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Autore: FairyCleo    11/05/2018    11 recensioni
“Vedo che la signora ha buon gusto…” – aveva detto il commerciante, avvicinandosi maggiormente a lei.
“Come?” – Bulma era trasalita, persa com’era nei suoi pensieri – “Ah, sì… Certo”.
Sollevando il capo, aveva avuto modo di osservare meglio l’uomo che aveva davanti. Era uno strano figuro, alto, dinoccolato ed estremamente magro, con la pelle color dell’ebano, la testa pelata e un singolare pizzetto azzurro che terminava in un ricciolo accuratamente acconciato che gli dava un’aria del tutto singolare. Persino la voce di quell'uomo era bizzarra, così come i suoi occhi gialli con le iridi allungate simili a quelle dei gatti. La cosa veramente strana, però, era che lei non lo avesse notato sin dall’inizio. Era come se fosse sbucato dal nulla, ma non era il caso di fare tanto la sospettosa e di farsi tutti quei problemi per un semplice mercante, no?
Genere: Angst, Avventura, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Chichi, Goku, Nuovo personaggio, Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta, Chichi/Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 60

Un degno finale

 
La terra aveva tremato. Era stata una scossa forte, fortissima e improvvisa. Chichi si era buttata addosso alla piccola e fragile Videl, cercando di non mostrare il terrore che stava provando. Lo stesso avevano fatto gli altri, chi con maggiore prontezza, chi con qualche esitazione, ma sempre nella speranza di riuscire a proteggere le persone amate. Gohan e Junior avevano creato delle barriere energetiche attorno al gruppo dei superstiti. Non avrebbero potuto impedire loro di avvertire gli scossoni, ma almeno sarebbero stati al riparo dalle macerie.
“Mio Dio! Ma che cosa sta succedendo? Gohan, diccelo!”.
Crilin aveva pensato immediatamente che il giovane saiyan erede del potere di Vickas sapesse cosa aveva provocato quell’improvviso terremoto e, in effetti, Gohan sarebbe stato in grado di sapere, se non fosse stato così tanto distratto. Il dolore della povera Videl e la perdita di conoscenza dell’adorato fratellino avevano interrotto il labile seppur presente contatto con l’uomo che gli aveva permesso di ottenere abilità straordinarie. Gohan lo sentiva, sapeva che era lì, ma non era abbastanza concentrato da porre le giuste domande, dal chiedere cosa stava accadendo, dal sapere senza troppi giri di parole, senza troppe esitazioni, chi o cosa stesse facendo tremare il loro mondo.
“Figliolo…” – la voce calda di Junior lo aveva distolto dai suoi pensieri negativi. Il namecciano sapeva sempre come calmarlo, come aiutarlo, e lo stesso aveva fatto anche quella volta solo chiamandolo come neanche suo padre era solito fare.
“Junior… Non riesco a capire…”.
“Ma puoi farlo… Devi solo stare calmo… Devi stare calmo e concentrarti”.
“Ma è così difficile…”.
Junior sembrava impassibile. Era come se le scosse non lo riguardassero, come se non le avvertisse neppure. Era lì, in mezzo a quel gruppo di donne coraggiose, con le mani levate in aria e l’espressione seria mentre impediva ai detriti di cadere rovinosamente su chi aveva dimostrato di tenere alla vita più di ogni altra cosa al mondo.
Come si poteva non ammirarlo? Come si poteva non trarre forza da lui? Junior non era stato un semplice maestro, per Gohan. Era stato molto, molto di più, e continuava a esserlo ogni giorno, con la sua semplice presenza.
“Non devi più avere paura”.
E Gohan aveva annuito, chiudendo gli occhi e concentrandosi. No: lui non aveva più alcuna paura.

 
*

Paura.
Era quello il sentimento che per la prima volta in tutta la sua vita, la divinità che rispondeva al nome Oozaru stava provando. E non riusciva a credere che fosse a causa di un essere così insignificante se stava tremando. Quella nullità, quel saiyan così vile e piccolo lo aveva messo all’angolo, riducendo non solo il suo tramite, ma anche la sua reale essenza a un ammasso informe di sangue e materia ancestrale. Come aveva fatto? E come poteva aver resistito alla sua potenza. Era un uomo! Solo un maledettissimo uomo! Le abilità che aveva erano un suo dono, la capacità di tramutarsi in oozaru era solo una pallida ombra di quello che egli era in grado di fare! Eppure, quel misero omuncolo insieme a quel branco di invertebrati che abitavano sul pianeta Terra, erano stati in grado di respingerlo sino a farlo entrare con l’inganno in quel posto dimenticato dagli dei, in quel luogo da cui niente veniva e niente tornava indietro, se non a costo di un sacrificio immane.
Gli dei non avevano esitato, stavolta. Solo grazie a loro era stato possibile aprire la porta rossa. Quel branco di decerebrati che lo aveva condannato all’esilio eoni addietro non era formato da divinità poi così codarde come credeva! Avevano sacrificato le loro stesse esistenze pur di fermarlo.
Era certo che gli eredi di coloro che lo avevano imprigionato la prima volta non sarebbero intervenuti. Del resto, lo avevano lasciato giocare con i terrestri senza muovere un dito, gli avevano permesso di prendere il corpo di Trunks, di tornare a camminare sulla Terra in maniera concreta e tangibile, nel pieno delle sue forze e del suo vigore, mettendo tutto nelle mani di Vegeta e di Goku. Eppure, si era sbagliato.
