Minus
«Alla fine Sirius sa essere un fratello impeccabile. Solo non il mio.»
~ Regulus Black
---
I'm not a perfect person
I never meant to do those things to you
And so I have to say before I go
That I just want you to know

---
Ed improvvisamente non mi sento più così perfetto, perché Lily Evans sta baciando lui e non me.
Perché sarà sempre così, sarà sempre chiunque altro, piuttosto che me.
Ed è semplicemente l’ordine naturale delle cose, come sono sempre andate e sempre andranno, ma non riesco a togliermi dalla testa che è comunque tutto totalmente sbagliato.
Si fotta l’ordine naturale delle cose, dovrei essere io.
---
I've found a reason to show
A side of me you didn't know
A reason for all that I do
And the reason is you.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Mangiamorte, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

CAPITOLO 32.






 




«Non trovi proprio nessuno della tua età disposto a esserti amico, Mocciosus?»


 
La partita contro Tassorosso, nonché attuale evento più importante della mia vita e dell’universo tutto, è a pochi giorni di distanza ed io mi sto dirigendo, borsa in spalla, con un ragionevole anticipo agli allenamenti, quando il mio Battitore fa improvvisamente irruzione nella Sala Comune, fiatone, viso arrossato e occhi che si piantano subito su di me. Lui non ha la borsa già pronta, non posso fare a meno di notare. «Oh, grazie a Godric, James, sei qui!»
 


«Da quando ti interessa chi è mio amico, Sirius?»
«Mocciosus? ‘Amico’? Wow. Bella idea di amico, fratellino.»
E gli dà fastidio che lo chiami così, proprio come quando eravamo piccoli e lui si infuriava insistendo di avere solo un anno in meno di me. È esattamente per questo che lo faccio.
 


Quando Frank mi sbatte una mano sulla spalla mi preparo a una confessione solenne o qualcosa del genere, poi lui si piega in due ansimando e diviene chiaro che si sta solo aggrappando a me per riprendersi da quella che spero essere stata una corsa lunghissima e piena d’ostacoli che giustifichi una tale scenata. Di nuovo, la partita evento della mia vita e dell’universo tutto è a pochi giorni di distanza e una tale mancanza di agilità da parte del mio Battitore non mi compiace. Dopo qualche secondo Frank si ritira su, spostando la mano dalla mia spalla al braccio, tirando appena. «Presto, vieni con me».

 
 
«È evidente che non abbiamo le stesse idee su chi sia un amico degno o meno» Ha una luce fredda negli occhi e le labbra piegate in un sorrisetto falso. È spiacevole, come guardarmi allo specchio. «Come sta Potter a proposito? Si è ripreso dalla sconfitta?» La spilla da Capitano è appuntata sul suo petto proprio a fianco a quella da Prefetto. Non sorride più ora. «O Lupin? Ho sentito che è stato male di nuovo questo mese» Fa una pausa e mi guarda dritto negli occhi. «Proprio come ogni mese.» Mi chiedo se riesca a sentire il mio sangue pulsare. Sembra assurdo che non possa, quando è tutto quello che riesco a sentire io.  Scrolla le spalle, un angolo della bocca piegato in una smorfia sprezzante. «Possiamo risparmiarci Minus, sì?»  
 


Frank è chiaramente fuori di testa se pensa che io possa seguirlo in una parte di mondo diversa dal campo da Quidditch in questo momento, così mi ritraggo dalla sua presa. «’Vieni’ dove?» sbuffo contrariato, aggiustandomi la borsa sulla spalla. Il mio anticipo sta lentamente andando a farsi benedire, così come la mia pazienza. «Ho gli allenamenti, Frank. Anzi, abbiamo.» I pochi presenti nella Sala stanno iniziando a guardarci incuriositi, ma Frank ha occhi solo per me da quando è entrato. «Al diavolo gli allenamenti, James, corri!»
 


«I miei amici stanno bene, Regulus, grazie. Tu invece? Nulla di eccitante nella tua vita? Sei diventato zio, sì? Oh aspetta, non è scritto sull’arazzo quindi probabilmente non lo sei, è così che funziona. Meglio aspettare arrivi da un ramo della famiglia più degno» La rabbia è come un fiume in piena dentro di me e ha rotto gli argini da anni, e brucia e sfonda tutto, ma più le lascio prendere il sopravvento e meno devo sforzarmi per mantenere la superficie piatta e gelida come un lago ghiacciato. «Forse Bella» aggiungo sghignazzando.
 


Frank ha appena detto ‘al diavolo gli allenamenti’ e questo non è accettabile in nessuno degli universi conosciuti e forse è solo per farglielo presente, tramortirlo e trascinarlo di peso al campo da Quidditch che lascio cadere il borsone e gli corro dietro, fuori dalla Sala Comune. Due rampe di scale e diversi corridoi più in là, ancora fieramente privo del benché minimo affanno, inizio a intravedere una folla anomala che blocca il corridoio per le aule di Incantesimi.
 


Regulus non è mai stato il primo a cercare il contrasto, non è nella sua natura. Quello sono sempre io. Anche ora è lui il primo a darmi le spalle, allontanandosi.
È quasi arrivato all’altra estremità del corridoio quando la mia voce riecheggia tra le pareti di pietra, facendolo bloccare, ancora di spalle.
«Ce l’hai già il marchio?»
 


Quando Frank sparisce tra la folla di studenti in fermento ed io rallento appena per farmi largo a fatica sulla sua scia, l’indignazione ha ormai lasciato il posto alla curiosità, perché ci dev’essere qualcosa di incredibilmente interessante per intasare così l’intero corridoio.
È solo quando riesco finalmente a portarmi abbastanza vicino da vedere cosa sta succedendo che la curiosità lascia il posto al panico.
 


Il mio pugno si schianta di nuovo contro la mascella di Regulus e il sangue che mi cola dal labbro e mi riempie la bocca di un sapore metallico gli gocciola addosso, mescolandosi al suo. Ci sono movimenti e grida tutto attorno a noi, ma quelle gocce di sangue sul viso di mio fratello sotto di me sono l’unica cosa su cui riesco a concentrarmi per qualche secondo, poi è di nuovo il vuoto.
 


C’è un’armatura per terra, abbandonata inerte sul pavimento, a qualche passo appena da dove Sirius e Regulus stanno rotolando continuando a colpirsi alla cieca, sotto gli occhi di tutti. C’è meno sangue di quando Piton mi ha lanciato quel Sectuqualcosa al braccio, ma c’è n’è più di quanto sia normale in una rissa alla babbana tra ragazzi. È chiaro perché Frank è corso a chiamarmi ora, ma per diversi secondi resto bloccato a guardarli senza sapere cosa fare, senza nemmeno pensarci, esattamente come tutti gli altri. È quando Sirius schiaccia suo fratello sotto di lui e inizia a colpirlo dritto in faccia, con forza, che mi riscuoto e scatto in avanti.
 


Lo sento divincolarsi sotto di me, spingere per rialzarsi, e sento anche la ginocchiata che mi arriva tra le costole, forte, e so che dovrebbe far male, ma la verità è che non sento nulla realmente a parte le mie nocche scivolose di sangue contro la sua faccia e sono pronto a sentirle di nuovo, quando due braccia mi afferrano improvvisamente da dietro, cingendomi il petto e tirando con forza.
 


Ho quasi sollevato completamente Sirius da suo fratello quando, dopo qualche secondo di evidente sorpresa, si divincola di scatto e con più forza di quanta mi aspettassi, cercando furiosamente di liberarsi. Io non lo lascio e continuo a cercare di allontanarlo da Regulus, fino a quando invece non sono con il culo per terra e gli occhi appannati dalle lacrime.
Resto intontito per qualche secondo ed è più la sorpresa che il dolore improvviso al naso, arrivato forte e fulmineo come il gomito di Sirius.
Sirius che mi dà le spalle ed è di nuovo su suo fratello.
Non sento cosa dice Frank chinato su di me, come non ho sentito distintamente le grida della folla fino ad ora, chiuso in una bolla di suoni ovattati, ma per qualche ragione i mormorii che articolano il nome della mia Capocasa li registro subito distintamente e in una frazione di secondo sono di nuovo in piedi, una manica a pulirmi bruscamente il sangue dalla faccia. Il dolore si acuisce in una fitta più intensa quando mi sfrego sotto il naso, ma quando la McGranitt emerge dalla folla non ci sono differenze visibili tra me e gli altri spettatori.
È il suo sguardo, prima ancora del fatto che ha appena estratto la bacchetta, e il fatto che so perfettamente che Sirius ignorerà anche i suoi richiami, che mi fa scattare di nuovo.
 


C’è di nuovo quella voce troppo vicina a chiamare il mio nome e ancora una volta voglio solo farla sparire e continuare a colpire quel viso troppo uguale al mio, ma subito mi sento tirare verso l’alto, di lato questa volta, ed ora riesco a vederlo. 
È James naturalmente e non è come se non lo sapessi anche prima, ma ora ce l’ho davanti e mi guarda negli occhi e tutto ricomincia a prendere forma, il corridoio affollato, la McGranitt infuriata, il sapore del sangue nella mia bocca.
 


Sirius si lascia spingere via da suo fratello senza più opporre resistenza, come se si fosse appena svegliato, e quando gli lascio il braccio si volta e se ne va dall’altra parte, ignorando completamente la McGranitt che gli ordina di tornare immediatamente qui.
«Inammissibile» la sento sibilare a bassa voce e quando mi volto verso di lei trovo con orrore un rosso irato sulle sue guance. L’ultima volta che ho visto quel colore sulla faccia della mia Capocasa Severus Piton era a testa in giù e senza mutande.
«Le giuro che è profondamente dispiaciuto, professoressa, non intendeva mancarle di rispetto» dico subito agitato, cercando di sembrare convincente e non completamente nel panico. «Le porge le sue scuse. Gliele porgerà di persona, ma faccia come se gliele stesse già porgendo, sì? Profondamente dispiaciuto.» 
«Potter.»
«Sì, professoressa.»
«Faccia silenzio.»
«Ok.»
Il mio cervello inizia subito a cercare altre cose strategiche da dire, ma la mossa più astuta da fare dopo aver accettato di fare silenzio sembra proprio essere fare silenzio, così mi mordo le labbra, solo per scoprire che mi fa male farlo e così mi trovo a nascondere una smorfia perché la situazione è già abbastanza drammatica senza che la McGranitt sappia anche dei feriti casuali.
«Tornate tutti nelle vostre Sale Comuni, immediatamente, non c’è nulla da vedere qui» sta intanto dicendo la McGranitt, a cui fortunatamente non sembrano importare le mie smorfie. « Signor Black, lei vada in infermeria, la raggiungerò lì con il suo Capocasa. Mi aspetto una spiegazione per questa inciviltà.»
Regulus, che si è rialzato e ha l’aria di chi si è tuffato di faccia in un piatto di pasta al pomodoro, annuisce composto e si allontana senza aprire bocca.
A questo punto la McGranitt si volta decisa verso di me, apparentemente certa di trovarmi ancora qui.
«Lo voglio nel mio ufficio tra un’ora esatta, Potter.»
«Ci sarà» annuisco con forza. «Un’ora spaccata. Né un secondo prima né un secondo dopo. E le dirà quanto è profondamente disp-»
La McGranitt non mi sta più prestando attenzione e si allontana, incitando gli ultimi curiosi ad disperdersi, così la mia frase cade nel vuoto. Siamo rimasti io, Frank e l’armatura ora e l’orologio a muro che segna le cinque meno dieci.
«Hai dieci minuti per arrivare al campo, Frank, muoviti».
Frank mi lancia un’ultima occhiata perplessa, poi corre via ed io estraggo la mappa.
 
 
 


Non vedo perché Sirius debba fare l’alternativo in Guferia tra le cacche di gufo quando esiste la Torre di Astronomia con la sua terrazza larga e pulita e la vista sul lago nero a disposizione, ma tant’è.
«Ehy.»
Sto attraversando cautamente la stanza circolare facendo lo slalom tra le macchie di guano e piume che ricoprono il pavimento quando una qualche specie di volatile non identificato attenta alla mia vita, planandomi contro esattamente all’altezza degli occhi. Mi abbasso di scatto e quella che si direbbe una civetta demoniaca atterra tranquilla su un trespolo qualche metro più in là, senza degnarmi di uno sguardo, come se raggiungere quella postazione fosse stato da sempre il suo unico obiettivo e l’accecarmi nel mentre fosse un bonus di nulla importanza. Uno splat disgustosamente liquido a pochi passi da me mi informa che sono sotto attacco anche dall’alto, ma come anni di buste nelle caraffe del latte a colazione mi hanno insegnato, nessuno dei gufi di Hogwarts è familiare con il concetto di mira. Sirius, dal suo muretto, mi lancia un’occhiata impassibile e si limita a un cenno del capo prima di tornare a guardare fuori verso il parco, chiaramente non troppo preso dal fatto che i gufi vogliono la mia testa.
«La McGranitt è nera» lo informo prendendo posto vicino a lui sul muretto, le gambe a spenzolare nel vuoto. Automaticamente porto le dita ad accertarsi della presenza della bacchetta, giusto nel caso la civetta di prima si rendesse conto di che bersaglio incredibilmente facile io sia ora e mi buttasse di sotto.
Sirius sbuffa, un sorriso impercettibile a piegargli appena gli angoli delle labbra. «Immagino.»
«Quando vai nel suo ufficio dille che sei profondamente dispiaciuto, ok?»
«Non mi sento profondamente dispiaciuto.»
«Beh, cerca di sembrarlo» insisto.
Sirius resta in silenzio, continuando a guardare davanti a sé ed io lo imito, lasciando correre lo sguardo lungo il parco illuminato dal sole pomeridiano. Riesco a intravedere il campo da Quidditch in lontananza e le figurine che volano sopra di esso. Le conterei per controllare che nessuno stia facendo il furbo approfittando del mio ritardo, ma sono troppo piccole e veloci. Di tanto in tanto qualche gufo vola sopra le nostre teste per prolungare gli ampi giri di ricognizione anche all’esterno della Guferia, attraverso le aperture alle pareti, ma se ne stanno tutti almeno un metro sopra di noi e nessuno cerca più di accecarmi.
«Ha iniziato lui?» chiedo dopo un po’, con il tono più casuale possibile.  
Sirius risponde subito, continuano a guardare dritto davanti a sé, ed è come se non avesse nemmeno sentito. «Vorrei che non fossi arrivato in tempo per salvare Piton. Vorrei che Moony lo avesse ucciso.»
Il talento innato di Sirius nel dire cose spiazzanti non è esattamente una novità, ma questa volta resto a fissarlo interdetto per diversi secondi, preso completamente alla sprovvista. Poi prendo un respiro profondo e sposto lo sguardo sul cielo azzurro davanti a noi.
«Okay. Questo» Faccio una pausa. «Non lo dire mai più.»
Sirius resta in silenzio, ma sempre con quell’aria indifferente.
«E vaffanculo» aggiungo dopo un po’, dandogli una spinta leggera alla spalla. «Se non hai voglia di parlare puoi dirlo, non c’è bisogno che fai lo stronzo per mandarmi via.»
«Non ho voglia di parlare con te» risponde subito innervosito, voltandosi finalmente a guardarmi. «Vai a fare qualcos’altro da qualche altra parte, grazie.»
«Okay» dico, ritirando su le gambe e alzandomi. «Ho gli allenamenti in ogni caso.»
Salto giù dal muretto e mi sbatto velocemente le mani sui pantaloni per liberarmi da piume e schifezze varie, quando Sirius mi fa bloccare.
«Ecco, allenati così forse riesci a vincere una partita una volta tanto.»
Completamente spiazzato per la seconda volta nel giro di pochi secondi, mi volto con un sorrisetto a metà tra l’incredulo e il divertito. «Cos’era quello?»
Sirius mi osserva in silenzio e vagamente ostile per diversi secondi, prima di sbuffare rassegnato.
«Sto cercando di litigare con te, ma lo rendi difficile.»
«Ah» dico. «Scusa. Non lo faccio apposta.» L’unica risposta è lo stridere di qualche uccello ed io inizio a concentrarmi per trovare una soluzione. «Potrebbe aiutare se ti insultassi?»
Sirius inarca un sopracciglio, scettico.
«La tua cravatta è orrenda.»
«È la cravatta della divisa» replica laconico ed io sbatto le palpebre. «La stessa che indossi anche tu» insiste, prima di scuotere la testa. «Oh, lascia perdere. Litigheremo un’altra volta.»
Poi torna a guardare l’orizzonte ed io mi riavvicino con un mezzo sorriso, prima di riprendere posto sul muretto. Subito mi frugo nelle tasche e tempo due secondi un boccino d’oro dalle ali spiegazzate si libra per aria davanti a me. Quando con uno scatto fulmineo prova a fuggire lo riacchiappo, per poi aprire la mano e lasciarlo allontanare ancora prima di afferrarlo di nuovo. Sirius mi lancia un’occhiata di sottecchi.
«È questa la tua idea di allenamenti?»
Alzo le spalle. «Sono comunque in ritardo.»
Restiamo un po’ così senza parlare, con Sirius che mi osserva giocare con il boccino, poi lo dico e basta.
«Non è colpa tua, lo sai, sì?»
Il silenzio dura parecchio questa volta, poi Sirius si gira.
«Seriamente, Potter, levati dalle palle.»





