CAPITOLO
32.
«Non
trovi proprio nessuno della tua età disposto a
esserti amico, Mocciosus?»
La
partita contro Tassorosso, nonché attuale evento più
importante della mia vita e dell’universo tutto, è a pochi giorni di
distanza
ed io mi sto dirigendo, borsa in spalla, con un ragionevole anticipo
agli
allenamenti, quando il mio Battitore fa improvvisamente irruzione nella
Sala
Comune, fiatone, viso arrossato e occhi che si piantano subito su di
me. Lui
non ha la borsa già pronta, non posso fare a meno di notare. «Oh,
grazie a
Godric, James, sei qui!»
«Da
quando ti interessa chi è mio amico, Sirius?»
«Mocciosus?
‘Amico’? Wow. Bella idea di amico,
fratellino.»
E
gli dà fastidio che lo chiami così, proprio come quando
eravamo piccoli e lui si infuriava insistendo di avere solo un anno in
meno di
me. È esattamente per questo che lo faccio.
Quando
Frank mi sbatte una mano sulla spalla mi preparo a
una confessione solenne o qualcosa del genere, poi lui si piega in due
ansimando e diviene chiaro che si sta solo aggrappando a me per
riprendersi da
quella che spero essere stata una corsa lunghissima e piena d’ostacoli
che
giustifichi una tale scenata. Di nuovo, la partita evento della mia
vita e
dell’universo tutto è a pochi giorni di distanza e una tale mancanza di
agilità
da parte del mio Battitore non mi compiace. Dopo qualche secondo Frank
si
ritira su, spostando la mano dalla mia spalla al braccio, tirando
appena. «Presto,
vieni con me».
«È
evidente che non abbiamo le stesse idee su chi sia un amico degno o
meno» Ha
una luce fredda negli occhi e le labbra piegate in un sorrisetto falso.
È
spiacevole, come guardarmi allo specchio. «Come sta Potter a proposito?
Si è
ripreso dalla sconfitta?» La spilla da Capitano è appuntata sul suo
petto
proprio a fianco a quella da Prefetto. Non sorride più ora. «O Lupin?
Ho
sentito che è stato male di nuovo questo mese» Fa una pausa e mi guarda
dritto
negli occhi. «Proprio come ogni mese.» Mi chiedo se riesca a sentire il
mio
sangue pulsare. Sembra assurdo che non possa, quando è tutto quello che
riesco
a sentire io. Scrolla le spalle, un
angolo della bocca piegato in una smorfia sprezzante. «Possiamo
risparmiarci
Minus, sì?»
Frank
è chiaramente fuori di testa se pensa che io possa
seguirlo in una parte di mondo diversa dal campo da Quidditch in questo
momento, così mi ritraggo dalla sua presa. «’Vieni’ dove?» sbuffo
contrariato,
aggiustandomi la borsa sulla spalla. Il mio anticipo sta lentamente
andando a
farsi benedire, così come la mia pazienza. «Ho gli allenamenti, Frank.
Anzi, abbiamo.» I pochi presenti nella Sala
stanno iniziando a guardarci incuriositi, ma Frank ha occhi solo per me
da
quando è entrato. «Al diavolo gli allenamenti, James, corri!»
«I
miei amici stanno bene, Regulus, grazie. Tu invece? Nulla di eccitante
nella
tua vita? Sei diventato zio, sì? Oh aspetta, non è scritto sull’arazzo
quindi
probabilmente non lo sei, è così che funziona. Meglio aspettare arrivi
da un
ramo della famiglia più degno» La rabbia è come un fiume in piena
dentro di me
e ha rotto gli argini da anni, e brucia e sfonda tutto, ma più le
lascio
prendere il sopravvento e meno devo sforzarmi per mantenere la
superficie
piatta e gelida come un lago ghiacciato. «Forse Bella» aggiungo
sghignazzando.
Frank
ha appena detto ‘al diavolo gli allenamenti’ e
questo non è accettabile in nessuno degli universi conosciuti e forse è
solo
per farglielo presente, tramortirlo e trascinarlo di peso al campo da
Quidditch
che lascio cadere il borsone e gli corro dietro, fuori dalla Sala
Comune. Due
rampe di scale e diversi corridoi più in là, ancora fieramente privo
del benché
minimo affanno, inizio a intravedere una folla anomala che blocca il
corridoio
per le aule di Incantesimi.
Regulus
non è mai stato il primo a cercare il contrasto, non è nella sua
natura. Quello
sono sempre io. Anche ora è lui il primo a darmi le spalle,
allontanandosi.
È
quasi arrivato all’altra estremità del corridoio quando la mia voce
riecheggia
tra le pareti di pietra, facendolo bloccare, ancora di spalle.
«Ce
l’hai già il marchio?»
Quando
Frank sparisce tra la folla di studenti in
fermento ed io rallento appena per farmi largo a fatica sulla sua scia,
l’indignazione ha ormai lasciato il posto alla curiosità, perché ci
dev’essere
qualcosa di incredibilmente interessante per intasare così l’intero
corridoio.
È
solo quando riesco finalmente a portarmi abbastanza
vicino da vedere cosa sta succedendo che la curiosità lascia il posto
al panico.
Il
mio pugno si schianta di nuovo contro la mascella di Regulus e il
sangue che mi
cola dal labbro e mi riempie la bocca di un sapore metallico gli
gocciola
addosso, mescolandosi al suo. Ci sono movimenti e grida tutto attorno a
noi, ma
quelle gocce di sangue sul viso di mio fratello sotto di me sono
l’unica cosa
su cui riesco a concentrarmi per qualche secondo, poi è di nuovo il
vuoto.
C’è
un’armatura per terra, abbandonata inerte sul
pavimento, a qualche passo appena da dove Sirius e Regulus stanno
rotolando
continuando a colpirsi alla cieca, sotto gli occhi di tutti. C’è meno
sangue di
quando Piton mi ha lanciato quel Sectuqualcosa al braccio, ma c’è n’è
più di
quanto sia normale in una rissa alla babbana tra ragazzi. È chiaro
perché Frank
è corso a chiamarmi ora, ma per diversi secondi resto bloccato a
guardarli
senza sapere cosa fare, senza nemmeno pensarci, esattamente come tutti
gli
altri. È quando Sirius schiaccia suo fratello sotto di lui e inizia a
colpirlo
dritto in faccia, con forza, che mi riscuoto e scatto in avanti.
Lo
sento divincolarsi sotto di me, spingere per rialzarsi, e sento anche
la ginocchiata
che mi arriva tra le costole, forte, e so che dovrebbe far male, ma la
verità è
che non sento nulla realmente a parte le mie nocche scivolose di sangue
contro
la sua faccia e sono pronto a sentirle di nuovo, quando due braccia mi
afferrano improvvisamente da dietro, cingendomi il petto e tirando con
forza.
Ho
quasi sollevato completamente Sirius da suo fratello
quando, dopo qualche secondo di evidente sorpresa, si divincola di
scatto e con
più forza di quanta mi aspettassi, cercando furiosamente di liberarsi.
Io non
lo lascio e continuo a cercare di allontanarlo da Regulus, fino a
quando invece
non sono con il culo per terra e gli occhi appannati dalle lacrime.
Resto
intontito per qualche secondo ed è più la sorpresa
che il dolore improvviso al naso, arrivato forte e fulmineo come il
gomito di
Sirius.
Sirius
che mi dà le spalle ed è di nuovo su suo fratello.
Non
sento cosa dice Frank chinato su di me, come non ho
sentito distintamente le grida della folla fino ad ora, chiuso in una
bolla di
suoni ovattati, ma per qualche ragione i mormorii che articolano il
nome della
mia Capocasa li registro subito distintamente e in una frazione di
secondo sono
di nuovo in piedi, una manica a pulirmi bruscamente il sangue dalla
faccia. Il
dolore si acuisce in una fitta più intensa quando mi sfrego sotto il
naso, ma
quando la McGranitt emerge dalla folla non ci sono differenze visibili
tra me e
gli altri spettatori.
È
il suo sguardo, prima ancora del fatto che ha appena
estratto la bacchetta, e il fatto che so perfettamente che Sirius
ignorerà
anche i suoi richiami, che mi fa scattare di nuovo.
C’è
di nuovo quella voce troppo vicina a chiamare il mio nome e ancora una
volta
voglio solo farla sparire e continuare a colpire quel viso troppo
uguale al
mio, ma subito mi sento tirare verso l’alto, di lato questa volta, ed
ora
riesco a vederlo.
È
James naturalmente e non è come se non lo sapessi anche prima, ma ora
ce l’ho
davanti e mi guarda negli occhi e tutto ricomincia a prendere forma, il
corridoio affollato, la McGranitt infuriata, il sapore del sangue nella
mia
bocca.
Sirius
si lascia spingere via da suo fratello senza più
opporre resistenza, come se si fosse appena svegliato, e quando gli
lascio il
braccio si volta e se ne va dall’altra parte, ignorando completamente
la
McGranitt che gli ordina di tornare immediatamente qui.
«Inammissibile» la sento sibilare a bassa
voce e quando
mi volto verso di lei trovo con orrore un rosso irato sulle sue guance.
L’ultima volta che ho visto quel colore sulla faccia della mia Capocasa
Severus
Piton era a testa in giù e senza mutande.
«Le
giuro che è profondamente dispiaciuto, professoressa,
non intendeva mancarle di rispetto» dico subito agitato, cercando di
sembrare
convincente e non completamente nel panico. «Le porge le sue scuse.
Gliele
porgerà di persona, ma faccia come se gliele stesse già porgendo, sì? Profondamente dispiaciuto.»
«Potter.»
«Sì,
professoressa.»
«Faccia
silenzio.»
«Ok.»
Il
mio cervello inizia subito a cercare altre cose
strategiche da dire, ma la mossa più astuta da fare dopo aver accettato
di fare
silenzio sembra proprio essere fare silenzio, così mi mordo le labbra,
solo per
scoprire che mi fa male farlo e così mi trovo a nascondere una smorfia
perché
la situazione è già abbastanza drammatica senza che la McGranitt sappia
anche
dei feriti casuali.
«Tornate
tutti nelle vostre Sale Comuni, immediatamente,
non c’è nulla da vedere qui» sta intanto dicendo la McGranitt, a cui
fortunatamente non sembrano importare le mie smorfie. « Signor Black,
lei vada
in infermeria, la raggiungerò lì con il suo Capocasa. Mi aspetto una
spiegazione
per questa inciviltà.»
Regulus,
che si è rialzato e ha l’aria di chi si è
tuffato di faccia in un piatto di pasta al pomodoro, annuisce composto
e si
allontana senza aprire bocca.
A
questo punto la McGranitt si volta decisa verso di me,
apparentemente certa di trovarmi ancora qui.
«Lo
voglio nel mio ufficio tra un’ora esatta, Potter.»
«Ci
sarà» annuisco con forza. «Un’ora spaccata. Né un
secondo prima né un secondo dopo. E le dirà quanto è profondamente
disp-»
La
McGranitt non mi sta più prestando attenzione e si
allontana, incitando gli ultimi curiosi ad disperdersi, così la mia
frase cade
nel vuoto. Siamo rimasti io, Frank e l’armatura ora e l’orologio a muro
che
segna le cinque meno dieci.
«Hai
dieci minuti per arrivare al campo, Frank, muoviti».
Frank
mi lancia un’ultima occhiata perplessa, poi corre
via ed io estraggo la mappa.
Non
vedo perché Sirius debba fare l’alternativo in
Guferia tra le cacche di gufo quando esiste la Torre di Astronomia con
la sua
terrazza larga e pulita e la vista sul lago nero a disposizione, ma
tant’è.
«Ehy.»
Sto
attraversando cautamente la stanza circolare facendo
lo slalom tra le macchie di guano e piume che ricoprono il pavimento
quando una
qualche specie di volatile non identificato attenta alla mia vita,
planandomi
contro esattamente all’altezza degli occhi. Mi abbasso di scatto e
quella che
si direbbe una civetta demoniaca atterra tranquilla su un trespolo
qualche
metro più in là, senza degnarmi di uno sguardo, come se raggiungere
quella
postazione fosse stato da sempre il suo unico obiettivo e l’accecarmi
nel
mentre fosse un bonus di nulla importanza. Uno splat
disgustosamente liquido a pochi passi da me mi informa che
sono sotto attacco anche dall’alto, ma come anni di buste nelle caraffe
del
latte a colazione mi hanno insegnato, nessuno dei gufi di Hogwarts è
familiare
con il concetto di mira. Sirius, dal suo muretto, mi lancia un’occhiata
impassibile e si limita a un cenno del capo prima di tornare a guardare
fuori
verso il parco, chiaramente non troppo preso dal fatto che i gufi
vogliono la
mia testa.
«La
McGranitt è nera»
lo informo prendendo posto vicino a lui sul muretto, le gambe a
spenzolare nel
vuoto. Automaticamente porto le dita ad accertarsi della presenza della
bacchetta, giusto nel caso la civetta di prima si rendesse conto di che
bersaglio incredibilmente facile io sia ora e mi buttasse di sotto.
Sirius
sbuffa, un sorriso impercettibile a piegargli
appena gli angoli delle labbra. «Immagino.»
«Quando
vai nel suo ufficio dille che sei profondamente
dispiaciuto, ok?»
«Non
mi sento profondamente dispiaciuto.»
«Beh,
cerca di sembrarlo» insisto.
Sirius
resta in silenzio, continuando a guardare davanti
a sé ed io lo imito, lasciando correre lo sguardo lungo il parco
illuminato dal
sole pomeridiano. Riesco a intravedere il campo da Quidditch in
lontananza e le
figurine che volano sopra di esso. Le conterei per controllare che
nessuno stia
facendo il furbo approfittando del mio ritardo, ma sono troppo piccole
e
veloci. Di tanto in tanto qualche gufo vola sopra le nostre teste per
prolungare gli ampi giri di ricognizione anche all’esterno della
Guferia,
attraverso le aperture alle pareti, ma se ne stanno tutti almeno un
metro sopra
di noi e nessuno cerca più di accecarmi.
«Ha
iniziato lui?» chiedo dopo un po’, con il tono più
casuale possibile.
Sirius
risponde subito, continuano a guardare dritto
davanti a sé, ed è come se non avesse nemmeno sentito. «Vorrei che non
fossi
arrivato in tempo per salvare Piton. Vorrei che Moony lo avesse ucciso.»
Il
talento innato di Sirius nel dire cose spiazzanti non
è esattamente una novità, ma questa volta resto a fissarlo interdetto
per
diversi secondi, preso completamente alla sprovvista. Poi prendo un
respiro
profondo e sposto lo sguardo sul cielo azzurro davanti a noi.
«Okay.
Questo» Faccio una pausa. «Non lo dire mai più.»
Sirius
resta in silenzio, ma sempre con quell’aria
indifferente.
«E
vaffanculo» aggiungo dopo un po’, dandogli una spinta
leggera alla spalla. «Se non hai voglia di parlare puoi dirlo, non c’è
bisogno
che fai lo stronzo per mandarmi via.»
«Non
ho voglia di parlare con te» risponde subito
innervosito, voltandosi finalmente a guardarmi. «Vai a fare
qualcos’altro da
qualche altra parte, grazie.»
«Okay»
dico, ritirando su le gambe e alzandomi. «Ho gli
allenamenti in ogni caso.»
Salto
giù dal muretto e mi sbatto velocemente le mani sui
pantaloni per liberarmi da piume e schifezze varie, quando Sirius mi fa
bloccare.
«Ecco,
allenati così forse riesci a vincere una partita
una volta tanto.»
Completamente
spiazzato per la seconda volta nel giro di
pochi secondi, mi volto con un sorrisetto a metà tra l’incredulo e il
divertito. «Cos’era quello?»
Sirius
mi osserva in silenzio e vagamente ostile per
diversi secondi, prima di sbuffare rassegnato.
«Sto
cercando di litigare con te, ma lo rendi difficile.»
«Ah»
dico. «Scusa. Non lo faccio apposta.» L’unica
risposta è lo stridere di qualche uccello ed io inizio a concentrarmi
per
trovare una soluzione. «Potrebbe aiutare se ti insultassi?»
Sirius
inarca un sopracciglio, scettico.
«La
tua cravatta è orrenda.»
«È
la cravatta della divisa» replica laconico ed io
sbatto le palpebre. «La stessa che indossi anche tu» insiste, prima di
scuotere
la testa. «Oh, lascia perdere. Litigheremo un’altra volta.»
Poi
torna a guardare l’orizzonte ed io mi riavvicino con
un mezzo sorriso, prima di riprendere posto sul muretto. Subito mi
frugo nelle
tasche e tempo due secondi un boccino d’oro dalle ali spiegazzate si
libra per
aria davanti a me. Quando con uno scatto fulmineo prova a fuggire lo
riacchiappo, per poi aprire la mano e lasciarlo allontanare ancora
prima di
afferrarlo di nuovo. Sirius mi lancia un’occhiata di sottecchi.
«È
questa la tua idea di allenamenti?»
Alzo
le spalle. «Sono comunque in ritardo.»
Restiamo
un po’ così senza parlare, con Sirius che mi
osserva giocare con il boccino, poi lo dico e basta.
«Non
è colpa tua, lo sai, sì?»
Il
silenzio dura parecchio questa volta, poi Sirius si
gira.
«Seriamente,
Potter, levati dalle palle.»
**********
Il
sole già un po’ fioco di suo è coperto da nuvole
grigiastre che riflettendosi sulle acque del lago danno una
connotazione
spettrale al paesaggio, spezzata solo dagli schiamazzi occasionali che
provengono dal campo di Quidditch. Il vento freddo mi fa rabbrividire
appena.
Peter, in piedi a pochi passi da me, si stringe nelle spalle affondando
ancora
di più il viso nella sciarpa ed io gli lancio un’occhiata dal basso, la
schiena
contro il tronco largo della nostra quercia.
«Sei
sicuro che non vuoi aspettarla dentro?»
A
parte noi due e qualche altro studente che passeggia
attorno al lago, il parco è quasi completamente deserto, essendo che
siamo a
inizio marzo e l’unico non soffrire il freddo in questa scuola sembro
essere io
–essermi svegliato una volta al mese per cinque anni completamente nudo
sul pavimento
della Stamberga Strillante, nella camera vuota e piena di spifferi
gelidi tra
le ante di legno inchiodate, probabilmente ha aiutato.
Lo
stesso non si può dire dei miei amici e difatti la nostra
quercia diviene la nostra quercia
solo in primavera inoltrata ed estate, dato che Sirius è un animale a
sangue
caldo, James sopporta le basse temperature senza problemi solo in caso
di
movimento -movimento che preveda possibilmente il volo- e Peter si
sforza di ignorarle
solo per farmi compagnia ogni tanto, o forse solo per
controllare che non mi congeli ai piedi
della quercia mentre mi godo la tranquillità del parco quando non ha
l’attrattiva del sole caldo né della neve, ma solo il rumore placido
delle onde
create dalla Piovra che si infrangono a riva.
«Eccola»
Gli occhi di Peter si illuminano mentre mi
indica con un cenno della testa una figura che dal castello si avvicina
pian
piano, troppo lontana perché io possa distinguere altro oltre ai colori
dei
Tassorosso.
«Buona
passeggiata» sorrido mentre Peter le va incontro
lasciandomi solo.
Resto
a contemplare le grandi distese d’erba e gli alberi
attorno a me e a fingere di riflettere sulle grandi cose della vita per
un
tempo indefinito, quando un puntino rosso che dal castello inizia a
sfrecciare
attraverso il verde attira la mia attenzione. Quando è abbastanza
vicino da
permettermi di identificare i classici colori della divisa di Quidditch
di
Grifondoro oltre al borsone buttato sulle spalle, capisco perché sta
correndo
così veloce: gli allenamenti sono iniziati da un bel po’ ormai e
chiunque sia
quello sventurato che vi si sta dirigendo in ritardo, a pochi giorni
dalla
partita oltretutto, affronterà l’ira di James.