Che avessero fatto bene, alla fine dei conti?
Quel Goku, poi… Kaharot, come lo chiamava Vegeta… Lo aveva fatto uccidere… Avrebbe dovuto vagare nel limbo al confine tra i due mondi, invece eccolo lì, dietro la porta rossa, insieme a lui e al re dei saiyan. Non poteva essere un caso. Dietro tutto ciò doveva esserci lo zampino di qualcuno, e cominciava a pensare di aver capito chi fosse la causa dei suoi continui fallimenti.
“Vickas…” – lo aveva sussurrato appena, noncurante dell’orrida sostanza che lo circondava. Sì, doveva essere colpa sua… Quel verme schifoso aveva architettato tutto a sua insaputa. Dopo tutto quel tempo, dopo che aveva creduto di averlo in pugno, di averlo ai suoi piedi, era stato tradito.
Gli aveva dato tutto. Potere, abilità straordinarie, ma lo aveva tradito ugualmente. Di nuovo, per giunta. Vickas, la sua creatura prediletta, quella che aveva plasmato a suo piacimento, era sfuggito al suo controllo. E lui, così impegnato a trovare il modo di sfuggire alla prigionia cui era stato costretto, così desideroso di ottenere il potere che aveva sempre agognato, non si era accorto di aver cresciuto una serpe in seno.
Sì… Doveva essere tutta opera sua. Era tutto frutto delle sue macchinazioni.
Ogni istante che trascorreva, il dubbio diventava certezza.
La volontà e la costanza nel volerlo liberare si era manifestata solo perché potessero giungere a quel momento. Quel lurido verme non voleva solo imprigionarlo e far sì che il peso della sua guardia ricadesse su un altro. Quel maledetto voleva ucciderlo! Ma nessuno avrebbe potuto sconfiggere un dio, nessuno! Neppure quello strano essere formato dalla singolare unione di due spiriti e un solo corpo. Nessuno avrebbe mai potuto fermarlo.
Goku e Vegeta avanzavano. Non vi era nessuna particolare espressione su quel volto conosciuto eppure così nuovo. Non era Goku. Non era Vegeta. In alcuni istanti sembrava che fosse l’uno, in altri che fosse l’altro, in altri ancora, che fosse una creatura completamente diversa e nuova.
Come aveva potuto, Vickas, giungere a maturare un simile piano? Quando aveva avuto il tempo di calcolare ogni cosa? Come aveva fatto, poi?
Non capiva cosa fosse in realtà quell’essere, né quale fosse la sua reale potenza. Sapeva solo di avere paura, Oozaru.
Ma sapeva anche che non poteva permettere che finisse in quel modo.
La creatura nuova e vecchia ormai lo aveva quasi raggiunto. Il piede destro avanti, poi il sinistro, poi di nuovo il destro e così via, con una lentezza snervante, con una calma addosso che non sembrava neppure reale.
“Noi siamo il boia” – aveva ripetuto – “E tu stai per essere condannato a morte”.
Gli occhi brillavano come rubini posti dinnanzi a un focolare acceso. Quei tizzoni ardenti avevano catalizzato l’attenzione di Oozaru molto più dell’energia accumulata davanti al palmo sospeso a mezz’aria. Volevano spazzarlo via. Volevano ucciderlo e lui non credeva di avere le forze necessarie a respingere un simile attacco. Era ferito, stravolto, in fin di vita, ma ancora deciso a far tremare chi aveva di fronte.
“Pensi che io abbia paura? Eh? Pensi che io possa tremare dinnanzi a te, nullità? Io non sono un comune mortale! IO SONO UN DIO!”.
Aveva allargato il braccio superstite, tirando la testa indietro. Degli splendidi capelli lilla di Trunks non era rimasto quasi niente. Delle morbide guance da bambino, neppure. Era un mostro quello che si ergeva davanti a loro, un mostro che stava mutando faticosamente, prendendo nuovamente la forma di oozaru. Perché lui era quello, lui era il feroce e potente dio Oozaru, la divinità davanti a cui gli uomini tremavano e a cui si rivolgevano per ottenere vendetta, l’essere che aveva preso e mai dato, colui che sarebbe diventato il padrone incontrastato dell’universo intero!
Con un ruggito, aveva raggiunto la sua forma finale. Se possibile, era diventato ancora più grande e imponente di prima, ancora più spaventoso per via delle mutilazioni che lo sfiguravano. Aveva ringhiato, Oozaru, ruggendo minaccioso verso il nulla che lo circondava, cercando di intimorire il piccolo, per lui insignificante essere che aveva davanti.
Non si era neanche trasformato. Davvero credeva di poterlo battere in quello stato così primordiale e debole? Non c’erano riusciti i saiyan di allora, e non ci sarebbero riusciti neanche loro!
E poi, aveva notato una cosa: Goku era arrivato lì in un secondo momento, giusto? Ciò voleva dire che esisteva un modo per uscire fuori da quella prigione, che poteva fuggire! Sì… Certo che sì.
Avrebbe solo dovuto disintegrare quella nullità e trovare la via d’uscita. Dopo, chi avrebbe potuto contrastarlo? Le divinità non c’erano più, sacrificatesi per permettere alla porta rossa di aprirsi. Vickas era morto. I terrestri erano deboli e inutili, ed eliminati quei due, nessun guerriero sarebbe stato alla sua altezza, neppure i figli di Goku. Doveva chiedere solo un ultimo sforzo a se stesso. Un ultimo, seppur incredibile, sforzo.