 
**********

Il sole già un po’ fioco di suo è coperto da nuvole grigiastre che riflettendosi sulle acque del lago danno una connotazione spettrale al paesaggio, spezzata solo dagli schiamazzi occasionali che provengono dal campo di Quidditch. Il vento freddo mi fa rabbrividire appena. Peter, in piedi a pochi passi da me, si stringe nelle spalle affondando ancora di più il viso nella sciarpa ed io gli lancio un’occhiata dal basso, la schiena contro il tronco largo della nostra quercia.
«Sei sicuro che non vuoi aspettarla dentro?»
A parte noi due e qualche altro studente che passeggia attorno al lago, il parco è quasi completamente deserto, essendo che siamo a inizio marzo e l’unico non soffrire il freddo in questa scuola sembro essere io –essermi svegliato una volta al mese per cinque anni completamente nudo sul pavimento della Stamberga Strillante, nella camera vuota e piena di spifferi gelidi tra le ante di legno inchiodate, probabilmente ha aiutato.
Lo stesso non si può dire dei miei amici e difatti la nostra quercia diviene la nostra quercia solo in primavera inoltrata ed estate, dato che Sirius è un animale a sangue caldo, James sopporta le basse temperature senza problemi solo in caso di movimento -movimento che preveda possibilmente il volo- e Peter si sforza di ignorarle solo per farmi compagnia ogni tanto, o forse solo  per controllare che non mi congeli ai piedi della quercia mentre mi godo la tranquillità del parco quando non ha l’attrattiva del sole caldo né della neve, ma solo il rumore placido delle onde create dalla Piovra che si infrangono a riva.
«Eccola» Gli occhi di Peter si illuminano mentre mi indica con un cenno della testa una figura che dal castello si avvicina pian piano, troppo lontana perché io possa distinguere altro oltre ai colori dei Tassorosso.
«Buona passeggiata» sorrido mentre Peter le va incontro lasciandomi solo.
Resto a contemplare le grandi distese d’erba e gli alberi attorno a me e a fingere di riflettere sulle grandi cose della vita per un tempo indefinito, quando un puntino rosso che dal castello inizia a sfrecciare attraverso il verde attira la mia attenzione. Quando è abbastanza vicino da permettermi di identificare i classici colori della divisa di Quidditch di Grifondoro oltre al borsone buttato sulle spalle, capisco perché sta correndo così veloce: gli allenamenti sono iniziati da un bel po’ ormai e chiunque sia quello sventurato che vi si sta dirigendo in ritardo, a pochi giorni dalla partita oltretutto, affronterà l’ira di James.
Non solo di James a dire il vero, grazie alla regola del dover fare tutti tanti giri di campo quanti sono i minuti di ritardo. 
Se non fosse che quello è James.
Tutta una serie di domande prendono immediatamente forma nella mia mente e darei voce ad almeno una di esse, se non fosse che lui sta correndo come se il castello fosse in fiamme e un esercito di Acromantule lo stesse inseguendo e tempo due secondi è già un milione di chilometri più avanti, non più a portata di voce.
Sono curioso, indubbiamente, è la prima volta in sette anni che fa tardi agli allenamenti e non riesco a immaginare uno scenario abbastanza catastrofico che lo giustifichi, cosa che mi spingerebbe a correre al castello e scoprire se ci sono superstiti, e mi spingerebbe anche a correre invece dietro di lui per chiederglielo di persona e soprattutto per assistere alla reazione della squadra, forse ci sarà un ammutinamento e gli faranno fare miliardi di giri di campo fino a quando non morirà, più probabilmente se li farà fare da solo, ma la verità è che tutta la mia curiosità, che pure è vasta e pungente, si limita alla parte alta del mio corpo, il cervello per la precisione, mentre alle mie gambe non potrebbe fregare di meno e così me ne resto piantato qui, immobile contro la quercia, mentre la mia mente vola in giro.
Non riesco più a scorgere nessuna figurina in volo sopra al campo da Quidditch ora e le possibilità sono due, o James è riuscito a mantenere la sua autorità di Capitano e sta facendo fare venti giri di campo a tutti sé compreso o tutta la squadra è scesa a terra per partecipare al suo pestaggio.   
«Sei imbarazzante.»
Troppo perso a contemplare il campo da Quidditch desiderando di potermi separare dai miei occhi con un plop per poi farli volare là a spiare tutto, non avverto minimamente i passi che si avvicinano a me e quando vengo informato con tono deciso di essere imbarazzante perdo dieci anni di vita, sobbalzando e voltandomi di scatto solo per trovarmi Lizzie di fronte.
Sei imbarazzante ha detto ed io spalanco gli occhi mentre cerco di analizzare l’informazione ed eventualmente controbattere, ma non mi trovo realmente in disaccordo e così boccheggio in un imbarazzante, per l’appunto, silenzio.
«Sei una persona imbarazzante» insiste Lizzie ed io prendo nota della specificazione, che universalizza il mio essere imbarazzante come caratteristica continua della mia persona e non come situazione momentanea e di nuovo non mi trovo in disaccordo. Non credo che potrei contraddirla neppure se lo volessi in realtà, non senza risultare maleducato, perché lei ha un’aria e un tono molto determinato e sicuro. «Mi hai detto che la mia faccia è come un fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli» continua e questa volta il panico raggiunge persino le mie gambe pigre, che mi dichiarano a gran voce la loro disponibilità a mettersi in funzione e portarmi lontano da qui di corsa ora che la cosa di cui speravo e credevo non avremmo parlato mai più mi è stata sbattuta in faccia con una tale mancanza di preavviso. La mia gamba destra ha realmente una sorta di spasmo tanto è il desiderio di correre, ma scappare mentre qualcuno ti sta parlando non è un comportamento accettabile e così mi ancoro con le dita all’erba gelida, giusto nel caso iniziassi a levitare per l’imbarazzo e tentassi la fuga via aria. «È la cosa più imbarazzante che chiunque mi abbia mai detto, che chiunque abbia mai detto a chiunque credo.» Devo scappare, è inaccettabile ma devo scappare, dirò qualcosa a proposito dei miei amici che hanno fatto qualcosa da qualche parte ed hanno bisogno che io li vada subito a salvare dalle conseguenze delle loro azioni, ecco cosa dirò, sì. «Ma sai cosa, anche io sono imbarazzante.» C’è solo un attimo, dopo la confessione di Lizzie, in cui continuo a contemplare la possibilità di scappare, perché ora ho un lieve timore che stia per paragonare la mia faccia a un tulipano o qualcosa di simile, ma mentre lei continua a parlare senza tirare in ballo fiori vari sento le mie gambe rilassarsi pian piano. 
«Credo anzi che la maggior parte delle persone dovrebbe essere imbarazzante» continua Lizzie, decisa. «Non mi fido di chi riesce a non esserlo, come se controllasse quello che deve dire da una postazione sicura e molto lontana dall’imbarazzo sociale e dalle facce delle altre persone. C’è una forte possibilità che la maggior parte dei nostri compagni siano androidi o attori che vengono dal futuro e sanno in anticipo cosa tu dirai e così hanno già pronta la risposta da recitare, una risposta che è sempre la meno imbarazzante tra le opzioni e non è mai, che so, la tua faccia è come un campo di girasoli. Quindi, la verità è che tu sei imbarazzante perché non sei un androide. I girasoli sono la prova che non vieni dal futuro. È una cosa positiva. Perciò credo che dovresti smettere di essere così imbarazzato dal fatto di essere stato imbarazzante e di lanciarmi quelle occhiate mortificate ogni volta che mi vedi come se la mia faccia ora fosse un esplodere di caccabombe in un campo maleodorante pieno di caccabombe, perché almeno siamo entrambi esseri umani, senza postazioni elettroniche o altre cose false e dignitose.»
Nel silenzio che segue odo distrattamente risuonare in lontananza gli schiamazzi dal campo: che fossero giri di corsa o un pestaggio quelli in atto, ora è finita e gli allenamenti sono ricominciati.
«Se avessi elaborato questo discorso in precedenza da una postazione sicura tutto questo non sarebbe successo e ti avrei semplicemente detto un dignitoso ‘non preoccuparti, Remus, tutti a volte parliamo senza pensare’, eppure eccomi qui, senza alcuna postazione.»
«Questa è una postazione» specifico subito, senza potermi trattenere. «Siamo...posizionati sotto una quercia, davanti al lago nero e a circa una cinquantina di metri dal castello.»
Lizzie sbatte le palpebre.
«Credo che sia più che altro una posizione».
Ora sono io a sbattere le palpebre.  
«Beh, quello che volevo dire, in realtà, è grazie.»
«Prego.»
«Non ci sono abituato, perché di solito sono quello che pensa, intendo prima di parlare e non dopo, ma grazie. Sono felice di non essere un androide» Non è propriamente vero, non sono informatissimo a riguardo ma sospetto che ci sarebbero diversi vantaggi nell’esserlo, eppure sono sincero nel dire di essere felice, anche se non so bene di cosa. «Puoi sederti se vuoi.»
Lizzie sorride e fa per sedersi, ed io mi trovo a sbattere le mani a terra come a rassettarla, come se il fatto che questa è la nostra quercia mi rendesse effettivamente responsabile di mantenere l’ordine nella zona. 
«Come mai te ne stai qui solo al freddo?»
«Mi piace il silenzio» Alzo le spalle. «Beh, non il silenzio totale, quello assoluto in cui non vola una mosca e tutto è immobile, mi piace quando è tranquillo e c’è abbastanza calma da poter sentire l’acqua e il vento e anche le grida lontane di Peter e la sua ragazza che litigano con la Piovra –glielo avevo detto di non lanciare più i sassi nel lago, per forza che gli tornano indietro poi, e a concentrarsi sui rumori che arrivano dal campo si direbbe che stanno sacrificando in modo dolorosissimo qualcuno sull’altare del Quidditch, ma è tutto lontano e ovattato e riesce in qualche modo a rientrare nella mia definizione di silenzio, se ha senso.»    
Lizzie annuisce con un mezzo sorriso, appoggiando la testa al tronco largo e ruvido della quercia, gli occhi a vagare oltre la distesa azzurra di fronte a noi, tra le chiome scure della Foresta Proibita. Io la imito e ce ne stiamo per un po’ senza parlare, a guardare la Piovra che vicina alla riva opposta del lago schizza giocosamente Peter e Berta, o cerca di annegarli, una delle due. Poi mi giro di nuovo verso di lei.
«Non dobbiamo stare per forza in silenzio. Ho detto che mi piace, ma,» Mi schiarisco la voce. «Mi piace anche quando parli.» 
 




**********

Non so quanto tempo esattamente passi così, Black seduto di fronte a me col suo labbro visibilmente spaccato che trascrive titoli e informazioni di libri impolverati sulla sua pergamena, ed io che lo fisso intensamente senza muovere un dito. Lo sa, è chiaro che lo sa e mi sta ignorando, lo sta facendo anche bene, ma a tutto c’è un limite e così di colpo abbandona la piuma sul tavolo e mi pianta a sua volta gli occhi in faccia.
«D’accordo, vai» sospira rassegnato.
E io vado.
«Continui a finire in punizione mentre sei già in punizione, questa è la terza volta, sei praticamente in punizione il triplo di me e continui ad avere la mia stessa identica punizione. Ti sembra normale? Non dovrebbero lasciarmi libera a un certo punto e far finire il lavoro solo a te? Sai, per premiarmi di non essere più finita in punizione mentre ero già in punizione. Per mostrarmi che serve a qualcosa non finire in punizione.»
È abbastanza liberatorio, come essermi tolta qualcosa dal petto che mi avrebbe altrimenti ostacolato per tutta la durata della punizione di oggi,  ma non totalmente liberatorio, perché continua ad aleggiare su di me l’ingiustizia della situazione e la consapevolezza che se ora io mi alzassi e me ne andassi a picchiare qualcuno, Madama Pince ad esempio, magari con i suoi stessi libri, pesanti e dagli angoli appuntiti, e abbastanza sporchi da infettarle ogni ferita e impedirle la guarigione, o qualcun altro a caso, che ne so, Potter, ecco, la mia punizione peggiorerebbe, lo so e basta, si tramuterebbe in qualcosa di mille volte più grave, sarei costretta a vagare per la scuola con delle catene e dei pesi alle caviglie o non potrei vagare affatto, rinchiusa vita natural durante in qualche cella nei sotterranei, perché questo è il livello di ingiustizia a cui sono sottoposta da questa scuola.    
«Sai cosa, Evans, hai ragione.»
Black mi fissa pensoso a braccia incrociate ed io ricambio spiazzata.
«Ho ragione?»
«Certo» Alza le spalle. «È palesemente ingiusto. Dovresti finire in punizione anche tu e boicottare il sistema.»
«Mi incatenerebbero a questo tavolo» replico subito. «Mi hanno già incatenato a questo tavolo solo perché ho infranto le regole una volta, se le infrangessi di nuovo mi incatenerebbero letteralmente al tavolo» E per far capire a Black la gravità della situazione, sbatto i polsi sul tavolo, facendomi anche un po’ male. «Signorina Evans, da lei non me lo sarei mai aspettato!» Non è una buona imitazione della McGranitt quella che ho appena effettuato, il tono stridulo è più simile a quello di Madama Pince in realtà, ma nella mia testa ormai loro due si confondono sempre più a rappresentare un’unica cosa, il lato ingiusto della vita.
«Ed è esattamente per questo che puniscono più te che me» dice Black ed ha il tono di chi mi sta svelando le grandi verità della vita. Non vorrei ascoltarlo, che nessuna persona sana di mente accetterebbe di farsi svelare le verità della vita da Sirius Black, eppure lui appena qualche ora fa ha fatto a pugni con suo fratello di fronte a un corridoio pieno di studenti, ha ignorato i richiami della McGranitt in persona ed ora è comunque qui alla sua solita punizione, che continua ad essere anche la mia, quindi forse ci sono delle cose che lui sa ed io non so che gli permettono di farlo. «È perché non le hai infrante abbastanza» continua con semplicità, mentre io corrugo la fronte. «Sanno che sei correggibile: ti sei fatta un giretto in Sala Comune oltre il coprifuoco, ti sei appena affacciata nel baratro dell’illegalità e quindi ti trattano col pugno di ferro, per farti rientrare nei ranghi» Ed ha spaventosamente senso, quello che sta dicendo. Sono recuperabile, ma certo. «Ma se tu ti ci tuffassi a capofitto e le infrangessi in modo così plateale da mostrargli che non ti interessa delle punizioni, non avranno più nulla contro di te. E allora non interesserà più neanche a loro.»
Lo ascolto rapita e mi trovo ad annuire lentamente, finché gli occhi non mi cadono sul libro proprio davanti a me, in attesa di essere schedato. È uno scatto repentino, la mia ribellione, e il libro finisce a terra con un tonfo.
Lo guardo mentre giace inerme sul pavimento di pietra, accanto alle gambe della mia sedia, poi alzo gli occhi su Black. Lui scruta il libro impassibile, poi guarda me.
«Evans, ti ho parlato di infrangere le regole in modo plateale e irrimediabile e tu hai gettato un libro per terra? È questo il tuo massimo di anarchia?»
È quando Black dice che ho gettato un libro per terra, che mi rendo conto di aver gettato un libro per terra, e così mi chino in fretta a raccoglierlo, sbattendoci il dorso della mano sopra per pulirlo dalla polvere del pavimento e lasciargli solo la polvere che era già sua.
«Non mi ha visto, vero?» sussurro lanciando un’occhiata preoccupata tra gli scaffali. «Oh, Godric, si è piegata la copertina, guarda! È tutta colpa tua e dei tuoi deliri.»
«Strappalo.»
Lo dice così velocemente che a malapena capisco.  
«Cosa?»
«Strappa il libro. Ti sentirai meglio.»
«Sei pazzo.»
Black si china in avanti, cospiratorio.
«Strappa il libro.»
«Non strapperò il libro.»
«Sono entrato nella Sala Comune di un’altra Casa e ho dato Mocciosus in pasto alla Piovra Gigante. Tu hai dato una festa.»
Non darò retta a Sirius Black, perché dare retta a Sirius Black è il primo passo verso il ricovero coatto, ma devo ammettere che ha un’aria convincente. Lancio un’occhiata attratta al libro di nuovo davanti a me, ma è solo un attimo.
«Ho allagato i sotterranei di Serpeverde e fatto a pugni. E abbiamo la stessa punizione.»
Non ho deciso di vandalizzare il libro, ma è il suono di uno strappo quello che sento ora ed è un angolo di una pagina quella accartocciata tra le mie mani e non più attaccata al resto del volume.
Trattengo il fiato e subito dopo mi volto di scatto verso il bancone di Madama Pince vicino all’entrata, vuoto. Black emette uno strano suono.
«L’ho strappato» dico sconvolta, alzando gli occhi su Black. «Ho boicottato il sistema.»
Ed è così, ho trovato la via: il vandalismo. Ogni volta che sentirò di nuovo quel senso opprimente di ingiustizia qui ad Hogwarts, quando la McGranitt si servirà nuovamente del non me lo sarei mai aspettata da lei, signorina Evans per punirmi più del dovuto, non lo sopporterò in silenzio, ma combatterò e lo farò sfogandomi sulle proprietà scolastiche.
I libri, i muri, è tutto un’arma contro la scuola.
Black emette di nuovo quello strano versetto di prima ed ora che lo sto guardando in faccia capisco che è una risata trattenuta.
«Mi stai prendendo in giro» realizzo improvvisamente, l’indignazione che mi invade alla velocità della luce, perché stavo avendo un grande momento qui e a quanto pare era solo per allietare la sua punizione.
«Un po’» annuisce Black, senza più sforzarsi di non mostrarsi divertito e chinandosi poi di lato per evitare l’angolo di pagina accartocciata che gli lancio contro. «Non mi aspettavo che lo strappassi davvero» sogghigna.      
Con uno sbuffo mi alzo e raccolgo da terra la pagina accartocciata prima che Madama Pince la veda e mi impicchi al lampadario della biblioteca con un qualche cartello infamante appeso al mio cadavere a fare da eterno monito agli altri studenti, poi mi risiedo al tavolo ed estraggo la bacchetta. «Reparo
«Che succede? Si è rotto qualcosa?»
Madama Pince si materializza letteralmente alle mie spalle, gli occhi puntati sulla mia bacchetta ed il mio cuore fa dieci salti carpiati all’indietro prima di riatterrare con un tonfo nel petto. Madama Pince sta ancora guardando la mia bacchetta con quei suoi occhietti accusatori e cattivi e il mio cuore ha un altro doloroso spasimo mentre realizzo che la punta è ancora a pochi centimetri dalla copertina del libro, su cui c’è solo la mia mano sinistra. Black se ne sta lì a mordicchiare la sua piuma di zucchero e non è d’aiuto.
«Un’unghia, mi sono rotta un’unghia» Ho l’illuminazione, alzando la mano e abbassando tutte le dita tranne l’indice. «Ora è apposto.»
Mi sento un po’ idiota con il dito sollevato e l’unghia che catalizza gli sguardi di tutti, e Madama Pince in particolare perde per un attimo la sua solita espressione diffidente, accusatoria e minacciosa tutta insieme per sostituirla con una di genuina sorpresa.
«Funziona sulle unghie?»
«Beh sì, certo, le unghie sono materia morta, quindi funziona, è chiaro» replico subito velocissima, dandomi un tono, non avendo al contempo idea di quale sarebbe l’effetto di un reparo su un’unghia. «Non è come con le ossa, che sono...vive.» Una miriade di immagini terrificanti affollano immediatamente la mia testa e subito mi devo sforzare un po’ di più per continuare a sembrare intelligente. Madama Pince sta ancora contemplando l’unghia del mio indice sinistro e non pare mi stesse davvero ascoltando, poi si riscuote e si ricorda di avere quel palo ficcato là sotto.   
«Le tenga corte, signorina, i libri che state maneggiando sono antichi e l’ultima cosa che mi aspetto è trovarmeli graffiati.»
Si allontana tacchettando fastidiosamente sulla pietra come fa sempre ed io mi abbandono ad un sospiro d’odio, prima di afferrare la mia piuma e ricopiare il titolo del dannato libro. Lo farei, se la punta della piuma non avesse deciso di iniziare a sbriciolarsi a contatto con la pergamena, lasciando una scia di granellini appiccicosi. È mentre la porto al naso annusandola e ne percepisco il profumo dolciastro che incrocio gli occhi di Black e il suo ghigno colpevole si sovrappone alla mia smorfia esasperata. Il suo braccio destro rispunta quindi da sotto il tavolo e mi lancia la mia vera piuma, prima di riprendere a compilare la pergamena succhiando la sua piuma di zucchero. Di nuovo la bacchetta mi viene in soccorso, la mia pergamena torna priva di appiccicumi vari ed afferro la mia piuma d’oca con la mano libera, prima di lanciare un’occhiata dubbiosa a quella di zucchero. Oh beh.
Fatture e rimedi nell’Irlanda del XIV secolo” trascrivo, lo zucchero che mi si scioglie pian piano sulla lingua.
 



