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Autore: misslittlesun95    01/05/2018    0 recensioni
Roma, agosto 2015
È mattina presto, fa fresco e Ivano e Sabina, due ventenni appena diplomati, percorrono in moto la strada verso la stazione di Roma Termini.
Si amano, ma si stanno lasciando.
Lei vuole andare via per un po', tornare da suo padre in montagna e decidere cosa fare, probabilmente ricominciare ancora una volta da zero.
Lui non ha né il coraggio né la forza di impedirglielo, questa volta l'amore non sa essere più forte.
Perché la loro storia inizia quasi due anni prima, quando neomaggiorenne e con ancora due anni di liceo da fare Sabina arriva a Roma da sola, desiderosa di partire da capo dopo un dramma che l'ha segnata per sempre.
Ivano è lì, vive una vita normale e cerca di rimediare ad alcuni errori passati.
Il loro incontro è classico, stessa scuola, stessi amici, ma ciò che nasce va oltre.
Entrambi sembrano cresciuti troppo in fretta e troppo soli, e la vita vorrebbe dal loro una nuova possibilità; quella di non lasciarsi passare addosso tutto in modo apatico, scoprendo invece il nome di ogni emozione.
Dalle più terribili alle più dolci.
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Capitolo terzo


Oggi è un giorno come tanti, Leo.
Mio padre si è svegliato, si è messo la divisa e ha bevuto il suo caffè in piedi in cucina, con la cravatta ancora slacciata e il cappello sul mobile, vicino alla foto di mamma.
Poi si è lavato i denti, si è pettinato, ha fatto il nodo alla cravatta, ha preso il cappello e la borsa nera.
Ed è uscito senza salutarmi.
Perché io non sono più qui, Leo.
Tua S.



Ed esco fuori da ogni vita
perché ho paura di non vivere abbastanza
e ancora, ancora, ancora.
come nulla fosse
ancora, ancora, ancora
arrivederci e grazie