Aveva gettato nuovamente l’enorme testa pelosa indietro, ruggendo con ferocia. Da quella posizione innaturale e sbilenca, aveva spalancato le fauci, accumulando energia nel fondo della gola.
Conoscevano bene quella tecnica. Chiunque aveva avuto a che fare con un oozaru la conosceva, e chiunque avrebbe iniziato a tremare. Ma non loro. Non il boia. Con una calma innaturale, si era librato a mezz’aria. Ormai, l’energia elettrica si era propagata dal palmo della mano sino ad avvolgerlo completamente.
Energia. Era pura, splendente energia.
E quando Oozaru aveva provato a scagliare il suo attacco, quel nuovo essere aveva fatto lo stesso.
Poco prima di lanciare l’immenso lampo di energia proveniente dalle sue fauci, stranamente, Oozaru aveva incrociato gli occhi ardenti del suo nemico e si era bloccato. I peli si erano rizzati sulla nuca e alcuni, improvvisamente, avevano perso colore, diventando bianchi come la neve. Schiavo di quei tizzoni ardenti, contrastato da quella creatura nata per fare giustizia, si era paralizzato e nell’istante prima della fine, tutto gli era stato chiaro.
Nel buio di quella prigione, improvvisamente dissipato dalla luce prodotta dall’aura immacolata di chi si ergeva davanti a lui, li aveva visti: uno era lì, alla sua destra, l’altro era a sinistra, e l’ultimo, il più piccolo ma il più forte e coraggioso tra tutti, torreggiava lì, in alto, serio e fiero nonostante tutto. Ecco lì, il re, il suo suddito e il principe. Il primo, l’ultimo e l’erede, coloro che avrebbero dovuto rappresentare il presente e chi avrebbe dovuto rappresentare il futuro. Eccoli lì, i saiyan. Gli uomini che c’erano stati prima e dopo la venuta di Oozaru. Ed eccoli lì, tutti insieme, pronti a distruggere l’essere che aveva causato così tanto male nel mondo. Eccoli lì, pronti a dare tutto quello che avevano.
Era successo tutto in un lasso di tempo brevissimo.
In un’esplosione di energia che non si era vista neppure durante lo scontro finale contro Majin-Bu, Oozaru era svanito, sotto gli occhi terrorizzati e tremanti di chi, come lui, era stato condannato alla prigionia eterna.
Sotto lo sguardo ardente della creatura e dei suoi antenati, Oozaru era sparito per sempre.

 
*

“Siamo salvi?” – Crilin aveva avuto paura di chiedere, all’inizio, ma erano trascorsi diversi secondi dall’ultima scossa, i calcinacci avevano smesso di cadere e sembrava, finalmente, che la terra avesse smesso di tremare.
Senza esitare, le donne si erano rimesse in piedi, occupandosi dei superstiti e cercando repentinamente una via di fuga sicura. Quel posto, stranamente, stava cadendo a pezzi, e loro non volevano essere vittime di ciò che restava del simbolo del potere di Oozaru.
“Ce ne andiamo” – aveva detto colei che le capeggiava – “Non è sicuro stare qui”.
Con celerità, ignorando ferite e fatica, si erano dirette verso l’uscita, mostrando la ferrea volontà di lasciarsi alle spalle tutto quello che il breve dominio di un mostro aveva causato.
E lo stesso avevano fatto i nostri amici, seppur con qualche esitazione, seppure con un dubbio non svelato ma segretamente condiviso.
“Qualcosa non va… Ma non capisco di cosa si tratti” – Yamcha non si era preoccupato di sussurrarlo. Aveva lo sguardo fisso dietro di sé, proprio in direzione della porta rossa, e sembrava in allarme. Lo stesso valeva per C 18, per Crilin, e Chichi non aveva potuto non notarlo.
“Che cosa sta succedendo, ragazzi?”.
“Non lo sappiamo… Non riusciamo a capire… Ma… JUNIOR! GOHAN! CHE COSA STATE FACENDO?”.
Crilin non riusciva a credere che lo stessero facendo realmente: invece di raggiungere insieme a loro l’uscita, allievo e maestro avevano imboccato il percorso a ritroso, dirigendosi proprio davanti alla porta rossa, davanti alla maledetta porta rossa che li separava dal demonio in persona.
“GOHAN! TI PREGO, FIGLIOLO! TORNA INDIETRO!”.
Ma nessuna supplica sarebbe stata in grado di raggiungerlo e di impietosirlo.
“Junior… Lo hai sentito?” – era in trepidazione. Non poteva essersi sbagliato. Era impossibile. Quello era lui. Anzi, erano loro. Non poteva assolutamente essersi sbagliato.
Junior aveva esitato, chiudendo gli occhi e concentrandosi. Era stato un attimo, ma lo aveva percepito con chiarezza. Era Goku. E non era solo lui quello che aveva percepito. Aveva percepito anche Vegeta. Eppure, non erano realmente loro. Non avrebbe saputo come spiegarlo, né a se stesso, né a Gohan, né a chiunque altro.
“Figliolo…”.
“Perché papà si trova lì? Perché? PAPA’!! PAPAAAAAA’!!!” – lo aveva urlato con tutto il fiato che aveva in gola, prendendo la pugni la liscia superficie scarlatta.