Non
solo di James a dire il vero, grazie alla regola del
dover fare tutti tanti giri di campo
quanti sono i minuti di ritardo.
Se
non fosse che quello è James.
Tutta
una serie di domande prendono immediatamente forma
nella mia mente e darei voce ad almeno una di esse, se non fosse che
lui sta
correndo come se il castello fosse in fiamme e un esercito di
Acromantule lo
stesse inseguendo e tempo due secondi è già un milione di chilometri
più
avanti, non più a portata di voce.
Sono
curioso, indubbiamente, è la prima volta in sette
anni che fa tardi agli allenamenti e non riesco a immaginare uno
scenario
abbastanza catastrofico che lo giustifichi, cosa che mi spingerebbe a
correre
al castello e scoprire se ci sono superstiti, e mi spingerebbe anche a
correre
invece dietro di lui per chiederglielo di persona e soprattutto per
assistere
alla reazione della squadra, forse ci sarà un ammutinamento e gli
faranno fare
miliardi di giri di campo fino a quando non morirà, più probabilmente
se li
farà fare da solo, ma la verità è che tutta la mia curiosità, che pure
è vasta
e pungente, si limita alla parte alta del mio corpo, il cervello per la
precisione, mentre alle mie gambe non potrebbe fregare di meno e così
me ne
resto piantato qui, immobile contro la quercia, mentre la mia mente
vola in
giro.
Non
riesco più a scorgere nessuna figurina in volo sopra
al campo da Quidditch ora e le possibilità sono due, o James è riuscito
a mantenere
la sua autorità di Capitano e sta facendo fare venti giri di campo a
tutti sé
compreso o tutta la squadra è scesa a terra per partecipare al suo
pestaggio.
«Sei
imbarazzante.»
Troppo
perso a contemplare il campo da Quidditch
desiderando di potermi separare dai miei occhi con un plop
per poi farli volare là a spiare tutto, non avverto
minimamente i passi che si avvicinano a me e quando vengo informato con
tono
deciso di essere imbarazzante perdo dieci anni di vita, sobbalzando e
voltandomi di scatto solo per trovarmi Lizzie di fronte.
Sei
imbarazzante
ha detto ed io spalanco gli occhi mentre cerco di
analizzare l’informazione ed eventualmente controbattere, ma non mi
trovo
realmente in disaccordo e così boccheggio in un imbarazzante, per
l’appunto,
silenzio.
«Sei
una persona imbarazzante» insiste Lizzie ed io
prendo nota della specificazione, che universalizza il mio essere
imbarazzante
come caratteristica continua della mia persona e non come situazione
momentanea
e di nuovo non mi trovo in disaccordo. Non credo che potrei
contraddirla neppure
se lo volessi in realtà, non senza risultare maleducato, perché lei ha
un’aria
e un tono molto determinato e sicuro. «Mi hai detto che la mia faccia è
come un
fiorire di girasoli in un campo assolato di girasoli» continua e questa
volta
il panico raggiunge persino le mie gambe pigre, che mi dichiarano a
gran voce
la loro disponibilità a mettersi in funzione e portarmi lontano da qui
di corsa
ora che la cosa di cui speravo e credevo non avremmo parlato mai più mi
è stata
sbattuta in faccia con una tale mancanza di preavviso. La mia gamba
destra ha
realmente una sorta di spasmo tanto è il desiderio di correre, ma
scappare
mentre qualcuno ti sta parlando non è un comportamento accettabile e
così mi
ancoro con le dita all’erba gelida, giusto nel caso iniziassi a
levitare per
l’imbarazzo e tentassi la fuga via aria. «È la cosa più imbarazzante
che
chiunque mi abbia mai detto, che chiunque abbia mai detto a chiunque
credo.» Devo
scappare, è inaccettabile ma devo scappare, dirò qualcosa a proposito
dei miei
amici che hanno fatto qualcosa da qualche parte ed hanno bisogno che io
li vada
subito a salvare dalle conseguenze delle loro azioni, ecco cosa dirò,
sì. «Ma
sai cosa, anche io sono imbarazzante.» C’è solo un attimo, dopo la
confessione
di Lizzie, in cui continuo a contemplare la possibilità di scappare,
perché ora
ho un lieve timore che stia per paragonare la mia faccia a un tulipano
o
qualcosa di simile, ma mentre lei continua a parlare senza tirare in
ballo
fiori vari sento le mie gambe rilassarsi pian piano.
«Credo
anzi che la maggior parte delle persone dovrebbe
essere imbarazzante» continua Lizzie, decisa. «Non mi fido di chi
riesce a non
esserlo, come se controllasse quello che deve dire da una postazione
sicura e
molto lontana dall’imbarazzo sociale e dalle facce delle altre persone.
C’è una
forte possibilità che la maggior parte dei nostri compagni siano
androidi o
attori che vengono dal futuro e sanno in anticipo cosa tu dirai e così
hanno
già pronta la risposta da recitare, una risposta che è sempre la meno
imbarazzante tra le opzioni e non è mai, che so, la tua faccia è come
un campo
di girasoli. Quindi, la verità è che tu sei imbarazzante perché non sei
un
androide. I girasoli sono la prova che non vieni dal futuro. È una cosa
positiva. Perciò credo che dovresti smettere di essere così imbarazzato
dal
fatto di essere stato imbarazzante e di lanciarmi quelle occhiate
mortificate
ogni volta che mi vedi come se la mia faccia ora fosse un esplodere di
caccabombe in un campo maleodorante pieno di caccabombe, perché almeno
siamo
entrambi esseri umani, senza postazioni elettroniche o altre cose false
e
dignitose.»
Nel
silenzio che segue odo distrattamente risuonare in
lontananza gli schiamazzi dal campo: che fossero giri di corsa o un
pestaggio
quelli in atto, ora è finita e gli allenamenti sono ricominciati.
«Se
avessi elaborato questo discorso in precedenza da una
postazione sicura tutto questo non sarebbe successo e ti avrei
semplicemente
detto un dignitoso ‘non preoccuparti, Remus, tutti a volte parliamo
senza
pensare’, eppure eccomi qui, senza alcuna postazione.»
«Questa
è una postazione» specifico subito, senza potermi
trattenere. «Siamo...posizionati sotto una quercia, davanti al lago
nero e a
circa una cinquantina di metri dal castello.»
Lizzie
sbatte le palpebre.
«Credo
che sia più che altro una posizione».
Ora
sono io a sbattere le palpebre.
«Beh,
quello che volevo dire, in realtà, è grazie.»
«Prego.»
«Non
ci sono abituato, perché di solito sono quello che
pensa, intendo prima di parlare e non dopo, ma grazie. Sono felice di
non
essere un androide» Non è propriamente vero, non sono informatissimo a
riguardo
ma sospetto che ci sarebbero diversi vantaggi nell’esserlo, eppure sono
sincero
nel dire di essere felice, anche se non so bene di cosa. «Puoi sederti
se vuoi.»
Lizzie
sorride e fa per sedersi, ed io mi trovo a
sbattere le mani a terra come a rassettarla, come se il fatto che
questa è la
nostra quercia mi rendesse effettivamente responsabile di mantenere
l’ordine
nella zona.
«Come
mai te ne stai qui solo al freddo?»
«Mi
piace il silenzio» Alzo le spalle. «Beh, non il
silenzio totale, quello assoluto in cui non vola una mosca e tutto è
immobile,
mi piace quando è tranquillo e c’è abbastanza calma da poter sentire
l’acqua e
il vento e anche le grida lontane di Peter e la sua ragazza che
litigano con la
Piovra –glielo avevo detto di non lanciare più i sassi nel lago, per
forza che
gli tornano indietro poi, e a concentrarsi sui rumori che arrivano dal
campo si
direbbe che stanno sacrificando in modo dolorosissimo qualcuno
sull’altare del
Quidditch, ma è tutto lontano e ovattato e riesce in qualche modo a
rientrare
nella mia definizione di silenzio, se ha senso.»
Lizzie
annuisce con un mezzo sorriso, appoggiando la
testa al tronco largo e ruvido della quercia, gli occhi a vagare oltre
la
distesa azzurra di fronte a noi, tra le chiome scure della Foresta
Proibita. Io
la imito e ce ne stiamo per un po’ senza parlare, a guardare la Piovra
che
vicina alla riva opposta del lago schizza giocosamente Peter e Berta, o
cerca
di annegarli, una delle due. Poi mi giro di nuovo verso di lei.
«Non
dobbiamo stare per forza in silenzio. Ho detto che
mi piace, ma,» Mi schiarisco la voce. «Mi piace anche quando parli.»
**********
Non
so quanto tempo esattamente passi così, Black seduto
di fronte a me col suo labbro visibilmente spaccato che trascrive
titoli e
informazioni di libri impolverati sulla sua pergamena, ed io che lo
fisso
intensamente senza muovere un dito. Lo sa, è chiaro che lo sa e mi sta
ignorando, lo sta facendo anche bene, ma a tutto c’è un limite e così
di colpo
abbandona la piuma sul tavolo e mi pianta a sua volta gli occhi in
faccia.
«D’accordo,
vai» sospira rassegnato.
E
io vado.
«Continui
a finire in punizione mentre sei già in
punizione, questa è la terza volta, sei praticamente in punizione il
triplo di
me e continui ad avere la mia stessa identica punizione. Ti sembra
normale? Non
dovrebbero lasciarmi libera a un certo punto e far finire il lavoro
solo a te?
Sai, per premiarmi di non essere più finita in punizione mentre ero già
in
punizione. Per mostrarmi che serve a
qualcosa non finire in punizione.»
È
abbastanza liberatorio, come essermi tolta qualcosa dal
petto che mi avrebbe altrimenti ostacolato per tutta la durata della
punizione
di oggi, ma non totalmente liberatorio,
perché continua ad aleggiare su di me
l’ingiustizia della situazione e la consapevolezza che se ora io mi
alzassi e
me ne andassi a picchiare qualcuno, Madama Pince ad esempio, magari con
i suoi
stessi libri, pesanti e dagli angoli appuntiti, e abbastanza sporchi da
infettarle ogni ferita e impedirle la guarigione, o qualcun altro a
caso, che
ne so, Potter, ecco, la mia punizione peggiorerebbe, lo so e basta, si
tramuterebbe in qualcosa di mille volte più grave, sarei costretta a
vagare per
la scuola con delle catene e dei pesi alle caviglie o non potrei vagare
affatto, rinchiusa vita natural durante in qualche cella nei
sotterranei,
perché questo è il livello di
ingiustizia a cui sono sottoposta da questa scuola.
«Sai
cosa, Evans, hai ragione.»
Black
mi fissa pensoso a braccia incrociate ed io
ricambio spiazzata.
«Ho
ragione?»
«Certo»
Alza le spalle. «È palesemente ingiusto. Dovresti
finire in punizione anche tu e boicottare il sistema.»
«Mi
incatenerebbero a questo tavolo» replico subito. «Mi
hanno già incatenato a questo tavolo
solo perché ho infranto le regole una volta, se le infrangessi di nuovo
mi
incatenerebbero letteralmente al
tavolo» E per far capire a Black la gravità della situazione, sbatto i
polsi
sul tavolo, facendomi anche un po’ male. «Signorina
Evans, da lei non me lo sarei mai aspettato!» Non è una buona
imitazione
della McGranitt quella che ho appena effettuato, il tono stridulo è più
simile
a quello di Madama Pince in realtà, ma nella mia testa ormai loro due
si
confondono sempre più a rappresentare un’unica cosa, il lato ingiusto
della vita.
«Ed
è esattamente per
questo che puniscono più te che me» dice Black ed ha il tono di chi mi
sta
svelando le grandi verità della vita. Non vorrei ascoltarlo, che
nessuna
persona sana di mente accetterebbe di farsi svelare le verità della
vita da Sirius
Black, eppure lui appena qualche ora fa ha fatto a pugni con suo
fratello di
fronte a un corridoio pieno di studenti, ha ignorato i richiami della
McGranitt
in persona ed ora è comunque qui alla
sua solita punizione, che continua ad essere anche la mia, quindi forse
ci sono delle cose che lui sa ed io non
so che gli permettono di farlo. «È perché non le hai infrante
abbastanza»
continua con semplicità, mentre io corrugo la fronte. «Sanno che sei
correggibile: ti sei fatta un giretto in Sala Comune oltre il
coprifuoco, ti
sei appena affacciata nel baratro dell’illegalità e quindi ti trattano
col
pugno di ferro, per farti rientrare nei ranghi» Ed ha spaventosamente
senso,
quello che sta dicendo. Sono recuperabile, ma certo. «Ma se tu ti ci
tuffassi a
capofitto e le infrangessi in modo così plateale da mostrargli che non
ti
interessa delle punizioni, non avranno più nulla contro di te. E allora
non
interesserà più neanche a loro.»
Lo
ascolto rapita e mi trovo ad annuire lentamente,
finché gli occhi non mi cadono sul libro proprio davanti a me, in
attesa di
essere schedato. È uno scatto repentino, la mia ribellione, e il libro
finisce
a terra con un tonfo.
Lo
guardo mentre giace inerme sul pavimento di pietra,
accanto alle gambe della mia sedia, poi alzo gli occhi su Black. Lui
scruta il
libro impassibile, poi guarda me.
«Evans,
ti ho parlato di infrangere le regole in modo
plateale e irrimediabile e tu hai gettato un libro per terra? È questo
il tuo
massimo di anarchia?»
È
quando Black dice che ho gettato un libro per terra,
che mi rendo conto di aver gettato un libro per terra, e così mi chino
in
fretta a raccoglierlo, sbattendoci il dorso della mano sopra per
pulirlo dalla
polvere del pavimento e lasciargli solo la polvere che era già sua.
«Non
mi ha visto, vero?» sussurro lanciando un’occhiata
preoccupata tra gli scaffali. «Oh, Godric, si è piegata la copertina,
guarda! È
tutta colpa tua e dei tuoi deliri.»
«Strappalo.»
Lo
dice così velocemente che a malapena capisco.
«Cosa?»
«Strappa
il libro. Ti sentirai meglio.»
«Sei
pazzo.»
Black
si china in avanti, cospiratorio.
«Strappa
il libro.»
«Non
strapperò il libro.»
«Sono
entrato nella Sala Comune di un’altra Casa e ho dato
Mocciosus in pasto alla Piovra Gigante. Tu hai dato una festa.»
Non
darò retta a Sirius Black, perché dare retta a Sirius
Black è il primo passo verso il ricovero coatto, ma devo ammettere che
ha
un’aria convincente. Lancio un’occhiata attratta al libro di nuovo
davanti a
me, ma è solo un attimo.
«Ho
allagato i sotterranei di Serpeverde e fatto a pugni.
E abbiamo la stessa punizione.»
Non
ho deciso di vandalizzare il libro, ma è il suono di
uno strappo quello che sento ora ed è un angolo di una pagina quella
accartocciata tra le mie mani e non più attaccata al resto del volume.
Trattengo
il fiato e subito dopo mi volto di scatto verso
il bancone di Madama Pince vicino all’entrata, vuoto. Black emette uno
strano
suono.
«L’ho
strappato» dico sconvolta, alzando gli occhi su
Black. «Ho boicottato il sistema.»
Ed
è così, ho trovato la via: il vandalismo. Ogni volta
che sentirò di nuovo quel senso opprimente di ingiustizia qui ad
Hogwarts, quando
la McGranitt si servirà nuovamente del non
me lo sarei mai aspettata da lei, signorina Evans per punirmi più
del
dovuto, non lo sopporterò in silenzio, ma combatterò e lo farò
sfogandomi sulle
proprietà scolastiche.
I
libri, i muri, è tutto un’arma contro la scuola.
Black
emette di nuovo quello strano versetto di prima ed
ora che lo sto guardando in faccia capisco che è una risata trattenuta.
«Mi
stai prendendo in giro» realizzo improvvisamente,
l’indignazione che mi invade alla velocità della luce, perché stavo
avendo un
grande momento qui e a quanto pare era solo per allietare la sua
punizione.
«Un
po’» annuisce Black, senza più sforzarsi di non
mostrarsi divertito e chinandosi poi di lato per evitare l’angolo di
pagina
accartocciata che gli lancio contro. «Non mi aspettavo che lo
strappassi davvero» sogghigna.
Con
uno sbuffo mi alzo e raccolgo da terra la pagina
accartocciata prima che Madama Pince la veda e mi impicchi al
lampadario della
biblioteca con un qualche cartello infamante appeso al mio cadavere a
fare da eterno
monito agli altri studenti, poi mi risiedo al tavolo ed estraggo la
bacchetta. «Reparo.»
«Che
succede? Si è rotto qualcosa?»
Madama
Pince si materializza letteralmente alle mie
spalle, gli occhi puntati sulla mia bacchetta ed il mio cuore fa dieci
salti
carpiati all’indietro prima di riatterrare con un tonfo nel petto.
Madama Pince
sta ancora guardando la mia bacchetta con quei suoi occhietti
accusatori e
cattivi e il mio cuore ha un altro doloroso spasimo mentre realizzo che
la
punta è ancora a pochi centimetri dalla copertina del libro, su cui c’è
solo la
mia mano sinistra. Black se ne sta lì a mordicchiare la sua piuma di
zucchero e
non è d’aiuto.
«Un’unghia,
mi sono rotta un’unghia» Ho l’illuminazione,
alzando la mano e abbassando tutte le dita tranne l’indice. «Ora è
apposto.»
Mi
sento un po’ idiota con il dito sollevato e l’unghia
che catalizza gli sguardi di tutti, e Madama Pince in particolare perde
per un
attimo la sua solita espressione diffidente, accusatoria e minacciosa
tutta
insieme per sostituirla con una di genuina sorpresa.
«Funziona
sulle unghie?»
«Beh
sì, certo, le unghie sono materia morta, quindi
funziona, è chiaro» replico subito velocissima, dandomi un tono, non
avendo al
contempo idea di quale sarebbe l’effetto di un reparo su un’unghia.
«Non è come
con le ossa, che sono...vive.» Una miriade di immagini terrificanti
affollano
immediatamente la mia testa e subito mi devo sforzare un po’ di più per
continuare a sembrare intelligente. Madama Pince sta ancora
contemplando
l’unghia del mio indice sinistro e non pare mi stesse davvero
ascoltando, poi
si riscuote e si ricorda di avere quel palo ficcato là sotto.
«Le
tenga corte, signorina, i libri che state maneggiando
sono antichi e l’ultima cosa che mi aspetto è trovarmeli graffiati.»
Si
allontana tacchettando fastidiosamente sulla pietra
come fa sempre ed io mi abbandono ad un sospiro d’odio, prima di
afferrare la
mia piuma e ricopiare il titolo del dannato libro. Lo farei, se la
punta della
piuma non avesse deciso di iniziare a sbriciolarsi a contatto con la
pergamena,
lasciando una scia di granellini appiccicosi. È mentre la porto al naso
annusandola e ne percepisco il profumo dolciastro che incrocio gli
occhi di
Black e il suo ghigno colpevole si sovrappone alla mia smorfia
esasperata. Il
suo braccio destro rispunta quindi da sotto il tavolo e mi lancia la
mia vera
piuma, prima di riprendere a compilare la pergamena succhiando la sua
piuma di
zucchero. Di nuovo la bacchetta mi viene in soccorso, la mia pergamena
torna
priva di appiccicumi vari ed afferro la mia piuma d’oca con la mano
libera,
prima di lanciare un’occhiata dubbiosa a quella di zucchero. Oh beh.
“Fatture e rimedi
nell’Irlanda del XIV secolo” trascrivo, lo zucchero che mi si
scioglie pian
piano sulla lingua.
**********
«Giuro che non
mi sento più i polmoni.»
Sam
si sta lagnando dei suoi mali fisici ed esistenziali
esattamente da quando ho dichiarato fine agli allenamenti mezz’ora dopo
il
previsto, perché checché ne dicano gli altri venti minuti di
allenamento senza
la supervisione del Capitano e venti di giri di campo di corsa non contano come allenamento, non a
pochi giorni dalla partita, e quindi è da quel momento che lo sto
ignorando, ma
quello che non avevo previsto è che la sua ultima affermazione sarebbe
stata
accompagnata dal suo crollo improvviso al suolo ed è per questo che ora
anch’io
sono per terra, essendogli inciampato sopra.