**********


«Giuro che non mi sento più i polmoni.»
Sam si sta lagnando dei suoi mali fisici ed esistenziali esattamente da quando ho dichiarato fine agli allenamenti mezz’ora dopo il previsto, perché checché ne dicano gli altri venti minuti di allenamento senza la supervisione del Capitano e venti di giri di campo di corsa non contano come allenamento, non a pochi giorni dalla partita, e quindi è da quel momento che lo sto ignorando, ma quello che non avevo previsto è che la sua ultima affermazione sarebbe stata accompagnata dal suo crollo improvviso al suolo ed è per questo che ora anch’io sono per terra, essendogli inciampato sopra.
Frank, Mike e Daniel entrano negli spogliatoi subito dopo e vanno dritti a buttarsi sulle panche, evitando con nonchalance i loro compagni a terra, ovvero noi.
Mi rimetto a gattoni con fatica, trascinandomi verso la panca più vicina per arrampicarmici, solo per vedere Mike ignorare completamente il mio tentativo e passare dalla posizione seduta a quella stesa, occupandola completamente. Resto a fissarlo per qualche secondo, valutando la possibilità di arrampicarmi lo stesso e stendermi sopra di lui, poi gattono un po’ più in là e resto seduto per terra, appoggiando la schiena al muro fresco. Ci sono delle docce nell’altra stanza, docce in grado di sparare acqua ghiacciata, ed ora sono vuote come non lo sono mai, completamente a disposizione di chi abbia abbastanza forza da alzarsi e raggiungerle per primo. Mi urta che Sam mi abbia fatto cadere, perché se non lo avesse fatto non avrei avuto bisogno di alzarmi per andare a fare la doccia, dato che sarei già stato in piedi, ed invece ora sono bloccato qui a terra con la componente maschile e mezza morta della mia squadra, incapace di dare il buon esempio. Sam, le guance più rosse dei capelli, ha le braccia completamente spalancate e se ne sta steso a pancia in su a fissare il soffitto. «Sta respirando?» chiedo corrucciato, sistemandomi gli occhiali sul naso.
Frank corruga la fronte, poi strappa dal muro dei vecchi schemi e crea una pallina di carta.
Lo sconforto minaccia di assalirmi quando vedo la pallina finire a terra accanto alla testa di Sam, ma almeno non è Frank che deve fare centro negli anelli. La pallina successiva si va a posare esattamente sulla pancia di Sam e tutti possiamo vederla fare lentamente su e giù.
«Sì, respira» conferma Frank.
«Perfetto» annuisco, chiudendo gli occhi. Se dormo qui, domani sarò super in anticipo agli allenamenti.
«Capitano»
È Daniel.
«Dimmi.»
«Non vorrei dirtelo a pochi giorni dalla partita» Subito riapro gli occhi, perché questo non è un incipit che vorrei sentire a pochi giorni dalla partita. «Ma tu oggi sei arrivato in ritardo e non si verificherà mai una condizione altrettanto favorevole al mio annuncio, tra la stanchezza psicofisica e la vergogna che ti avvolge, quindi non posso rimandare.»
«Non sono stanco e non sono avvolto dalla vergogna» metto in chiaro. «E non accetto annunci a pochi giorni dalla partita.»  
«Quindi, il mio annuncio è il seguente» Daniel si schiarisce la gola, ignorandomi, e forse è il fatto che me ne sto seduto qui per terra a privarmi di ogni autorità. «Ho chiesto ad Anne di uscire e so che è contro le regole, ma non mi aspettavo certo che mi dicesse sì d’altro canto. Solo che mi ha detto sì.»
«Io non lo sapevo» dice subito Frank, che chiaramente lo sapeva.
«Io lo sapevo» ammette Mike, l’unico di cui io possa quasi fidarmi in questa squadra.
«Mi state dicendo che siamo partiti da ‘niente relazioni all’interno della squadra’ ed ora gli unici a non essere accoppiati sono Frank e Mike?» E di nuovo sento che se riuscissi ad alzarmi la mia indignazione sarebbe più credibile. «È un incubo. È un maledetto incubo. Prima Alexis e Sam e ora voi, è una squadra di Quidditch o un bordello, mh? Frank, c’è qualcosa che devi dirmi? Va male tra te e Alice ultimamente? Ti senti irrimediabilmente attratto da Mike ora?»
«Non direi irrimediabilmente» dice Frank e persino Sam aggrotta la fronte.
Sospiro. La verità è che Daniel ha visto bene e non ho le forze psicofisiche e nemmeno la perfezione morale che solitamente mi accompagna per potermi buttare in una filippica sulla degenerazione di questa squadra.  
«Anne non aveva una cotta per Sirius?» ricordo confuso.
Daniel sbuffa, scuotendo una mano come a scacciare una mosca.
«Che c’entra quello, tutti hanno una cotta per Sirius.»
«Io non ho una cotta per Sirius» dico e tutto lo spogliatoio inizia a ridere. Persino Sam sghignazza, mentre la maglia sudata  e arrotolata di Mike mi arriva in faccia.
«Ma se siete praticamente sposati.»
«Non siamo sposati» replico indignato, anche se un pochino siamo sposati, ed è bellissimo. «E se lo volessi, per l’appunto, potrei sposarlo, perché Sirius non è nella squadra e non sarebbe una relazione sportivamente incestuosa come le vostre.»
«Beh, se vogliamo dirla tutta, James, tu avevi una cotta spaventosa per Dorcas» dice Frank, che è sempre così pacificamente pronto ad accoltellarmi alle spalle.
«Prego? Non ho mai avuto nessuna cotta per Dorcas. Era il mio Capitano e non ho mai provato altro che rispetto ed incondizionata devozione per lei.» E a riprova di ciò lancio uno sguardo riverente ad una delle cornici appese vicino alla porta, da cui la squadra del 1974, capitanata da Dorcas, festeggia la terza vittoria consecutiva in tre anni. Anche il me stesso quattordicenne della foto sta guardando adorante Dorcas, gloriosa nel risplendere delle parti dorate della divisa, la spilla da Capitano sul petto e la Coppa lucente tra le mani.
Un sospiro nostalgico mi esce dalle labbra.
«Devozione» ridacchia Mike. «È così che la chiama ora.» 
Di nuovo tutto lo spogliatoio ride di me, perché loro d’altro canto non sanno nemmeno cosa sia la devozione.  
«Sam, mi passeresti la pallina di carta che è sulla tua pancia? Grazie.»
Non mi piace che la mia integrità sportiva venga messa in dubbio e così la pallina si schianta con una certa violenza contro la nuca di Mike.
«Mike, dammi la lavagnetta» ordino poi, perché Dorcas mi scruta dal muro per vedere se sono un successore alla sua altezza ed è fondamentale che io le porti una coppa.
Mike, senza alzarsi dalla panca, tende un braccio verso la lavagnetta appesa sopra di lui e una volta constato che è troppo in alto lo rilascia cadere inerte.
«Mike.»
Questa volta usa una gamba e la lavagnetta gli cade addosso con un tonfo.
«Quindi, abbiamo Serpeverde con centocinquanta punti e nessuna partita da giocare» inizio fingendo di studiare la lavagnetta che in realtà so a memoria. «SERPEVERDE CON CENTOCINQUANTA PUNTI!» aggiungo poi gridando a pieni polmoni e battendo un pugno contro il muro che separa il nostro spogliatoio da quello delle ragazze. «AVETE SENTITO? SERPEVERDE CON CENTOCINQUANTA PUNTI! NESSUNA PART-»
«LO SAPPIAMO GIÀ!» grida Alexis al di là del muro.
«Tassorosso è a centotrenta invece» proseguo. «Con due partite ancora da giocare, di cui una contro di noi, e li distruggeremo, e l’altra contro Corvonero, e li distruggeranno. TASSOROSSO CENTOTRENTA, ANNIENTATAMENTO ALLE PORTE!»
Un colpo fortissimo alle mie spalle mi fa sobbalzare e mi informa che Alexis non ha ancora messo via la sua mazza.
Mi schiarisco la voce. «Hanno sentito.»
«Non credo fosse quello il messaggio, James» dice Frank.
«E ora il tasto dolente» proseguo ignorandolo. «Corvonero.» Mi volto di nuovo verso il muro alle mie spalle. «CORVONERO DUECENT-».
La porta si spalanca improvvisamente e Alexis, i capelli gocciolanti, mi fulmina con lo sguardo.
«Corvonero è a duecentocinquanta, due partite ancora da giocare, il prossimo mese contro Tassorosso e la finale contro di noi» dice spedita, continuando a fulminarmi con gli occhi. «Se vincono contro Tassorosso, il loro vantaggio aumenterà ulteriormente, così come il distacco nei nostri confronti, dato che siamo a zero, motivo per cui nella prossima partita contro Tassorosso dobbiamo accumulare almeno cento punti di vantaggio prima che tu prenda il boccino, che ci porterà altri centocinquanta punti. Io e Frank ti aiuteremo a tenere la Cercatrice di Tassorosso lontana dal boccino fino a quel momento, Anne, Daniel e Sam segneranno a raffica nel minor tempo possibile e Mike darà la vita piuttosto che far passare una pluffa dalla porta. Questo è il piano, come tutti già sappiamo, ora smetti di gridarcelo mentre facciamo la doccia e- che state facendo?»
Alexis fissa perplessa me e Sam sul pavimento e gli altri spiaggiati sulle panche. Nessuno si muove. Non so bene cosa stiamo facendo, così alzo le spalle.
«Lo sai, dovresti bussare prima di entrare, Frank avrebbe potuto essere nudo.»
 



**********

« Black.»
Non so che cosa io stia possibilmente facendo di male dal momento che Madama Chips non aggiunge altro e si volatilizza di nuovo tra gli scaffali, così sbatto con forza gli ultimi libri nel reparto di Astrologia e me ne torno al tavolo. Le manca comunque qualche rotella, probabilmente continua a spuntare dal nulla sibilando il mio nome in maniera accusatoria senza reale motivo, sperando di cogliermi in fallo. Come se fossi così stupido da non accertarmi sempre della sua assenza prima di sballarle l’ordine alfabetico.
Il tavolo è lì dove l’ho lasciato e una volta tanto non mi dispiace che non sia andato a fuoco o non sia stato colpito da un meteorite o una qualsiasi altra emergenza che avrebbe reso lecito uscire dalla biblioteca; per qualche motivo è in realtà quasi rilassante questo meccanico e metodico ripetersi di gesti noiosi oggi, a cervello semi-spento. 
A interrompere la monotonia è la piuma di zucchero che avevo abbandonato accanto all’ultima pila di libri e che nel momento in cui torna tra le mie labbra si rivela non sapere più così di zucchero. Sa di piuma d’oca, realizzo allontanandola da me con uno scatto e sputacchiando, probabilmente perché è una piuma d’oca.
Evans, che è esattamente a un metro da me e non può non aver sentito, continua a scrivere come se nulla fosse, gli occhi puntati sulla sua pergamena e l’accenno di un ghigno colpevole ad alzarle lievemente l’angolo destro della bocca. Touchè.
È comunque quasi ora di cena, così evito di recuperare un’altra piuma di zucchero dalla mia scorta e riprendo a scrivere, e tutto procede tranquillamente fino a quando Evans si dimentica che non siamo amici.
«Lo sai, sto ancora aspettando che mia sorella faccia qualcosa» dice ed io mi guardo attorno alla ricerca del suo interlocutore, eccetto che ci siamo solo noi. «Perché è la più grande ed è sempre stato così e ancora adesso che non ci parliamo più credo che spetti a lei. Fare qualcosa intendo. Tipo, qualunque cosa.»
Il mio sopracciglio inarcato e ogni muscolo del mio viso continuano a dirle “che diavolo vuoi da me” ancora per diversi secondi, esattamente come hanno fatto da quando ha iniziato a parlare, ma lei continua a scrivere e a non alzare gli occhi dalla pergamena, così non mi resta che comunicarle il mio totale disinteresse per la sua vita a voce.
«Hai una sorella?» mi sento dire invece.
Annuisce. «Già. Ma lei non è una strega.»
Non è come se ci fosse bisogno di specificarlo dal momento che non è qui ad Hogwarts ed Evans non è esattamente un cognome con origini magiche, ma suppongo che non sia scontato che tutti abbiano stampata in testa la cartina dettagliata delle principali famiglie purosangue dal medioevo ad oggi.
«E che le hai fatto perché non ti parlasse più?»
«Non le ho fatto niente» Alza le spalle, smettendo di scrivere. «È solo che non le piace la magia.»
«A tutti i babbani piace la magia» ribatto subito, in automatico.  
«Non a Petunia.»
Se mi chiamassi Petunia, sarebbe mia madre quella a cui non rivolgerei più la parola.
«E ci credi pure?» Incrocio le braccia, scettico.
Evans mi guarda a lungo, prima di scuotere la testa. «No, non davvero» dice con un sorriso amaro. «Hai detto bene, a tutti i babbani piace la magia, fino a quando credono che non possa esistere. Scoprire che è tutto vero, che esiste, ma che tu ne sei escluso...beh, è questo che le ho fatto. È per questo che mi odia.» Si stringe nelle spalle, arrendevole. «Non è colpa mia, ma non è nemmeno del tutto colpa sua.»
Il silenzio torna a riempire la biblioteca ed io continuo a guardarla, impassibile.
«Tua sorella è una rosicona del cazzo, Evans, certo che è colpa sua.»
Evans mi guarda spiazzata per qualche secondo, poi scoppia in una breve risata.
Non sembra avere altro da aggiungere e così mi rimetto a scrivere i titoli di libri che nessuno verrà mai a cercare perché nessuno ne conosce l’esistenza, ma dopo un po’ la sento di nuovo.
«E tuo fratello?» butta lì, casuale.
Subito mi raddrizzo infastidito. «Mio fratello cosa?»
Non abbassa gli occhi sul mio labbro spaccato, ma non mi serve che lo faccia per darmi la conferma che come al solito le notizie viaggiano alla velocità della luce in questa dannata scuola.
«Ce l’ha con te perché sei finito a Grifondoro e lui no?»Il tono volutamente indifferente è smentito dall’occhiata cauta con cui accompagna la domanda. Il mio sguardo si indurisce.
«Mio fratello è Serpeverde fino al midollo e felice di esserlo, Evans» replico annoiato, raccogliendo velocemente le mie cose. «E solo perché tua sorella ti odia e mio fratello mi odia non significa che dobbiamo legare, sai.» E dopo un’ultima occhiata all’orologio, mi lancio la borsa sulle spalle e me ne vado.
 
 


«Ce l’hai già il marchio?»
 
«Te ne sei andato.»
Regulus mi dà ancora le spalle, ma ha smesso di camminare ed io aggrotto la fronte perplesso.
«Eri mio fratello, ma te ne sei andato. Non è più affar tuo cosa possa o non possa esserci sul mio braccio.»
Me ne resto in silenzio per diversi secondi, confuso, gli occhi puntati sulle sue spalle immobili in fondo al corridoio.
«È per questo che mi odi? Perché me ne sono andato?» realizzo infine incredulo, soffocando una risata. «Pensi che avessi scelta? Stavo impazzendo, Regulus. Eri lì, dannazione, l’hai visto cosa mi facevano.»
Regulus si volta, piantando gli occhi duri nei miei.
«E proprio perché lo vedevo non sono mai riuscito a capacitarmi di come tu ogni volta, ogni singola volta, li provocassi e ti impegnassi a dire sempre la cosa sbagliata nel momento sbagliato. Non ce la potevi proprio fare, vero, a startene al tuo posto?»
Questa volta non mi trattengo e la mia risata riecheggia aspra lungo i muri di pietra del corridoio.
«Non dovevo impegnarmi affatto» sbuffo, perché è sempre bastato che esistessi, è sempre bastato solo quello e che Regulus non lo vedesse è quasi divertente. «Qualunque cosa facessi o dicessi era a priori quella sbagliata.»
«Certo, non facevi mai nulla apposta, figuriamoci» sibila rancoroso. «Come quando sei sceso alla cena di Natale di fronte a tutta la famiglia con la cravatta di Grifondoro in bella mostra, o una qualsiasi degli altri milioni di volte in cui li hai provocati apertamente» Regulus scuote la testa, sorridendo di una smorfia così odiosamente simile alla mia. «Ma no, sei tu la vittima circondata da mostri senza cuore. Davvero, Sirius, ci hai mai provato, anche solo una volta, a far passare un giorno intero senza sbattergli in faccia il tuo disprezzo per loro?»
Subito distolgo lo sguardo, perché vorrei con tutto me stesso non averci mai provato, ma non è così.
«Sì, lo so» mormoro annoiato, guardandomi distratto le unghie. «Disonore della famiglia, vergogna per il mio sangue, delusione e bla bla bla. Me ne sono andato proprio per smettere di sentirlo ogni giorno, possiamo evitare?»
Passano i secondi e per un attimo penso che Regulus se ne sia andato e basta, ma è ancora qui, ora più vicino di prima.
«Buffo, e io che pensavo te ne fossi andato perché sei un vigliacco» dice con tono casuale ed io alzo di scatto la testa.
«Tu non hai idea» sibilo prima di fermarmi, premendo forte le labbra l’una contro l’altra e distogliendo di nuovo lo sguardo da mio fratello.  
«Di cosa eri così terrorizzato?» insiste avvicinandosi, gli occhi glaciali che bruciano di rancore. «Che se fossi rimasto ti saresti rivelato proprio come noi? Che-»
«Vuoi sapere perché me ne sono andato, Regulus?» sbotto interrompendolo, a due centimetri dalla sua faccia. «Me ne sono andato perché se fossi rimasto, li avrei uccisi.»
E aver spedito Piton al di là del vetro della Sala Comune di Serpeverde senza neppure la bacchetta in mano non mi ha confuso quanto ha confuso Remus, perché non è stata la prima volta in cui ho fatto esplodere la magia attorno a me in maniera intenzionale.
Quella volta, la prima, c’eravamo solo io e mio padre e lui mi aveva appena colpito ed è stata anche la notte in cui sono scappato di casa. Quella volta mio padre è volato dall’altra parte della stanza, sbattendo proprio contro la parete ricoperta dall’arazzo di famiglia, senza che le mie dita sfiorassero minimamente la bacchetta. È l’ultima immagine che ho di mio padre, prima che gli dessi le spalle e uscissi per sempre da quella casa, il suo sguardo sorpreso e spaventato.
«Chiaro. È sempre qualcosa più grande di te, vero? Non sei mai tu a scegliere. È il cappello che ti ha messo a Grifondoro, non glielo hai chiesto tu. Sei dovuto scappare di casa perché loro te lo hanno fatto fare, non lo hai voluto tu» Regulus annuisce con un sorrisetto accondiscendente. Mi chiedo quante volte li abbia sentiti parlare di me, dall’anno scorso. Ripetono sempre che dei rinnegati non si parla, che si cancellano e basta, ma ricordo anche di aver passato ore da bambino a sentire l’intera famiglia maledire Andromeda “e il suo sporco babbano” quando l’hanno cancellata dall’arazzo. «Dev’essere estenuante scappare di continuo dalle proprie responsabilità.»
Mi chiedo se cambierebbe qualcosa, mostrargli la mia schiena. Se aprirebbe gli occhi, di fronte alle cicatrici. Ma è solo per un attimo, poi sorrido beffardo.
«E quali sarebbero le responsabilità di un Black degno di questo nome, Regulus?» chiedo leggero. «Le stesse di Avery, McNair, Piton? Responsabilità come usare la magia oscura su una nostra compagna di scuola?»
Regulus stringe le labbra, fissandomi in silenzio per diversi secondi, prima di scuotere la testa di scatto e ridacchiare. Per un attimo mi sembra di avere di fronte Bella.
«Vuoi sapere se ce l’ho?» chiede con tono di sfida, srotolandosi violentemente una manica e mostrandomi l’avambraccio bianco. «La risposta è no, non ce l’ho ancora. Ma non appena lo avrò» E mi guarda dritto negli occhi, lasciando sparire il sorrisetto dalle labbra. «I tuoi amici mezzosangue e babbanofili saranno i primi a saperl-»
Il mio pugno si schianta contro la sua mascella prima ancora che finisca di parlare.
 