“Papà…” – sarebbe stato sciocco credere che avrebbe potuto ricevere una qualche risposta, ma ci aveva provato ugualmente. Suo padre non poteva trovarsi là dietro, non aveva senso. Non si trovava lì con loro quando, insieme a Vegeta, avevano spinto Oozaru oltre la soglia della loro dimensione. Che cosa era potuto accadere?
Aveva preso un profondo respiro, estraniandosi da tutto ciò che lo circondava. Tutto, pian piano, aveva cominciato a perdere consistenza. Neanche la voce di Junior era stata capace di deconcentrarlo. Ed ecco che i suoi occhi si erano aperti nel buio, in un luogo oltre lo spazio e il tempo, oltre ogni dimensione possibile, e avevano visto. Avevano visto Vegeta, quello che era diventato, avevano visto elettricità nell’aria e le figure che gravitavano lì attorno, fiere e impassibili, per poi capire, finalmente, che le cose sarebbero state finalmente come dovevano essere, per poi capire che, finalmente, di Oozaru non vi era più traccia.
“FIGLIOLO!”.
Si era accordo di essere estremamente sudato, una volta ritornato in sé. Junior lo aveva aiutato per un brevissimo istante a rimanere sospeso, giusto il tempo che gli era servito per riprendere padronanza di se stesso. Avrebbe voluto spiegare quello che aveva visto, ma gli erano mancate le parole. Troppo grandi erano stati gioia e sgomento nell’apprendere la verità. Vegeta aveva battuto Oozaru. Vegeta, insieme al supporto di qualcuno che conosceva come le sue tasche.
Tremante, si era girato verso il suo mentore, abbracciandolo con tutta la forza di cui disponeva. Aveva gli occhi bagnati dalle lacrime, Gohan.
“Ragazzo… Che cosa…” – Junior aveva poggiato entrambe le mani sulle spalle del suo protetto, sorridendo. E sorrideva, Junior, perché aveva capito. Vickas ci aveva visto giusto, alla fine. Da abile giocatore di scacchi qual era, aveva previsto ogni cosa, facendo sì che la conclusione di quella spiacevole vicenda fosse esattamente quella che aveva preventivato.
“Ce l’hanno fatta… Ci sono riusciti… Ce l’hanno fatta, Junior!”.
Chichi e gli altri, che nel frattempo li avevano raggiunti, li stavano guardando, immobili. Avrebbero tanto voluto sapere cosa fosse accaduto, come mai Gohan fosse così scosso, ma non avevano osato muovere un ulteriore passo. C’era tensione fra loro, voglia di sapere cosa avesse turbato tanto l’erede dei poteri di Vickas, ma rovinare quel momento sarebbe stato come distruggere un fiore delicato. Di una cosa, però, erano certi: che quelle del giovane Son non fossero lacrime di dolore, ma di pura, irrefrenabile gioia.
“Alla fine, Vickas aveva ragione… Avevamo le carte giuste per batterlo… Sembra incredibile, ma è così”.
Il namecciano aveva atteso che Gohan si scostasse da lui prima di parlare, ma non aveva osato mollare la presa sulle sue spalle. Voleva che il suo allievo, che quel ragazzino che aveva cresciuto, si sentisse al sicuro accanto a lui. Lo amava come un figlio, forse anche di più, e non poteva sopportare di vederlo soffrire.
“Sì… È incredibile, ma è proprio così… Hanno sconfitto un dio… Ci pensi, Junior? Oozaru non esiste più! E tu sapevi che le cose sarebbero andate esattamente in questo modo… Ho ragione?”.
Non aveva risposto. Negare sarebbe stato vile, ma ammetterlo lo sarebbe stato in egual modo. Si sentiva strano, Junior, colpevole e innocente allo stesso tempo. Quando re Kaioh e le altre divinità dell’Aldilà lo avevano portato nel loro mondo, costringendolo a fuggire come un codardo, credeva che fossero del tutto usciti fuori di senno. Sparire proprio ora che c’era così bisogno di loro? Perché mai abbandonare tutti in un momento così delicato? C’erano nemici da battere, come potevano rimanere nascosti e non fare niente?
Re Kaioh gli aveva chiesto di placare il suo animo tormentato, supplicandolo, quasi, di ascoltare ciò che avevano da dire, e Junior aveva dovuto ingoiare il rospo, acconsentendo alla richiesta del simpatico e buffo sovrano, anche se gli era costato molto, molto più di quanto avrebbe mai immaginato.
Junior avrebbe voluto dire tante cose, a Gohan, ma non era quello il momento. E sì, sapeva che le cose sarebbero andate per il meglio, che Oozaru sarebbe stato sconfitto. Lo sapeva perché era a conoscenza del costo che aveva il sacrificio fatto dagli dei , lo sapeva perché… Perché lo sentiva nel profondo del cuore.
E avrebbe dovuto sentirlo anche Gohan, a quel punto. Per via del suo legame con Vickas, per via della sua nuova natura, così grande eppure così difficile da gestire.
“È finita. Solo questo conta”.
Ed era vero. Solo quello contava. Se non fosse stato solo per un piccolo particolare di cui nessuno si era accorto prima che una vocina non lo facesse notare loro.
“Mamma… Mammina…”.
“Goten? GOTEN!” – Chichi aveva gli occhi colmi di lacrime di gioia. Il suo piccolo si era svegliato! Goten si era svegliato e stava bene.
“Mammina… La porta… La porta!”.
Lo avevano sentito tutti, chiaramente, e si erano girati proprio nel punto indicato dal bambino con estrema sicurezza, reagendo nei modi più diversi.