Frank,
Mike e Daniel entrano negli spogliatoi subito dopo
e vanno dritti a buttarsi sulle panche, evitando con nonchalance i loro
compagni
a terra, ovvero noi.
Mi
rimetto a gattoni con fatica, trascinandomi verso la
panca più vicina per arrampicarmici, solo per vedere Mike ignorare
completamente il mio tentativo e passare dalla posizione seduta a
quella stesa,
occupandola completamente. Resto a fissarlo per qualche secondo,
valutando la
possibilità di arrampicarmi lo stesso e stendermi sopra di lui, poi
gattono un
po’ più in là e resto seduto per terra, appoggiando la schiena al muro
fresco.
Ci sono delle docce nell’altra stanza, docce in grado di sparare acqua
ghiacciata, ed ora sono vuote come non lo sono mai, completamente a
disposizione di chi abbia abbastanza forza da alzarsi e raggiungerle
per primo.
Mi urta che Sam mi abbia fatto cadere, perché se non lo avesse fatto
non avrei
avuto bisogno di alzarmi per andare a fare la doccia, dato che sarei già stato in piedi, ed invece ora sono
bloccato qui a terra con la componente maschile e mezza morta della mia
squadra, incapace di dare il buon esempio. Sam, le guance più rosse dei
capelli, ha le braccia completamente spalancate e se ne sta steso a
pancia in
su a fissare il soffitto. «Sta respirando?» chiedo corrucciato,
sistemandomi
gli occhiali sul naso.
Frank
corruga la fronte, poi strappa dal muro dei vecchi
schemi e crea una pallina di carta.
Lo
sconforto minaccia di assalirmi quando vedo la pallina
finire a terra accanto alla testa di Sam, ma almeno non è Frank che
deve fare
centro negli anelli. La pallina successiva si va a posare esattamente
sulla
pancia di Sam e tutti possiamo vederla fare lentamente su e giù.
«Sì,
respira» conferma Frank.
«Perfetto»
annuisco, chiudendo gli occhi. Se dormo qui,
domani sarò super in anticipo agli allenamenti.
«Capitano»
È
Daniel.
«Dimmi.»
«Non
vorrei dirtelo a pochi giorni dalla partita» Subito
riapro gli occhi, perché questo non è un incipit che vorrei sentire a
pochi
giorni dalla partita. «Ma tu oggi sei arrivato in ritardo e non si
verificherà
mai una condizione altrettanto favorevole al mio annuncio, tra la
stanchezza
psicofisica e la vergogna che ti avvolge, quindi non posso rimandare.»
«Non
sono stanco e non sono avvolto dalla vergogna» metto
in chiaro. «E non accetto annunci a pochi giorni dalla partita.»
«Quindi,
il mio annuncio è il seguente» Daniel si
schiarisce la gola, ignorandomi, e forse è il fatto che me ne sto
seduto qui
per terra a privarmi di ogni autorità. «Ho chiesto ad Anne di uscire e
so che è
contro le regole, ma non mi aspettavo certo che mi dicesse sì d’altro
canto.
Solo che mi ha detto sì.»
«Io
non lo sapevo» dice subito Frank, che chiaramente lo
sapeva.
«Io
lo sapevo» ammette Mike, l’unico di cui io possa quasi
fidarmi in questa squadra.
«Mi
state dicendo che siamo partiti da ‘niente relazioni
all’interno della squadra’ ed ora gli unici a non essere accoppiati
sono Frank
e Mike?» E di nuovo sento che se riuscissi ad alzarmi la mia
indignazione
sarebbe più credibile. «È un incubo. È un maledetto incubo. Prima
Alexis e Sam
e ora voi, è una squadra di Quidditch o un bordello, mh? Frank, c’è
qualcosa
che devi dirmi? Va male tra te e Alice ultimamente? Ti senti
irrimediabilmente
attratto da Mike ora?»
«Non
direi irrimediabilmente» dice Frank e persino Sam
aggrotta la fronte.
Sospiro.
La verità è che Daniel ha visto bene e non ho le
forze psicofisiche e nemmeno la perfezione morale che solitamente mi
accompagna
per potermi buttare in una filippica sulla degenerazione di questa
squadra.
«Anne
non aveva una cotta per Sirius?» ricordo confuso.
Daniel
sbuffa, scuotendo una mano come a scacciare una
mosca.
«Che
c’entra quello, tutti hanno una cotta per Sirius.»
«Io
non ho una cotta per Sirius» dico e tutto lo
spogliatoio inizia a ridere. Persino Sam sghignazza, mentre la maglia
sudata e arrotolata di Mike mi arriva in
faccia.
«Ma
se siete praticamente sposati.»
«Non
siamo sposati» replico indignato, anche se un
pochino siamo sposati, ed è bellissimo. «E se lo volessi, per
l’appunto, potrei sposarlo, perché Sirius non è
nella squadra e non sarebbe una relazione sportivamente incestuosa come
le
vostre.»
«Beh,
se vogliamo dirla tutta, James, tu avevi una cotta spaventosa
per Dorcas» dice Frank, che è sempre così pacificamente pronto ad
accoltellarmi
alle spalle.
«Prego?
Non ho mai avuto nessuna cotta per Dorcas. Era il
mio Capitano e non ho mai provato altro che rispetto ed incondizionata
devozione
per lei.» E a riprova di ciò lancio uno sguardo riverente ad una delle
cornici
appese vicino alla porta, da cui la squadra del 1974, capitanata da
Dorcas,
festeggia la terza vittoria consecutiva in tre anni. Anche il me stesso
quattordicenne
della foto sta guardando adorante Dorcas, gloriosa nel risplendere
delle parti
dorate della divisa, la spilla da Capitano sul petto e la Coppa lucente
tra le
mani.
Un
sospiro nostalgico mi esce dalle labbra.
«Devozione»
ridacchia Mike. «È così che la chiama ora.»
Di
nuovo tutto lo spogliatoio ride di me, perché loro d’altro
canto non sanno nemmeno
cosa sia la devozione.
«Sam,
mi passeresti la pallina di carta che è sulla tua
pancia? Grazie.»
Non
mi piace che la mia integrità sportiva venga messa in
dubbio e così la pallina si schianta con una certa violenza contro la
nuca di
Mike.
«Mike,
dammi la lavagnetta» ordino poi, perché Dorcas mi scruta
dal muro per vedere se sono un successore alla sua altezza ed è
fondamentale
che io le porti una coppa.
Mike,
senza alzarsi dalla panca, tende un braccio verso
la lavagnetta appesa sopra di lui e una volta constato che è troppo in
alto lo
rilascia cadere inerte.
«Mike.»
Questa
volta usa una gamba e la lavagnetta gli cade
addosso con un tonfo.
«Quindi,
abbiamo Serpeverde con centocinquanta punti e
nessuna partita da giocare» inizio fingendo di studiare la lavagnetta
che in
realtà so a memoria. «SERPEVERDE CON CENTOCINQUANTA PUNTI!» aggiungo
poi
gridando a pieni polmoni e battendo un pugno contro il muro che separa
il
nostro spogliatoio da quello delle ragazze. «AVETE SENTITO? SERPEVERDE
CON
CENTOCINQUANTA PUNTI! NESSUNA PART-»
«LO
SAPPIAMO GIÀ!» grida Alexis al di là del muro.
«Tassorosso
è a centotrenta invece» proseguo. «Con due
partite ancora da giocare, di cui una contro di noi, e li
distruggeremo, e
l’altra contro Corvonero, e li distruggeranno. TASSOROSSO CENTOTRENTA,
ANNIENTATAMENTO ALLE PORTE!»
Un
colpo fortissimo alle mie spalle mi fa sobbalzare e mi
informa che Alexis non ha ancora messo via la sua mazza.
Mi
schiarisco la voce. «Hanno sentito.»
«Non
credo fosse quello il messaggio, James» dice Frank.
«E
ora il tasto dolente» proseguo ignorandolo.
«Corvonero.» Mi volto di nuovo verso il muro alle mie spalle.
«CORVONERO
DUECENT-».
La
porta si spalanca improvvisamente e Alexis, i capelli
gocciolanti, mi fulmina con lo sguardo.
«Corvonero
è a duecentocinquanta, due partite ancora da
giocare, il prossimo mese contro Tassorosso e la finale contro di noi»
dice
spedita, continuando a fulminarmi con gli occhi. «Se vincono contro
Tassorosso,
il loro vantaggio aumenterà ulteriormente, così come il distacco nei
nostri
confronti, dato che siamo a zero, motivo per cui nella prossima partita
contro
Tassorosso dobbiamo accumulare almeno cento punti di vantaggio prima
che tu
prenda il boccino, che ci porterà altri centocinquanta punti. Io e
Frank ti
aiuteremo a tenere la Cercatrice di Tassorosso lontana dal boccino fino
a quel
momento, Anne, Daniel e Sam segneranno a raffica nel minor tempo
possibile e
Mike darà la vita piuttosto che far passare una pluffa dalla porta.
Questo è il
piano, come tutti già sappiamo, ora smetti di gridarcelo mentre
facciamo la
doccia e- che state facendo?»
Alexis
fissa perplessa me e Sam sul pavimento e gli altri
spiaggiati sulle panche. Nessuno si muove. Non so bene cosa stiamo
facendo,
così alzo le spalle.
«Lo
sai, dovresti bussare prima di entrare, Frank avrebbe
potuto essere nudo.»
**********
« Black.»
Non
so che cosa io stia possibilmente facendo di male dal momento che
Madama Chips
non aggiunge altro e si volatilizza di nuovo tra gli scaffali, così
sbatto con
forza gli ultimi libri nel reparto di Astrologia e me ne torno al
tavolo. Le manca
comunque qualche rotella, probabilmente continua a spuntare dal nulla
sibilando
il mio nome in maniera accusatoria senza reale motivo, sperando di
cogliermi in
fallo. Come se fossi così stupido da non accertarmi sempre della sua
assenza
prima di sballarle l’ordine alfabetico.
Il
tavolo è lì dove l’ho lasciato e una volta tanto non mi dispiace che
non sia
andato a fuoco o non sia stato colpito da un meteorite o una qualsiasi
altra
emergenza che avrebbe reso lecito uscire dalla biblioteca; per qualche
motivo è
in realtà quasi rilassante questo meccanico e metodico ripetersi di
gesti
noiosi oggi, a cervello semi-spento.
A
interrompere la monotonia è la piuma di zucchero che avevo abbandonato
accanto
all’ultima pila di libri e che nel momento in cui torna tra le mie
labbra si
rivela non sapere più così di zucchero. Sa di piuma d’oca, realizzo
allontanandola da me con uno scatto e sputacchiando, probabilmente
perché è una piuma d’oca.
Evans,
che è esattamente a un metro da me e non può non aver sentito, continua
a
scrivere come se nulla fosse, gli occhi puntati sulla sua pergamena e
l’accenno
di un ghigno colpevole ad alzarle lievemente l’angolo destro della
bocca.
Touchè.
È
comunque quasi ora di cena, così evito di recuperare un’altra piuma di
zucchero
dalla mia scorta e riprendo a scrivere, e tutto procede tranquillamente
fino a
quando Evans si dimentica che non siamo amici.
«Lo
sai, sto ancora aspettando che mia sorella faccia qualcosa» dice ed io
mi
guardo attorno alla ricerca del suo interlocutore, eccetto che ci siamo
solo
noi. «Perché è la più grande ed è sempre stato così e ancora adesso che
non ci
parliamo più credo che spetti a lei. Fare qualcosa intendo. Tipo,
qualunque
cosa.»
Il
mio sopracciglio inarcato e ogni muscolo del mio viso continuano a
dirle “che diavolo vuoi da me” ancora per
diversi secondi, esattamente come hanno fatto da quando ha iniziato a
parlare,
ma lei continua a scrivere e a non alzare gli occhi dalla pergamena,
così non
mi resta che comunicarle il mio totale disinteresse per la sua vita a
voce.
«Hai
una sorella?» mi sento dire invece.
Annuisce.
«Già. Ma lei non è una strega.»
Non
è come se ci fosse bisogno di specificarlo dal momento che non è qui ad
Hogwarts ed Evans non è esattamente un cognome con origini magiche, ma
suppongo
che non sia scontato che tutti abbiano stampata in testa la cartina
dettagliata
delle principali famiglie purosangue dal medioevo ad oggi.
«E
che le hai fatto perché non ti parlasse più?»
«Non
le ho fatto niente» Alza le spalle, smettendo di scrivere. «È solo che
non le
piace la magia.»
«A
tutti i babbani piace la magia» ribatto subito, in automatico.
«Non
a Petunia.»
Se
mi chiamassi Petunia, sarebbe mia madre quella a cui non rivolgerei più
la
parola.
«E
ci credi pure?» Incrocio le braccia, scettico.
Evans
mi guarda a lungo, prima di scuotere la testa. «No, non davvero» dice
con un
sorriso amaro. «Hai detto bene, a tutti i babbani piace la magia, fino
a quando
credono che non possa esistere. Scoprire che è tutto vero, che esiste,
ma che
tu ne sei escluso...beh, è questo che le ho fatto. È per questo che mi
odia.»
Si stringe nelle spalle, arrendevole. «Non è colpa mia, ma non è
nemmeno del
tutto colpa sua.»
Il
silenzio torna a riempire la biblioteca ed io continuo a guardarla,
impassibile.
«Tua
sorella è una rosicona del cazzo, Evans, certo che è colpa sua.»
Evans
mi guarda spiazzata per qualche secondo, poi scoppia in una breve
risata.
Non
sembra avere altro da aggiungere e così mi rimetto a scrivere i titoli
di libri
che nessuno verrà mai a cercare perché nessuno ne conosce l’esistenza,
ma dopo
un po’ la sento di nuovo.
«E
tuo fratello?» butta lì, casuale.
Subito
mi raddrizzo infastidito. «Mio fratello cosa?»
Non
abbassa gli occhi sul mio labbro spaccato, ma non mi serve che lo
faccia per
darmi la conferma che come al solito le notizie viaggiano alla velocità
della
luce in questa dannata scuola.
«Ce
l’ha con te perché sei finito a Grifondoro e lui no?»Il tono
volutamente
indifferente è smentito dall’occhiata cauta con cui accompagna la
domanda. Il
mio sguardo si indurisce.
«Mio
fratello è Serpeverde fino al midollo e felice di esserlo, Evans»
replico
annoiato, raccogliendo velocemente le mie cose. «E solo perché tua
sorella ti
odia e mio fratello mi odia non significa che dobbiamo legare, sai.» E
dopo
un’ultima occhiata all’orologio, mi lancio
la borsa sulle spalle e me ne
vado.
«Ce
l’hai già il marchio?»
«Te
ne sei andato.»
Regulus
mi dà ancora le spalle, ma ha smesso di camminare ed io aggrotto la
fronte
perplesso.
«Eri
mio fratello, ma te ne sei andato. Non è più affar tuo cosa possa o non
possa
esserci sul mio braccio.»
Me
ne
resto in silenzio per diversi secondi, confuso, gli occhi puntati sulle
sue
spalle immobili in fondo al corridoio.
«È
per questo che mi odi? Perché me ne sono andato?» realizzo infine
incredulo,
soffocando una risata. «Pensi che avessi scelta? Stavo impazzendo,
Regulus. Eri
lì, dannazione, l’hai visto cosa mi facevano.»
Regulus
si volta, piantando gli occhi duri nei miei.
«E
proprio perché lo vedevo non sono mai riuscito a capacitarmi di come tu
ogni
volta, ogni singola volta, li provocassi e ti impegnassi a dire sempre
la cosa
sbagliata nel momento sbagliato. Non ce la potevi proprio fare, vero, a
startene al tuo posto?»
Questa
volta non mi trattengo e la mia risata riecheggia aspra lungo i muri di
pietra
del corridoio.
«Non
dovevo impegnarmi affatto» sbuffo, perché è sempre bastato che
esistessi, è
sempre bastato solo quello e che Regulus non lo vedesse è quasi
divertente. «Qualunque
cosa facessi o dicessi era a priori quella sbagliata.»
«Certo,
non facevi mai nulla apposta, figuriamoci» sibila rancoroso. «Come
quando sei
sceso alla cena di Natale di fronte a tutta la famiglia con la cravatta
di
Grifondoro in bella mostra, o una qualsiasi degli altri milioni di
volte in cui
li hai provocati apertamente» Regulus scuote la testa, sorridendo di
una
smorfia così odiosamente simile alla mia. «Ma no, sei tu la vittima
circondata
da mostri senza cuore. Davvero, Sirius, ci hai mai provato, anche solo
una
volta, a far passare un giorno intero senza sbattergli in faccia il tuo
disprezzo per loro?»
Subito
distolgo lo sguardo, perché vorrei con tutto me stesso non averci mai
provato,
ma non è così.
«Sì,
lo so» mormoro annoiato, guardandomi distratto le unghie. «Disonore
della
famiglia, vergogna per il mio sangue, delusione e bla bla bla. Me ne
sono
andato proprio per smettere di sentirlo ogni giorno, possiamo evitare?»
Passano
i secondi e per un attimo penso che Regulus se ne sia andato e basta,
ma è
ancora qui, ora più vicino di prima.
«Buffo,
e io che pensavo te ne fossi andato perché sei un vigliacco» dice con
tono
casuale ed io alzo di scatto la testa.
«Tu
non hai idea» sibilo prima di fermarmi, premendo forte le labbra l’una
contro
l’altra e distogliendo di nuovo lo sguardo da mio fratello.
«Di
cosa
eri così terrorizzato?» insiste avvicinandosi, gli occhi glaciali che
bruciano
di rancore. «Che se fossi rimasto ti saresti rivelato proprio come noi?
Che-»
«Vuoi
sapere perché me ne sono andato, Regulus?» sbotto interrompendolo, a
due
centimetri dalla sua faccia. «Me ne sono andato perché se fossi
rimasto, li
avrei uccisi.»
E
aver spedito Piton al di là del vetro della Sala Comune di Serpeverde
senza
neppure la bacchetta in mano non mi ha confuso quanto ha confuso Remus,
perché
non è stata la prima volta in cui ho fatto esplodere la magia attorno a
me in
maniera intenzionale.
Quella
volta, la prima, c’eravamo solo io e mio padre e lui mi aveva appena
colpito ed
è stata anche la notte in cui sono scappato di casa. Quella volta mio
padre è
volato dall’altra parte della stanza, sbattendo proprio contro la
parete
ricoperta dall’arazzo di famiglia, senza che le mie dita sfiorassero
minimamente la bacchetta. È l’ultima immagine che ho di mio padre,
prima che
gli dessi le spalle e uscissi per sempre da quella casa, il suo sguardo
sorpreso e spaventato.
«Chiaro.
È sempre qualcosa più grande di te, vero? Non sei mai tu a scegliere. È
il
cappello che ti ha messo a Grifondoro, non glielo hai chiesto tu. Sei
dovuto
scappare di casa perché loro te lo hanno fatto fare, non lo hai voluto
tu»
Regulus annuisce con un sorrisetto accondiscendente. Mi chiedo quante
volte li
abbia sentiti parlare di me, dall’anno scorso. Ripetono sempre che dei
rinnegati non si parla, che si cancellano e basta, ma ricordo anche di
aver
passato ore da bambino a sentire l’intera famiglia maledire Andromeda
“e il suo
sporco babbano” quando l’hanno cancellata dall’arazzo. «Dev’essere
estenuante
scappare di continuo dalle proprie responsabilità.»
Mi
chiedo se cambierebbe qualcosa, mostrargli la mia schiena. Se aprirebbe
gli
occhi, di fronte alle cicatrici. Ma è solo per un attimo, poi sorrido
beffardo.