 





*************
 

Domenica 7 Marzo 1976.
Campo da Quidditch, Spogliatoi di Grifondoro. Ore 11:00.
 


Frank lancia l’ennesima improvvisa occhiata alla mazza che tiene nella mano destra, prima di tranquillizzarsi. Ha due cose da ricordarsi, la scopa e la mazza, e le stringe entrambe tra le mani da una decina di minuti, eppure continua a non darsi pace. La mazza di Alexis, che è seduta accanto a lui, continua invece a picchiettare frenetica al suolo, e Sam tiene la testa appoggiata sulla sua spalla, insolitamente silenzioso. Anne sospira rumorosamente per l’ennesima volta, senza interrompere il suo vagare senza meta da una parte all’altra della stanza e la faccia di Daniel continua a restare seppellita tra le sue mani. Mike è l’unico apparentemente tranquillo, anche se sta fissando il vuoto con troppa intensità per essere davvero immune al clima di tensione barra puro panico che si respira tra queste pareti.
Ogni allenamento, ogni discorso motivazionale da quando Serpeverde ci ha sconfitto, ogni calcolo e predizione sui punteggi, tutto si riduce ad oggi: se perdiamo, o se non vinciamo col giusto vantaggio, la prossima partita servirà solo a giocarci il quarto o terzo posto.
Il mio cuore torna a battere più veloce del normale ed io chiudo gli occhi, inspirando piano, le spalle appoggiate alla porta oltre cui riesco già a sentire la voce amplificata di Sirius.
Quando passa a presentare la squadra di Tassorosso lo stadio esplode in un boato ed io afferro la mia Tornado pronta contro il muro accanto a me. Come mi vedono prendere la scopa tutti scattano in piedi, prendendo posto alle mie spalle ed io mi volto a guardarli.
L’ansia non è sparita ed io non ho preparato nessun discorso pre-partita, né avrei tempo di improvvisarne uno ora in ogni caso, ma non c’è solo agitazione nello sguardo che mi restituisce la mia squadra.
«Annientiamoli.»
I miei compagni annuiscono risoluti ed io gli do le spalle, portandomi una mano al collo e tendendo le orecchie. Sirius finisce di presentare i membri della squadra avversaria nel frastuono generale, poi il pubblico si placa ed io stringo forte la maniglia, mentre la B argentata mi ricade libera sotto la maglietta, fredda contro il mio petto.  
«E per Grifondoro invece...»
C’è sempre qualche fischio e buuu in mezzo al coro, ad ogni partita e con ogni squadra, ma mentre avanziamo verso centro campo riesco a distinguerli molto più distintamente del solito. Dev’essere per lo stesso motivo per cui Sirius non deve gridare nel megafono per sovrastare gli applausi e le grida incitanti mentre ci presenta, come ha invece appena fatto per Tassorosso: la tribuna di Grifondoro, che è notoriamente la più chiassosa ed appassionata, non è entusiasta, rumorosa e agguerrita nemmeno la metà del solito. La sottile rassegnazione negli applausi educati e nella mancanza di grida di guerra da parte dei nostri compagni rosso-oro minaccia di demoralizzarmi per circa mezzo secondo, mi indispettisce per altro mezzo, e infine si trasforma in voglia di piantarla coi convenevoli, saltare in sella alla scopa e riguadagnarmi la fiducia della mia Casa con una vittoria schiacciante. A testa alta aumento il passo e mi vado a piazzare di fronte alla squadra di Tassorosso, subito imitato dalla mia, ed è con un moto di orgoglio e soddisfazione che noto il mio stesso atteggiamento nel linguaggio del corpo dei miei compagni, che ora non mostrano più segni visibili d’ansia ma fronteggiano i Tassorosso a petto in fuori.
«Okay, pare che la tribuna di Grifondoro non voglia dare soddisfazione oggi quindi-oh ecco, ora vi sento, cerchiamo di stare sul pezzo, ragazzi, sì? Capitani, stretta di mano, prego.»
David Lynch fa qualche passo avanti e mi raggiunge nella terra di nessuno tra le due squadre, afferrandomi la mano già tesa. Fa il settimo anno, è Capitano da tre e darà del filo da torcere ai miei Cacciatori in porta. Ma non è lui il mio vero avversario oggi, lei d’altro canto non mi ha staccato gli occhi di dosso da quando sono arrivato e non appena il suo Capitano torna al suo posto, anch’io ritorno a studiarla. Lola Griffin, una moretta bassa ed esile, quinto anno nonché nuova recluta: l’ho vista giocare solo una volta, a Novembre, nella brevissima partita contro Serpeverde. La vittoria, così come il vantaggio schiacciante nel punteggio, è stata interamente merito suo: ha preso il boccino mentre ancora i Cacciatori di entrambe le squadre avevano solo iniziato a scaldarsi, a tre minuti e sei secondi dall’inizio della partita. Il mio record è di due minuti e venti e mentre continua a guardarmi con sfida, mi assale forte l’impulso di buttarmi in uno contro uno tra Cercatori e basta, una pura corsa contro il tempo e il boccino e al diavolo i calcoli e la coppa. Chi lo prende prima vince e che importa se centocinquanta punti non sono abbastanza per la squadra, il Cercatore più veloce sarò stato comunque io. Ho imparato a trovare e afferrare il boccino prima ancora che a volare, certamente prima di imparare tutte le regole del Quidditch e il mio primo istinto è sempre quello, prendere il boccino il prima possibile, un principio naturale che sovrasta qualunque quadro generale. 
Al quarto anno Frank mi ha letteralmente lanciato un bolide contro la scopa perché stavo allungando la mano verso il boccino invece di aspettare il punteggio che era stato stabilito, e ricordo ancora quando a fine partita Dorcas mi ha strappato dai festeggiamenti per la vittoria, mi ha sbattuto negli spogliatoi vuoti e ha passato la successiva mezz’ora a farmi vergognare del mio colpo di testa. È in quel momento che ho imparato la differenza tra vincere come Cercatore e vincere come squadra, ed ora so che se continuassi a seguire con gli occhi il boccino che Madama Bumb ha appena liberato e mi concentrassi su quello, potrei prenderlo prima di Lola Griffin e rendere chiaro a lei e a me stesso e al resto della scuola chi è il Cercatore migliore, ma perderei come Capitano, perché non sono solo in campo. E l’unico modo per vincere come Capitano è vincere insieme alla mia squadra, o perdere con loro.
Il boccino sfreccia con un ultimo scatto d’ali verso sinistra, sparendo dal mio campo visivo, e mentre gli occhi attenti di Griffin scattano nella sua direzione, i miei restano piantati su di lei. Il problema ora non è trovare il boccino, ma impedire a lei di farlo per tutto il tempo necessario agli altri a segnare almeno una decina di reti in più dei Tassorosso, e se non avessi davanti Miss Sono l’unica ad aver quasi raggiunto il tuo record sarebbe un obiettivo molto più plausibile.
I bolidi si librano in aria uno alla volta subito dopo il boccino, prima di partire fulminei verso l’alto e tutti montano in sella. Madama Bumb, in mezzo a noi, stringe la pluffa rossa tra le mani e il fischietto tra le labbra, Sirius si diverte a creare tensione nel megafono e poi decine di piedi battono sull’erba nello stesso momento, mentre il fischio risuona per il campo e la Pluffa si solleva in aria diversi metri sopra la testa di Madama Bumb.
Prima che possa cominciare la ricaduta, Anne ce l’ha tra le mani e per un pelo un Cacciatore giallo e nero non le finisce addosso, ma lei è già sfrecciata verso la porta avversaria, ancora scoperta. Lynch raggiunge la sua postazione davanti agli anelli nello stesso momento in cui la pluffa ci passa attraverso e il tabellone segna i primi dieci punti per Grifondoro. Sirius esulta entusiasta nel megafono, prima di passare a descrivere fulmineo la nuova azione dei cacciatori: sono i Tassorosso a farsi strada verso la nostra porta ora, ma a questo punto taglio fuori tutto e restiamo in due soltanto nel campo.
Lola Griffin sta girando lentamente su se stessa mentre perlustra con gli occhi lo spazio attorno a sé alla ricerca del boccino e non sembra nemmeno sbattere le palpebre, completamente assorta nel suo compito ed estranea al mondo esterno.
Il mondo esterno d’altro canto, come scoprirà a breve, sta per fare irruzione nella sua bolla di solitudine, che non mi è mai piaciuto essere ignorato.


 
*****

«SÌ! VAI COSI FRANK! SEI IL MIGLIORE!» Frank ha appena spedito un bolide contro la Cercatrice di Tassorosso, distogliendola per l’ennesima volta dalla sua perlustrazione, e Alice viene di nuovo posseduta da uno spirito invasato che le fa gettare le braccia al cielo e gridare a squarciagola proprio nel mio orecchio. «YUUUUUU-HUUU!»
Normalmente non mi verrebbe da festeggiare vedendo Frank attentare violentemente alla vita di una ragazzina più piccola di noi che si fa gli affari suoi, ma oggi la tribuna di Grifondoro è meno calorosa del solito nei confronti della squadra e così mi sto impegnando per fare la mia parte e sostenere attivamente la mia Casa, nonostante la mia incapacità di gridare senza esprimere rabbia o dolore acuto.
«YUUUUUUU!»
Alice si volta verso di me.
«Perché fai buu?»
«No, era...ho cercato di fare quello che hai fatto tu. Yuuu-huu.»
Alice continua a guardarmi accigliata.
«Ah. Non lo fare, Lils» mi ordina ed io sospiro scocciata, perché non è colpa mia se non so gridare sportivamente, è colpa di quei nostri compagni che si occupano solitamente di queste cose, sempre con devozione ed entusiasmo massimi, e che oggi se ne stanno invece tutti in silenzio a fare i musoni solo perché è passato troppo tempo da quando Grifondoro ha vinto una partita. «Prova a fare, non lo so, tipo... YEAH o qualcosa di simile.»
«Non farò YEAH» metto subito in chiaro.
«No, infat-VAI ALEX, DISTRUGGILI!»
La battitrice di Grifondoro spara un bolide contro la punta della scopa della Cercatrice avversaria, che svolta bruscamente solo per trovarsi la strada tagliata da Potter.
«AAAAH!»
Alice mi lancia un’occhiata di sottecchi, ma ha la decenza di non commentare, perché non è in alcun modo colpa mia: la ‘u’ non va bene a quanto pare, ‘yeah’ non esiste al mondo, credevo che la ‘a’ fosse la soluzione, e invece il risultato finale è più simile a un grido di sorpresa che a uno di incitamento.
«MA CHE CAZZO, APPLAUDITE! Non ci posso credere, ma siete Grifondoro o no?»
Mary non è particolarmente felice della poca partecipazione dei nostri compagni e quando Mary non è particolarmente felice uno scaricatore di porto si impossessa di lei. «Ve ne state lì come amebe, solo perché abbiamo perso una partita. Molto Grifondoro abbandonare la nave quando affonda, MOLTO GRIF-»
«Ma non abbiamo segnato» Il ragazzo nel gradino sotto a Mary, che si sta prendendo tutto il suo biasimo dritto sulla nuca, si volta offeso. «Perché dovremmo applaudire?»
«Perché abbiamo appena impedito a Griffin di prendere il boccino e vincere la partita forse?»
«Ma non aveva visto il boccino, lo stava solo cercando».
«Lo stava solo cercando, e poi lo avrebbe solo trovato e noi avremmo solo perso» Mary incrocia le braccia al petto, due strisce rosse e oro in bella vista sulle guance. «E che importa se fanno qualcosa o no, le altre Case ci sfottono sempre perché noi ogni volta facciamo casino anche quando non succede nulla e guardacaso oggi tutti zitti. Vergognati.»
«Ma -»
«Siete dei tradit-OH GODRIC SÌ, VAI COSÌ ANNE, SPACCA TUTTO!» La pluffa scarlatta sfreccia attraverso la porta di Tassorosso e subito i Grifondoro ritrovano la voce. Il ragazzo davanti a noi applaude e grida con particolare entusiasmo, prima di lanciarsi un’occhiata preoccupata alle spalle, ma Mary è troppo entusiasta per il goal per accorgersene. «Lei è la mia preferita.»
«Certo che è la tua preferita, è l’unica del settimo anno» dice Alice e Mary ghigna colpevole: settimo anno equivale a un posto libero in squadra l’anno prossimo. «Oh merda.»
I battitori solitamente non bersagliano gli altri battitori, perché è un po’ come passargli la palla, solo che la palla è un cannone impestato e se è accompagnato da un altro cannone impestato, quando tu continui ad avere una sola mazza, allora è merda, per l’appunto. È questo che succede a Frank, che si trova improvvisamente entrambi i bolidi sparati contro dai battitori avversari e non perde la testa solo grazie a una rocambolesca e improvvisa giravolta per aria. 
«Si sono incazzati?»
«Si sono incazzati» conferma Alice agitata, senza staccare gli occhi dal campo. Black nel frattempo pare sempre più confuso su cosa commentare, perché ci sono due giochi paralleli che stanno avendo luogo decine di metri sopra le nostre teste, quasi completamente autonomi l’uno rispetto all’altro: da una parte quello di cacciatori e portieri, tutto giocato sul controllo della pluffa e la difesa degli anelli, dall’altra quello serrato di battitori e cercatori, impegnati secondo per secondo in una guerra all’ultimo bolide che ha come obiettivo, rispettivamente, tenere lontana la cercatrice di Tassorosso dal boccino e uccidere i battitori di Grifondoro così che smettano di tenere la cercatrice di Tassorosso lontana dal boccino.
«Per quanto la devono tenere impegnata?» chiedo inquieta, mentre Frank si rifionda senza esitazione verso un bolide. Il colpo secco della palla che si schianta contro il legno viene inghiottito dall’esplodere dello stadio, mentre Tassorosso segna un goal. 
«Finché non li distanziamo di cento punti» spiega Alice senza staccare gli occhi dal suo ragazzo, a cui i bolidi continuano a tornare indietro con più velocità del normale. La differenza tra quelli che arrivano a Frank e quelli che arrivano alla Cercatrice avversaria  è che solo i secondi mirano la scopa  e non la faccia. Si sono incazzati. «Raggiunto il vantaggio di cento punti, James prende il boccino ed è fatta.»
«E se non lo prende?»
Alice smette di fissare il cielo per guardarmi. «Lo prende.»
«Beh, non l’ha preso contro Serpeverde» le ricordo premurandomi di abbassare la voce, che i nostri compagni sembrano ricordarselo anche troppo bene invece.
«Questa volta lo prende» Per poco non sobbalzo, perché anche se ero consapevole della presenza di Remus Lupin qua vicino, non ero consapevole della sua attività di spionaggio. «Metà partita costretto a non cercarlo nemmeno, starà impazzendo» continua con un mezzo sorriso. «Lo prende.»
Lupin pare più certo che fiducioso ed io seguo il suo sguardo che va a perdersi tra le figurine colorate sopra di noi e mi concentro in particolare su quella che porta il numero undici sul retro della maglia. Da quaggiù non riesco a cogliere nessun segnale che indichi che Potter stia impazzendo, come se poi non fosse già poco sano di suo, ma immagino che Remus Lupin non abbia bisogno di segnali per sapere le cose che gli altri non sanno.
«Ehy.» Normalmente non apprezzo quando qualcuno mi compare alle spalle all’improvviso e si infila nel mio spazio vitale senza preamboli, ma la voce di Dean è appena un sussurro quieto accanto al mio orecchio e la sua mano sfiora piano la mia, con dolcezza.
«Ehy» sussurro di rimando, salutandolo con un veloce bacio a stampo, prima di lanciargli un’occhiata divertita. «I tuoi compagni ti lasciano assistere dalla tribuna di Grifondoro?»
Dean alza le spalle, sollevando gli occhi alla partita sopra le nostre teste.
«Oggi non siete il nemico. In verità, tifiamo per voi.»
«Tifate per noi?» ripeto perplessa.
«Certo, per noi è molto meglio che vinciate voi piuttosto che Tassorosso. Loro sono sotto di noi solo di pochi punti, voi d’altro canto...beh, diciamo che se anche guadagnaste un po’ di punti oggi, non sareste comunque un rischio. Quindi, forza Grifondoro!»
Dean alza giocosamente un pugno per aria in segno di incitamento, mentre io lo fisso inespressiva, cercando di capire se è lecito che io trovi incredibilmente offensivo il suo tifare per noi o se è un impulso infantile da Grifondoro che devo domare in nome della maturità.
Mary  non sembra porsi il problema.
«Un po’ di punti?» dice e il suo sopracciglio minaccia Dean come probabilmente nessuno l’ha mai minacciato prima.
«O tanti. Spero tanti» si corregge subito lui, forse rendendosi conto di essere circondato. Mi lancia un’occhiata veloce come in cerca d’aiuto, ma l’inespressività forzata è ancora il massimo che posso offrirgli. «Tifo per voi, davvero.  Avete una bella squadra, se riusciste a vincere con un buon vantaggio e arrivare almeno terzi o addirittura secondi sarei felicissimo.»
Terzi, o addirittura secondi.
Non sono io a fermare Mary quando gli si piazza davanti e parte con un seccatissimo «Sta’ a sentire», perché non si può salvare chi non vuole essere salvato, e chi sale sulla tribuna di Grifondoro, piena di Grifondoro, per dire ad alta voce terzi, o addirittura secondi è chiaro che non desidera la salvezza.
Alice spinge con nonchalance Mary qualche passo più in là e fortunatamente i cacciatori di Grifondoro si lanciano in un’azione congiunta verso la porta avversaria, distraendo così Mary dai suoi istinti omicidi. Io d’altro canto sto ancora cercando di decidere se sia più corretto tenerli a bada o abbandonarmi ad essi, perché sono effettivamente infastidita dalle parole di Dean, a un livello viscerale, e il mio orgoglio continua a chiedere a gran voce di tramutare la mia neutralità in ostilità esplicita, ma la parte più ragionevole di me ci tiene a ricordarmi come la maggior parte dei Grifondoro sia effettivamente rassegnata al terzo o secondo posto al massimo quest’anno.
«Beh, non volevo essere offensivo» dice Dean a bassa voce. «Nemmeno la vostra Casa ha fatto una gran festa prima, pensavo lo sapeste che non state esattamente giocando per la Coppa.»
«Non sono un esperto di Quidditch» Per la seconda volta in pochi minuti devo impedirmi di sobbalzare, perché non sapevo che Remus stava ancora origliando. Ha la mascella rigida e una vena troppo accomodante nella voce per risultare genuinamente gentile. «Ma da quello che posso vedere sono in sette in campo a giocare e non l’intera tribuna, e sempre da quello che posso vedere» La pluffa vola dritta dentro uno degli anelli di Tassorosso tra le grida del pubblico, mentre la Battitrice di Grifondoro colpisce con forza un bolide. «Mi sembra che la coppa sia esattamente quello per cui stanno giocando.»
Un’ondata di soddisfazione mi pervade immediatamente e devo premere le labbra l’una contro l’altra per impedirgli di piegarsi in un sorrisetto vittorioso: non c’è più dilemma ora, né la possibilità di risultare infantile e permalosa, perché se anche Remus Lupin si offende, allora significa che è permesso offendersi, che offendersi è la cosa matura da fare.
Dean sostiene lo sguardo di Remus per diversi secondi, in silenzio, prima di spostarlo al campo di fronte a noi. «Beh, non sempre quello che uno vuole e quello che può realisticamente ottenere sono la stessa cosa.»
Vorrei pensare di non stare litigando con il mio ragazzo per uno sport a cui non so nemmeno giocare grazie al mio notevole autocontrollo, ma la verità è che l’unico motivo per cui non sto litigando col mio ragazzo è che Remus Lupin è qui per farlo al posto mio.
«Beh, a volte» inizia con una passivo-aggressività notevole. «Quello che sembra irrealistico lo è solo fino al momento in cui invece non accade. Oserei dire che tutte le imprese degne di nota hanno un che di irrealistico prima di diventare realtà.»
Le labbra di Dean si piegano nell’accenno di un sorriso altrettanto passivo-aggressivo.
«Immagino che lo scopriremo a maggio.»
«Immagino che lo scoprirai a maggio» ripete Remus pacato, prima di applaudire educatamente di fronte a un altro goal di Grifondoro. Mary emette una strana serie di versi ammirati e gli batte delle energiche pacche sulle spalle, blaterando di lealtà ritrovata all’interno della Casa.
Io trattengo a fatica un sorrisetto soddisfatto, mentre Dean abbassa la testa imbarazzato. 
«Okay, alzo le mani» ridacchia tornando a guardarmi. «La tribuna di Grifondoro non è il posto migliore in cui parlare di Quidditch.»
Non lo contraddico.
«Maledizione» Alice impreca al mio fianco, gli occhi incollati al cielo ed io seguo subito il suo sguardo, giusto in tempo per vedere il battitore di Tassorosso gettarsi sulla traiettoria di un bolide e spararlo lontano dalla loro cercatrice.
«Cosa?» chiedo confusa, perché il bolide non ha colpito nessuno dei nostri e la pluffa è ancora in nostro possesso.
«Hanno capito che stiamo bersagliando solo lei, non la mollano più» spiega Alice ed in effetti entrambi i battitori di Tassorosso, noto, continuano a volarle accanto con le mazze alzate pronte ad intercettare qualunque bolide a mo’ di guardie del corpo, come se fosse l’unica giocatrice nella loro squadra. E so cosa significa questo, prima ancora che Alice lo dica ad alta voce. «È libera di cercare il boccino ora.»
Automaticamente lancio un’occhiata al punteggio: quaranta a novanta per Grifondoro. Siamo appena a metà strada verso il vantaggio di cento punti prima del quale è apparentemente vietato chiudere la partita e così sospiro frustrata.
Non ero salita sulle tribune con grandi speranze per la Coppa di fine anno, affatto, come d’altro canto la maggior parte della nostra Casa, ma ho appena tifato per Lupin mentre rimetteva Dean al suo posto e vederlo smentito nel giro di cinque minuti è inaccettabile.
«E adesso?» chiedo inquieta mentre Lola Griffin si getta improvvisamente all’inseguimento del boccino, tra le grida generali e l’assoluta impotenza di Frank ed Alex, a cui ogni colpo viene rispedito indietro dai due battitori avversari, senza che si avvicini neppure per sbaglio alla cercatrice. I cacciatori continuano nel loro gioco parallelo e nessuno è lì per fermarla.
Alice, tuttavia, non sta guardando lei.
«Adesso sta a James.»