“Sta svanendo” – aveva constatato C 18 – “La porta sta svanendo!”.
“Ha ragione! Guardate! Sta sparendo per davvero!”.
La leggerezza di quel momento aveva impedito loro di vedere quale fosse l’espressione dipintasi sul volto di Gohan.
“No…” – aveva sussurrato appena, protraendosi in avanti – “No… No… NO! NOOO!”.
Panico. Era stato assalito dal panico. Se la porta stava svanendo, perché in qualche modo legata alla presenza – materiale e non – di Oozaru sulla Terra, ciò poteva voler dire solo una cosa, una maledettissima, spaventosissima cosa.
“VEGETA! PAPA’! NO!”.
Aveva provato a fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non c’era stato modo di rendere le cose reversibili. Man mano che i secondi passavano, la superficie rossa diventava sempre più evanescente, e di lì a poco non sarebbe stata che un lontano, spaventoso ricordo.
Non poteva permettere che ciò accadesse. Non poteva perdere suo padre e Vegeta. Non poteva e basta!
“Per favore, no… Papà… Vegeta… No… NO!”.
Aveva ricacciato indietro le lacrime, creando una bolla attorno a sé nella speranza di riuscire a concentrarsi, nella speranza di ripetere quello che aveva fatto poc’anzi e di fare anche di più. Voleva mettersi in contatto con loro, Gohan. Voleva raggiungere Vegeta e chiamarlo a squarciagola, dirgli di non perdere la speranza, di non mollare perché non li avrebbe abbandonati per nessuna ragione al mondo, nessuna. A costo di perdere la vita.
Ma era difficile. Troppo, forse. E sarebbe stato impossibile se una voce familiare, ma stanca, tremendamente stanca, non lo avesse raggiunto, facendolo sussultare.
“Vickas?”.
“Mi hai sentito, finalmente…”.
“Sì. Sì, ti sento! Dove sei, Vickas? Ho bisogno di te! Papà e Vegeta sono lì dentro, loro…”.
“Ascolta, ragazzo… Non c’è molto tempo, ormai… Comincio a non farcela più”.
“Che vuoi dire?”.
“Ho bisogno di te, Gohan… Subito. Aiutami, e li tireremo fuori”.
“Dimmi cosa devo fare. Sono qui, Vickas. Per loro e per te”.

 
*

Non si erano resti conto di cosa fossero stati realmente in grado di fare fino a quando non lo avevano fatto. Era stato strano… Strano e diverso.
Non avrebbero saputo spiegarlo, ma era come se loro non fossero mai stati fisicamente protagonisti e risolutori di quello scontro. Era stato, più che altro, come se lo avessero visto al di fuori, alla stregua di spettatori di un film o di un’opera teatrale. Avevano visto tutto. Così come non solo avevano visto, ma avevano percepito la presenza dei saiyan di un tempo. Perché si trovassero lì non lo avevano capito. Quella non poteva essere la loro dimora eterna, non poteva essere il loro posto, eppure erano lì. Re, principe e suddito, uniti insieme a loro nella sconfitta di quel mostro spaventoso che li aveva maledetti.
Non si erano mai sentiti così forti e potenti e allo stesso tempo così calmi e pacati. Sapevano di potercela fare. Sapevano di aver raggiunto uno stadio superiore a quanto avrebbero mai potuto ottenere. Sapevano di essere diventati qualcosa che andava al di là del super che avevano ottenuto con sudore e lacrime.
Quando erano tornati a essere due individui separati, entrambi i saiyan avevano provato una sensazione di spiacevole mancanza, ma nessuno dei due aveva osato dire qualcosa a riguardo. Sarebbe stato fuori luogo e imbarazzante, soprattutto in un momento come quello.
“Stai bene?” – si era limitato a chiedere Goku, stanco e provato.
“Tsk! Mai stato meglio” – ma la voce di Vegeta tradiva stanchezza ed emozione, e non era difficile comprenderne le ragioni. Avevano sconfitto Oozaru. La sua aura non era più percepibile in alcun modo, ma quello aveva comportato una conseguenza probabilmente irrimediabile. La potenza della loro azione combinata aveva completamente distrutto l’essenza di quel mostro, ma anche il suo tramite, e questo poteva voler dire solo una cosa.
“Vegeta…”.
“Ti prego, Kaharot… Non dire niente…” – lo aveva interrotto bruscamente, mentre abbandonava il capo indietro, cercando di darsi dignità – “Sono qui, con te, nudo… Vorrei evitare di rendermi ancora più vulnerabile” – e ci stava provando davvero, Vegeta, ma nascondere le lacrime stava diventando difficile. Non era una reale vittoria, la loro. Soprattutto, non lo era per lui. Non gli importava di rimanere lì, in eterno. Lui voleva solo che suo figlio tornasse in vita, che avesse una seconda possibilità, che potesse tornare a correre e giocare come tutti gli altri bambini della sua età, che facesse arrabbiare la madre e inorgoglire i nonni con i suoi piccoli successi quotidiani. Voleva che la sua famiglia tornasse a essere esattamente come l’aveva lasciata, anche se lui non ci sarebbe stato. Voleva solo che tutto, per loro, tornasse come prima dell’arrivo di Vickas e di Oozaru. Ma sapeva benissimo che quel suo desiderio non sarebbe mai diventato realtà.
