Són·no/
sostantivo maschile
1.
Fenomeno periodico di sospensione più o meno completa della coscienza e
della volontà,
indispensabile per il ripristino dell'efficienza fisica o psichica
Iorist
doveva sapere bene la definizione di "sonno".
Generazioni e
generazioni di onironauti gli avevano lasciato una
potente eredità, che scorreva potente nel suo sangue. Suo e in quello
di suo cugino.
Iorist abbassò
un poco il capo per osservare meglio il viso del giovane
Osses: l'elfo dormiva, nessun parassita infestava più i suoi sogni.
Ma il respiro
affannoso e l'oscurità avevano attirato lo spirito
lontano di Iorist, che aveva continuato il cammino dei sogni e che,
famelico, si avvicinava all'ignara vittima.
"Idir
ann is idir as". cantilenava in un
sussurro la
figura eterea e candida dello stregone mentre fluttuava leggero vicino
e sopra al corpo incosciente del suo piccolo cugino.
"Idir
thuaidh is idir theas" mormorava
mentre gli sfiorava le tempie sudate con le dita incorporee per
assorbire i suoi incubi e i suoi affanni, mentre si appropriava delle
sue visioni e se ne nutriva.
"Idir
thiar is idir thoir" continuava a mezza
voce: i
sogni riguardavano Lydia e... quell'umano.
Il canto si
smorzò per un istante, lo spettro fissava con occhi vuoti e
lattiginosi il dormiente, che nel sonno sospirò profondamente.
Lydia e quel
soldato. Perché infastidivano Osses anche dopo la loro
morte? Perché quegli spiriti morti e polverosi avevano le attenzioni e
i sogni di Osses e lui, che stava per trascendere la vita e la morte...
no?
Iorist posò di
nuovo le dita sul capo di Osses, che a causa
dell'improvviso impeto di Iorist sobbalzò leggermente, senza svegliarsi.
"Idir
am is idir áit" riprese il fantasma,
scorrendo fra
le emozioni e i ricordi del cugino. Vedeva immagini su immagini: il
tempo aveva sbiadito i colori di molte, ma quelle più vivide e recenti,
quelle che corrompevano i sogni del suo amato cugino, erano lì a
portata di mano.
"As
an sliogán, amhrán na farraige" cantava lo spettro
mentre i ricordi che Osses conservava della sorella scorrevano senza
sosta nella sua mente. Così, costretto a rivedere il volto della sua
defunta parente, Iorist poco a poco comprendeva.
Ad agitare il
giovane dormiente non era il ricordo della vergogna: a
lui non importava che la sorella avesse perso la vita per salvaguardare
la vita di un misero umano e dei mezzosangue che aveva avuto con lui.
Non considerava minimamente la differenza tra razze.
Ad agitarlo
era solo la perdita.
"Suaimhneach
ná ciúin..." sussurrò Iorist
mentre assorbiva le
ultime reminiscenze di sogni.
Appena lasciò
la presa sulla mente di Osses, il corpo di questo questo
si distese e, nel sonno, si girò su un fianco portando le ginocchia al
petto.
Iorist esitò
un momento.
Era in quello
stato per raggiungere il cugino per dirgli addio: non lo
avrebbe più rivisto, non con quell'aspetto.
Avrebbe voluto
parlargli. Spiegargli perché avesse voluto continuare i
suoi studi sul mondo dei sogni; voleva spiegargli perché Hypnos,
l'Eterno che governava quel mondo e le sue divinità, lo voleva come suo
adepto e futuro avatar. Voleva dirgli che poteva esserlo anche lui,
voleva che sapesse che poteva sempre ritornare sui suoi passi, che
poteva pure lui tornare al mondo onirico. Che non c'era bisogno che
studiasse con tanta fatica la via della magia: l'aveva nel sangue!
Avrebbe voluto
spiegargli tante cose.
Ma, nel
nutrirsi dei suoi sogni, Iorist aveva capito che sarebbe stato
tutto inutile. La morte di Lydia ancora abitava il cuore di Osses e
quest'ultimo non desiderava altro che prendersi cura di ciò che
rimaneva di lei.
Iorist guardò
la porta chiusa della camera con sguardo vuoto: sì, gli
erano rimasti quei due piccoli sanguemisto, Ash e Giada. Due neonati
che sarebbero morti ben prima di lui.
Con un
sospiro, lo spirito tornò a guardare quel corpo dormiente, per
poi chinarsi leggermente su di esso.
"...ag cuardú go damanta, mo ghrá!"
gli sussurrò con un tono traboccante di dolcezza, prima di raddrizzarsi
e compiere qualche passo verso un angolo della stanza, per poi
dissolversi nell'etere.
L'indomani
mattina, nessuno avrebbe mai ritrovato il suo corpo. Perché
lui non era morto, non ci poteva essere nessun cadavere: lui stesso era
diventato parte del tessuto dei sogni. E, in quanto fatto di materiale
onirico, la materia assumeva tutt'altro valore, spesso incomprensibile
a chi non sapeva sognare.
Ma avrebbe
continuato a vigilare, ne era certo. Avrebbe continuato a
vegliare sul sonno di Osses e poi su quello dei suoi bambini, finché
non avessero imparato a farlo da sé.
Iorist
poteva aspettarli per l'eternità.
Nella sua
sottile e crescente follia, fuori dal tempo e dallo spazio
materiale, l'elfo sapeva che prima o poi sarebbero tutti tornati da lui.