 
*****

Mi rendo conto che lo ha visto qualche secondo prima che se ne accorga anche il resto dello stadio, quando lei si blocca e si tende per una frazione di secondo prima di inclinare la scopa e raddoppiare la velocità in un battito di ciglia, gli occhi fissi su un punto di fronte a sé e la coda di capelli neri che frustano il vento alle sue spalle. Tagliando fuori le grida di mezza scuola e contro ogni mio istinto mi costringo a non seguire il suo sguardo per individuare a mia volta la sfera dorata e gettarmi all’inseguimento dietro di lei, invece scatto dall’altra parte, facendo attenzione a mantenermi fuori dal suo campo visivo. 
Quando le taglio fulmineo la strada, qualche secondo dopo, lei sterza bruscamente e anche se non si ferma subito è immediatamente chiaro dal suo rallentare e dal modo in cui i suoi occhi saettano veloci da una parte all’altra del campo che l’ha perso. Non ero così vicino da rendere impossibile schivarmi e avere anche i riflessi di non perdere di vista il boccino, ma esattamente come sperato l’effetto sorpresa ha fatto il suo: quando stai per prendere il boccino e non riesci a vedere l’altro cercatore di solito è perché è dietro di te che prova a superarti, non certo perché se ne sta andando nella direzione sbagliata ignorando completamente la pallina dorata.
Quando si volta a guardarmi è palesemente seccata, ma dura appena un secondo, poi piega le labbra sottili in un sorrisetto canzonatore.   
«Non sei interessato al boccino oggi, Potter?» Mi guarda dal basso e scende lievemente di quota, mentre Anne ci sfreccia sopra con la pluffa tra le mani. «È un peccato, è da inizio anno che aspetto di misurarmi con te.»
«Sono qui» Alzo le spalle noncurante, mentre la tribuna rosso e oro esulta e Sirius annuncia il nuovo punteggio: cinquanta a centodieci. «Attesa finita.»    
«Sì, sei qui» Mi soppesa scettica, corrucciando le labbra. «Ma non è una gran gloria prendere il boccino prima di te se tu il boccino nemmeno lo vuoi, dico bene?»
«Chi ha detto che non lo voglio?» Sorrido sornione, scendendo appena di quota a mia volta. «La partita non è finita. E quando voglio il boccino, Griffin, me lo prendo.»
Un lampo di sfida le illumina gli occhi alle mie parole e un sorrisetto le piega le labbra, mentre continua a guardarmi, completamente ignara del guizzo dorato a meno di mezzo metro dalla sua testa, a portata di braccio.
Prima che possa replicare o anche solo staccare gli occhi dai miei, sposto lentamente lo sguardo dal lato opposto da quello in cui ho visto il boccino, focalizzandomi su un punto in lontananza dietro di lei e raddrizzandomi sulla scopa, stringendo tanto le dita attorno al manico da farle sbiancare. Nel momento in cui i miei occhi si spostano con uno scatto verso il basso lo stesso fa il resto del mio corpo e riesco a cogliere solo con la coda dell’occhio la sua aria spiazzata mentre mi getto in una picchiata tra gli schiamazzi di tutto lo stadio. Sirius sta gridando incitazioni nel megafono ed io sterzo di scatto, roteando veloce la testa come a seguire un oggetto in movimento, per poi riabbassarla e tornare alla mia picchiata perfettamente verticale. Le grida si fanno più alte e difficili da ignorare man mano che il suolo si avvicina e quando raddrizzo la scopa all’ultimo la punta del manico sfiora i ciuffi d’erba ricoperti di rugiada del campo e l’adrenalina mi scorre forte nelle vene.
Restando vicino al suolo, stacco una mano dalla scopa e sollevo lentamente una gamba, portando la pianta del piede contro il manico di legno, prima di staccare la mano e alzarmi in equilibrio precario, appoggiando anche l’altro piede, le ginocchia lievemente piegate, il busto inclinato e una mano appena poco più avanti dell’altra, come pronta a scattare verso un boccino invisibile. Torno con le cosce ben serrate attorno al manico, di nuovo col petto vicino alla mia Tornado, solo diversi secondi dopo, quando un’altra scopa urta volutamente contro la mia, affiancandomi, e subito alzo gli occhi sopra di me e scatto verso l’alto, riprendendo quota velocemente mentre Grifondoro segna di nuovo.
   
Lola Griffin mi segue alla cieca in giro per il campo senza mai raggiungermi per altri dieci minuti prima di rendersi conto che quello che sto facendo si chiama finta Wronski e che lei ci è cascata in pieno.
 
 
*****
 
«Qualcuno mandi subito un gufo a Dorcas, deve sapere che le ore di vita perse a insegnargli come rendere credibile una finta Wronski sono servite a qualcos- Talbott tenta di segnare, ma Muller para! Vai così, Mike, non passa più nessuno! Come un muro di cemento armato, nemmeno piangendo passano! Dicevo, mandate immediatamente un gufo a Dorcas, usate la metro polvere, qualcuno avvisi Dorcas per Godric, avrà un orgasm-»
«Signor Black, può bastare.»
«E già che ci siete portate un paio di occhiali a Griffin, quindici minuti a cercare di prendere un boccino invisib-»
«Signor Black, si contenga.»
Mi allontano il megafono dalle labbra, inarcando un sopracciglio e lanciando un’occhiata scettica alla mia sinistra.
«Sta ancora sorridendo, professoressa, non è credibile.»
 
 
*****

Il cacciatore di Tassorosso sferra un lancio da manuale verso il nostro anello laterale, con una forza tale che la pluffa pare muoversi più veloce del boccino per un secondo, ma Mike scatta fulmineo e la colpisce deciso con un guantone, mandandola lontana dalla porta e dritta tra le mani di Sam, che senza perdere tempo riparte nella direzione opposta, verso la porta dei Tassorosso. Mi concedo un secondo per lanciare un’occhiata di adorazione al mio portiere, che non fa entrare una palla da metà partita, lasciando i Tassorosso bloccati a settanta punti mentre noi continuiamo a salire. I cacciatori avversari, così come il loro portiere, sono sempre più frustrati dalla situazione e i loro tentativi di rivolta diventano ogni secondo più irritati, ma il punto non cambia: li stiamo stracciando ed io potrei baciare ogni singolo membro della mia squadra – e non in modo casto.
Quando Sam segna l’ennesimo goal i miei occhi scattano al tabellone coi punteggi –che altro non è che un pezzo di pietra sopra cui scintille magiche colorate si muovono a formare di volta in volta i diversi numeri- e accanto al settanta dei Tassorosso, le scintille dorate che segnano il nostro punteggio si muovono a formare un bellissimo centosessanta.
Dieci punti, un singolo goal e poi avremo il vantaggio prefissato e potrò finalmente iniziare a giocare –a giocare davvero, prendendo il boccino e mettendo fine alla partita.
Il cuore mi batte veloce nel petto mentre osservo i cacciatori di Tassorosso avanzare veloci verso la nostra porta, passandosi la pluffa. Quando Anne la intercetta e si getta poi di lato, la palla rossa ancora stretta tra le mani, per evitare un bolide, l’adrenalina mi fa agitare sulla scopa impaziente, mentre con gli occhi inizio già a cercare il boccino per essere pronto, eccetto che nello stesso momento in cui lo individuo, individuo anche Griffin scattare fulminea nella sua direzione, gli occhi fissi sulla pallina dorata.
Anne è ancora lontana dalla porta, con troppi giocatori avversari a pararlesi davanti, ma Griffin ha il boccino davanti agli occhi e non ci sono finte Wronski che tengano ora. Frank ed Alex sono marcati stretti dai battitori avversari che gli rilanciano i bolidi nel giro di pochi secondi, così come stanno facendo da mezza partita a questa parte, e non importa se mancano ancora dieci punti, se non prendo il boccino ora lo prenderà lei e Tassorosso vincerà la partita.
Sirius sta gridando di nuovo nel megafono mentre volo a tutta velocità dietro Griffin, ma questa volta sa anche lui che non è una finta e l’agitazione che non esterno io risuona sincera e amplificata per tutto lo stadio. È bizzarro come lo trovi calmante, essere immerso nelle grida impanicate dei miei compagni e quelle incitanti degli altri, nella confusione più totale, mentre il mio cuore rallenta fino a raggiungere un battito totalmente regolare e una calma decisa mi avvolge mentre giro e inclino la scopa trovandomi sempre più vicino a quella di Griffin. I miei occhi non sono su di lei tuttavia, né sulla sua scopa, ma sulla piccola sfera alata che sfreccia davanti a noi e si fa sempre più visibile e dettagliata, i bagliori dorati e le ali soffici sfiorate da dita bianche che non sono le mie per un secondo appena, prima che la mia mano si chiuda decisa sul metallo freddo.
Nello stesso momento, diversi metri più in alto, la pluffa lanciata da Anne attraversa in pieno l’anello centrale di Tassorosso, mentre il loro portiere si getta a difendere inutilmente quello laterale.
Lo stadio esplode in un boato ed io osservo senza fiato il centosessanta riassemblarsi in un centosettanta per un secondo appena, prima che i centocinquanta punti del boccino lo trasformino in un trecento venti. Esattamente cento punti di vantaggio. Ce l’abbiamo fatta.
«JAMES POTTER PRENDE IL BOCCINO! WOOD SEGNA! GRIFONDORO VINCE CON TRECENTOVENTI A SETTANTA! Corvonero siete i prossimi!»
Le grida trionfanti di Sirius risuonano amplificate per tutto lo stadio, così come quelle di tutta la nostra Casa, ma a me arrivano come attutite mentre smonto dalla scopa e cerco subito con lo sguardo i miei compagni di squadra.
Mike è il primo ad atterrare, gli occhi lucidi e un sorriso incredulo sulle labbra, subito seguito da Frank che ha più sorriso che faccia, poi arriva Anne, il naso rosso per il freddo e gli occhi più felici che le abbia mai visto, e poi Alex e Sam e Daniel e mi devo trattenere per non gettare subito le braccia al collo a tutti, ma va detto ora, prima di mandare al diavolo ogni dignità e proposito per il resto della giornata e iniziare a correre abbracciati in giro per la scuola, così stringo la scopa nella mano destra e mi passo la sinistra tra i capelli, con un sorrisetto trionfante.
«Signori» annuncio solenne. «Siamo di nuovo nei giochi.»
 






 
 
Domenica 18 Marzo 1976.
Hogwarts, Sala Grande, Tavolo di Grifondoro, 10:30.


Il soffitto sereno della Sala Grande, oggi di un celeste chiaro cosparso da qualche nube candida, pullula di gufi indaffarati, ma io riconosco subito il barbagianni marrone che vola verso di me. Posta da casa, perfetto, penso allungando una mano verso Augustus, solo per vederlo zampettarmi davanti senza degnarmi di uno sguardo e fermarsi di fronte a Sirius, che subito posa la sua tazza di caffellatte e gli fa un grattino dietro al collo, prima di sfilargli dal becco la pergamena piegata.
«Non ci posso credere, ancora?» sbuffo scandalizzato. «Ti ha scritto la settimana scorsa.»
«Fa’ silenzio, Prongs, sto cercando di leggere» ribatte Sirius indifferente, senza staccare gli occhi dalla lettera. «E non è colpa mia se sono il preferito di tua madre: sono amabile, non posso controllarlo.»
Sirius non è amabile, affatto, ma è effettivamente il preferito di mia madre.
«Lo so che sei il suo preferito, ma c’è da qualche parte una regola genitoriale che dice che dovrebbe almeno cercare di mascherarlo» puntualizzo offeso. «A me non scrive da tre settimane.»
Sirius alza le spalle.
«Non ne ha motivo, non potresti raccontarle nulla su di te che non le abbia già scritto io.»
I miei occhi si spalancano inorriditi.
«Cosa? Cosa? Padfoot, cosa?»
Remus solleva lo sguardo dalla sua copia della Gazzetta del Profeta e lo punta dritto su di me con un mezzo sospiro, come a sottolineare che ho detto cosa un numero sufficiente di volte, ma la verità è che non l’ho detto abbastanza, perché Sirius riesce comunque ad ignorarmi.
«Guarda, c’è un post scriptum per te, lagna, contento?» aggiunge dopo un po’ tendendomi la lettera, che è così lunga e fitta in confronto alle due righette striminzite dopo il P.S. «Dice di informarti che se stai anche solo vagamente pensando di passare le vacanze di Pasqua e quindi il compleanno ad Hogwarts, dopo che ci hai già passato Natale, non riceverai un solo regalo.» 
Il suono indignato che mi esce dalla bocca non riceve considerazione da nessuno dei miei amici.
«Non che cambi qualcosa, avevo già stabilito che saremmo tornati a casa per Pasqua» riprende Sirius distrattamente. «Mi serve più cioccolata possibile e i nostri gufi possono trasportarne una quantità limitata.»
«È sempre bello essere preso in considerazione, Padfoot, grazie.»
«Quando vuoi, ora passami il bacon.»
 




Lunedì 19 Marzo 1976.
Londra, Stazione di King’s Cross, Binario 9 ¾. Ore 12:30. 
 

Il fischio del treno e il chiacchiericcio dei miei compagni riversatisi sulla piattaforma già pullulante di famiglie mi stordiscono appena, mentre mi trascino stancamente la valigia alle spalle.
La donna che sta venendo a braccia aperte verso di noi è mia madre.
Lo slancio e il calore con cui riabbraccia suo figlio dopo mesi di lontananza è quasi commovente: le tremano le mani per l’emozione e quelli sono indubbiamente occhi lucidi.
«Tesoro, come stai? Mangi abbastanza a scuola? Mi sembri un po’ dimagrito.»
Cara mamma, si preoccupa sempre.
 
Quando mi schiarisco rumorosamente la gola per la quarta volta, mia madre si accorge finalmente anche della mia presenza, smettendo di strapazzare Sirius.