«E
quali sarebbero le responsabilità di un Black degno di questo nome,
Regulus?»
chiedo leggero. «Le stesse di Avery, McNair, Piton? Responsabilità come
usare
la magia oscura su una nostra compagna di scuola?»
Regulus
stringe le labbra, fissandomi in silenzio per diversi secondi, prima di
scuotere la testa di scatto e ridacchiare. Per un attimo mi sembra di
avere di
fronte Bella.
«Vuoi
sapere se ce l’ho?» chiede con tono di sfida, srotolandosi
violentemente una
manica e mostrandomi l’avambraccio bianco. «La risposta è no, non ce
l’ho
ancora. Ma non appena lo avrò» E mi guarda dritto negli occhi,
lasciando
sparire il sorrisetto dalle labbra. «I tuoi amici mezzosangue e
babbanofili
saranno i primi a saperl-»
Il
mio pugno si schianta contro la sua mascella prima ancora che finisca
di
parlare.
*************
Domenica
7 Marzo 1976.
Campo
da Quidditch, Spogliatoi di Grifondoro. Ore 11:00.
Frank
lancia l’ennesima improvvisa occhiata alla mazza
che tiene nella mano destra, prima di tranquillizzarsi. Ha due cose da
ricordarsi, la scopa e la mazza, e le stringe entrambe tra le mani da
una
decina di minuti, eppure continua a non darsi pace. La mazza di Alexis,
che è
seduta accanto a lui, continua invece a picchiettare frenetica al
suolo, e Sam
tiene la testa appoggiata sulla sua spalla, insolitamente silenzioso.
Anne
sospira rumorosamente per l’ennesima volta, senza interrompere il suo
vagare
senza meta da una parte all’altra della stanza e la faccia di Daniel
continua a
restare seppellita tra le sue mani. Mike è l’unico apparentemente
tranquillo,
anche se sta fissando il vuoto con troppa intensità per essere davvero
immune
al clima di tensione barra puro panico che si respira tra queste
pareti.
Ogni
allenamento, ogni discorso motivazionale da quando
Serpeverde ci ha sconfitto, ogni calcolo e predizione sui punteggi,
tutto si
riduce ad oggi: se perdiamo, o se non vinciamo col giusto vantaggio, la
prossima partita servirà solo a giocarci il quarto o terzo posto.
Il
mio cuore torna a battere più veloce del normale ed io
chiudo gli occhi, inspirando piano, le spalle appoggiate alla porta
oltre cui
riesco già a sentire la voce amplificata di Sirius.
Quando
passa a presentare la squadra di Tassorosso lo
stadio esplode in un boato ed io afferro la mia Tornado pronta contro
il muro
accanto a me. Come mi vedono prendere la scopa tutti scattano in piedi,
prendendo posto alle mie spalle ed io mi volto a guardarli.
L’ansia
non è sparita ed io non ho preparato nessun
discorso pre-partita, né avrei tempo di improvvisarne uno ora in ogni
caso, ma
non c’è solo agitazione nello sguardo che mi restituisce la mia
squadra.
«Annientiamoli.»
I
miei compagni annuiscono risoluti ed io gli do le
spalle, portandomi una mano al collo e tendendo le orecchie. Sirius
finisce di
presentare i membri della squadra avversaria nel frastuono generale,
poi il
pubblico si placa ed io stringo forte la maniglia, mentre la B
argentata mi
ricade libera sotto la maglietta, fredda contro il mio petto.
«E
per Grifondoro invece...»
C’è
sempre qualche fischio e buuu in mezzo al coro, ad
ogni partita e con ogni squadra, ma mentre avanziamo verso centro campo
riesco
a distinguerli molto più distintamente del solito. Dev’essere per lo
stesso
motivo per cui Sirius non deve gridare nel megafono per sovrastare gli
applausi
e le grida incitanti mentre ci presenta, come ha invece appena fatto
per
Tassorosso: la tribuna di Grifondoro, che è notoriamente la più
chiassosa ed
appassionata, non è entusiasta, rumorosa e agguerrita nemmeno la metà
del
solito. La sottile rassegnazione negli applausi educati e nella
mancanza di
grida di guerra da parte dei nostri compagni rosso-oro minaccia di
demoralizzarmi per circa mezzo secondo, mi indispettisce per altro
mezzo, e
infine si trasforma in voglia di piantarla coi convenevoli, saltare in
sella
alla scopa e riguadagnarmi la fiducia della mia Casa con una vittoria
schiacciante. A testa alta aumento il passo e mi vado a piazzare di
fronte alla
squadra di Tassorosso, subito imitato dalla mia, ed è con un moto di
orgoglio e
soddisfazione che noto il mio stesso atteggiamento nel linguaggio del
corpo dei
miei compagni, che ora non mostrano più segni visibili d’ansia ma
fronteggiano
i Tassorosso a petto in fuori.
«Okay,
pare che la tribuna di Grifondoro non voglia dare soddisfazione oggi
quindi-oh
ecco, ora vi sento, cerchiamo di stare sul pezzo, ragazzi, sì?
Capitani,
stretta di mano, prego.»
David
Lynch fa qualche passo avanti e mi raggiunge nella
terra di nessuno tra le due squadre, afferrandomi la mano già tesa. Fa
il
settimo anno, è Capitano da tre e darà del filo da torcere ai miei
Cacciatori
in porta. Ma non è lui il mio vero avversario oggi, lei d’altro canto
non mi ha
staccato gli occhi di dosso da quando sono arrivato e non appena il suo
Capitano torna al suo posto, anch’io ritorno a studiarla. Lola Griffin,
una
moretta bassa ed esile, quinto anno nonché nuova recluta: l’ho vista
giocare
solo una volta, a Novembre, nella brevissima partita contro Serpeverde.
La
vittoria, così come il vantaggio schiacciante nel punteggio, è stata
interamente merito suo: ha preso il boccino mentre ancora i Cacciatori
di entrambe
le squadre avevano solo iniziato a scaldarsi, a tre minuti e sei
secondi
dall’inizio della partita. Il mio record è di due minuti e venti e
mentre
continua a guardarmi con sfida, mi assale forte l’impulso di buttarmi
in uno
contro uno tra Cercatori e basta, una pura corsa contro il tempo e il
boccino e
al diavolo i calcoli e la coppa. Chi lo prende prima vince e che
importa se
centocinquanta punti non sono abbastanza per la squadra, il Cercatore
più
veloce sarò stato comunque io. Ho imparato a trovare e afferrare il
boccino
prima ancora che a volare, certamente prima di imparare tutte le regole
del
Quidditch e il mio primo istinto è sempre quello, prendere il boccino
il prima
possibile, un principio naturale che sovrasta qualunque quadro generale.
Al
quarto anno Frank mi ha letteralmente lanciato un
bolide contro la scopa perché stavo allungando la mano verso il boccino
invece
di aspettare il punteggio che era stato stabilito, e ricordo ancora
quando a
fine partita Dorcas mi ha strappato dai festeggiamenti per la vittoria,
mi ha
sbattuto negli spogliatoi vuoti e ha passato la successiva mezz’ora a
farmi
vergognare del mio colpo di testa. È in quel momento che ho imparato la
differenza tra vincere come Cercatore e vincere come squadra, ed ora so
che se
continuassi a seguire con gli occhi il boccino che Madama Bumb ha
appena
liberato e mi concentrassi su quello, potrei prenderlo prima di Lola
Griffin e
rendere chiaro a lei e a me stesso e al resto della scuola chi è il
Cercatore
migliore, ma perderei come Capitano, perché non sono solo in campo. E
l’unico
modo per vincere come Capitano è vincere insieme alla mia squadra, o
perdere
con loro.
Il
boccino sfreccia con un ultimo scatto d’ali verso
sinistra, sparendo dal mio campo visivo, e mentre gli occhi attenti di
Griffin
scattano nella sua direzione, i miei restano piantati su di lei. Il
problema
ora non è trovare il boccino, ma impedire a lei di farlo per tutto il
tempo
necessario agli altri a segnare almeno una decina di reti in più dei
Tassorosso, e se non avessi davanti Miss Sono
l’unica ad aver quasi raggiunto il tuo record sarebbe un obiettivo
molto
più plausibile.
I
bolidi si librano in aria uno alla volta subito dopo il
boccino, prima di partire fulminei verso l’alto e tutti montano in
sella.
Madama Bumb, in mezzo a noi, stringe la pluffa rossa tra le mani e il
fischietto tra le labbra, Sirius si diverte a creare tensione nel
megafono e
poi decine di piedi battono sull’erba nello stesso momento, mentre il
fischio
risuona per il campo e la Pluffa si solleva in aria diversi metri sopra
la testa
di Madama Bumb.
Prima
che possa cominciare la ricaduta, Anne ce l’ha tra
le mani e per un pelo un Cacciatore giallo e nero non le finisce
addosso, ma
lei è già sfrecciata verso la porta avversaria, ancora scoperta. Lynch
raggiunge la sua postazione davanti agli anelli nello stesso momento in
cui la
pluffa ci passa attraverso e il tabellone segna i primi dieci punti per
Grifondoro. Sirius esulta entusiasta nel megafono, prima di passare a
descrivere fulmineo la nuova azione dei cacciatori: sono i Tassorosso a
farsi
strada verso la nostra porta ora, ma a questo punto taglio fuori tutto
e
restiamo in due soltanto nel campo.
Lola
Griffin sta girando lentamente su se stessa mentre
perlustra con gli occhi lo spazio attorno a sé alla ricerca del boccino
e non
sembra nemmeno sbattere le palpebre, completamente assorta nel suo
compito ed
estranea al mondo esterno.
Il
mondo esterno d’altro canto, come scoprirà a breve,
sta per fare irruzione nella sua bolla di solitudine, che non mi è mai
piaciuto
essere ignorato.
*****
«SÌ!
VAI COSI FRANK! SEI IL MIGLIORE!» Frank ha appena
spedito un bolide contro la Cercatrice di Tassorosso, distogliendola
per
l’ennesima volta dalla sua perlustrazione, e Alice viene di nuovo
posseduta da
uno spirito invasato che le fa gettare le braccia al cielo e gridare a
squarciagola proprio nel mio orecchio. «YUUUUUU-HUUU!»
Normalmente
non mi verrebbe da festeggiare vedendo Frank
attentare violentemente alla vita di una ragazzina più piccola di noi
che si fa
gli affari suoi, ma oggi la tribuna di Grifondoro è meno calorosa del
solito nei
confronti della squadra e così mi sto impegnando per fare la mia parte
e
sostenere attivamente la mia Casa, nonostante la mia incapacità di
gridare
senza esprimere rabbia o dolore acuto.
«YUUUUUUU!»
Alice
si volta verso di me.
«Perché
fai buu?»
«No,
era...ho cercato di fare quello che hai fatto tu.
Yuuu-huu.»
Alice
continua a guardarmi accigliata.
«Ah.
Non lo fare, Lils» mi ordina ed io sospiro
scocciata, perché non è colpa mia se non so gridare sportivamente, è
colpa di
quei nostri compagni che si occupano solitamente di queste cose, sempre
con
devozione ed entusiasmo massimi, e che oggi se ne stanno invece tutti
in
silenzio a fare i musoni solo perché è passato troppo tempo da quando
Grifondoro ha vinto una partita. «Prova a fare, non lo so, tipo... YEAH
o
qualcosa di simile.»
«Non
farò YEAH»
metto subito in chiaro.
«No,
infat-VAI ALEX, DISTRUGGILI!»
La
battitrice di Grifondoro spara un bolide contro la
punta della scopa della Cercatrice avversaria, che svolta bruscamente
solo per
trovarsi la strada tagliata da Potter.
«AAAAH!»
Alice
mi lancia un’occhiata di sottecchi, ma ha la
decenza di non commentare, perché non è in alcun modo colpa mia: la ‘u’
non va
bene a quanto pare, ‘yeah’ non esiste al mondo, credevo che la ‘a’
fosse la
soluzione, e invece il risultato finale è più simile a un grido di
sorpresa che
a uno di incitamento.
«MA
CHE CAZZO, APPLAUDITE! Non ci posso credere, ma siete
Grifondoro o no?»
Mary
non è particolarmente felice della poca
partecipazione dei nostri compagni e quando Mary non è particolarmente
felice
uno scaricatore di porto si impossessa di lei. «Ve ne state lì come
amebe, solo
perché abbiamo perso una partita. Molto Grifondoro abbandonare la nave
quando
affonda, MOLTO GRIF-»
«Ma
non abbiamo segnato» Il ragazzo nel gradino sotto a
Mary, che si sta prendendo tutto il suo biasimo dritto sulla nuca, si
volta offeso.
«Perché dovremmo applaudire?»
«Perché
abbiamo appena impedito a Griffin di prendere il
boccino e vincere la partita forse?»
«Ma
non aveva visto il boccino, lo stava solo cercando».
«Lo
stava solo cercando,
e poi lo avrebbe solo trovato e noi
avremmo solo perso» Mary incrocia le
braccia al petto, due strisce rosse e oro in bella vista sulle guance.
«E che
importa se fanno qualcosa o no, le altre Case ci sfottono sempre perché
noi
ogni volta facciamo casino anche quando non succede nulla e guardacaso
oggi
tutti zitti. Vergognati.»
«Ma
-»
«Siete
dei tradit-OH GODRIC SÌ, VAI COSÌ ANNE, SPACCA
TUTTO!» La pluffa scarlatta sfreccia attraverso la porta di Tassorosso
e subito
i Grifondoro ritrovano la voce. Il ragazzo davanti a noi applaude e
grida con
particolare entusiasmo, prima di lanciarsi un’occhiata preoccupata alle
spalle,
ma Mary è troppo entusiasta per il goal per accorgersene. «Lei è la mia
preferita.»
«Certo
che è la tua preferita, è l’unica del settimo anno»
dice Alice e Mary ghigna colpevole: settimo anno equivale a un posto
libero in
squadra l’anno prossimo. «Oh merda.»
I
battitori solitamente non bersagliano gli altri
battitori, perché è un po’ come passargli la palla, solo che la palla è
un
cannone impestato e se è accompagnato da un altro
cannone impestato, quando tu continui ad avere una sola mazza, allora è
merda,
per l’appunto. È questo che succede a Frank, che si trova
improvvisamente
entrambi i bolidi sparati contro dai battitori avversari e non perde la
testa
solo grazie a una rocambolesca e improvvisa giravolta per aria.
«Si
sono incazzati?»
«Si
sono incazzati» conferma Alice agitata, senza
staccare gli occhi dal campo. Black nel frattempo pare sempre più
confuso su
cosa commentare, perché ci sono due giochi paralleli che stanno avendo
luogo
decine di metri sopra le nostre teste, quasi completamente autonomi
l’uno
rispetto all’altro: da una parte quello di cacciatori e portieri, tutto
giocato
sul controllo della pluffa e la difesa degli anelli, dall’altra quello
serrato
di battitori e cercatori, impegnati secondo per secondo in una guerra
all’ultimo
bolide che ha come obiettivo, rispettivamente, tenere lontana la
cercatrice di
Tassorosso dal boccino e uccidere i battitori di Grifondoro così che
smettano
di tenere la cercatrice di Tassorosso lontana dal boccino.
«Per
quanto la devono tenere impegnata?» chiedo inquieta,
mentre Frank si rifionda senza esitazione verso un bolide. Il colpo
secco della
palla che si schianta contro il legno viene inghiottito dall’esplodere
dello
stadio, mentre Tassorosso segna un goal.
«Finché
non li distanziamo di cento punti» spiega Alice
senza staccare gli occhi dal suo ragazzo, a cui i bolidi continuano a
tornare
indietro con più velocità del normale. La differenza tra quelli che
arrivano a
Frank e quelli che arrivano alla Cercatrice avversaria
è che solo i secondi mirano la scopa e
non la faccia. Si sono incazzati. «Raggiunto il
vantaggio di cento punti, James
prende il boccino ed è fatta.»
«E
se non lo prende?»
Alice
smette di fissare il cielo per guardarmi. «Lo
prende.»
«Beh,
non l’ha preso contro Serpeverde» le ricordo premurandomi
di abbassare la voce, che i nostri compagni sembrano ricordarselo anche
troppo
bene invece.
«Questa
volta lo prende» Per poco non sobbalzo, perché
anche se ero consapevole della presenza di Remus Lupin qua vicino, non
ero
consapevole della sua attività di spionaggio. «Metà partita costretto a
non
cercarlo nemmeno, starà impazzendo» continua con un mezzo sorriso. «Lo
prende.»
Lupin
pare più certo che fiducioso ed io seguo il suo
sguardo che va a perdersi tra le figurine colorate sopra di noi e mi
concentro
in particolare su quella che porta il numero undici sul retro della
maglia. Da
quaggiù non riesco a cogliere nessun segnale che indichi che Potter
stia
impazzendo, come se poi non fosse già poco sano di suo, ma immagino che
Remus
Lupin non abbia bisogno di segnali per sapere le cose che gli altri non
sanno.
«Ehy.»
Normalmente non apprezzo quando qualcuno mi
compare alle spalle all’improvviso e si infila nel mio spazio vitale
senza
preamboli, ma la voce di Dean è appena un sussurro quieto accanto al
mio
orecchio e la sua mano sfiora piano la mia, con dolcezza.
«Ehy»
sussurro di rimando, salutandolo con un veloce
bacio a stampo, prima di lanciargli un’occhiata divertita. «I
tuoi compagni ti lasciano assistere dalla tribuna di Grifondoro?»
Dean
alza le
spalle, sollevando gli occhi alla partita sopra le nostre teste.
«Oggi
non
siete il nemico. In verità, tifiamo per voi.»
«Tifate
per
noi?» ripeto perplessa.
«Certo,
per
noi è molto meglio che vinciate voi piuttosto che Tassorosso. Loro sono
sotto
di noi solo di pochi punti, voi d’altro canto...beh, diciamo che se
anche guadagnaste
un po’ di punti oggi, non sareste comunque un rischio. Quindi, forza
Grifondoro!»
Dean
alza
giocosamente un pugno per aria in segno di incitamento, mentre io lo
fisso
inespressiva, cercando di capire se è lecito che io trovi
incredibilmente offensivo
il suo tifare per noi o se è un impulso infantile da Grifondoro che
devo domare
in nome della maturità.
Mary non sembra porsi il problema.
«Un
po’ di punti?» dice e il suo
sopracciglio minaccia Dean come probabilmente nessuno l’ha mai
minacciato
prima.
«O
tanti.
Spero tanti» si corregge subito lui, forse rendendosi conto di essere
circondato. Mi lancia un’occhiata veloce come in cerca d’aiuto, ma
l’inespressività
forzata è ancora il massimo che posso offrirgli. «Tifo per voi, davvero. Avete una bella squadra, se riusciste a
vincere con un buon vantaggio e arrivare almeno terzi o addirittura
secondi
sarei felicissimo.»
Terzi,
o addirittura secondi.
Non
sono io
a fermare Mary quando gli si piazza davanti e parte con un seccatissimo
«Sta’ a
sentire», perché non si può salvare chi non vuole essere salvato, e chi
sale
sulla tribuna di Grifondoro, piena di
Grifondoro, per dire ad alta voce terzi,
o addirittura secondi è chiaro che non desidera la salvezza.
Alice
spinge
con nonchalance Mary qualche passo più in là e fortunatamente i
cacciatori di
Grifondoro si lanciano in un’azione congiunta verso la porta
avversaria,
distraendo così Mary dai suoi istinti omicidi. Io d’altro canto sto
ancora
cercando di decidere se sia più corretto tenerli a bada o abbandonarmi
ad essi,
perché sono effettivamente infastidita dalle parole di Dean, a un
livello
viscerale, e il mio orgoglio continua a chiedere a gran voce di
tramutare la
mia neutralità in ostilità esplicita, ma la parte più ragionevole di me
ci
tiene a ricordarmi come la maggior parte dei Grifondoro sia
effettivamente
rassegnata al terzo o secondo posto al massimo quest’anno.