Arrivederci e grazie – Nesli


I genitori di Sabina erano nati a tre anni e cinquecento metri di distanza l'uno dall'altra, avevano frequentato lo stesso liceo e si erano conosciuti soltanto ormai quasi maggiorenni a ottocento chilometri da Roma.
Suo padre, Stefano, era di Via delle Sette Chiese, nato e cresciuto in uno di quei palazzi costruiti dal fascismo e che parevano non essere mai stati ristrutturati e aveva un fratello, Carlo, mentre sua madre, Marta, era di Via San Nemesio, di uno stabile decisamente più moderno sito davanti al CTO ed aveva una sorella, Lucia.
Avevano fatto lo stesso liceo all' Eur senza mai rendersi conto di camminare negli stessi corridoi e studiare sugli stessi libri finché non si erano parlati per la prima volta nella piazzetta innevata della borgata di montagna dove le due famiglie avevano due grange attaccate.
Così quando si erano sposati avevano deciso di buttare giù il muro che le divideva e creare una sola grangia che i membri di entrambe le famiglie, quella di Stefano e quella di Marta, potessero andare a rotazione. Fino a che, poche settimane dopo l'incidente che aveva tolto la vita alla donna, quasi dieci anni prima, il maresciallo aveva pagato agli altri eredi la loro parte di casa e vi si era trasferito coi figli, lasciandosi alle spalle Roma e tutto il resto.
Sabina e Cesare, ragazzini, avevano seguito l’uomo lontano da casa e si erano abituati a quella nuova vita. Quando aveva finito il liceo il ragazzo si era trasferito per l’università, e la piccola di casa era rimasta sola col padre.
Fino a quel giorno.
L’aria di fine estate rinfrescava la vallata e le ultime famiglie in vacanza erano giàr ripartite, quella mattina di agosto.
Il borsone della palestra della ragazza rotolò giù dalle scale. Lei lo seguì salterellando.
- Sabina!- La richiamò il padre dall’angolo cottura.
- Scusa, è che facevo prima così. In un viaggio solo ho portato giù la borsa degli allenamenti, il computer e lo zaino coi libri.-
- E che ti manca ancora?-
- I vocabolari di latino e greco, due valige e la mia borsa per il viaggio, quella con le cuffie, un libro, i cicles…
- Le gomme, Sabina. Abituati.-
- Quello che sono.-
- Va bene.- Concluse l’uomo voltandosi verso il lavabo per finir di sciacquare dei piatti. – Sistemo la cucina e vengo a darti una mano con le ultime cose. Cesare te a che punto sei?- Urlò sperando che, da qualche parte, il figlio maggiore lo sentisse.
- Finisco di lavare i denti e salgo a prendere le mie cose, Pa’.-
Sabina si rigirò verso le scale e tornò al piano di sopra, nella sua camera.
Non sembrava la stanza di una che stava andando via, era la normalissima camera di un’adolescente. La libreria piena, un armadio semichiuso da cui usciva un paio di jeans, il telefonino in carica sul comodino.
Si sedette sul letto rifatto e si guardò intorno. No, non sembrava che stesse andando via.
Perfino la scrivania raccontava un’altra storia, con un libro e un quaderno aperti e vario materiale di cancelleria in disordine.
- Hai lasciato tutto fermo.- Sentì dirsi alle spalle.
- Già fatto, papà?-
- Mi mancavano due piatti. Sai, potrei comprarmi una lavastoviglie ora che non ci sei più neanche tu, ma per una persona sola sarebbe uno spreco.- Provò a scherzare. Non era molto d’accordo con quell’addio improvviso, gli sembrava di veder sua figlia crescere troppo prima del tempo, ma Sabina aveva bisogno di tornare a Roma.
- Puoi sempre prenderla e con l’occasione trovarti una nuova fidanzata, dopo dieci anni non credo la mamma si arrabbierebbe .-
- Ci penserò su. Certo è che non sarà facile; la casa vuota, la cena da solo, addirittura camera tua in ordine. -
- Ti mancherà meno quando verrai a trovarmi, quella di Roma sarà la mia solita stanza.- Rise la ragazza.
-Già. Mentre qui sarà sempre come entrare in camera tua il quindici gennaio. -
- Quattordici.- Lo corresse lei. – È tutto come fosse sempre il quattordici gennaio. Il quindici era già un’altra cosa. - Sospirò. Poi si alzò e andò verso il muro dall’altra parte della camera, dove teneva appese quelle che a occhio e croce dovevano essere un centinaio di foto.
Ne prese una.
Era più piccolina, in quella foto, aveva quattordici anni e mezzo e indossava una camicetta nera su dei pantaloni neri. I capelli, sempre lunghissimi, erano racchiusi in una treccia che le cadeva dalle spalle al petto, e abbracciava un’altra ragazzina, più alta e magrolina con i capelli a caschetto. Davanti a loro una torta di compleanno con tredici candeline appena spente proprio dall’altra.
- Quella la porti con te? - Le domandò il padre.
Sabina ci pensò un attimo, poi rimise la fotografia al suo posto e tornò verso di lui. – No, per ora no. Ho bisogno di ricominciare, di dividere prima e dopo, di non… pensare troppo a perché vado via. Più avanti però credo che la prenderò, penso ne avrò bisogno a un certo punto. - Concluse.
Il maresciallo non continuò la discussione, preferì lasciar cadere l’argomento e parlare di altro.
- Ti do una mano a portar giù le ultime cose, Sabina. Così partiamo, almeno saremo a Roma entro cena.- Le disse.
La ragazza annuì e iniziarono a prendere le ultime valige aiutati da Cesare.
L’auto del maresciallo era nel parcheggio all’inizio della borgata, tirata fuori la sera prima per fare più in fretta in quella mattinata che sembrava non passare mai.
Davanti alla Opel nera li attendevano due uomini che aveva superato la mezza età, intenti a fumare la pipa mentre ridevano tra loro.
- Sergio! Gian! – Urlò Sabina correndogli incontro.
- Eccola, la donna in partenza.- La salutò ridendo uno dei due.
- Volevamo salutarti ancora prima che andaste, non è facile vederti così… grande.- Sospirò l’altro.
- Beh, non è che me ne vada perché son grande…- Sospirò lei.
- Vero, ma se fossi piccola non potresti andare, quindi sei anche grande. E poi hai diciotto anni, per chi come me e Sergio ti ha vista neonata sei davvero adulta.- Sabina sorrise. – Siete venuti per le raccomandazioni prima del viaggio?-
- Quelle te le farà tuo padre.- Disse quello di nome Sergio. – Noi volevamo solo augurarti buona fortuna, e dirti che questa sarà sempre casa tua. Non importa cosa pensino altri.-
Sabina sorrise. Sergio e Giancarlo erano quasi come degli zii, per lei, due delle poche persone di cui si fidava ciecamente, due delle poche persone che le dispiaceva lasciare lì.-
- Lo so, grazie. Tornerò a trovarvi.-
Li abbracciò con calma uno per volta, godendosi quella sensazione di casa che raramente aveva provato, poi si diresse verso la portiera della macchina.
- Ce’, posso stare io davanti?- Domandò al fratello.
- Come ti pare, tanto io voglio dormire per tutte e nove le ore del viaggio.
La ragazza sospirò.
Era tutto così strano, quel giorno di fine estate.



                                                          Coraggio lasciare tutto indietro e andare
                                                                                         Partire per ricominciare
Che non c’è niente di più vero di un miraggio
E per quanta
strada ancora c'è da fare
Amerai il finale

                                                         Buon viaggio – Cesare Cremonini

   
 
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