“Mmm…” – un capogiro. Vegeta aveva avuto un capogiro così forte da farlo crollare in ginocchio. Goku, prontamente, era giunto in suo soccorso, ma non potendo toccarlo non si era rivelato di grande aiuto. Per di più, il saiyan si era accorto di essere diventato ancora più evanescente. Che fosse stata la fine, per lui?
“Coraggio, Vegeta, tirati su!”.
“Tsk! Come se fosse… Come se fosse facile…”.
“Lo so che non lo è, ma devi almeno provarci”.
E ci aveva provato, Vegeta, ma era stanco e voleva dormire. Voleva solo dormire.
“Urca! Vegeta, non starai per svenire? Non farmi scherzi… Non farmi… Ma che succede?”.
Stava sprofondando. Il re dei saiyan stava sprofondando nel buio come se si fosse trattato di sabbie mobili.
“NO! NO E NO! MI RIFIUTO! VEGETA, ALZATI IMMEDIATAMENTE O GIURO CHE TI UCCIDO CON LE MIE MANI! ALZATI!” – ed era stato allora che lo aveva fatto: senza rendersi conto di come, Goku gli aveva cinto la vita con entrambe le braccia e lo aveva tirato su, ricacciando indietro i tentacoli di oscurità che avevano provato ad inghiottirlo.
Ma cosa doveva fare, adesso? Da che parte doveva andare?
“Vickas… Vickas… Mi senti? Dove devo andare? Dove?”.

 
*

Avrebbe tanto voluto dirglielo, il saiyan millenario, ma non ne aveva più le forze. Lì, nell’Aldilà, era in ginocchio, sudato e tremante per lo sforzo di mantenere aperto il passaggio, ormai ridotto a poco più di un fessura dorata. Non appena si era reso conto che la porta rossa stava svanendo, aveva recitato una formula segreta e aveva imposto le mani davanti sé, facendo sì che il passaggio verso quel mondo sconosciuto diventasse visibile.
Trunks e Bulma erano lì, accanto a lui, trepidanti. Non avevano potuto assistere alla scena, ma avevano capito che ormai la partita era stata vinta. Ma perché Goku e Vegeta non tornavano indietro?
“Vickas…”.
“Non ora, piccolo… Non ora…” – lo aveva appena sussurrato, ingoiando rumorosamente. Non avrebbe resistito ancora a lungo e se così fosse stato avrebbero perso tutto. Goku, suo padre, tutto. Tutto. E Trunks, piccolo e saggio, lo aveva capito perfettamente.
Per questo motivo, aveva preso un profondo respiro e si era girato verso sua madre, chiedendole perdono. Per questo motivo, si era trasformato in super saiyan senza alcuna esitazione. Per questo motivo, aveva attraversato, nonostante le urla, nonostante le proteste, quella sottile fessura dorata: perché voleva salvare le persone che amava.

 
*

“Coraggio, Vegeta! Coraggio!” – sotto gli sguardi dei saiyan di un tempo, i due giovani guerrieri stavano avanzando nel buio, questo nel tentativo di trovare l’uscita. Ma camminare stava diventando ogni istante sempre più difficile, soprattutto ora che Vegeta non riusciva più a collaborare. Poteva capirlo perfettamente, Goku. Il suo amico era sfinito, ma doveva resistere. Dovevano uscire da lì. Non poteva permettere che le cose finissero in quel modo!
“Urca! Vegeta, dai… Non vorrai che ti prenda in braccio proprio ora che sei con il sedere al vento! Sii reattivo!”.
Non credeva che avrebbe funzionato, invece era accaduto l’esatto contrario, perché il principe aveva riacquistato conoscenza, seppur a fatica, arrossendo, persino.
“Tsk! Vuoi… Vuoi piantarla?”.
“Allora non stai così male, alla fine!”.
Si era beccato una gomitata, e non poteva esserne più felice. Solo che, purtroppo, le cose erano più complicate di quello che potevano sembrare e l’ironia sarebbe servita a ben poco. Il buio avanzava, e lo faceva a una velocità tale da impedire loro di muoversi. La sostanza gelatinosa diventava sempre più densa.
Goku si era accorto di come la pelle di Vegeta avesse cominciato a scottare, sintomo che la febbre che lo aveva perseguitato era tornata, più aggressiva e debilitante che mai. E lui, poi… La gamba sinistra diventava sempre più evanescente. Stava per sparire. E se ciò fosse avvenuto, Vegeta sarebbe rimasto completamente solo.
“Urca! No, no, no! E voi, lassù! Non potete darci una mano, vero?”.
Si era rivolto agli spiriti dei tre saiyan che aleggiavano su di loro. Possibile che se ne stessero lì, immobili, a non fare niente? Cosa pensavano? Che stessero giocando? D’accordo, li avevano aiutati a sconfiggere Oozaru, ma quello era un momento altrettanto critico!
“Ho bisogno di voi!”.
Ma proprio mentre lo stava dicendo, Vegeta era caduto di nuovo, e stavolta non per colpa sua, ma perché il suo braccio, quello che lo reggeva, aveva perso consistenza, lasciandolo cadere rovinosamente al suolo. Il buio aveva ricominciato ad inghiottirlo.
“VEGETA!”.
Si era chinato su di lui, cercando di aiutarlo, di proteggerlo, senza riuscirci: ormai, quello che restava di lui gli passava attraverso.
“NO! No… No… VICKAAAAAS!!!! VICKAAAAAAS!!!”.