«Beh,
non
volevo essere offensivo» dice Dean a bassa voce. «Nemmeno la vostra
Casa ha
fatto una gran festa prima, pensavo lo sapeste che non state
esattamente
giocando per la Coppa.»
«Non
sono un
esperto di Quidditch» Per la seconda volta in pochi minuti devo
impedirmi di
sobbalzare, perché non sapevo che Remus stava ancora origliando. Ha la
mascella
rigida e una vena troppo accomodante nella voce per risultare
genuinamente
gentile. «Ma da quello che posso vedere sono in sette in campo a
giocare e non
l’intera tribuna, e sempre da quello che posso vedere» La pluffa vola
dritta
dentro uno degli anelli di Tassorosso tra le grida del pubblico, mentre
la
Battitrice di Grifondoro colpisce con forza un bolide. «Mi sembra che
la coppa
sia esattamente quello per cui stanno
giocando.»
Un’ondata
di
soddisfazione mi pervade immediatamente e devo premere le labbra l’una
contro
l’altra per impedirgli di piegarsi in un sorrisetto vittorioso: non c’è
più
dilemma ora, né la possibilità di risultare infantile e permalosa,
perché se
anche Remus Lupin si offende, allora significa che è permesso
offendersi, che
offendersi è la cosa matura da fare.
Dean
sostiene lo sguardo di Remus per diversi secondi, in silenzio, prima di
spostarlo
al campo di fronte a noi. «Beh, non sempre quello che uno vuole e
quello che può realisticamente ottenere sono la
stessa cosa.»
Vorrei
pensare di non stare litigando con il mio ragazzo per uno sport a cui
non so
nemmeno giocare grazie al mio notevole autocontrollo, ma la verità è
che
l’unico motivo per cui non sto litigando col mio ragazzo è che Remus
Lupin è
qui per farlo al posto mio.
«Beh,
a volte» inizia con una
passivo-aggressività notevole. «Quello che sembra irrealistico lo è
solo fino
al momento in cui invece non accade. Oserei dire che tutte le imprese
degne di
nota hanno un che di irrealistico prima di diventare realtà.»
Le
labbra di
Dean si piegano nell’accenno di un sorriso altrettanto
passivo-aggressivo.
«Immagino
che lo scopriremo a maggio.»
«Immagino
che lo scoprirai a maggio» ripete Remus pacato, prima di applaudire
educatamente di fronte a un altro goal di Grifondoro. Mary emette una
strana
serie di versi ammirati e gli batte delle energiche pacche sulle
spalle,
blaterando di lealtà ritrovata all’interno della Casa.
Io
trattengo
a fatica un sorrisetto soddisfatto, mentre Dean abbassa la testa
imbarazzato.
«Okay,
alzo
le mani» ridacchia tornando a guardarmi. «La tribuna di Grifondoro non
è il
posto migliore in cui parlare di Quidditch.»
Non
lo
contraddico.
«Maledizione»
Alice impreca al mio fianco, gli occhi incollati al cielo ed io seguo
subito il
suo sguardo, giusto in tempo per vedere il battitore di Tassorosso
gettarsi
sulla traiettoria di un bolide e spararlo lontano dalla loro
cercatrice.
«Cosa?»
chiedo confusa, perché il bolide non ha colpito nessuno dei nostri e la
pluffa
è ancora in nostro possesso.
«Hanno
capito che stiamo bersagliando solo lei, non la
mollano più» spiega Alice ed in effetti entrambi i battitori di
Tassorosso,
noto, continuano a volarle accanto con le mazze alzate pronte ad
intercettare
qualunque bolide a mo’ di guardie del corpo, come se fosse l’unica
giocatrice
nella loro squadra. E so cosa significa questo, prima ancora che Alice
lo dica
ad alta voce. «È libera di cercare il boccino ora.»
Automaticamente
lancio un’occhiata al punteggio: quaranta
a novanta per Grifondoro. Siamo appena a metà strada verso il vantaggio
di
cento punti prima del quale è apparentemente vietato
chiudere la partita e così sospiro frustrata.
Non
ero salita sulle tribune con grandi speranze per la
Coppa di fine anno, affatto, come d’altro canto la maggior parte della
nostra
Casa, ma ho appena tifato per Lupin mentre rimetteva Dean al suo posto
e
vederlo smentito nel giro di cinque minuti è inaccettabile.
«E
adesso?» chiedo inquieta mentre Lola Griffin si getta improvvisamente
all’inseguimento del boccino, tra le grida generali e l’assoluta
impotenza di
Frank ed Alex, a cui ogni colpo viene rispedito indietro dai due
battitori
avversari, senza che si avvicini neppure per sbaglio alla cercatrice. I
cacciatori
continuano nel loro gioco parallelo e nessuno è lì per fermarla.
Alice,
tuttavia, non sta guardando lei.
«Adesso
sta a James.»
*****
Mi
rendo conto che lo ha visto qualche secondo prima che se ne accorga
anche il
resto dello stadio, quando lei si blocca e si tende per una frazione di
secondo
prima di inclinare la scopa e raddoppiare la velocità in un battito di
ciglia,
gli occhi fissi su un punto di fronte a sé e la coda di capelli neri
che frustano
il vento alle sue spalle. Tagliando fuori le grida di mezza scuola e
contro
ogni mio istinto mi costringo a non seguire il suo sguardo per
individuare a
mia volta la sfera dorata e gettarmi all’inseguimento dietro di lei,
invece
scatto dall’altra parte, facendo attenzione a mantenermi fuori dal suo
campo
visivo.
Quando
le taglio fulmineo la strada, qualche secondo dopo, lei sterza
bruscamente e
anche se non si ferma subito è immediatamente chiaro dal suo rallentare
e dal
modo in cui i suoi occhi saettano veloci da una parte all’altra del
campo che
l’ha perso. Non ero così vicino da
rendere impossibile schivarmi e avere anche i riflessi di non perdere
di vista
il boccino, ma esattamente come sperato l’effetto sorpresa ha fatto il
suo:
quando stai per prendere il boccino e non riesci a vedere l’altro
cercatore di
solito è perché è dietro di te che prova a superarti, non certo perché
se ne
sta andando nella direzione sbagliata ignorando completamente la
pallina
dorata.
Quando
si volta a guardarmi è palesemente seccata, ma dura appena un secondo,
poi
piega le labbra sottili in un sorrisetto canzonatore.
«Non
sei interessato al boccino oggi, Potter?» Mi guarda dal basso e scende
lievemente di quota, mentre Anne ci sfreccia sopra con la pluffa tra le
mani. «È
un peccato, è da inizio anno che aspetto di misurarmi con te.»
«Sono
qui» Alzo le spalle noncurante, mentre la tribuna rosso e oro esulta e
Sirius
annuncia il nuovo punteggio: cinquanta a centodieci. «Attesa finita.»
«Sì,
sei qui» Mi soppesa scettica, corrucciando le labbra. «Ma non è una
gran gloria
prendere il boccino prima di te se tu il boccino nemmeno lo vuoi, dico
bene?»
«Chi
ha detto che non lo voglio?» Sorrido sornione, scendendo appena di
quota a mia
volta. «La partita non è finita. E quando voglio il boccino, Griffin, me lo prendo.»
Un
lampo di sfida le illumina gli occhi alle mie parole e un sorrisetto le
piega
le labbra, mentre continua a guardarmi, completamente ignara del guizzo
dorato
a meno di mezzo metro dalla sua testa, a portata di braccio.
Prima
che possa replicare o anche solo staccare gli occhi dai miei, sposto
lentamente
lo sguardo dal lato opposto da quello in cui ho visto il boccino,
focalizzandomi su un punto in lontananza dietro di lei e raddrizzandomi
sulla
scopa, stringendo tanto le dita attorno al manico da farle sbiancare.
Nel
momento in cui i miei occhi si spostano con uno scatto verso il basso
lo stesso
fa il resto del mio corpo e riesco a cogliere solo con la coda
dell’occhio la
sua aria spiazzata mentre mi getto in una picchiata tra gli schiamazzi
di tutto
lo stadio. Sirius sta gridando incitazioni nel megafono ed io sterzo di
scatto,
roteando veloce la testa come a seguire un oggetto in movimento, per
poi
riabbassarla e tornare alla mia picchiata perfettamente verticale. Le
grida si
fanno più alte e difficili da ignorare man mano che il suolo si
avvicina e
quando raddrizzo la scopa all’ultimo la punta del manico sfiora i
ciuffi d’erba
ricoperti di rugiada del campo e l’adrenalina mi scorre forte nelle
vene.
Restando
vicino al suolo, stacco una mano dalla scopa e sollevo lentamente una
gamba,
portando la pianta del piede contro il manico di legno, prima di
staccare la
mano e alzarmi in equilibrio precario, appoggiando anche l’altro piede,
le
ginocchia lievemente piegate, il busto inclinato e una mano appena poco
più
avanti dell’altra, come pronta a scattare verso un boccino invisibile.
Torno
con le cosce ben serrate attorno al manico, di nuovo col petto vicino
alla mia
Tornado, solo diversi secondi dopo, quando un’altra scopa urta
volutamente
contro la mia, affiancandomi, e subito alzo gli occhi sopra di me e
scatto
verso l’alto, riprendendo quota velocemente mentre Grifondoro segna di
nuovo.
Lola
Griffin mi segue alla cieca in giro per il
campo senza mai raggiungermi per altri dieci minuti prima di rendersi
conto che
quello che sto facendo si chiama finta Wronski e che lei ci è cascata
in pieno.
*****
«Qualcuno
mandi subito un gufo a Dorcas, deve sapere che le ore di
vita perse a insegnargli come rendere credibile una finta Wronski sono
servite
a qualcos- Talbott tenta di segnare, ma
Muller para! Vai così, Mike, non passa più nessuno! Come un muro di
cemento
armato, nemmeno piangendo passano! Dicevo, mandate immediatamente
un gufo a
Dorcas, usate la metro polvere, qualcuno
avvisi Dorcas per Godric, avrà un orgasm-»
«Signor
Black, può bastare.»
«E già
che ci siete portate un paio di occhiali a Griffin, quindici minuti
a cercare di prendere un boccino invisib-»
«Signor
Black, si contenga.»
Mi
allontano il megafono dalle labbra, inarcando
un sopracciglio e lanciando un’occhiata scettica alla mia sinistra.
«Sta
ancora sorridendo, professoressa, non è
credibile.»
*****
Il
cacciatore di Tassorosso sferra un lancio da
manuale verso il nostro anello laterale, con una forza tale che la
pluffa pare muoversi
più veloce del boccino per un secondo, ma Mike scatta fulmineo e la
colpisce
deciso con un guantone, mandandola lontana dalla porta e dritta tra le
mani di
Sam, che senza perdere tempo riparte nella direzione opposta, verso la
porta
dei Tassorosso. Mi concedo un secondo per lanciare un’occhiata di
adorazione al
mio portiere, che non fa entrare una palla da metà partita, lasciando i
Tassorosso bloccati a settanta punti mentre noi continuiamo a salire. I
cacciatori avversari, così come il loro portiere, sono sempre più
frustrati
dalla situazione e i loro tentativi di rivolta diventano ogni secondo
più
irritati, ma il punto non cambia: li stiamo stracciando ed io potrei
baciare
ogni singolo membro della mia squadra – e non in modo casto.
Quando
Sam segna l’ennesimo goal i miei occhi
scattano al tabellone coi punteggi –che altro non è che un pezzo di
pietra
sopra cui scintille magiche colorate si muovono a formare di volta in
volta i
diversi numeri- e accanto al settanta dei Tassorosso, le scintille
dorate che
segnano il nostro punteggio si muovono a formare un bellissimo
centosessanta.
Dieci
punti, un singolo goal e poi avremo il
vantaggio prefissato e potrò finalmente iniziare a giocare –a giocare
davvero,
prendendo il boccino e mettendo fine alla partita.
Il
cuore mi batte veloce nel petto mentre osservo
i cacciatori di Tassorosso avanzare veloci verso la nostra porta,
passandosi la
pluffa. Quando Anne la intercetta e si getta poi di lato, la palla
rossa ancora
stretta tra le mani, per evitare un bolide, l’adrenalina mi fa agitare
sulla
scopa impaziente, mentre con gli occhi inizio già a cercare il boccino
per
essere pronto, eccetto che nello stesso momento in cui lo individuo,
individuo
anche Griffin scattare fulminea nella sua direzione, gli occhi fissi
sulla
pallina dorata.
Anne
è ancora lontana dalla porta, con troppi
giocatori avversari a pararlesi davanti, ma Griffin ha il boccino
davanti agli
occhi e non ci sono finte Wronski che tengano ora. Frank ed Alex sono
marcati
stretti dai battitori avversari che gli rilanciano i bolidi nel giro di
pochi
secondi, così come stanno facendo da mezza partita a questa parte, e
non
importa se mancano ancora dieci punti, se non prendo il boccino ora lo
prenderà
lei e Tassorosso vincerà la partita.
Sirius
sta gridando di nuovo nel megafono mentre
volo a tutta velocità dietro Griffin, ma questa volta sa anche lui che
non è
una finta e l’agitazione che non esterno io risuona sincera e
amplificata per
tutto lo stadio. È bizzarro come lo trovi calmante, essere immerso
nelle grida
impanicate dei miei compagni e quelle incitanti degli altri, nella
confusione
più totale, mentre il mio cuore rallenta fino a raggiungere un battito
totalmente regolare e una calma decisa mi avvolge mentre giro e inclino
la
scopa trovandomi sempre più vicino a quella di Griffin. I miei occhi
non sono
su di lei tuttavia, né sulla sua scopa, ma sulla piccola sfera alata
che
sfreccia davanti a noi e si fa sempre più visibile e dettagliata, i
bagliori
dorati e le ali soffici sfiorate da dita bianche che non sono le mie
per un
secondo appena, prima che la mia mano si chiuda decisa sul metallo
freddo.
Nello
stesso momento, diversi metri più in alto,
la pluffa lanciata da Anne attraversa in pieno l’anello centrale di
Tassorosso,
mentre il loro portiere si getta a difendere inutilmente quello
laterale.
Lo
stadio esplode in un boato ed io osservo senza
fiato il centosessanta riassemblarsi in un centosettanta per un secondo
appena,
prima che i centocinquanta punti del boccino lo trasformino in un
trecento
venti. Esattamente cento punti di vantaggio. Ce l’abbiamo
fatta.
«JAMES
POTTER PRENDE IL BOCCINO! WOOD SEGNA! GRIFONDORO VINCE CON
TRECENTOVENTI
A SETTANTA! Corvonero siete i prossimi!»
Le
grida trionfanti di Sirius risuonano
amplificate per tutto lo stadio, così come quelle di tutta la nostra
Casa, ma a
me arrivano come attutite mentre smonto dalla scopa e cerco subito con
lo
sguardo i miei compagni di squadra.
Mike
è il primo ad atterrare, gli occhi lucidi e
un sorriso incredulo sulle labbra, subito seguito da Frank che ha più
sorriso
che faccia, poi arriva Anne, il naso rosso per il freddo e gli occhi
più felici
che le abbia mai visto, e poi Alex e Sam e Daniel e mi devo trattenere
per non
gettare subito le braccia al collo a tutti, ma
va detto ora, prima di mandare al diavolo ogni dignità
e proposito per il resto della giornata e iniziare a correre
abbracciati in
giro per la scuola, così stringo la scopa nella mano destra e mi passo
la
sinistra tra i capelli, con un sorrisetto trionfante.
«Signori»
annuncio solenne. «Siamo di nuovo nei giochi.»
Domenica
18
Marzo 1976.
Hogwarts,
Sala
Grande, Tavolo di Grifondoro, 10:30.
Il
soffitto
sereno della Sala Grande, oggi di un celeste chiaro cosparso da qualche
nube
candida, pullula di gufi indaffarati, ma io riconosco subito il
barbagianni
marrone che vola verso di me. Posta da
casa, perfetto, penso allungando una mano verso Augustus, solo per
vederlo
zampettarmi davanti senza degnarmi di uno sguardo e fermarsi di fronte
a
Sirius, che subito posa la sua tazza di caffellatte e gli fa un
grattino dietro
al collo, prima di sfilargli dal becco la pergamena piegata.
«Non
ci posso
credere, ancora?» sbuffo
scandalizzato. «Ti ha scritto la
settimana scorsa.»
«Fa’
silenzio, Prongs,
sto cercando di leggere» ribatte Sirius indifferente, senza staccare
gli occhi
dalla lettera. «E non è colpa mia se sono il preferito di tua madre:
sono amabile,
non posso controllarlo.»
Sirius
non è amabile,
affatto, ma è effettivamente il preferito di mia madre.
«Lo so che sei il suo preferito, ma c’è
da qualche parte una regola genitoriale che dice che dovrebbe almeno
cercare di
mascherarlo» puntualizzo offeso. «A me non
scrive da tre settimane.»
Sirius
alza le
spalle.
«Non
ne ha
motivo, non potresti raccontarle nulla su di te che non le abbia già
scritto
io.»
I
miei occhi si
spalancano inorriditi.
«Cosa?
Cosa? Padfoot, cosa?»
Remus
solleva lo
sguardo dalla sua copia della Gazzetta del Profeta e lo punta dritto su
di me con
un mezzo sospiro, come a sottolineare che ho detto cosa un
numero sufficiente di volte, ma la verità è che non l’ho
detto abbastanza, perché Sirius riesce comunque ad ignorarmi.
«Guarda,
c’è un
post scriptum per te, lagna, contento?» aggiunge dopo un po’ tendendomi
la
lettera, che è così lunga e fitta in confronto alle due righette
striminzite
dopo il P.S. «Dice di informarti che se stai anche solo vagamente
pensando di
passare le vacanze di Pasqua e quindi il compleanno ad Hogwarts, dopo
che ci
hai già passato Natale, non riceverai un solo regalo.»
Il
suono
indignato che mi esce dalla bocca non riceve considerazione da nessuno
dei miei
amici.
«Non
che cambi
qualcosa, avevo già stabilito che saremmo tornati a casa per Pasqua»
riprende
Sirius distrattamente. «Mi serve più cioccolata possibile e i nostri
gufi
possono trasportarne una quantità limitata.»
«È
sempre bello
essere preso in considerazione, Padfoot, grazie.»
«Quando
vuoi,
ora passami il bacon.»
Lunedì
19 Marzo
1976.
Londra,
Stazione
di King’s Cross, Binario 9 ¾. Ore 12:30.
Il
fischio del treno e il chiacchiericcio dei
miei compagni riversatisi sulla piattaforma già pullulante di famiglie
mi
stordiscono appena, mentre mi trascino stancamente la valigia alle
spalle.
La
donna che sta venendo a braccia aperte verso
di noi è mia madre.
Lo
slancio e il calore con cui riabbraccia suo
figlio dopo mesi di lontananza è quasi commovente: le tremano le mani
per
l’emozione e quelli sono indubbiamente occhi lucidi.
«Tesoro,
come stai? Mangi abbastanza a scuola? Mi
sembri un po’ dimagrito.»
Cara
mamma, si preoccupa sempre.
Quando
mi schiarisco rumorosamente la gola per la
quarta volta, mia madre si accorge finalmente anche della mia presenza,
smettendo di strapazzare Sirius.
Da
James Potter
a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
Sirius
è su un albero.
Probabilmente
te lo avrà scritto anche lui,
figurati se quell’agglomerato di pulci perde un’occasione per
lamentarsi, ma la
mia lettera ti arriverà senz’altro prima della sua, quindi non sarò io
a
ripetermi. Questo perché il gufo di Sirius ha palesemente dei problemi
mentali,
e, checché ne dica il suo padrone, è sempre stato così lento, ancora
prima di
quell’incidente con Elvendork, che comunque era del tutto prevedibile:
non puoi
tormentare un gatto per tutta l’estate e poi lasciare il tuo gufo nelle
vicinanze.