 
 






****************
 
 
Da James Potter a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
 
 
Sirius è su un albero.
Probabilmente te lo avrà scritto anche lui, figurati se quell’agglomerato di pulci perde un’occasione per lamentarsi, ma la mia lettera ti arriverà senz’altro prima della sua, quindi non sarò io a ripetermi. Questo perché il gufo di Sirius ha palesemente dei problemi mentali, e, checché ne dica il suo padrone, è sempre stato così lento, ancora prima di quell’incidente con Elvendork, che comunque era del tutto prevedibile: non puoi tormentare un gatto per tutta l’estate e poi lasciare il tuo gufo nelle vicinanze. Vorrei scrivere una lettera appassionante e che ti faccia capire quanto ti manco e quanto tu abbia voglia di vedermi e soprattutto di farmi un regalo eccezionale –perché lo so che state progettando qualcosa, o Sirius non si nasconderebbe sugli alberi-, ma d’altro canto devo finire di scrivere la lettera prima che quell’idiota scenda da lassù: voglio essere presente quando tenterà la discesa. Levati immediatamente quell’espressione di biasimo dalla faccia, per favore, e non provare a negare di averla assunta. Sei veramente un malfidato, Remus Lupin. Non ti è neppure passata per la mente l’idea che volessi semplicemente, da bravo amico quale sono, assicurarmi che Sirius non si ammazzasse scendendo, vero? E non ho intenzione di renderglielo così difficile, sai, anche perché sono abbastanza sicuro che non riuscirebbe a scendere in ogni caso. C’è una piccola possibilità che dopo diverse ore, suppliche e foto imbarazzanti io sia persino disposto a portargli la scala che papà tiene in soffitta, e di nuovo smetti di guardare la mia lettera con quell’aria di disapprovazione: Sirius deve capire che se non hai senso dell’equilibrio un albero non è un buon nascondiglio. 
Spero che tu ti stia annoiando un sacco senza di noi, così impari a farti desiderare e a declinare i miei inviti. Ma probabilmente sei troppo impegnato a organizzarmi la più bella festa a sorpresa di sempre per annoiarti: in quel caso sei perdonato, prenditi tutto il tempo necessario, perché mi aspetto grandi cose e grandi regali.
A presto, (cioè al ventisette, quando tu e Peter spunterete qui all’improvviso e contro ogni aspettativa ed io applicherò tutte le mie doti recitative facendo sfoggio della più sorpresa delle espressioni),
 
Il tuo amico preferito,
Prongs
 


Da Remus Lupin a James Potter, Godric’s Hollow 24 Marzo 1976.
 
 
Non ho la minima preferenza tra te e Sirius.
Lo scrivo, giusto nel caso quel genio che si nasconde sugli alberi intercettasse la mia lettera e decidesse di creare un caso di dimensioni epocali sulla mia mancata precisazione. Mi spaventate entrambi allo stesso modo e se avessi un amico preferito, quello sarebbe Peter, che nelle sue lettere, rigorosamente scritta da terra, non cerca di indovinare e pilotare le espressioni della mia faccia.
Non riesco a credere che tu mi abbia scritto una lettera in cui l’unica cosa che dici è che Sirius è su un albero. È l’unica cosa che hai scritto, a parte i tuoi totalmente immaturi propositi di rendergli difficile la discesa, te ne sei accorto? Per curiosità, cosa avevi intenzione di scrivermi prima che Sirius si arrampicasse lassù?
Non stiamo progettando niente, per la cronaca. Non vedo perché cerchi un motivo sensato dietro alle azioni di Sirius: probabilmente voleva solo vedere come sono i tuoi capelli dall’alto. Sono seriamente preoccupato, perché ci resterai male quando il ventisette arriverà solo il mio gufo col regalo e non io in persona, ma suppongo che sia inutile convincerti del contrario. Ma se i tuoi sospetti nascono semplicemente dal fatto che Sirius si comporta in modo strano, allora dovresti proprio riconsiderare gli ultimi sei anni ed elencarmi una sola volta in cui Sirius non si è comportato in modo strano. Voglio dire, ti stava organizzando una festa a sorpresa quella volta in cui lo hai trovato a dormire sotto il letto? No, stava solo dormendo sotto il letto, perché è il genere di cosa che il tuo migliore amico fa. Accettalo.
Moony.
 

 
Da Sirius Black a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
 

Non sarebbe rapimento, Moony, non capisco perché continui a usare quella parola e a bocciare tutte le mie idee, onestamente. Ti dico che è l’unico modo per coglierlo di sorpresa: un colpo alla testa, si risveglia incappucciato e legato a una sedia e poi lo liberiamo. Non è rapimento se non lo teniamo prigioniero per sempre.
È la mossa più sensata, davvero.
Voglio dire, lui lo sa che gli stiamo organizzando una festa a sorpresa, lo sa sempre, ma se noi lo rapiamo per finta allora lui penserà di perdersi la sua festa a sorpresa perché impegnato a, beh, farsi rapire, e invece sorpresa! Il rapimento è la tua festa!
Riflettici, Moony.
Comunque sia: credo che dovrebbero esserci un sacco di boccini d’oro. Almeno due o tre in ogni stanza e anche in giardino, così potrà acchiapparli all’improvviso mentre parla con gente a caso e diventerà tutto gongolante e sorridente, come tutte le volte che può mettere in mostra le sue doti da Cercatore. Credo anche che a un certo punto gli altri inizieranno a non sopportarlo più, ma è il suo compleanno, quindi non penso che lo chiuderanno da qualche parte come quella volta al terzo anno.
Ora ti lascio, sono su un albero e devo capire come scendere senza ammazzarmi.
Padfoot.
 
 

Da Remus Lupin a Sirius Black, Godric’s Hollow, 24 Marzo 1976.
 

Sirius.
Non rapiremo James, fine della questione.
E comunque se lo aspetterebbe. Godric, chiunque ti abbia nella sua cerchia di amicizie sospetterebbe di te in caso di rapimento.
Moony.
 
PS. Cerca di non morire. Come sei salito puoi scendere: prima un piede e poi l’altro, quello è il segreto.
 

 
Da Sirius Black a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
 

Penso di avere una pietra conficcata per sempre nelle profondità della mia natica sinistra.
Quell’idiota di Potter non sa nemmeno tenere ferma una scala.
Dovremmo rapirlo per davvero e poi torturarlo.
Passo e chiudo.
Padfoot.
      

Da James Potter a Remus Lupin, Chester, 25 Marzo 1976.
 

Ah ah ah, Moony, ah ah ah.
Devi leggere questo come una risata, la mia risata di fronte ai tuoi ridicoli tentativi di convincermi che non state facendo quello che è così evidente che state facendo. Smetti di arrampicarti sugli specchi, Moony: basta già Sirius ad arrampicarsi sulle cose, davvero: mi state organizzando una festa a sorpresa proprio come tutti gli anni, perché siete prevedibili, ma va bene, non sono vostro amico per la vostra originalità. Sono vostro amico perché tu mi fai copiare i temi di Storia della Magia, Peter mi fa sempre un sacco di complimenti sui miei capelli e Sirius emette versetti divertenti quando cade dagli alberi; è un’ottima base per un’amicizia, non c’è bisogno che mi sorprendiate, sul serio. A parte per quanto riguarda il regalo, quello dev’essere strepitoso o mi troverò dei nuovi amici. Frank è in lizza. Te lo dico, nel caso tu e gli altri voleste ingaggiare un duello all’ultimo sangue con lui per me. 
Il tuo, per sempre amico preferito, Prongs.
PS. La cosa divertente è che Sirius crede che sia stato un incidente.

 
 
Da Peter Minus a Sirius Black, Godric’s Hollow, 25 Marzo 1976.
 

Remus non sospetta nulla?
W.
 


Da Sirius Black a Peter Minus, Cardiff, 25 Marzo 1976.
 

Nulla.
 
 


***********

27 Marzo 1976, Godric’s Hollow.
 

«Guarda, si muovono!»
Alice segue la direzione indicata dal mio dito guantato con un’occhiata molto meno meravigliata della mia, come se vedere una fontana composta da statue viventi non fosse la cosa più eccitante di sempre.
«Lily, passi nove mesi all’anno in un castello magico in cui anche le scale si muovono» mi ricorda, riprendendo a camminare lungo le stradine costeggiate di villette colorate senza degnare la fontana di un altro sguardo, mentre io allungo il collo per lanciarle un’ultima occhiata adorante prima di seguirla.
«Sì, ma dentro Hogwarts è diverso» sottolineo, lasciando correre lo sguardo all’orizzonte, cercando curiosa altre particolarità. Persino le casette, col fumo che esce dai camini spiccando contro il cielo limpido e le piccole finestrelle, hanno un’aria magica in questo posto. «Un’intera città magica, ci pensi che bello vivere qui? Potrei fare un incantesimo proprio ora, in mezzo alla strada e nessuno mi direbbe nulla!»
«Beh, lo puoi fare anche ad Hogsmeade o Diagon Alley ora che sei maggiorenne» sottolinea Alice, che nonostante il sorriso davvero non sembra condividere il mio entusiasmo. «E onestamente, Hogsmeade e Diagon Alley sono molto più carine, non mi pare ci sia nulla qua al di là di quella fontana, campi e case.»
Non è che Alice non abbia ragione, perché sia Hogsmeade che Diagon Alley sono certamente più grandi, spettacolari e piene di questo posto, e difatti sono quasi svenuta per l’emozione anche la prima volta che ho visitato entrambe, anni fa, ma ora le conosco come le mie tasche e nonostante continui a trovarle eccitanti ed uniche proprio ogni singola volta che ci vado, c’è qualcosa qui, nell’intimità di questo luogo, nel fatto che ci sono più case che negozi, nel modo in cui la magia sembra parte integrante della vita quotidiana di un’intera città che me la fa respirare in un modo totalmente nuovo ed entusiasmante.
«Lo sai che Godric’s Hollow è una delle pochissime cittadine interamente magiche in tutta la Gran Bretagna?» dico trotterellando dietro ad Alice, conoscendo già la risposta, perché certo che Alice lo sa, lei ci è cresciuta nel mondo magico e non ha messo piede a Diagon Alley solo il suo primo anno di scuola, non ha visto i quadri parlare e le statue muoversi ad Hogwarts per la prima volta. «Non posso credere che Remus non mi abbia mai detto di vivere in un posto così bello».
«Remus vive in Galles» commenta Alice distratta, lasciando correre lo sguardo in lontananza con la fronte aggrottata, come a cercare di orientarsi.
«Come?» chiedo perplessa, perché sono felicissima di essere qui, ma se Remus vive in Galles, che diavolo ci facciamo noi qui?
«Te l’ho detto, il suo compleanno è stato il dieci» Alice mi lancia un’occhiata, prima di imboccare una stradina che si separa dalla via principale, verso la campagna. Riesco a scorgere un’enorme villa un po’ isolata dal resto delle case e circondata da un ampio giardino già da qui. «C’è un motivo se lo festeggia solo oggi.»
«Perché i suoi amici non erano soddisfatti del fatto che non avesse voluto fare nulla di che e hanno deciso di rimediare organizzandogli una festa a sorpresa a sua insaputa» dico lentamente, perché ero presente quando Frank lo ha spiegato ad Alice qualche giorno fa, quando è venuto a cena a casa sua, e nonostante ciò ho la sensazione di essermi persa un pezzo fondamentale.
«Sì, okay, ma perché proprio il ventisette e non prima secondo te?»
Alice ha aumentato il passo ora che non pare più avere dubbi sulla destinazione e la vedo distrattamente estrarsi dal tascone del cappotto il nostro regalo per Remus, impacchettato e largo appena pochi centimetri. Un colpo di bacchetta e torna alla sua grandezza reale, occupandole il posto tra le braccia, mentre il cancello d’ingresso al giardino verdeggiante della villa si fa sempre più vicino. «È perché la festa a sorpresa non è solo per lui».
Alice ha appena tirato fuori un altro piccolo pacchetto dalla tasca e sta svolgendo ora lo stesso procedimento di prima, ma i miei occhi sono ora fissi sul cartello decorato che svetta sul cancello spalancato. Potter Mansion.
Oh Godric, la sua casa ha un nome, certo che la sua casa ha un nome, James Potter è una di quelle persone che hanno case dotate di nome ed io sono una di quelle persone che viaggiano mezzo paese per andare a casa di Potter, è questo che sono.
«No, no, no» dico subito puntandomi sul posto mentre Alice entra nel territorio proibito senza problemi, prima di dedicarmi un’occhiata esasperata.
«Dai, Lily, sono già tutti qui» dice e non ho idea di come faccia a saperlo dato che siamo ancora all’esterno, la porta della villa è chiusa e non si vede o sente nessuno. «Era comunque ovvio che ci sarebbe stato, anche se fosse stato solo il compleanno di Remus.»
«Certo che lo sapevo» E non so perché sto sussurrando. «Ma è diverso andare al compleanno di Remus, a casa di Remus, dove per puro caso ci sono anche i suoi amici tra cui lui, e andare invece al compleanno di Remus e suo, a casa sua, nel territorio di sua giurisdizione, dove tutto grida James Potter.»
«Non vedo la differenza, davvero» insiste Alice e sta mentendo naturalmente, perché se non l’avesse vista non avrebbe aspettato l’ultimo secondo per mettermi al corrente della cosa. «Gli invitati sarebbero comunque stati gli stessi, anzi, essendo anche il compleanno di James ce ne sono un po’ di più e questo ti renderà più facile ignorarlo. Entra, forza, mi stanno guardando tutti.»
«La differenza è abissale, drammatica, sostanziale» puntualizzo con enfasi, rassegnandomi comunque a lasciarla cadere qui perché Alice non ha evidentemente chiaro il concetto di casa di James Potter. Non posso entrare a casa di James Potter come se nulla fosse, questa è una cosa che non sarebbe mai dovuta succedere perché le case sono un qualcosa di intimo e personale e sacro e dovresti sempre avere dell’affetto a disposizione per la persona nella cui casa stai entrando, cosa che naturalmente io non ho e questo va contro ogni regola delle case, ma Alice non lo capirebbe comunque, perché Alice è d’altro canto convinta che tutti la stiano guardando ora, quando non c’è assolutamente anima viva nel giardino della villa che possa guardarla, così prendo un profondo respiro e mi preparo ad entrare nel territorio nemico, perché d’altro canto non potrei comunque tornare indietro a questo punto. Voglio dire, potrei, ma sono a casa di Alice per le vacanze e non mi sentirei a mio agio a spiegare ai suoi genitori perché sono tornata prima del previsto e da sola.
Mentre attraverso il cancello aperto, entrando ufficialmente nel giardino di James Potter, ho il corpo teso e i sensi all’erta, pronta per il pericolo che sicuramente sta per abbattersi su di me, ma nel momento in cui la mia scarpa si posa sul vialetto non sono comunque pronta all’infarto che mi colpisce nel momento in cui la visione della casa muta drasticamente, accompagnata da musica e vociare improvvisi.
Il giardino è pieno, completamente affollato dai nostri compagni di scuola, in maggioranza Grifondoro ma non solo, che passeggiano e chiacchierano tranquilli, con una maggior concentrazione nei pressi dell’entrata della villa e del buffet.
«Molte case di maghi sono protette da incantesimi schermanti di questo tipo» mi spiega Alice vedendo la mia espressione frastornata. «Da fuori vedi sempre e solo la stessa immagine, e anche i suoni sono bloccati.»
Lo dice come se fosse una cosa normale e non qualcosa di incredibile e dalle potenzialità infinite: subito mi immagino a starmene beata per i fatti miei in giardino mentre qualche ospite indesiderato mi chiama dal cancello, convinto che io non sia in casa mentre io non devo nemmeno stare attenta a non fare rumore per proteggere la mia asocialità. Potrei correre nuda in giardino, se lo vedessi, ed è mentre sono impegnata con questi alti pensieri che Potter, che deve essersi materializzato qui da diversi secondi perché pare aver già accolto Alice,  mi coglie alla sprovvista.
«Ehy Evans» mi sorride allegro ed ora capisco perché ha sempre quell’aria appagata, anch’io ce l’avrei se vivessi in una cittadina del genere, in una villa del genere, con un giardino del genere ed incantesimi ingannevoli del genere. «Sei venuta a festeggiarmi?»
«Non sono al tuo compleanno, Potter» chiarisco subito, perché se devo affrontare un’intera giornata in territorio nemico, per quanto bello -il territorio, non il nemico-, è importante spazzare subito via ogni malinteso.
«Sei proprio qui, riesco a vederti» ribatte lui.
«Ne sei sicuro?» chiedo inarcando un sopracciglio e poi ci fissiamo per qualche secondo perplessi. «Voglio dire, d’accordo, puoi, ma non in alta definizione.»
Potter aggrotta la fronte, aumentando ulteriormente il grado di perplessità nell’aria.
«Cosa?»
«Vedi?» dico, sventolandogli velocemente una mano davanti alla faccia. «Non riesci a vedere bene i contorni.»
«Sì che ci riesco» dice Potter, ma io lo ignoro, continuando:
«Questo perché c’è una barriera invisibile tra noi.»
Poter sbatte le palpebre, confuso.
«La barriera dei compleanni diversi» concludo, con l’aria di chi gli sta svelando un grande segreto.
«Non è una cosa che esiste» dice ed io sbuffo cercando di guardarlo dall’alto, nonostante i suoi occhi siano una ventina di centimetri più in alto dei miei, ma è l’altezza spirituale che conta e lo spirito dei miei occhi è letteralmente sul tetto della sua stupida villa.
«Esiste da miliardi di anni, da prima ancora che l’uomo comparisse sul pianeta terra» insisto.
«Te la sei appena inventata.»
«Miliardi di anni, Potter» ripeto. «E si frappongono tutti tra me e te, proprio in questo spazio qui» E subito inizio a muovere lentamente le mani di fronte a me, come a tracciare il profilo della parete invisibile che si innalza tra me e lui. «Perché io non sono al tuo compleanno, sono a quello di Remus.»
Potter mi osserva senza dire nulla per qualche secondo, poi allunga una mano e mi tocca la fronte. Io faccio un salto all’indietro, colta alla sprovvista.
«Potter!» esclamo indignata. «Non puoi bucare la barriera dei compleanni!»
Potter alza le spalle, con un sorrisetto impertinente.
«È il mio compleanno, posso fare quello che voglio, Evans.»
«No, no, no, è il tuo compleanno» specifico, indicando il terreno ai suoi piedi. «Non qui» Ed ora indico i miei. «Qui è solo il compleanno di Remus.»
Potter fissa le sue scarpe e poi le mie, e poi i miei occhi.
«Quindi ci sono posti dentro casa mia in cui non è il mio compleanno?» chiede scettico.
«Non posti, persone» replico sicura, indicandomi in maniera subdola con entrambi gli indici. «E l’altra cosa che devi sapere riguardo alla barriera dei compleanni diversi, è che è insonorizzante. Taglia completamente fuori l’audio, zero volume.»
Continuo a muovere le labbra per qualche altro secondo, senza emettere suono, poi lancio un’ultima occhiata eloquente a Potter e gli do le spalle, allontanandomi alla ricerca di facce amiche.
 

*****
 
Evans si allontana verso il patio ed io resto a fissarla ancora molto confuso.
Quando dopo un po’ si volta e mi trova con gli occhi ancora fissi su di lei, spalanca i suoi e ricomincia a fare quegli strani gesti circolari di fronte al suo viso, nemmeno fosse un mimo, ed io scuoto la testa con uno sbuffo che assomiglia più a una risata.
È destabilizzante vederla qui, a casa mia. Come se improvvisamente non esistesse più solo ad Hogwarts. È strano e quasi surreale, e mi sento un po’ disorientato, ma non mi dispiace. 
 