Aveva urlato il suo nome con tutto il fiato di cui disponeva. Lo aveva urlato fino a sentire il sapore del sangue in gola. Ma non c’era stata alcuna risposta da parte sua. Niente, neppure un segno. E loro, che avevano vegliato su entrambi fino a quel momento, erano svaniti nel nulla.
Erano soli. Goku e Vegeta. Soli e persi nel buio di un luogo da cui non sarebbero mai usciti. Soli e persi nell’oscurità di un mondo a cui non avrebbero dovuto mai essere destinati.
Ma ecco che, proprio lì, davanti a Goku, il saiyan che aveva giocato il suo stesso ruolo secoli addietro era apparso e, accanto a lui, era apparso poco dopo il suo re. E una luce, una luce dorata, in lontananza, stava avanzando veloce come una cometa. “Ma cosa… Cosa… Trunks? Non può essere… URCA! SEI TU! TRUNKS!”.
Era lui. Era veramente lui.
“Goku, prendi papà! Dobbiamo andare, adesso! PRENDILO!”.
Aveva chiuso gli occhi per un istante, Goku. Aveva chiuso gli occhi e aveva raccolto tutte le energie che gli erano rimaste, facendo ciò che gli era stato chiesto. E, finalmente, aveva capito perché Trunks si era trasformato e perché non si era avvicinato. Perché, per tornare indietro, avrebbero dovuto seguire la sua scia.

 
*

Era al limite. Non avrebbe retto un secondo di più. Ormai, le sue energie si erano completamente prosciugate. Se stava resistendo, era perché aveva fatto una promessa, perché una donna stava piangendo un marito, un figlio e un amico, perché l’universo intero aveva riposto le sue aspettative in lui.
Era difficile. Era così difficile. Le membra tremavano e ormai non riusciva neanche più a tenere gli occhi aperti. Stava morendo. E lo stava facendo nello spirito, più che nel corpo. Proprio come Goku nella dimensione oscura, Vickas stava diventando evanescente. Eppure, doveva resistere. Ora che anche il piccolo Trunks si era lanciato lì, attraverso quel portale che non avrebbe neanche dovuto essere visibile, doveva per forza resistere.
Aveva tossito, spuntando sangue. Gli occhi di tutti erano puntati su di lui. Ma non doveva cedere.
“Coraggio, Vickas!” – lo stava esortando Dende – “Coraggio”!”.
Ed ecco che, quando il portale stava per chiudersi, aveva sentito una nuova energia invaderlo e il peso del mondo sembrava essere diventato più lieve, più sopportabile. La sua presenza era forte, vigile. Era lì, Gohan, dall’altra parte del mondo, ma c’era. E stava facendo qualsiasi cosa pur di aiutarlo.
“Ragazzo…”.
“Te lo devo, Vickas… Lo devo a tutti voi”.
L’aiuto di Gohan era arrivato come una manna dal cielo.
Si era sentito meno stanco, ma se Trunks non li avesse trovati, non avrebbero potuto mantenere il portale aperto in eterno. Qualcosa sarebbe potuto uscire. E, proprio come temeva, ciò stava accadendo. Purtroppo, densi e vischiosi tentacoli di oscurità avevano abbandonato quel luogo di disperazione per tentare di insinuarsi nell’Aldilà. Uno di loro aveva raggiunto Vickas, troppo stanco per potersi scansare, facendogli perdere per un attimo la concentrazione. Il portale si era stretto ancora.
“Vickas! Che cosa succede?”.
“Gohan… Non ce la faccio più… Gohan!”.
“Vickas, ti prego!” – Bulma si era gettata ai suoi piedi, avvinghiando uno di quei tentacoli con entrambe le braccia e tirandolo indietro per liberare colui che tanto li aveva aiutati – “NON MOLLARE!”.
E i namecciani, persino loro si erano precipitati in suo soccorso. Tutti volevano contribuire, tutti volevano salvare Goku, Vegeta e Trunks.
Con uno sforzo immane, supportato da quelle persone così coraggiose, Vickas si era rimesso in piedi, chiudendo gli occhi e concentrandosi per connettersi meglio con Gohan e ampliare le dimensioni del portale.
Ancora qualche istante.
Ancora insidiosa oscurità.
“Non ce la faccio più. Non ce… La faccio… Più…”.
E mentre Vickas stava svenendo, mentre le ultime energie lo stavano  abbandonando, il miracolo era avvenuto: accompagnati da un soffio di vento, guidati dal chiarore dorato di Trunks, gli eroi erano affiorati dal buio come bambini appena usciti dal ventre materno.
“TRUNKS! VEGETA!” – aveva urlato Bulma, in lacrime – “GOKU!”.
Seguita dai namecciani e da coloro che erano rimasti, la turchina aveva abbracciato due di quei tre folli saiyan, piangendo e ridendo allo stesso tempo. Avrebbe voluto fare lo stesso con suo marito, ma la forma in cui si trovava non glielo avrebbe consentito.
“Siete tornati! Oh, dei, vi ringrazio! Siete veramente tornati!”.
Troppo grande era stata l’emozione, grande a tal punto da non permetterle di rendersi conto che Vegeta, il suo Vegeta, non aveva ricambiato l’affetto che aveva cercato di dimostrargli.
“Amore… Amore mio… Vegeta… Apri gli occhi… Guardami…”.