Vorrei scrivere una lettera appassionante e che ti faccia capire quanto
ti
manco e quanto tu abbia voglia di vedermi e soprattutto di farmi un
regalo
eccezionale –perché lo so che state
progettando qualcosa, o Sirius non si nasconderebbe sugli alberi-, ma
d’altro
canto devo finire di scrivere la lettera prima che quell’idiota scenda
da
lassù: voglio essere presente quando tenterà la discesa. Levati
immediatamente
quell’espressione di biasimo dalla faccia, per favore, e non provare a
negare
di averla assunta. Sei veramente un malfidato, Remus Lupin. Non ti è
neppure
passata per la mente l’idea che volessi semplicemente, da bravo amico
quale
sono, assicurarmi che Sirius non si ammazzasse scendendo, vero? E non
ho
intenzione di renderglielo così difficile,
sai, anche perché sono abbastanza sicuro che non riuscirebbe a scendere
in ogni
caso. C’è una piccola possibilità che dopo diverse ore, suppliche e
foto
imbarazzanti io sia persino disposto a portargli la scala che papà
tiene in
soffitta, e di nuovo smetti di
guardare la mia lettera con quell’aria di disapprovazione: Sirius deve
capire
che se non hai senso dell’equilibrio un albero non è
un buon nascondiglio.
Spero
che tu ti stia annoiando un sacco senza di
noi, così impari a farti desiderare e a declinare i miei inviti. Ma
probabilmente sei troppo impegnato a organizzarmi la più bella festa a
sorpresa
di sempre per annoiarti: in quel caso sei perdonato, prenditi tutto il
tempo
necessario, perché mi aspetto grandi cose e grandi regali.
A
presto, (cioè al ventisette, quando tu e Peter
spunterete qui all’improvviso e contro ogni aspettativa ed io
applicherò tutte
le mie doti recitative facendo sfoggio della più sorpresa delle
espressioni),
Il
tuo amico preferito,
Prongs
Da Remus Lupin
a
James Potter, Godric’s Hollow 24 Marzo 1976.
Non ho la minima preferenza tra te e Sirius.
Lo scrivo, giusto nel caso quel genio che si
nasconde sugli alberi intercettasse la mia lettera e decidesse di
creare un
caso di dimensioni epocali sulla mia mancata precisazione. Mi
spaventate
entrambi allo stesso modo e se avessi un amico preferito, quello
sarebbe Peter,
che nelle sue lettere, rigorosamente scritta da terra, non cerca di
indovinare
e pilotare le espressioni della mia faccia.
Non riesco a credere che tu mi abbia scritto
una
lettera in cui l’unica cosa che dici è che Sirius è su un albero. È
l’unica
cosa che hai scritto, a parte i tuoi totalmente immaturi propositi di
rendergli
difficile la discesa, te ne sei accorto? Per curiosità, cosa avevi
intenzione
di scrivermi prima che Sirius si arrampicasse lassù?
Non stiamo progettando niente, per la
cronaca.
Non vedo perché cerchi un motivo sensato dietro alle azioni di Sirius:
probabilmente voleva solo vedere come sono i tuoi capelli dall’alto.
Sono
seriamente preoccupato, perché ci resterai male quando il ventisette
arriverà
solo il mio gufo col regalo e non io in persona, ma suppongo che sia
inutile
convincerti del contrario. Ma se i tuoi sospetti nascono semplicemente
dal
fatto che Sirius si comporta in modo strano, allora dovresti proprio
riconsiderare gli ultimi sei anni ed elencarmi una sola volta in cui
Sirius non
si è comportato in modo strano. Voglio dire, ti stava organizzando una
festa a
sorpresa quella volta in cui lo hai trovato a dormire sotto
il letto? No, stava solo dormendo sotto il letto, perché è il
genere di cosa che il tuo migliore amico fa. Accettalo.
Moony.
Da
Sirius Black
a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
Non
sarebbe rapimento,
Moony, non capisco perché continui a usare quella parola e a bocciare
tutte le
mie idee, onestamente. Ti dico che è l’unico modo per coglierlo di
sorpresa: un
colpo alla testa, si risveglia incappucciato e legato a una sedia e poi lo liberiamo. Non è rapimento se
non lo teniamo prigioniero per sempre.
È la
mossa più sensata, davvero.
Voglio
dire, lui lo sa che gli stiamo organizzando una festa
a sorpresa, lo sa sempre, ma se noi lo rapiamo per
finta
allora lui penserà di perdersi la sua festa a sorpresa perché impegnato
a, beh,
farsi rapire, e invece sorpresa! Il
rapimento è la tua festa!
Riflettici,
Moony.
Comunque
sia: credo che dovrebbero esserci un
sacco di boccini d’oro. Almeno due o tre in ogni stanza e anche in
giardino,
così potrà acchiapparli all’improvviso mentre parla con gente a caso e
diventerà tutto gongolante e sorridente, come tutte le volte che può
mettere in
mostra le sue doti da Cercatore. Credo anche che a un certo punto gli
altri
inizieranno a non sopportarlo più, ma è il suo compleanno, quindi non
penso che
lo chiuderanno da qualche parte come quella volta al terzo anno.
Ora
ti lascio, sono su un albero e devo capire
come scendere senza ammazzarmi.
Padfoot.
Da Remus Lupin a Sirius Black, Godric’s Hollow, 24 Marzo
1976.
Sirius.
Non rapiremo James, fine della questione.
E comunque se lo aspetterebbe. Godric,
chiunque
ti abbia nella sua cerchia di amicizie sospetterebbe di te in caso di
rapimento.
Moony.
PS. Cerca di non morire. Come
sei salito puoi
scendere: prima un piede e poi l’altro, quello è il segreto.
Da Sirius
Black
a Remus Lupin, Chester, 24 Marzo 1976.
Penso
di avere una pietra conficcata per sempre
nelle profondità della mia natica sinistra.
Quell’idiota
di Potter non sa nemmeno tenere
ferma una scala.
Dovremmo
rapirlo per davvero e poi torturarlo.
Passo
e chiudo.
Padfoot.
Da
James Potter
a Remus Lupin, Chester, 25 Marzo 1976.
Ah
ah ah, Moony, ah ah ah.
Devi
leggere questo come una risata, la mia risata
di fronte ai tuoi ridicoli tentativi di convincermi che non state
facendo
quello che è così evidente che state facendo. Smetti di arrampicarti
sugli
specchi, Moony: basta già Sirius ad arrampicarsi sulle cose, davvero:
mi state
organizzando una festa a sorpresa proprio come tutti gli anni, perché
siete
prevedibili, ma va bene, non sono vostro amico per la vostra
originalità. Sono
vostro amico perché tu mi fai copiare i temi di Storia della Magia,
Peter mi fa
sempre un sacco di complimenti sui miei capelli e Sirius emette
versetti
divertenti quando cade dagli alberi; è un’ottima base per un’amicizia,
non c’è
bisogno che mi sorprendiate, sul serio. A parte per quanto riguarda il
regalo,
quello dev’essere strepitoso o mi troverò dei nuovi amici. Frank è in
lizza. Te
lo dico, nel caso tu e gli altri voleste ingaggiare un duello
all’ultimo sangue
con lui per me.
Il
tuo, per sempre amico preferito, Prongs.
PS. La cosa divertente è che
Sirius crede che sia
stato un incidente.
Da Peter Minus a Sirius Black, Godric’s Hollow, 25 Marzo
1976.
Remus
non sospetta nulla?
W.
Da Sirius Black
a Peter Minus, Cardiff, 25 Marzo 1976.
Nulla.
***********
27
Marzo 1976,
Godric’s Hollow.
«Guarda,
si muovono!»
Alice
segue la direzione indicata dal mio dito guantato con un’occhiata molto
meno
meravigliata della mia, come se vedere una fontana composta da statue viventi non fosse la cosa più eccitante
di sempre.
«Lily,
passi nove mesi all’anno in un castello magico in cui anche le scale si muovono» mi ricorda,
riprendendo a camminare lungo le stradine costeggiate di villette
colorate
senza degnare la fontana di un altro sguardo, mentre io allungo il
collo per
lanciarle un’ultima occhiata adorante prima di seguirla.
«Sì,
ma dentro Hogwarts è diverso» sottolineo,
lasciando correre lo sguardo all’orizzonte, cercando curiosa altre
particolarità. Persino le casette, col fumo che esce dai camini
spiccando
contro il cielo limpido e le piccole finestrelle, hanno un’aria magica
in
questo posto. «Un’intera città magica, ci pensi che bello vivere qui?
Potrei
fare un incantesimo proprio ora, in mezzo alla strada e nessuno mi
direbbe
nulla!»
«Beh,
lo puoi fare anche ad Hogsmeade o Diagon Alley ora che sei maggiorenne»
sottolinea Alice, che nonostante il sorriso davvero non sembra
condividere il
mio entusiasmo. «E onestamente, Hogsmeade e Diagon Alley sono molto più
carine,
non mi pare ci sia nulla qua al di là di quella fontana, campi e case.»
Non
è che Alice non abbia ragione, perché sia Hogsmeade che Diagon Alley
sono
certamente più grandi, spettacolari e piene di questo posto, e difatti
sono
quasi svenuta per l’emozione anche la prima volta che ho visitato
entrambe,
anni fa, ma ora le conosco come le mie tasche e nonostante continui a
trovarle
eccitanti ed uniche proprio ogni singola volta che ci vado, c’è
qualcosa qui,
nell’intimità di questo luogo, nel fatto che ci sono più case che
negozi, nel
modo in cui la magia sembra parte integrante della vita quotidiana di
un’intera
città che me la fa respirare in un modo totalmente nuovo ed
entusiasmante.
«Lo
sai che Godric’s Hollow è una delle pochissime cittadine interamente
magiche in
tutta la Gran Bretagna?» dico trotterellando dietro ad Alice,
conoscendo già la
risposta, perché certo che Alice lo sa, lei ci è cresciuta nel mondo
magico e
non ha messo piede a Diagon Alley solo il suo primo anno di scuola, non
ha
visto i quadri parlare e le statue muoversi ad Hogwarts per la prima
volta.
«Non posso credere che Remus non mi abbia mai detto di vivere in un
posto così
bello».
«Remus
vive in Galles» commenta Alice distratta, lasciando correre lo sguardo
in
lontananza con la fronte aggrottata, come a cercare di orientarsi.
«Come?»
chiedo perplessa, perché sono felicissima di essere qui, ma se Remus
vive in
Galles, che diavolo ci facciamo noi qui?
«Te
l’ho detto, il suo compleanno è stato il dieci» Alice mi lancia
un’occhiata,
prima di imboccare una stradina che si separa dalla via principale,
verso la
campagna. Riesco a scorgere un’enorme villa un po’ isolata dal resto
delle case
e circondata da un ampio giardino già da qui. «C’è un motivo se lo
festeggia
solo oggi.»
«Perché
i suoi amici non erano soddisfatti del fatto che non avesse voluto fare
nulla
di che e hanno deciso di rimediare organizzandogli una festa a sorpresa
a sua
insaputa» dico lentamente, perché ero presente quando Frank lo ha
spiegato ad
Alice qualche giorno fa, quando è venuto a cena a casa sua, e
nonostante ciò ho
la sensazione di essermi persa un pezzo fondamentale.
«Sì,
okay, ma perché proprio il ventisette
e non prima secondo te?»
Alice
ha aumentato il passo ora che non pare più avere dubbi sulla
destinazione e la
vedo distrattamente estrarsi dal tascone del cappotto il nostro regalo
per
Remus, impacchettato e largo appena pochi centimetri. Un colpo di
bacchetta e
torna alla sua grandezza reale, occupandole il posto tra le braccia,
mentre il
cancello d’ingresso al giardino verdeggiante della villa si fa sempre
più
vicino. «È perché la festa a sorpresa non è solo per lui».
Alice
ha appena tirato fuori un altro piccolo pacchetto dalla tasca e sta
svolgendo
ora lo stesso procedimento di prima, ma i miei occhi sono ora fissi sul
cartello decorato che svetta sul cancello spalancato. Potter
Mansion.
Oh
Godric, la sua casa ha un nome, certo che la sua casa ha un nome, James
Potter
è una di quelle persone che hanno case dotate di nome ed io sono una di
quelle
persone che viaggiano mezzo paese per andare a casa di
Potter, è questo che sono.
«No,
no, no» dico subito puntandomi sul posto mentre Alice entra nel
territorio
proibito senza problemi, prima di dedicarmi un’occhiata esasperata.
«Dai,
Lily, sono già tutti qui» dice e non ho idea di come faccia a saperlo
dato che
siamo ancora all’esterno, la porta della villa è chiusa e non si vede o
sente
nessuno. «Era comunque ovvio che ci sarebbe stato, anche se fosse stato
solo il
compleanno di Remus.»
«Certo
che lo sapevo» E non so perché sto sussurrando. «Ma è diverso andare al
compleanno di Remus, a casa di Remus, dove
per puro caso ci sono anche i suoi amici tra cui lui, e andare invece
al
compleanno di Remus e suo, a casa sua,
nel territorio di sua
giurisdizione, dove tutto grida James Potter.»
«Non
vedo la differenza, davvero» insiste Alice e sta mentendo naturalmente,
perché
se non l’avesse vista non avrebbe aspettato l’ultimo secondo per
mettermi al
corrente della cosa. «Gli invitati sarebbero comunque stati gli stessi,
anzi,
essendo anche il compleanno di James ce ne sono un po’ di più e questo
ti renderà
più facile ignorarlo. Entra, forza, mi stanno guardando tutti.»
«La
differenza è abissale, drammatica, sostanziale» puntualizzo con enfasi,
rassegnandomi comunque a lasciarla cadere qui perché Alice non ha
evidentemente
chiaro il concetto di casa di James
Potter. Non posso entrare a casa di James Potter come se nulla
fosse,
questa è una cosa che non sarebbe mai dovuta succedere perché le case
sono un
qualcosa di intimo e personale e sacro e dovresti sempre avere
dell’affetto a
disposizione per la persona nella cui casa stai entrando, cosa che
naturalmente
io non ho e questo va contro ogni regola delle case, ma Alice non lo
capirebbe
comunque, perché Alice è d’altro canto convinta che tutti la
stiano guardando ora, quando non c’è assolutamente anima
viva nel giardino della villa che possa guardarla, così prendo un
profondo
respiro e mi preparo ad entrare nel territorio nemico, perché d’altro
canto non
potrei comunque tornare indietro a questo punto. Voglio dire, potrei, ma sono a casa di Alice per le
vacanze e non mi sentirei a mio agio a spiegare ai suoi genitori perché
sono
tornata prima del previsto e da sola.
Mentre
attraverso il cancello aperto, entrando ufficialmente nel giardino di
James
Potter, ho il corpo teso e i sensi all’erta, pronta per il pericolo che
sicuramente sta per abbattersi su di me, ma nel momento in cui la mia
scarpa si
posa sul vialetto non sono comunque pronta all’infarto che mi colpisce
nel
momento in cui la visione della casa muta drasticamente, accompagnata
da musica
e vociare improvvisi.
Il
giardino è pieno, completamente affollato dai nostri compagni di
scuola, in
maggioranza Grifondoro ma non solo, che passeggiano e chiacchierano
tranquilli,
con una maggior concentrazione nei pressi dell’entrata della villa e
del
buffet.
«Molte
case di maghi sono protette da incantesimi schermanti di questo tipo»
mi spiega
Alice vedendo la mia espressione frastornata. «Da fuori vedi sempre e
solo la
stessa immagine, e anche i suoni sono bloccati.»
Lo
dice come se fosse una cosa normale e non qualcosa di incredibile e
dalle
potenzialità infinite: subito mi immagino a starmene beata per i fatti
miei in
giardino mentre qualche ospite indesiderato mi chiama dal cancello,
convinto
che io non sia in casa mentre io non devo nemmeno stare attenta a non
fare
rumore per proteggere la mia asocialità. Potrei correre nuda in
giardino, se lo
vedessi, ed è mentre sono impegnata con questi alti pensieri che
Potter, che
deve essersi materializzato qui da diversi secondi perché pare aver già
accolto
Alice, mi coglie alla sprovvista.
«Ehy
Evans» mi sorride allegro ed ora capisco perché ha sempre quell’aria
appagata,
anch’io ce l’avrei se vivessi in una cittadina del genere, in una villa
del
genere, con un giardino del genere ed incantesimi ingannevoli del
genere. «Sei
venuta a festeggiarmi?»
«Non
sono al tuo compleanno, Potter» chiarisco subito, perché se devo
affrontare
un’intera giornata in territorio nemico, per quanto bello -il
territorio, non il nemico-, è importante spazzare subito via
ogni malinteso.
«Sei
proprio qui, riesco a vederti» ribatte lui.
«Ne
sei sicuro?» chiedo inarcando un sopracciglio e poi
ci fissiamo per qualche secondo perplessi. «Voglio dire, d’accordo, puoi, ma non in alta definizione.»
Potter
aggrotta la fronte, aumentando ulteriormente il
grado di perplessità nell’aria.
«Cosa?»
«Vedi?»
dico, sventolandogli velocemente una mano davanti
alla faccia. «Non riesci a vedere bene i contorni.»
«Sì
che ci riesco» dice Potter, ma io lo ignoro, continuando:
«Questo
perché c’è una barriera invisibile tra noi.»
Poter
sbatte le palpebre, confuso.
«La
barriera dei compleanni diversi» concludo, con l’aria
di chi gli sta svelando un grande segreto.
«Non
è una cosa che esiste» dice ed io sbuffo cercando di
guardarlo dall’alto, nonostante i suoi occhi siano una ventina di
centimetri
più in alto dei miei, ma è l’altezza spirituale che conta e lo spirito
dei miei
occhi è letteralmente sul tetto della sua stupida villa.
«Esiste
da miliardi di anni, da prima ancora che l’uomo
comparisse sul pianeta terra» insisto.
«Te
la sei appena inventata.»
«Miliardi
di anni, Potter» ripeto. «E si frappongono
tutti tra me e te, proprio in questo spazio qui» E subito inizio a
muovere
lentamente le mani di fronte a me, come a tracciare il profilo della
parete
invisibile che si innalza tra me e lui. «Perché io non sono al tuo
compleanno,
sono a quello di Remus.»
Potter
mi osserva senza dire nulla per qualche secondo,
poi allunga una mano e mi tocca la fronte. Io faccio un salto
all’indietro,
colta alla sprovvista.
«Potter!»
esclamo indignata. «Non puoi bucare la barriera
dei compleanni!»
Potter
alza le spalle, con un sorrisetto impertinente.
«È
il mio compleanno, posso fare quello che voglio,
Evans.»
«No,
no, no, lì è
il tuo compleanno» specifico, indicando il terreno ai suoi piedi. «Non qui» Ed ora indico i miei. «Qui è solo
il compleanno di Remus.»
Potter
fissa le sue scarpe e poi le mie, e poi i miei
occhi.
«Quindi
ci sono posti dentro casa mia in cui non è il mio
compleanno?» chiede scettico.
«Non
posti, persone» replico sicura, indicandomi in
maniera subdola con entrambi gli indici. «E l’altra cosa che devi
sapere
riguardo alla barriera dei compleanni diversi, è che è insonorizzante.
Taglia
completamente fuori l’audio, zero volume.»
Continuo
a muovere le labbra per qualche altro secondo,
senza emettere suono, poi lancio un’ultima occhiata eloquente a Potter
e gli do
le spalle, allontanandomi alla ricerca di facce amiche.
*****
Evans
si allontana verso il patio ed io resto a fissarla
ancora molto confuso.
Quando
dopo un po’ si volta e mi trova con gli occhi
ancora fissi su di lei, spalanca i suoi e ricomincia a fare quegli
strani gesti
circolari di fronte al suo viso, nemmeno fosse un mimo, ed io scuoto la
testa
con uno sbuffo che assomiglia più a una risata.
È
destabilizzante vederla qui, a casa mia. Come se
improvvisamente non esistesse più solo ad Hogwarts. È strano e quasi
surreale,
e mi sento un po’ disorientato, ma non mi dispiace.
«Okay,
chi diavolo è stato?»