 
 
«Okay, chi diavolo è stato?»
Il mio sguardo percorre indagatorio i volti dei miei invitati, mentre le mie dita si stringono con odio attorno al tessuto giallo brillante della maglietta delle Vespe di Winbourne che è appena uscita da uno dei miei pacchetti. Non c’era scritto il nome né nulla ed ora capisco perché. «Vi sembra divertente rovinarmi il compleanno così? Ora, ve lo dico molto chiaramente, nessuno lascerà questa casa finché non mi direte chi...»
Sirius sbuffa, interrompendomi.
«È stato Remus, Prongs, è ovvio. È il genere di atti malvagi che ogni tanto fa.»
Subito i miei occhi scattano su Remus, assottigliandosi.
«Non sono stato io. Lo trovo immaturo e infantile e... » Ed io gli credo, anche mentre si blocca assumendo un’espressione improvvisamente colpevole, perché sicuramente è vero che lo trova immaturo e malvagio e non sa davvero perché l’ha fatto. Ma Sirius ha ragione e Remus ogni tanto fa cose malvagie senza motivo. «Mi dispiace.»
«Ti perdono, Remus» concedo magnanimo, ma senza staccare gli occhi dai suoi, giusto per rendergli chiaro come se fosse stato chiunque altro ci sarebbe del sangue sull’erba ai miei piedi ora. «Non farlo mai più. Chiunque qui abbia problemi con maglie delle vespe di Winbourne che vengono bruciate è pregato di andarsene.» Un gesto della mia bacchetta e la maglietta prende immediatamente fuoco.
Non è stato un buon piano, d’accordo, perché non dovresti mai dare fuoco a qualcosa mentre ce l’hai ancora in mano, ma c’è una maglietta delle Vespe di Wimbourne alla mia festa di compleanno e questo significa che non è lecito aspettarsi lucidità da me.
Anche Frank è molto comprensivo riguardo tutta la storia di me che gli lancio la maglietta in fiamme addosso e la manica della sua camicia che prende fuoco.
 
 
 
 
 
Frank pare una danzatrice del ventre con la mia maglia che gli lascia scoperta tutta la pancia – mi ha accusato di avergliene data una corta apposta, ma non è colpa mia se lui è così alto – ma non ha riportato ustioni ed io questa la chiamo una vittoria.
Quello che mi turba ora è la dimensione ridicola del pacchetto che dovrebbe contenere il regalo più importante di tutti, quello dei Malandrini, e che sembra in grado di contenere a malapena una nocciolina. Lo scarto rendendo palese la mia contrarietà col volto e non appena ci infilo due dita dentro, tastandone il contenuto, mi corruccio ulteriormente, sentendo la consistenza liscia e legnosa sotto i miei polpastrelli. È davvero una noce, maledetti figli di puttana.
Non è una noce, realizzo iniziando a tirare.
È qualcosa dalla forma sottile e allungata che continua a fuoriuscire dal pacchetto senza dare segno di fermarsi, rendendo così evidente l’incantesimo rimpicciolente, ed è qualcosa che non può essere ciò che io penso che sia perché se lo fosse significherebbe che devo gettarmi a terra e rotolare nell’erba in preda alla felicità e non voglio rotolare nell’erba, sto indossando una camicia bianca e si macchierebbe tutta e- oh Godric, è davvero quello che sembra.
«Mi avete regalato la nuova Tornado Delux? È questo che avete fatto?» mi sento chiedere con voce tremante, mentre i miei occhi non si staccano dal manico di scopa sollevato in maniera reverenziale tra le mie mani. Il legno è scuro e perfettamente levigato, liscio sotto la pelle delle mie dita, mentre la parte finale è di un colore molto più caldo, quasi dorato. È bellissima.
«Non respiro, James. Per favore.» È solo sentendo la voce soffocata di Remus così vicina al mio orecchio che realizzo di essere ora arpionato ai miei amici.
«Voi, voi siete le mie nuove persone preferite al mondo» annuncio stringendoli ancora più forte, indifferente ai capelli di Sirius dentro la mia bocca.
«Non lo eravamo già?» La voce di Peter arriva come attutita, perché è schiacciato da qualche parte un po’ più in basso del mio campo visivo e non sono sicuro che sia ancora dotato di una testa.
«No, certo che no. La prima è Dorcas e dopo di lei praticamente mezza squadra dei Cannoni di Chudley” replico ragionevole.
«Abbiamo superato Dorcas? Sono commosso» Sirius non sembra commosso. Lo sento agitarsi violentemente contro di me e automaticamente stringo più forte. Remus emette un rumore strano, come se si stesse sgonfiando. «Puoi lasciarci ora?
«No che non posso: mi avete regalato la nuova Tornado Delux!»
Sirius emette uno strano verso disperato, come se si stesse sgonfiando anche lui ma emettendo dolore e rabbia invece che aria. Poi con uno sforzo estremo estrae un braccio dal groviglio che sono i nostri corpi ed indica il tavolo dove ho depositato con reverenza la mia nuova scopa prima di fondermi con i miei amici.
«La stanno per toccare, James, guarda.»
I miei invitati sono effettivamente radunati attorno al manico di scopa, lo osservano meravigliati e qualcuno sta anche allungando le mani.
«Nessuno la tocchi. Nessuno la tocchi o faccio una strage» La velocità con cui riesco a sciogliermi dai miei amici e porre il mio corpo tra la mia scopa e il pericolo è notevole. «Non ti azzardare, Frank, giuro che se la sfiori ti stacco le dita a morsi. Fate tutti un passo indietro.»




********
 
«Ti piace? Oh sì che ti piace» Sono a una festa e dovrei probabilmente alzarmi e andare a socializzare con gli altri esseri umani, ma c’è un gattone enorme e morbidissimo che sta facendo le fusa e non ho alcuna intenzione di smettere di fargli i grattini, anche se le mie ginocchia stanno iniziando a dolere per la posizione rannicchiata. Ma il suo pelo è così soffice e particolarmente folto e selvaggio attorno al collo, a formare una sorta di criniera grigia tigrata, è come un piccolo grasso leone ed io sono pronta ad essere la sua schiava e accarezzarlo per l’eternità, perché questo è il genere di persona che divento di fronte ai gatti. «Cuci-cuci-cuci.»
Sono solo contenta che non ci sia nessuno nelle vicinanze a sentirmi mentre perdo la dignità.
«È il mio gatto, Evans.»
Nessuno a parte Potter, chiaro.
«Il famoso Elvendork?» Chiedo lanciandogli un’occhiata senza staccare le mani dalla pancia morbida del felino, muovendole come se stessi cercando di impastarlo. Potter se ne sta dietro di me, la camicia bianca ora coperta dalla felpa dei Cannoni di Chudley che gli hanno regalato Frank ed Alice. A quella non ha dato fuoco, che sarebbe una cosa scontata da pensare riguardo a qualunque regalo di compleanno, ma a quanto pare no.
«Lui non è stato invitato al compleanno di Remus, per l’appunto» continua, incrociando le braccia al petto con aria furba. «Voglio dire, lo avrebbe invitato, ma Elvendork non si sarebbe presentato. Non gli piace Remus.»
«Come mai?» Non riesco a immaginare un motivo per cui a qualcuno, umano o felino, potrebbe non piacere Remus.
«È un essere umano» Potter si stringe nelle spalle. «Non gli piacciono gli esseri umani.»
Subito gli lancio un’occhiata scettica, riportando poi gli occhi sul gatto che steso sull’erba di fronte a me si sta letteralmente facendo coccolare da cinque minuti  facendo le fusa così forte da far sfigurare il fischio del treno di Hogwarts
«Io gli piaccio» concludo compiaciuta, alzando le spalle.  
Potter piega appena l’angolo destro della bocca verso l’alto e resta in silenzio per un po’, prima di annuire. «Già» dice. «La tua gatta ama me e il mio gatto te» Il sorrisetto appena accennato si trasforma nel suo classico sorriso sornione. «Mi chiedo cosa stiano cercando di dirci.»
Di riflesso alzo gli occhi al cielo, ma il pelo di Elvendork è troppo soffice sotto le mie dita perché io possa innervosirmi davvero. «Che l’erba del vicino è sempre più verde.»
«L’erba del signor Collins è tutta rinsecchita» replica immediatamente Potter ed io lo fisso.
Lui mi fissa. 
«Ci abbiamo fatto esplodere una pozione per sbaglio, io e Sirius, e non è più stata la stessa» aggiunge dopo un po’ mentre io continuo a fissarlo e qualcosa nei suoi occhi mi dice che sa che non ha senso quello che sta dicendo.
«Ma non era molto verde nemmeno prima» Alza le spalle e finalmente interrompe il contatto visivo, così anch’io torno a concentrarmi su Elvendork.
«Comunque, sono contento che hai deciso di lasciare il compleanno di Remus e venire al mio» aggiunge dopo un po’ e di nuovo i miei occhi scattano su di lui.
«Prego?» Il mio sopracciglio si inarca e le mie mani si allontanano dal gatto pronte a rimarcare l’esistenza della barriera invisibile che mi protegge da lui.
«È inutile che agiti le mani, ora ti posso vedere: stai toccando Elvendork e lui al compleanno di Remus non c’è.» Potter sembra così soddisfatto della sua trovata.
«La barriera dei compleanni non funziona sugli animali, Potter» spiego ragionevole, con grande pazienza, perché dovrebbe essere ovvio. «Loro fanno quello che vogliono, soprattutto i gatti.»
Potter assottiglia gli occhi e mi scruta in silenzio, ma l’ho chiaramente messo con le spalle al muro perché non trova niente da ribattere.
Ritorno ad accarezzare Elvendork e per un po’ l’unico rumore è il chiacchiericcio lontano dei nostri compagni, poi Potter parla di nuovo. «Quindi sei sicura di non voler venire al mio compleanno?»
«Sicurissima» annuisco.
«Ok» Potter alza le spalle, indifferente. «Puoi comunque andare a conoscere Harold, se ti va. Si infila spesso nel cortiletto sul retro.»
«Harold?» chiedo perplessa.
«Harold» conferma Potter, senza aggiungere alcuna informazione, e subito dopo gira sui tacchi e sparisce, perché certo che se ne va nell’unico momento in cui voglio invece che rimanga e si spieghi.
Sono naturalmente tentata di alzarmi e fare uno scatto olimpionico verso il cortile sul retro. Non lo faccio, perché non sono stupida e questo è esattamente quello che Potter vuole: mi sta probabilmente spiando per guardare se vado subito nel cortile. Sarà così compiaciuto se lo farò. Ma se lo scorda, non gli darò la soddisfazione di mostrarmi incuriosita. Che mi importa poi di cosa diavolo è un Harold? Non è come se questo avesse una qualche influenza sulla mia vita.
Godric, devo assolutamente scoprire che cos’è un Harold o non riuscirò a dormire stanotte.
 
 

 
Alice continua a parlare e probabilmente sta anche dicendo cose divertenti, perché Frank e Remus stanno ridendo di gusto, ma io non riesco davvero a cogliere il senso delle sue parole, impegnata come sono a lanciare occhiate al giardino e aggiungere man mano pezzi all’immaginaria planimetria della casa che sto tracciando nella mia mente.
Potter è a diversi metri da me, impegnato a litigarsi una fetta di torta con Black, che sembra volere a tutti i costi quella nel suo piatto nonostante la torta intera sia lì di fianco, e sono abbastanza sicura che non mi stia prestando attenzione in questo momento. Se anche stesse monitorando le mie mosse, come sicuramente sta facendo, per cogliermi in fallo, sono abbastanza sicura di poter raggiungere il cortile sul retro e tornare qui prima che lui si rassegni a cedere la sua fetta a Black.
«Scusate, vado un attimo in bagno» annuncio a bassa voce prima di dileguarmi.   
 
 
 
 
Il cuore mi batte veloce nel petto mentre mi dirigo lentamente verso la porta che dà sul cortile, lanciandomi occhiate circospette attorno. Ho  paura che Harold sia Black travestito da qualcosa. La porta cigola mentre la spingo lentamente, creandomi una fessura appena sufficiente a sgusciare fuori. Che razza di animale può chiamarsi Harold? Sarà qualcosa di grottesco, un esperimento mal riuscito di fusione tra un rospo e un fuoco d’artificio. Forse è pericoloso. Mi morderà e mi attaccherà una malattia.
O forse, realizzo guardandomi attorno nel cortile completamente vuoto, forse Harold non esiste ed io sono appena stata fottuta da Potter senza neppure essere andata al suo compleanno.
Sarà sicuramente qui da qualche parte nascosto pronto a ridere di me.
Presto, agisci Lily, trova qualcosa da fare che giustifichi la tua presenza in questo cortile e che non c’entri nulla con l’inesistente Harold.
Automaticamente mi chino a raccogliere un filo d’erba e me lo piazzo in bocca.
Non è una cosa particolarmente dignitosa da fare, ma far pensare a Potter che ho una segreta ossessione per i fili d’erba e che è solo per mangiarne un po’ in solitudine se sono venuta qui è sempre meglio che dargli la soddisfazione di essere cascata nel suo tranello.
Poi sento uno scricchiolio d’erba e lo vedo avvicinarsi al cancelletto socchiuso.
Solo che non è Potter venuto a ridere di me e non è nemmeno un grottesco animale dalla natura indefinita.
È una delle creature più maestose e aggraziate che io abbia mai visto e mi incanto a osservarla.
L’erba soffice si piega in silenzio sotto il peso degli zoccoli scuri ed io smetto di respirare, cercando di restare completamente immobile per non spaventarlo mentre fa il primo passo all’interno del cortile, il sole che gli colora riflessi dorati sul manto marrone intenso e le corna ramificate che si stagliano maestose contro il cielo azzurro.
Non so cosa sia esattamente a trascinare le mie gambe, se il fatto che è la prima volta che ne vedo uno da vicino o quegli occhi nocciola così strani e per nulla spaventati che sono puntati nei miei da prima ancora che entrasse, ma senza averlo veramente deciso mi ritrovo dall’altro lato del cortile, le dita che si sollevano piano di fronte al muso del cervo. Sento il suo  fiato umido e caldo solleticarmi il palmo della mano mentre la annusa brevemente, prima di rialzare fiero la testa, gli intrecci ramificati delle corna chiarissime, quasi bianche, a disegnare trame ancora più splendide ora che sono così vicina.
Lentamente avvicino la mano al collo del cervo, lì dove la pelliccia è leggermente più folta e scura, quasi come una piccola criniera, e quando non fa cenno di spostarsi sfioro leggermente il pelo, accarezzandolo da prima sfiorandolo appena e poi con più sicurezza.
Non so perché mi renda così felice il fatto che non sia scappato e che paia fidarsi di me, quando probabilmente è solo perché Potter ci ha già fatto amicizia e lo ha abituato al contatto umano, ma una sottile eccitazione mi percorre le vene mentre il cervo mi gira attorno e cerca di nuovo le mie dita nel momento stesso in cui abbasso la mano, lasciandomi una scia umida con la lingua ruvida e calda.
Non è nulla di simile ad accarezzare un gatto o un cane, il manto del cervo è ispido e spesso sotto i miei polpastrelli e la lentezza e fierezza con cui si muove non mi ispirano gli stessi versi imbarazzanti che mi sono usciti di fronte ad Elvendork, ed io non ho alcuna fretta di tornare alla festa. C’è qualcosa di magico ed estraniante in tutta la situazione e il vociare proveniente dall’interno si fa sempre più distante alle mire orecchie, come se fossi in un’altra dimensione. Resterei qui fino a sera, ma per qualche motivo non riesco a sopportare l’idea di che Potter possa piombare qui all’improvviso per gongolare, iniziando a giocare col cervo e bucando la mia bolla di irrealtà. Quando mi costringo a rientrare in casa e le voci di tutti si fanno nuovamente strada nelle mie orecchie è come svegliarmi da un sogno ad occhi aperti. 
 
 
 
 
«Perché hai dato un nome così ridicolo a una creatura così bella?»
Potter non mi ha sentita arrivargli alle spalle e dopo essersi voltato mi fissa spiazzato per qualche secondo, gli occhi nocciola, resi ancora più chiari dal sole insolito, allargati dietro le lenti degli occhiali. Poi pare riprendersi e si stringe nelle spalle con uno strano mezzo sorriso, quasi imbarazzato. Bizzarro.
«Come hai detto tu, è già bello di suo, non ha bisogno di avere anche un bel nome» dice ed io trattengo uno sbuffo divertito. Elvendork, Harold... perché la gente permette ancora a questo ragazzo di battezzare esseri viventi?
«E che ci fa un cervo nel tuo cortile?» indago attenta, perché ci dev’essere un motivo se queste cose accadono sempre agli altri e mai a me, forse sono io che sbaglio qualcosa. Voglio dire, c’entra probabilmente anche la storia di vivere a Privet Drive dove l’unica macchia di verde è data dalle aiuole della signora Jenkins, che non sono neppure così verdi a dirla tutta, ma resta un’ingiustizia che Potter abbia un cervo meraviglioso che gli viene a fare visita in cortile mentre il massimo che ho io è la cacca del cane del vicino che ha scambiato il nostro giardino per il suo bagno privato.
«È mio amico, ogni tanto mi viene a trovare» Sta dicendo Potter, vago. Poi piega le labbra nel suo solito sorrisetto presuntuoso e mi strizza l’occhiolino. “Tra creature bellissime ci si intende, Evans.” Faccio appena in tempo a roteare gli occhi al cielo che subito ha un lampo di sincerità. «Lo compro col cibo» ammette ed io ricordo improvvisamente di essere stata molto maleducata verso Harold, a non offrirgli assolutamente nulla, neppure il filo d’erba che avevo in bocca, ma mi sento anche stranamente appagata perché ah! Io non ho dovuto comprarmelo il suo affetto. Se solo il mio successo generale nella vita dipendesse da quanto mi amano gli animali –quelli altrui, perché la mia gatta ancora mi ritiene poco più che una conoscente – allora sarei già Ministro della Magia.
«Beh, trattalo bene» concludo in fretta prima di girare sui tacchi, prima che anche Potter realizzi quello che ho appena notato io, ovvero il buco appena creatosi nella barriera dei compleanni. Raggiungo Alice in fretta senza voltarmi indietro, perché se nessuno lo va più a stuzzicare il buco si richiuderà in pochi secondi, e perché Alice è vicino a un sacco di cibo.  
Oh, c’è anche Remus. Chissà se lui sa del cervo.
Mi riempio la bocca di patatine e subito inizio a masticare in fretta perché sento la frenesia di raccontare subito a qualcuno del mio incontro nel cortile e di come il cervo si sia fidato subito di me senza che dovessi neppure offrirgli del cibo, il che è chiaramente prova di grandi qualità intrinseche nella mia persona visibili solo agli occhi misteriosi e profondi dei cervi, eccetto che nel momento in cui mando giù tutte le patatine, immediatamente ne afferro un’altra manciata, tappandomi di nuovo la bocca perché, realizzo all’improvviso, provo un’eccitazione bizzarra al pensiero di mantenere l’incontro col cervo segreto. Qualcosa di mio e basta. E, beh, Potter che lo sa già naturalmente, ma Potter non conta, dato che è palese come non capisca nemmeno per sbaglio l’importanza di avere una creatura così bella e sfuggente che si lascia accarezzare, o altrimenti non l’avrebbe chiamato Harold. 
 