Il
mio sguardo percorre indagatorio i volti dei miei
invitati, mentre le mie dita si stringono con odio attorno al tessuto
giallo
brillante della maglietta delle Vespe di Winbourne che è appena uscita
da uno
dei miei pacchetti. Non c’era scritto il nome né nulla ed ora capisco
perché.
«Vi sembra divertente rovinarmi il compleanno così? Ora, ve lo dico
molto
chiaramente, nessuno lascerà questa casa finché non mi direte chi...»
Sirius
sbuffa, interrompendomi.
«È
stato Remus,
Prongs, è ovvio. È il genere di atti malvagi che ogni tanto fa.»
Subito
i miei
occhi scattano su Remus, assottigliandosi.
«Non
sono stato
io. Lo trovo immaturo e infantile e... » Ed io gli credo, anche mentre
si blocca
assumendo un’espressione improvvisamente colpevole, perché sicuramente
è vero
che lo trova immaturo e malvagio e non sa davvero perché l’ha fatto. Ma
Sirius
ha ragione e Remus ogni tanto fa cose malvagie senza motivo. «Mi
dispiace.»
«Ti
perdono, Remus»
concedo magnanimo, ma senza staccare gli occhi dai suoi, giusto per
rendergli
chiaro come se fosse stato chiunque altro ci sarebbe del sangue
sull’erba ai
miei piedi ora. «Non farlo mai più. Chiunque qui abbia problemi con
maglie
delle vespe di Winbourne che vengono bruciate è pregato di andarsene.»
Un gesto
della mia bacchetta e la maglietta prende immediatamente fuoco.
Non
è stato un
buon piano, d’accordo, perché non dovresti mai dare fuoco a qualcosa
mentre ce
l’hai ancora in mano, ma c’è una maglietta delle Vespe di
Wimbourne alla mia festa di compleanno e questo significa
che non è lecito aspettarsi lucidità da me.
Anche
Frank è
molto comprensivo riguardo tutta la storia di me che gli lancio la
maglietta in
fiamme addosso e la manica della sua camicia che prende fuoco.
Frank
pare una danzatrice
del ventre con la mia maglia che gli lascia scoperta tutta la pancia –
mi ha
accusato di avergliene data una corta apposta, ma non è colpa mia se
lui è così
alto – ma non ha riportato ustioni ed io questa la chiamo una vittoria.
Quello
che mi
turba ora è la dimensione ridicola del pacchetto che dovrebbe contenere
il
regalo più importante di tutti, quello dei Malandrini, e che sembra in
grado di
contenere a malapena una nocciolina. Lo scarto rendendo palese la mia
contrarietà col volto e non appena ci infilo due dita dentro,
tastandone il
contenuto, mi corruccio ulteriormente, sentendo la consistenza liscia e
legnosa
sotto i miei polpastrelli. È davvero una
noce, maledetti figli di puttana.
Non
è una noce,
realizzo iniziando a tirare.
È
qualcosa dalla
forma sottile e allungata che continua a fuoriuscire dal pacchetto
senza dare
segno di fermarsi, rendendo così evidente l’incantesimo rimpicciolente,
ed è
qualcosa che non può essere ciò che io penso che sia perché se lo fosse
significherebbe che devo gettarmi a terra e rotolare nell’erba in preda
alla
felicità e non voglio rotolare nell’erba, sto indossando una camicia
bianca e
si macchierebbe tutta e- oh Godric, è davvero
quello che sembra.
«Mi
avete
regalato la nuova Tornado Delux? È questo
che avete fatto?» mi sento chiedere con voce tremante, mentre i miei
occhi non
si staccano dal manico di scopa sollevato in maniera reverenziale tra
le mie
mani. Il legno è scuro e perfettamente levigato, liscio sotto la pelle
delle
mie dita, mentre la parte finale è di un colore molto più caldo, quasi
dorato. È bellissima.
«Non
respiro,
James. Per favore.» È solo sentendo la voce soffocata di Remus così
vicina al
mio orecchio che realizzo di essere ora arpionato ai miei amici.
«Voi,
voi siete
le mie nuove persone preferite al mondo» annuncio stringendoli ancora
più
forte, indifferente ai capelli di Sirius dentro la mia bocca.
«Non
lo eravamo
già?» La voce di Peter arriva come attutita, perché è schiacciato da
qualche
parte un po’ più in basso del mio campo visivo e non sono sicuro che
sia ancora
dotato di una testa.
«No,
certo che no.
La prima è Dorcas e dopo di lei praticamente mezza squadra dei Cannoni
di
Chudley” replico ragionevole.
«Abbiamo
superato
Dorcas? Sono commosso» Sirius non sembra commosso. Lo sento agitarsi
violentemente contro di me e automaticamente stringo più forte. Remus
emette un
rumore strano, come se si stesse sgonfiando. «Puoi lasciarci ora?
«No
che non
posso: mi avete regalato la nuova Tornado Delux!»
Sirius
emette uno
strano verso disperato, come se si stesse sgonfiando anche lui ma
emettendo
dolore e rabbia invece che aria. Poi con uno sforzo estremo estrae un
braccio
dal groviglio che sono i nostri corpi ed indica il tavolo dove ho
depositato
con reverenza la mia nuova scopa prima di fondermi con i miei amici.
«La
stanno per
toccare, James, guarda.»
I
miei invitati
sono effettivamente radunati attorno al manico di scopa, lo osservano
meravigliati e qualcuno sta anche allungando le mani.
«Nessuno
la
tocchi. Nessuno la tocchi o faccio una strage» La velocità con cui
riesco a
sciogliermi dai miei amici e porre il mio corpo tra la mia scopa e il
pericolo
è notevole. «Non ti azzardare, Frank, giuro che se la sfiori ti stacco
le dita
a morsi. Fate tutti un passo indietro.»
********
«Ti
piace? Oh sì che
ti piace» Sono a una festa e dovrei probabilmente alzarmi e andare
a
socializzare con gli altri esseri umani, ma c’è un gattone enorme e
morbidissimo che sta facendo le fusa e non ho alcuna intenzione di
smettere di
fargli i grattini, anche se le mie ginocchia stanno iniziando a dolere
per la
posizione rannicchiata. Ma il suo pelo è così soffice e particolarmente
folto e
selvaggio attorno al collo, a formare una sorta di criniera grigia
tigrata, è
come un piccolo grasso leone ed io sono pronta ad essere la sua schiava
e
accarezzarlo per l’eternità, perché questo è il genere di persona che
divento
di fronte ai gatti. «Cuci-cuci-cuci.»
Sono
solo contenta che non ci sia nessuno nelle vicinanze
a sentirmi mentre perdo la dignità.
«È
il mio gatto,
Evans.»
Nessuno
a parte
Potter, chiaro.
«Il
famoso
Elvendork?» Chiedo lanciandogli un’occhiata senza staccare le mani
dalla pancia
morbida del felino, muovendole come se stessi cercando di impastarlo.
Potter se
ne sta dietro di me, la camicia bianca ora coperta dalla felpa dei
Cannoni di
Chudley che gli hanno regalato Frank ed Alice. A quella non ha dato
fuoco, che
sarebbe una cosa scontata da pensare riguardo a qualunque regalo di
compleanno,
ma a quanto pare no.
«Lui
non è stato
invitato al compleanno di Remus, per l’appunto» continua, incrociando
le
braccia al petto con aria furba. «Voglio dire, lo avrebbe invitato, ma
Elvendork non si sarebbe presentato. Non gli piace Remus.»
«Come
mai?» Non
riesco a immaginare un motivo per cui a qualcuno, umano o felino,
potrebbe non
piacere Remus.
«È
un essere
umano» Potter si stringe nelle spalle. «Non gli piacciono gli esseri
umani.»
Subito
gli lancio
un’occhiata scettica, riportando poi gli occhi sul gatto che steso
sull’erba di
fronte a me si sta letteralmente facendo coccolare da cinque minuti facendo le fusa così forte da far sfigurare
il fischio del treno di Hogwarts
«Io
gli piaccio»
concludo compiaciuta, alzando le spalle.
Potter
piega
appena l’angolo destro della bocca verso l’alto e resta in silenzio per
un po’,
prima di annuire. «Già» dice. «La tua gatta ama me e il mio gatto te»
Il
sorrisetto appena accennato si trasforma nel suo classico sorriso
sornione. «Mi
chiedo cosa stiano cercando di dirci.»
Di
riflesso alzo
gli occhi al cielo, ma il pelo di Elvendork è troppo soffice sotto le
mie dita
perché io possa innervosirmi davvero. «Che l’erba del vicino è sempre
più
verde.»
«L’erba
del
signor Collins è tutta rinsecchita» replica immediatamente Potter ed io
lo
fisso.
Lui
mi
fissa.
«Ci
abbiamo fatto
esplodere una pozione per sbaglio, io e Sirius, e non è più stata la
stessa»
aggiunge dopo un po’ mentre io continuo a fissarlo e qualcosa nei suoi
occhi mi
dice che sa che non ha senso quello
che sta dicendo.
«Ma
non era molto
verde nemmeno prima» Alza le spalle e finalmente interrompe il contatto
visivo,
così anch’io torno a concentrarmi su Elvendork.
«Comunque,
sono
contento che hai deciso di lasciare il compleanno di Remus e venire al
mio»
aggiunge dopo un po’ e di nuovo i miei occhi scattano su di lui.
«Prego?»
Il mio
sopracciglio si inarca e le mie mani si allontanano dal gatto pronte a
rimarcare l’esistenza della barriera invisibile che mi protegge da lui.
«È
inutile che
agiti le mani, ora ti posso vedere: stai toccando Elvendork e lui al
compleanno
di Remus non c’è.» Potter sembra così soddisfatto
della sua trovata.
«La
barriera dei
compleanni non funziona sugli animali, Potter» spiego ragionevole, con
grande
pazienza, perché dovrebbe essere ovvio. «Loro fanno quello che
vogliono,
soprattutto i gatti.»
Potter
assottiglia gli occhi e mi scruta in silenzio, ma l’ho chiaramente
messo con le
spalle al muro perché non trova niente da ribattere.
Ritorno
ad
accarezzare Elvendork e per un po’ l’unico rumore è il chiacchiericcio
lontano
dei nostri compagni, poi Potter parla di nuovo. «Quindi sei sicura di
non voler
venire al mio compleanno?»
«Sicurissima»
annuisco.
«Ok»
Potter alza
le spalle, indifferente. «Puoi comunque andare a conoscere Harold, se
ti va. Si
infila spesso nel cortiletto sul retro.»
«Harold?»
chiedo
perplessa.
«Harold»
conferma
Potter, senza aggiungere alcuna informazione, e subito dopo gira sui
tacchi e
sparisce, perché certo che se ne va nell’unico momento in cui voglio
invece che
rimanga e si spieghi.
Sono
naturalmente
tentata di alzarmi e fare uno scatto olimpionico verso il cortile sul
retro.
Non lo faccio, perché non sono stupida e questo è esattamente quello
che Potter
vuole: mi sta probabilmente spiando per guardare se vado subito nel
cortile.
Sarà così compiaciuto se lo farò. Ma
se lo scorda, non gli darò la soddisfazione di mostrarmi incuriosita.
Che mi
importa poi di cosa diavolo è un Harold? Non è come se questo avesse
una
qualche influenza sulla mia vita.
Godric,
devo assolutamente scoprire che cos’è un
Harold o non riuscirò a dormire stanotte.
Alice
continua a
parlare e probabilmente sta anche dicendo cose divertenti, perché Frank
e Remus
stanno ridendo di gusto, ma io non riesco davvero a cogliere il senso
delle sue
parole, impegnata come sono a lanciare occhiate al giardino e
aggiungere man
mano pezzi all’immaginaria planimetria della casa che sto tracciando
nella mia
mente.
Potter
è a
diversi metri da me, impegnato a litigarsi una fetta di torta con
Black, che
sembra volere a tutti i costi quella nel suo piatto nonostante la torta
intera
sia lì di fianco, e sono abbastanza sicura che non mi stia prestando
attenzione
in questo momento. Se anche stesse monitorando le mie mosse, come
sicuramente
sta facendo, per cogliermi in fallo, sono abbastanza sicura di poter
raggiungere il cortile sul retro e tornare qui prima che lui si
rassegni a cedere
la sua fetta a Black.
«Scusate,
vado un
attimo in bagno» annuncio a bassa voce prima di dileguarmi.
Il
cuore mi batte
veloce nel petto mentre mi dirigo lentamente verso la porta che dà sul
cortile,
lanciandomi occhiate circospette attorno. Ho
paura che Harold sia Black travestito da qualcosa. La porta
cigola
mentre la spingo lentamente, creandomi una fessura appena sufficiente a
sgusciare fuori. Che razza di animale può chiamarsi Harold? Sarà
qualcosa di
grottesco, un esperimento mal riuscito di fusione tra un rospo e un
fuoco
d’artificio. Forse è pericoloso. Mi morderà e mi attaccherà una
malattia.
O
forse, realizzo
guardandomi attorno nel cortile completamente vuoto, forse Harold non
esiste ed
io sono appena stata fottuta da Potter senza neppure essere andata al
suo
compleanno.
Sarà
sicuramente
qui da qualche parte nascosto pronto a ridere di me.
Presto,
agisci Lily, trova qualcosa da
fare che giustifichi la tua presenza in questo cortile e che non
c’entri nulla
con l’inesistente Harold.
Automaticamente
mi chino a raccogliere un filo d’erba e me lo piazzo in bocca.
Non
è una cosa
particolarmente dignitosa da fare, ma far pensare a Potter che ho una
segreta
ossessione per i fili d’erba e che è solo per mangiarne un po’ in
solitudine se
sono venuta qui è sempre meglio che dargli la soddisfazione di essere
cascata
nel suo tranello.
Poi
sento uno
scricchiolio d’erba e lo vedo avvicinarsi al cancelletto socchiuso.
Solo
che non è
Potter venuto a ridere di me e non è nemmeno un grottesco animale dalla
natura
indefinita.
È
una delle
creature più maestose e aggraziate che io abbia mai visto e mi incanto
a osservarla.
L’erba
soffice si
piega in silenzio sotto il peso degli zoccoli scuri ed io smetto di
respirare,
cercando di restare completamente immobile per non spaventarlo mentre
fa il
primo passo all’interno del cortile, il sole che gli colora riflessi
dorati sul
manto marrone intenso e le corna ramificate che si stagliano maestose
contro il
cielo azzurro.
Non
so cosa sia
esattamente a trascinare le mie gambe, se il fatto che è la prima volta
che ne
vedo uno da vicino o quegli occhi nocciola così strani e per nulla
spaventati
che sono puntati nei miei da prima ancora che entrasse, ma senza averlo
veramente deciso mi ritrovo dall’altro lato del cortile, le dita che si
sollevano piano di fronte al muso del cervo. Sento il suo
fiato umido e caldo solleticarmi il palmo
della mano mentre la annusa brevemente, prima di rialzare fiero la
testa, gli
intrecci ramificati delle corna chiarissime, quasi bianche, a disegnare
trame
ancora più splendide ora che sono così vicina.
Lentamente
avvicino la mano al collo del cervo, lì dove la pelliccia è leggermente
più
folta e scura, quasi come una piccola criniera, e quando non fa cenno
di
spostarsi sfioro leggermente il pelo, accarezzandolo da prima
sfiorandolo
appena e poi con più sicurezza.
Non
so perché mi
renda così felice il fatto che non sia scappato e che paia fidarsi di
me,
quando probabilmente è solo perché Potter ci ha già fatto amicizia e lo
ha
abituato al contatto umano, ma una sottile eccitazione mi percorre le
vene
mentre il cervo mi gira attorno e cerca di nuovo le mie dita nel
momento stesso
in cui abbasso la mano, lasciandomi una scia umida con la lingua ruvida
e
calda.
Non
è nulla di
simile ad accarezzare un gatto o un cane, il manto del cervo è ispido e
spesso
sotto i miei polpastrelli e la lentezza e fierezza con cui si muove non
mi
ispirano gli stessi versi imbarazzanti che mi sono usciti di fronte ad
Elvendork, ed io non ho alcuna fretta di tornare alla festa. C’è
qualcosa di
magico ed estraniante in tutta la situazione e il vociare proveniente
dall’interno si fa sempre più distante alle mire orecchie, come se
fossi in
un’altra dimensione. Resterei qui fino a sera, ma per qualche motivo
non riesco
a sopportare l’idea di che Potter possa piombare qui all’improvviso per
gongolare, iniziando a giocare col cervo e bucando la mia bolla di
irrealtà.
Quando mi costringo a rientrare in casa e le voci di tutti si fanno
nuovamente
strada nelle mie orecchie è come svegliarmi da un sogno ad occhi aperti.
«Perché
hai dato
un nome così ridicolo a una creatura così bella?»
Potter
non mi ha
sentita arrivargli alle spalle e dopo essersi voltato mi fissa
spiazzato per
qualche secondo, gli occhi nocciola, resi ancora più chiari dal sole
insolito,
allargati dietro le lenti degli occhiali. Poi pare riprendersi e si
stringe
nelle spalle con uno strano mezzo sorriso, quasi imbarazzato. Bizzarro.
«Come
hai detto
tu, è già bello di suo, non ha bisogno di avere anche un bel nome» dice
ed io
trattengo uno sbuffo divertito. Elvendork,
Harold... perché la gente permette ancora a questo ragazzo di
battezzare
esseri viventi?
«E
che ci fa un
cervo nel tuo cortile?» indago attenta, perché ci dev’essere un motivo
se
queste cose accadono sempre agli altri e mai a me, forse sono io che
sbaglio
qualcosa. Voglio dire, c’entra probabilmente anche la storia di vivere
a Privet
Drive dove l’unica macchia di verde è data dalle aiuole della signora
Jenkins,
che non sono neppure così verdi a
dirla tutta, ma resta un’ingiustizia che Potter abbia un cervo
meraviglioso che
gli viene a fare visita in cortile mentre il massimo che ho io è la
cacca del
cane del vicino che ha scambiato il nostro giardino per il suo bagno
privato.
«È
mio amico,
ogni tanto mi viene a trovare» Sta dicendo Potter, vago. Poi piega le
labbra
nel suo solito sorrisetto presuntuoso e mi strizza l’occhiolino. “Tra
creature
bellissime ci si intende, Evans.” Faccio appena in tempo a roteare gli
occhi al
cielo che subito ha un lampo di sincerità. «Lo compro col cibo» ammette
ed io
ricordo improvvisamente di essere stata molto maleducata verso Harold,
a non
offrirgli assolutamente nulla, neppure il filo d’erba che avevo in
bocca, ma mi
sento anche stranamente appagata perché ah!
Io non ho dovuto comprarmelo il suo affetto. Se solo il mio
successo
generale nella vita dipendesse da quanto mi amano gli animali –quelli
altrui,
perché la mia gatta ancora mi ritiene poco più che una conoscente –
allora
sarei già Ministro della Magia.
«Beh,
trattalo
bene» concludo in fretta prima di girare sui tacchi, prima che anche
Potter
realizzi quello che ho appena notato io, ovvero il buco appena creatosi
nella
barriera dei compleanni. Raggiungo Alice in fretta senza voltarmi
indietro,
perché se nessuno lo va più a stuzzicare il buco si richiuderà in pochi
secondi, e perché Alice è vicino a un
sacco di cibo.
Oh,
c’è anche
Remus. Chissà se lui sa del cervo.
Mi
riempio la
bocca di patatine e subito inizio a masticare in fretta perché sento la
frenesia di raccontare subito a qualcuno del mio incontro nel cortile e
di come
il cervo si sia fidato subito di me senza che dovessi neppure offrirgli
del
cibo, il che è chiaramente prova di grandi qualità intrinseche nella
mia
persona visibili solo agli occhi misteriosi e profondi dei cervi,
eccetto che
nel momento in cui mando giù tutte le patatine, immediatamente ne
afferro
un’altra manciata, tappandomi di nuovo la bocca perché, realizzo
all’improvviso, provo un’eccitazione bizzarra al pensiero di mantenere
l’incontro col cervo segreto. Qualcosa di mio e basta. E, beh, Potter
che lo sa
già naturalmente, ma Potter non conta, dato che è palese come non
capisca
nemmeno per sbaglio l’importanza di avere una creatura così bella e
sfuggente
che si lascia accarezzare, o altrimenti non l’avrebbe chiamato Harold.
«Stavo
pensando» Potter se n’è andato ridendo e
chiacchierando di gruppetto in gruppetto fino ad ora, lanciandomi solo
qualche
occhiata furba da lontano, ma senza mai tentare di fare irruzione oltre
la
fessura nella barriera, almeno fino ad ora. «La panchina su cui è
seduto Frank
di che compleanno fa parte?»
Subito
mi volto a cercare Frank con gli occhi, trovandolo
pacificamente abbandonato su una panchina vicino al limitare del
giardino, le
mani inerti sulla pancia dove ho visto entrare più torta di quanta
dovrebbe
essere umanamente possibile. Osservando meglio, il suo sguardo è più
rassegnato
che pacifico in effetti: deve aver accettato di aver perso la capacità
di
alzarsi. Spero che Potter gli porti almeno una coperta questa notte.
«Beh,
Frank è venuto ad entrambi i compleanni» rifletto.
«Quindi per lui la panchina fa parte
di entrambi. Se mi ci sedessi io vorrebbe dire che è al compleanno di
Remus.»
Potter
mi fissa scettica, scuotendo la testa.
«Non
ha senso, è una panchina. Non può cambiare a seconda
di chi ci si siede.»
«Il
compleanno è negli occhi di chi guarda, Potter»
ribatto sentendomi molto filosofica e soddisfatta della mia risposta
per circa
cinque secondi, prima di pentirmene, perché non ha molto senso. Ha
un’efficacia
tuttavia, perché Potter mi fissa in silenzio per un po’, evidentemente
schiacciato dalla mia logica. Poi riprende a parlare, lentamente, ed è
chiaro
che sta tramando qualcosa.
«Quindi
tu sostieni che se ora ci sedessimo entrambi su
quella panchina, continueremmo a non essere allo stesso compleanno?»
«Esatto»
annuisco.
«Secondo
me invece verresti risucchiata nel mio, alta
definizione e tutto.»
«Ridicolo.»
Potter
ghigna. «Provalo.»
Inarco
un sopracciglio, senza muovermi. Lui si dirige
deciso verso la panchina, si lascia cadere accanto a Frank e poi si
volta a
guardarmi con aspettativa, chiaramente ignaro che può anche aspettare
in eterno
per quel che mi riguarda.
«Beh,
Evans?» Alza la voce allegro. «Vieni o hai paura
che questa panchina mi darà ragione?»
Le
mie gambe avevano già iniziato a muoversi alla parola
paura e così quando Potter finisce di parlare il mio culo è già accanto
al suo.
Subito gli lancio un’occhiata trionfante.
«Sono
ancora al compleanno di Remus, Potter, come
volevasi dimostrare.»
Soddisfatta,
faccio per alzarmi, ma lui mi appoggia una
mano sul braccio.
«Aspetta.
Forse serve del tempo per fare il passaggio da
un compleanno all’altro» dice in fretta. «Proviamo a restare qui per,
non so,
diciamo mezz’ora.»
Io
lo guardo eloquente. «Potter.»
Lui
sorride colpevole.
«Ok»
annuisce. «Aspetta qui allora.» E prima che io possa
ribattere è sparito dentro casa.
È
il momento perfetto per andarmene. Non devo davvero
aspettare qui, non ho detto che
l’avrei fatto, non è colpa mia se ora lui tornerà qui aspettandosi di
trovarmi.
Non è come se avessimo un appuntamento o qualcosa del genere. Se
avessimo un
appuntamento, a dirla tutta, sarebbe solo un ulteriore spinta ad
alzarmi
immediatamente.
Mentre
il mio culo continua a non allontanarsi dalla
panchina, mi esce un sospiro frustrato dalle labbra. Che
fatica comportarsi da adulti.
Potter
si rimaterializza di fronte a me porgendomi un
foglietto giallo e spiegazzato, emanando soddisfazione da ogni poro. È
chiaro
che qualunque cosa sia si sente molto astuto per averla fatta.
«Che
cos’è?» chiedo prendendo cautamente il foglietto tra
le mani.
«L’invito
al mio compleanno» mi annuncia orgoglioso, come
se scarabocchiare in tre secondi su un post-it fosse stata questa
geniale
trovata. «Remus non si offenderà se vieni, anche lui è in realtà più al
mio
compleanno che al suo.»
«Non
posso venire al tuo compleanno, Potter» sospiro.
Potter
mi guarda confuso, come se davvero non ne avesse
idea. «Perché no?»
«Innanzitutto
sarei in ritardo e non mi piace arrivare in
ritardo ai compleanni, è da maleducati.»
Potter
alza le spalle, incurante. «Sono tutti maleducati
al mio compleanno, non importa. Guarda Sirius per esempio, ha uno
scolapasta in
testa.»
I
miei occhi seguono la direzione dei suoi e Black sta
effettivamente indossando uno scolapasta, constato. Nessuna delle
persone con
cui sta parlando sembra turbata dalla cosa. Resto a fissare il tutto
perplessa
per diversi secondi, aspettando un eventuale plot twist in cui almeno
uno dei
conversanti decida di prendere improvvisamente atto dello scolapasta,
ma sento
di nuovo lo sguardo di Potter su di me e così riporto gli occhi a lui.
«E
non ho portato il regalo.»
Potter
si stringe nuovamente nelle spalle, senza staccare
gli occhi dai miei. «Puoi prenderne uno dalla pila e fingere che sia
tuo.»
«E
non siamo amici, Potter» aggiungo ed è bizzarra, la
nota imbarazzata che mi vena la voce, come se fosse una colpa o una
novità quella
che gli sto comunicando e non l’ovvietà ben nota ad entrambi da ormai
sei anni.
«Ti sopporto a malapena, non ha senso che io venga.»
Potter
non fa una piega e continua a guardarmi con
espressione indecifrabile per un po’, senza dire nulla. Un attimo prima
che il
silenzio diventi imbarazzante, alza le spalle.
«Ok,
Evans» dice quasi distrattamente, gli occhi che
corrono con nonchalance alle mie spalle, verso i nostri compagni. «Se
cambi
idea, sarò al mio compleanno.»
Di
nuovo si allontana senza lasciarmi il tempo di
ribattere, non che avrei avuto qualcosa da dirgli ora, anche se fosse
rimasto.
Il silenzio avvolge me e la mia panchina ed io resto seduta a fissare
l’erba
curate e ormai scura sotto le mie scarpe, ora che il breve sole di
prima è
stato sostituito dall’indaco spento del tardo pomeriggio.
«Non
sono sicuro che sia regolamentare, Lily.»
L’unico
motivo per cui il mio cuore non fa un triplo
salto mortale fuori dal mio petto, quando la voce di Frank spezza
improvvisamente il silenzio, è che una minuscola parte di me era al
corrente,
in maniera del tutto inconscia, della sua presenza ancora sulla
panchina,
nonostante la parte lucida di me l’avesse rimossa.
«Che
cosa?» chiedo voltandomi e trovando che sì, Frank è
proprio qui sulla panchina, esattamente com’è stato da prima che io e
Potter ci
sedessimo accanto a lui.
«Quello
che hai fatto» risponde laconico, procurandomi
immediatamente un’ondata d’ansia ai lati del collo.
«Cosa
ho fatto?» chiedo agitata, il che è ridicolo visto
che so di non avere fatto assolutamente nulla, ma tra tutte le persone
Frank è
l’ultima che voglio pensi che io abbia fatto qualcosa, perché lui è
sempre così
pacato e pacifico che quando punta il dito contro qualcuno do per
scontato che
abbia ragione e che il qualcuno meriti di avere dita puntate contro o
persino
infilate negli occhi, anche quando il qualcuno sono io. Cosa sto
facendo della
mia vita se mi sono attirata il biasimo di Frank?
«Rifiutare
un invito a un compleanno durante il compleanno
stesso» mi illumina
infine Frank ed io lo osservo corrucciata. Oh, è questo che ho fatto
per
meritare la sua disapprovazione dunque?
«Non
penso che ci siano delle tempistiche per rifiutare
un invito al compleanno di qualcuno che non è tuo amico» replico
ragionevole,
perché ora che so cosa ho fatto, mi è
più facile rassicurarmi di non avere in realtà fatto nulla.
«Ma
ci sono regole su cosa si può dire durante un
compleanno» continua Frank,
pacato ma deciso, ed io aggrotto la fronte. «Quel tempo tra l’inizio e
la fine
della festa dovrebbe essere quello in cui al festeggiato si può dire
solo sì. È
per questo che Sirius ha uno scolapasta in testa ora.»
«A me sembra che
gli piaccia in realtà» sottolineo osservando Black essere così
chiaramente a
suo agio nel suo copricapo di plastica gialla.
«Sì,
anche a me» conviene Frank, lanciandogli a sua volta
un’occhiata perplessa. «Ma non è questo il punto. Il punto è che
rifiutando un
invito durante un compleanno potresti potenzialmente peggiorare il
compleanno
stesso, non trovi?»
«Oh,
andiamo, Frank, Potter non si rovinerà il compleanno
perché io gli ho detto di no» sbuffo scettica, chiedendomi se sia il
caso o
meno di introdurlo al concetto dell’aspirapolvere. «Non
siamo nemmeno amici, come sai benissimo, mi gironzola
attorno per abitudine.»
Mi
aspetto che Frank capisca e annuisca, concordando con
me, o che insista nella sua idea e ribatta, ma lui non fa nessuna delle
due
cose. Se ne sta lì a fissarmi in silenzio e basta.
«Frank?»
lo chiamo incerta, a disagio. Lui non fa una
piega e credo che non stia nemmeno sbattendo gli occhi per non
interrompere il
contatto visivo.
«Frank?»
ritento confusa e poi la realizzazione mi
colpisce improvvisa. «Mi stai giudicando?»
Frank
non muove un muscolo ed io spalanco gli occhi,
terrificata da questa svolta imprevista degli eventi. Il mio cervello
si
affanna freneticamente per trovare una soluzione immediata alla
faccenda, ma
Frank si alza e sempre senza dire una parola si allontana verso gli
altri
invitati, lentamente e camminando all’indietro per non interrompere il
contatto
visivo.
«Mi
sta giudicando»
mormoro sconvolta tra me e me.
***
Mi
stavo giusto chiedendo dove fosse il mio ragazzo,
quando lui mi viene a sbattere contro all’improvviso.
«Frank?
Che fai?»
«Un
attimo solo, Alice. Sto giudicando Lily da lontano.»
**********
«Ehy,
Moony.» L’ennesimo gruppetto di invitati si è
appena congedato, essendo che si è fatto tardi, ed io localizzo subito
il mio
amico in disparte in veranda a raccogliere cartacce e spostare sedie,
in quella
sua buffa convinzione di essere il responsabile delle pulizie sempre e
in
qualunque casa. «Hai già avvisato i tuoi che non torni stasera? Ti
presto il
mio gufo?»
«James,
ti ho già detto che non resto qui a dormire.»
Remus si distrae dalla sua opera di rassettaggio per lanciarmi
un’occhiata ed
io non posso fare a meno di notare di avergli appena involontariamente
salvato
la vita distraendolo: quella che spunta dalla scatola che Remus si
stava
chinando a raccogliere è chiaramente la coda di Elvendork e Remus si
sarebbe
fermato qui a dormire in eterno, sepolto sotto il melo di papà, se
avesse anche
solo sfiorato quella scatola.
«Okay
Moony, come prima cosa, Elvendork è dentro quella
scatola, quindi fai lentamente dieci passi indietro, niente movimenti
bruschi»
Remus spalanca gli occhi terrorizzato, portandoli subito sulla coda
vaporosa di
Elvendork che lo minaccia in silenzio dalla scatola di cartone: essendo
il più
raziocinante tra i miei amici, è sempre stato anche quello più
spaventato dal
mio gatto, nonostante sia Sirius quello con la cicatrice. «In secondo
luogo certo
che ti fermi a dormire, cos’è che devi fare a casa di più importante
che
passare del tempo con le persone che ami di più in tutto l’universo?»
«James, ci vedremo
letteralmente settimana prossima a scuola» dice Remus come se questo
influisse
in qualche modo sul fatto che questa notte lui si fermerà a dormire
qui.
«Remus»
ribatto imitando il suo tono. «Peter
resta, Sirius resta...»
«Sirius
vive qui.»
«...io resto, restiamo
tutti tranne te? Che senso ha? Da quando
sono tre i Malandrini? Non possiamo restare in tre. Sarebbe un
tradimento, sarebbe
come dire che tu sei stato ufficialmente demalandrinizzato, non è
fattibile: se
tu non resti, non possono restare nemmeno Peter e Sirius, glielo dici
t-»
«James,
Sirius vive
qui.»
«Un’occasione per dormire insieme tutti e quattro e tu vuoi semplicemente sprecarla cos-»
«Un’occasione per dormire insieme tutti e quattro e tu vuoi semplicemente sprecarla cos-»
«Ho
fatto il calcolo, sono più le volte che dormo con voi
quattro che quelle in cui dormo a casa e non di poco, in un rapporto
uno a-»
«Il calcolo!»
sbotto oltraggiato, indietreggiando teatralmente con una mano sul
cuore. «Ti
sei messo a calcolare con quanta forza sputare sulla nostra amicizia?
Hai
calcolato in quanti frammenti esatti stai spezzando il mio cuor-»
«Oh
Godric,
va bene, prestami il tuo gufo che avviso i miei
genitori.»
«È
di sopra in camera mia» sorrido smagliante. «Dillo
prima a Sirius però, deve bloccare il piano prima che parta o non
potremo
salvarti.»
Remus
si congela sul posto.
«Quale
piano, James?» chiede lentamente con quel suo tono
che implica silenziosamente che non vuole davvero sapere le cose su cui
fa
domande.
«C’era
un piano per costringerti a rimanere ovviamente»
spiego alzando le spalle, perché che Remus non lo avesse previsto è
ridicolo. «Ma
non ha importanza ora, però corri ad avvisare Sirius, davvero, o sarà
doloroso.
Del tipo, fisicamente doloroso.»
Remus
spalanca gli occhi.
«James, che diavolo avevate
intenzione di-sai cosa, non dirmelo, dove si è cacciato Sirius?»
«Soffitta.»
Remus mi lancia un’ultima occhiata sospettosa
alla precisione della mia risposta e poi si allontana a passo svelto.
«Se
incontri Peter abbassati e grida bandiera bianca!»
gli urlo dietro, mentre qualcuno si schiarisce rumorosamente la gola
dietro di
me. Io mi volto ed Evans è lì che mi
fissa determinata.
«Scusa
per il ritardo, Potter» dice ed io la guardo
perso.
«Cosa?»
«Buon
compleanno» continua lei ignorando la mia
confusione.
«Buon...»
ripeto perplesso, prima di illuminarmi. «Oh. Sei al
mio compleanno?»
«Sì,
ho deciso di fare un salto, per vedere che aria
tira.» Si stringe nelle spalle, casuale.
«Quindi
sei qui. Posso vederti? Alta definizione e tutto?»
Evans
annuisce, senza guardarmi negli occhi. «Così pare.»
«Niente
barriera?» chiedo sollevando una mano di fronte a
me come a tastare l’aria.
«Niente
barriera» conferma lei e pare più spiazzata di me
quando finalmente incontra i miei occhi. Vorrei avere un piano ora, una
mossa
astuta da compiere o qualcosa del genere, perché è da ore che provo ad
abbattere la barriera dei compleanni ed ora che non c’è mi sento come
se lei
fosse entrata all’improvviso in bagno mentre io, completamente nudo, mi
apprestavo ad entrare in doccia.
Ci
fissiamo in silenzio ad occhi spalancati e vagamente nel
panico per diversi secondi, prima che lei si schiarisca la gola.
«Beh,
ora devo andare.»
«Ok»
dico subito e già inizio a scrivere mentalmente la
lettera di licenziamento per le mie corde vocali perché la mia voce non
è così
stridula di solito. «Grazie di essere venuta.»
«Di
nulla, Potter» dice e fa per andarsene, solo per poi
voltarsi di nuovo e porgermi un elastico per capelli che si sfila dal
polso.
«Questo
è il mio regalo. Non l’ho rubato a nessuno»
annuncia, mentre io osservo l’elastico rosa tra le sue dita. «Lo puoi
usare
come una minifionda per lanciare le cose o per colpire le persone negli
occhi,
così.» Subito lo tende con le dita, a riprova delle sue parole, ed è
una
dimostrazione molto efficace dei possibili utilizzi dell’elastico fino
a quando
non le scivola dal dito e parte a velocità disumana contro il mio
occhio,
passando sotto la lente e distruggendomi per sempre la pupilla. «Ouch.»
«Scusa»
dice subito, senza suonare particolarmente dispiaciuta.
Non escluderei che l’abbia fatto apposta. «Beh, ora sai come funziona.
Buonanotte.»
Risponderei,
ma il mio unico occhio funzionante mi
informa che se n’è già andata.
Sorridendo
mi chino a raccogliere l’elastico.
«Sirius,
non ci crederai mai, Evans è venuta al mio
compleanno.»
«Lo
so, James, è stata qui tutta la sera.»
«No,
intendo, ci è venuta davvero. Non al compleanno di
Remus, al mio! Mi ha fatto gli auguri
e mi ha colpito nell’occhio con questo elastico.»
«È
fantastico, James.» Sirius mi strappa l’elastico dalle
mani ed un secondo dopo mi entra di nuovo nell’occhio alla velocità
della luce.
«Coglione» sento concludere Sirius mentre mi accascio a terra per il
dolore e
per recuperare il mio regalo.
È
a quel punto che lo noto, seppure con la visuale
dimezzata.
«Perché
Remus è a terra svenuto?»
«Il
piano era già partito.»
«Oh.»
«Già.»
«Credo
che Evans mangi l’erba.»
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...Fosse
stato solo per me il trentaduesimo capitolo non
avrebbe mai visto la luce e ci saremmo fermati allo scorso e non vi
sareste
trovati con “credo che Evans mangi l’erba” come finale di CAS, però poi
come
sapete mi avete colta alla sprovvista con tutti i vostri commenti e mi
avete
fatto venire nostalgia e ispirazione e il mezzo capitolo che era
lì da
eoni si è magicamente finito da solo. E quindi Evans mangia l’erba, che
tanto
non è che ha senso fare i fighi nei finali voglio dire, è anticlimatico
al
massimo ma è completamente in linea con il nonsense generale che è
sempre stata
CAS.
(O
molto più semplicemente non essendo mai stato pensato
come ultimissimo capitolo non ho voluto
scriverlo
come tale, che non mi andava di buttarmi in flashforward e voli
simbolici per
mascherarlo da finale di qualcosa che era a malapena iniziato).
Non
voglio dilungarmi perché credo (spero) di avervi già
fatto capire negli ultimi capitoli quanto io sia grata per il vostro
amore per
questa storia, e credetemi, non l’ho mai dato per scontato, anche se
sono awkward
as fuck e non lo so esprimere bene a parole e senza sarcasmo ma insomma
grazie.
Ad ognuno di voi.
Anche
a chi sta scorrendo questi noiosi blabla solo
per arrivare alla risposta alla domanda ‘ma il capitolo 33 quindi
esisterà mai
o no?’ Quando ho ricominciato a postare sarebbe stato un no al cento
per cento,
lo era, ve lo avevo già detto, dopo la facilità con cui mi avete
contagiato con
il vostro entusiasmo e ritrascinato nel fandom e in CAS anche solo il
tempo di
una notte per finire questo capitolo faccio fatica a dire no con la
stessa
sicurezza. Lo dico comunque eh, però in modo un po’ meno sicuro.
Un
po’ come Lily quando dice di non sopportare James.
*malandrina out*
*malandrina out*