 


 
«Stavo pensando» Potter se n’è andato ridendo e chiacchierando di gruppetto in gruppetto fino ad ora, lanciandomi solo qualche occhiata furba da lontano, ma senza mai tentare di fare irruzione oltre la fessura nella barriera, almeno fino ad ora. «La panchina su cui è seduto Frank di che compleanno fa parte?»
Subito mi volto a cercare Frank con gli occhi, trovandolo pacificamente abbandonato su una panchina vicino al limitare del giardino, le mani inerti sulla pancia dove ho visto entrare più torta di quanta dovrebbe essere umanamente possibile. Osservando meglio, il suo sguardo è più rassegnato che pacifico in effetti: deve aver accettato di aver perso la capacità di alzarsi. Spero che Potter gli porti almeno una coperta questa notte.  
«Beh, Frank è venuto ad entrambi i compleanni» rifletto. «Quindi per lui la panchina fa parte di entrambi. Se mi ci sedessi io vorrebbe dire che è al compleanno di Remus.»
Potter mi fissa scettica, scuotendo la testa.
«Non ha senso, è una panchina. Non può cambiare a seconda di chi ci si siede.»
«Il compleanno è negli occhi di chi guarda, Potter» ribatto sentendomi molto filosofica e soddisfatta della mia risposta per circa cinque secondi, prima di pentirmene, perché non ha molto senso. Ha un’efficacia tuttavia, perché Potter mi fissa in silenzio per un po’, evidentemente schiacciato dalla mia logica. Poi riprende a parlare, lentamente, ed è chiaro che sta tramando qualcosa.
«Quindi tu sostieni che se ora ci sedessimo entrambi su quella panchina, continueremmo a non essere allo stesso compleanno?»
«Esatto» annuisco.
«Secondo me invece verresti risucchiata nel mio, alta definizione e tutto.»
«Ridicolo.»
Potter ghigna. «Provalo.»
Inarco un sopracciglio, senza muovermi. Lui si dirige deciso verso la panchina, si lascia cadere accanto a Frank e poi si volta a guardarmi con aspettativa, chiaramente ignaro che può anche aspettare in eterno per quel che mi riguarda.
«Beh, Evans?» Alza la voce allegro. «Vieni o hai paura che questa panchina mi darà ragione?»
Le mie gambe avevano già iniziato a muoversi alla parola paura e così quando Potter finisce di parlare il mio culo è già accanto al suo. Subito gli lancio un’occhiata trionfante.
«Sono ancora al compleanno di Remus, Potter, come volevasi dimostrare.»
Soddisfatta, faccio per alzarmi, ma lui mi appoggia una mano sul braccio.
«Aspetta. Forse serve del tempo per fare il passaggio da un compleanno all’altro» dice in fretta. «Proviamo a restare qui per, non so, diciamo mezz’ora.»
Io lo guardo eloquente. «Potter.»
Lui sorride colpevole.
«Ok» annuisce. «Aspetta qui allora.» E prima che io possa ribattere è sparito dentro casa.
È il momento perfetto per andarmene. Non devo davvero aspettare qui, non ho detto che l’avrei fatto, non è colpa mia se ora lui tornerà qui aspettandosi di trovarmi. Non è come se avessimo un appuntamento o qualcosa del genere. Se avessimo un appuntamento, a dirla tutta, sarebbe solo un ulteriore spinta ad alzarmi immediatamente.
Mentre il mio culo continua a non allontanarsi dalla panchina, mi esce un sospiro frustrato dalle labbra. Che fatica comportarsi da adulti. 
Potter si rimaterializza di fronte a me porgendomi un foglietto giallo e spiegazzato, emanando soddisfazione da ogni poro. È chiaro che qualunque cosa sia si sente molto astuto per averla fatta.
«Che cos’è?» chiedo prendendo cautamente il foglietto tra le mani.  
«L’invito al mio compleanno» mi annuncia orgoglioso, come se scarabocchiare in tre secondi su un post-it fosse stata questa geniale trovata. «Remus non si offenderà se vieni, anche lui è in realtà più al mio compleanno che al suo.»
«Non posso venire al tuo compleanno, Potter» sospiro.
Potter mi guarda confuso, come se davvero non ne avesse idea. «Perché no?»
«Innanzitutto sarei in ritardo e non mi piace arrivare in ritardo ai compleanni, è da maleducati.»
Potter alza le spalle, incurante. «Sono tutti maleducati al mio compleanno, non importa. Guarda Sirius per esempio, ha uno scolapasta in testa.»
I miei occhi seguono la direzione dei suoi e Black sta effettivamente indossando uno scolapasta, constato. Nessuna delle persone con cui sta parlando sembra turbata dalla cosa. Resto a fissare il tutto perplessa per diversi secondi, aspettando un eventuale plot twist in cui almeno uno dei conversanti decida di prendere improvvisamente atto dello scolapasta, ma sento di nuovo lo sguardo di Potter su di me e così riporto gli occhi a lui.
«E non ho portato il regalo.»
Potter si stringe nuovamente nelle spalle, senza staccare gli occhi dai miei. «Puoi prenderne uno dalla pila e fingere che sia tuo.»
«E non siamo amici, Potter» aggiungo ed è bizzarra, la nota imbarazzata che mi vena la voce, come se fosse una colpa o una novità quella che gli sto comunicando e non l’ovvietà ben nota ad entrambi da ormai sei anni. «Ti sopporto a malapena, non ha senso che io venga.»
Potter non fa una piega e continua a guardarmi con espressione indecifrabile per un po’, senza dire nulla. Un attimo prima che il silenzio diventi imbarazzante, alza le spalle.
«Ok, Evans» dice quasi distrattamente, gli occhi che corrono con nonchalance alle mie spalle, verso i nostri compagni. «Se cambi idea, sarò al mio compleanno.»
Di nuovo si allontana senza lasciarmi il tempo di ribattere, non che avrei avuto qualcosa da dirgli ora, anche se fosse rimasto. Il silenzio avvolge me e la mia panchina ed io resto seduta a fissare l’erba curate e ormai scura sotto le mie scarpe, ora che il breve sole di prima è stato sostituito dall’indaco spento del tardo pomeriggio.
«Non sono sicuro che sia regolamentare, Lily.»
L’unico motivo per cui il mio cuore non fa un triplo salto mortale fuori dal mio petto, quando la voce di Frank spezza improvvisamente il silenzio, è che una minuscola parte di me era al corrente, in maniera del tutto inconscia, della sua presenza ancora sulla panchina, nonostante la parte lucida di me l’avesse rimossa.
«Che cosa?» chiedo voltandomi e trovando che sì, Frank è proprio qui sulla panchina, esattamente com’è stato da prima che io e Potter ci sedessimo accanto a lui.
«Quello che hai fatto» risponde laconico, procurandomi immediatamente un’ondata d’ansia ai lati del collo.
«Cosa ho fatto?» chiedo agitata, il che è ridicolo visto che so di non avere fatto assolutamente nulla, ma tra tutte le persone Frank è l’ultima che voglio pensi che io abbia fatto qualcosa, perché lui è sempre così pacato e pacifico che quando punta il dito contro qualcuno do per scontato che abbia ragione e che il qualcuno meriti di avere dita puntate contro o persino infilate negli occhi, anche quando il qualcuno sono io. Cosa sto facendo della mia vita se mi sono attirata il biasimo di Frank?
«Rifiutare un invito a un compleanno durante il compleanno stesso» mi illumina infine Frank ed io lo osservo corrucciata. Oh, è questo che ho fatto per meritare la sua disapprovazione dunque?
«Non penso che ci siano delle tempistiche per rifiutare un invito al compleanno di qualcuno che non è tuo amico» replico ragionevole, perché ora che so cosa ho fatto, mi è più facile rassicurarmi di non avere in realtà fatto nulla.  
«Ma ci sono regole su cosa si può dire durante un compleanno» continua Frank, pacato ma deciso, ed io aggrotto la fronte. «Quel tempo tra l’inizio e la fine della festa dovrebbe essere quello in cui al festeggiato si può dire solo sì. È per questo che Sirius ha uno scolapasta in testa ora.»
 «A me sembra che gli piaccia in realtà» sottolineo osservando Black essere così chiaramente a suo agio nel suo copricapo di plastica gialla.    
«Sì, anche a me» conviene Frank, lanciandogli a sua volta un’occhiata perplessa. «Ma non è questo il punto. Il punto è che rifiutando un invito durante un compleanno potresti potenzialmente peggiorare il compleanno stesso, non trovi?»
«Oh, andiamo, Frank, Potter non si rovinerà il compleanno perché io gli ho detto di no» sbuffo scettica, chiedendomi se sia il caso o meno di introdurlo al concetto dell’aspirapolvere. «Non siamo nemmeno amici, come sai benissimo, mi gironzola attorno per abitudine.»
Mi aspetto che Frank capisca e annuisca, concordando con me, o che insista nella sua idea e ribatta, ma lui non fa nessuna delle due cose. Se ne sta lì a fissarmi in silenzio e basta.
«Frank?» lo chiamo incerta, a disagio. Lui non fa una piega e credo che non stia nemmeno sbattendo gli occhi per non interrompere il contatto visivo.
«Frank?» ritento confusa e poi la realizzazione mi colpisce improvvisa. «Mi stai giudicando?»
Frank non muove un muscolo ed io spalanco gli occhi, terrificata da questa svolta imprevista degli eventi. Il mio cervello si affanna freneticamente per trovare una soluzione immediata alla faccenda, ma Frank si alza e sempre senza dire una parola si allontana verso gli altri invitati, lentamente e camminando all’indietro per non interrompere il contatto visivo.
«Mi sta giudicando» mormoro sconvolta tra me e me.
 
 
***
 
Mi stavo giusto chiedendo dove fosse il mio ragazzo, quando lui mi viene a sbattere contro all’improvviso.
«Frank? Che fai?»
«Un attimo solo, Alice. Sto giudicando Lily da lontano.»
 
 


**********
 
«Ehy, Moony.» L’ennesimo gruppetto di invitati si è appena congedato, essendo che si è fatto tardi, ed io localizzo subito il mio amico in disparte in veranda a raccogliere cartacce e spostare sedie, in quella sua buffa convinzione di essere il responsabile delle pulizie sempre e in qualunque casa. «Hai già avvisato i tuoi che non torni stasera? Ti presto il mio gufo?»
«James, ti ho già detto che non resto qui a dormire.» Remus si distrae dalla sua opera di rassettaggio per lanciarmi un’occhiata ed io non posso fare a meno di notare di avergli appena involontariamente salvato la vita distraendolo: quella che spunta dalla scatola che Remus si stava chinando a raccogliere è chiaramente la coda di Elvendork e Remus si sarebbe fermato qui a dormire in eterno, sepolto sotto il melo di papà, se avesse anche solo sfiorato quella scatola.
«Okay Moony, come prima cosa, Elvendork è dentro quella scatola, quindi fai lentamente dieci passi indietro, niente movimenti bruschi» Remus spalanca gli occhi terrorizzato, portandoli subito sulla coda vaporosa di Elvendork che lo minaccia in silenzio dalla scatola di cartone: essendo il più raziocinante tra i miei amici, è sempre stato anche quello più spaventato dal mio gatto, nonostante sia Sirius quello con la cicatrice. «In secondo luogo certo che ti fermi a dormire, cos’è che devi fare a casa di più importante che passare del tempo con le persone che ami di più in tutto l’universo?»
«James, ci vedremo letteralmente settimana prossima a scuola» dice Remus come se questo influisse in qualche modo sul fatto che questa notte lui si fermerà a dormire qui.
«Remus» ribatto imitando il suo tono. «Peter resta, Sirius resta...»
«Sirius vive qui.»
«...io resto, restiamo tutti tranne te? Che senso ha? Da quando sono tre i Malandrini? Non possiamo restare in tre. Sarebbe un tradimento, sarebbe come dire che tu sei stato ufficialmente demalandrinizzato, non è fattibile: se tu non resti, non possono restare nemmeno Peter e Sirius, glielo dici t-»
«James, Sirius vive qui.»
«Un’occasione per dormire insieme tutti e quattro e tu vuoi semplicemente sprecarla cos-»
«Ho fatto il calcolo, sono più le volte che dormo con voi quattro che quelle in cui dormo a casa e non di poco, in un rapporto uno a-»
«Il calcolo!» sbotto oltraggiato, indietreggiando teatralmente con una mano sul cuore. «Ti sei messo a calcolare con quanta forza sputare sulla nostra amicizia? Hai calcolato in quanti frammenti esatti stai spezzando il mio cuor-»
«Oh Godric, va bene, prestami il tuo gufo che avviso i miei genitori.»
«È di sopra in camera mia» sorrido smagliante. «Dillo prima a Sirius però, deve bloccare il piano prima che parta o non potremo salvarti.»
Remus si congela sul posto. 
«Quale piano, James?» chiede lentamente con quel suo tono che implica silenziosamente che non vuole davvero sapere le cose su cui fa domande.
«C’era un piano per costringerti a rimanere ovviamente» spiego alzando le spalle, perché che Remus non lo avesse previsto è ridicolo. «Ma non ha importanza ora, però corri ad avvisare Sirius, davvero, o sarà doloroso. Del tipo, fisicamente doloroso.»
Remus spalanca gli occhi.  «James, che diavolo avevate intenzione di-sai cosa, non dirmelo, dove si è cacciato Sirius?»
«Soffitta.» Remus mi lancia un’ultima occhiata sospettosa alla precisione della mia risposta e poi si allontana a passo svelto.
«Se incontri Peter abbassati e grida bandiera bianca!» gli urlo dietro, mentre qualcuno si schiarisce rumorosamente la gola dietro di me. Io mi volto ed Evans è  lì che mi fissa determinata.
«Scusa per il ritardo, Potter» dice ed io la guardo perso.
«Cosa?»
«Buon compleanno» continua lei ignorando la mia confusione.
«Buon...» ripeto perplesso, prima di illuminarmi. «Oh. Sei al mio compleanno?»
«Sì, ho deciso di fare un salto, per vedere che aria tira.» Si stringe nelle spalle, casuale.
«Quindi sei qui. Posso vederti? Alta definizione e tutto?»
Evans annuisce, senza guardarmi negli occhi. «Così pare.»
«Niente barriera?» chiedo sollevando una mano di fronte a me come a tastare l’aria.
«Niente barriera» conferma lei e pare più spiazzata di me quando finalmente incontra i miei occhi. Vorrei avere un piano ora, una mossa astuta da compiere o qualcosa del genere, perché è da ore che provo ad abbattere la barriera dei compleanni ed ora che non c’è mi sento come se lei fosse entrata all’improvviso in bagno mentre io, completamente nudo, mi apprestavo ad entrare in doccia.
Ci fissiamo in silenzio ad occhi spalancati e vagamente nel panico per diversi secondi, prima che lei si schiarisca la gola.
«Beh, ora devo andare.»
«Ok» dico subito e già inizio a scrivere mentalmente la lettera di licenziamento per le mie corde vocali perché la mia voce non è così stridula di solito. «Grazie di essere venuta.»
«Di nulla, Potter» dice e fa per andarsene, solo per poi voltarsi di nuovo e porgermi un elastico per capelli che si sfila dal polso.
«Questo è il mio regalo. Non l’ho rubato a nessuno» annuncia, mentre io osservo l’elastico rosa tra le sue dita. «Lo puoi usare come una minifionda per lanciare le cose o per colpire le persone negli occhi, così.» Subito lo tende con le dita, a riprova delle sue parole, ed è una dimostrazione molto efficace dei possibili utilizzi dell’elastico fino a quando non le scivola dal dito e parte a velocità disumana contro il mio occhio, passando sotto la lente e distruggendomi per sempre la pupilla. «Ouch.»
«Scusa» dice subito, senza suonare particolarmente dispiaciuta. Non escluderei che l’abbia fatto apposta. «Beh, ora sai come funziona. Buonanotte.»
Risponderei, ma il mio unico occhio funzionante mi informa che se n’è già andata.
Sorridendo mi chino a raccogliere l’elastico.
 
 
 
 

«Sirius, non ci crederai mai, Evans è venuta al mio compleanno.»
«Lo so, James, è stata qui tutta la sera.»
«No, intendo, ci è venuta davvero. Non al compleanno di Remus, al mio! Mi ha fatto gli auguri e mi ha colpito nell’occhio con questo elastico.»
«È fantastico, James.» Sirius mi strappa l’elastico dalle mani ed un secondo dopo mi entra di nuovo nell’occhio alla velocità della luce. «Coglione» sento concludere Sirius mentre mi accascio a terra per il dolore e per recuperare il mio regalo.
È a quel punto che lo noto, seppure con la visuale dimezzata.
«Perché Remus è a terra svenuto?»
«Il piano era già partito.»
«Oh.»
«Già.»
 

«Credo che Evans mangi l’erba.»






 



 
 
 
 
 







 
_______________________________________________________________________________________________________________
...Fosse stato solo per me il trentaduesimo capitolo non avrebbe mai visto la luce e ci saremmo fermati allo scorso e non vi sareste trovati con “credo che Evans mangi l’erba” come finale di CAS, però poi come sapete mi avete colta alla sprovvista con tutti i vostri commenti e mi avete fatto venire nostalgia e ispirazione e il mezzo capitolo che era lì da eoni si è magicamente finito da solo. E quindi Evans mangia l’erba, che tanto non è che ha senso fare i fighi nei finali voglio dire, è anticlimatico al massimo ma è completamente in linea con il nonsense generale che è sempre stata CAS.
(O molto più semplicemente non essendo mai stato pensato come ultimissimo capitolo  non ho voluto scriverlo come tale, che non mi andava di buttarmi in flashforward e voli simbolici per mascherarlo da finale di qualcosa che era a malapena iniziato).
Non voglio dilungarmi perché credo (spero) di avervi già fatto capire negli ultimi capitoli quanto io sia grata per il vostro amore per questa storia, e credetemi, non l’ho mai dato per scontato, anche se sono awkward as fuck e non lo so esprimere bene a parole e senza sarcasmo ma insomma grazie. Ad ognuno di voi. 
Anche a chi sta scorrendo questi noiosi blabla solo per arrivare alla risposta alla domanda ‘ma il capitolo 33 quindi esisterà mai o no?’ Quando ho ricominciato a postare sarebbe stato un no al cento per cento, lo era, ve lo avevo già detto, dopo la facilità con cui mi avete contagiato con il vostro entusiasmo e ritrascinato nel fandom e in CAS anche solo il tempo di una notte per finire questo capitolo faccio fatica a dire no con la stessa sicurezza. Lo dico comunque eh, però in modo un po’ meno sicuro.
Un po’ come Lily quando dice di non sopportare James.
 
*malandrina out*
 

 

   
 
Leggi le 16 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: malandrina4ever