Si era chinata su di lui, cercando di coprirlo col suo corpo come meglio poteva. Sapeva che suo marito non amava mostrarsi a occhi indiscreti. La pudicizia di Vegeta era quasi comica, oltre che tenera e da rispettare, e non voleva che si sentisse a disagio, una volta riaperti gli occhi. Perché suo marito avrebbe riaperto gli occhi al più presto, ne era certa.
“Forza, Vegeta… Su!”.
Era così presa da non essersi resa conto che, poco lontano, Vickas era caduto rovinosamente a terra, scosso da un tremore incontrollabile. Era spaventosa, quella scena: i suoi occhi erano completamente bianchi e una densa schiuma gli si era raccolta all’angolo della bocca.
Pochi istanti dopo, lo stesso era capitato a Vegeta, e il panico aveva assalito i presenti con la sua stretta soffocante.
“Papà! Papà! Ma che cosa stava succedendo? Che cos’hai? PAPA’!”.
Trunks era disperato. Non poteva perderlo. Non dopo tutta la fatica che aveva fatto per riportarlo indietro. Non poteva perderlo e basta!
“Ti prego, apri gli occhi! Papà! Papà!”.
Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, stringerlo, scuoterlo, fargli sentire che era lì e che non lo avrebbe abbandonato. Avrebbe preso anche la sua mamma e l’avrebbe costretta a stringersi a loro, se necessario, dimostrandogli così di essere una famiglia vera, unita e indivisibile. Ma non poteva. Quel piccolo saiyan così coraggioso eppure così spaventato, non poteva fare niente per far sentire il suo calore a quel padre che amava più di ogni altra cosa al mondo.
“Papà… Ti prego… Papà… No…” – non avrebbe voluto piangere, ma non era proprio riuscito a trattenersi. Era troppo grande il dolore che stava provando.
I namecciani erano come impietriti. Che altra reazione avrebbero potuto avere davanti a una scena del genere? Davanti a un simile strazio? Una famiglia non aveva neanche avuto il tempo di riunirsi che già stava per perdersi per sempre. Per quale motivo il destino aveva scelto di essere così crudele verso quell’uomo e i suoi cari? Non aveva espiato abbastanza? Vegeta non era più l’essere crudele di un tempo. Non era più il mostro senza cuore che aveva sterminato intere popolazioni e distrutto pianeti. Era un uomo diverso, un uomo buono che aveva sacrificato ogni cosa per un bene superiore. Perché doveva soffrire ancora?
“Mmm… Mmmm…” – Vickas aveva provato a mormorare qualcosa, ma era stato impossibile capire se fosse solo un rantolo di dolore o qualcosa di diverso. Dende gli si era accostato e gli aveva delicatamente sollevato busto, mettendolo poi su un fianco per evitare che ingoiasse la sua stessa lingua. Non poteva fare altro per lui, in quel momento. Persino i suoi poteri erano inutili.
Dovevano solo cercare di stare calmi e aspettare. Nel bene o nel male, quella crisi sarebbe dovuta finire, prima o poi.
Ma Dende non sapeva che se fosse riuscito a concentrarsi avrebbe visto ciò che stava vedendo Vickas. Il saiyan millenario era in contatto con Gohan, lì, a metà tra questo mondo etereo e quello terreno, deciso più che mai a non far sì che quel giovane si perdesse proprio come era capitato a lui.
Per fortuna, Gohan non aveva sortito alcun effetto dallo sforzo effettuato per mantenere aperto il portale. Il fisico forte e l’aver avuto la possibilità di rimanere sulla Terra erano stati un vantaggio non indifferente. Ma nonostante questo, Gohan non era in grado di aiutarlo. Nessuno avrebbe potuto farlo, era questa la verità. Vickas doveva pagare. Esattamente come Vegeta, doveva espiare le colpe commesse in passato, e questo lo aveva appreso sin da subito, sin da quando aveva scoperto l’esistenza di quei saiyan, gli ultimi, e che essi erano in qualche modo gli eredi di coloro che centinaia di anni addietro avevano interrotto l’egemonia di Oozaru ancora prima che iniziasse.
Quello era stato l’inizio della fine. Dopo un’infinita attesa, avrebbe potuto liberare se stesso e l’universo intero da quel fardello che lo aveva consumato sia nel corpo che nello spirito.
Il piano che aveva deciso di attuare non era facile, ma neanche impossibile, e quello che era successo lo aveva dimostrato. Certo, erano stati necessari enormi sacrifici, ma alla fine erano arrivati esattamente dove aveva voluto che arrivassero. Oozaru era stato sconfitto. Non imprigionato, ma sconfitto, distrutto, eliminato. E lui lo aveva visto. Non sapeva se Oozaru se ne fosse accorto o meno, ma lui era stato lì per tutto il tempo, a gustarsi la scena, a sorridere e a maledire quella bestia che aveva causato dolore e trambusto alla sua famiglia, ai saiyan e all’universo intero. Avrebbe voluto aiutare Goku e Vegeta a sferrare il colpo di grazia, ma non era stato necessario. I due guerrieri, quelle due persone così simili eppure così diverse, avevano trovato in piena autonomia la chiave di volta per vincere quello scontro.
Nessun suggerimento era uscito dalle sue labbra. Avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa, ma l’esito finale non sarebbe stato lo stesso. Goku e Vegeta avrebbero dovuto far fruttare autonomamente gli spunti e i suggerimenti che aveva distribuito lungo tutto il loro percorso. Lui avrebbe solo dovuto dargli la spinta necessaria per non mollare, e così aveva fatto.
I due uomini non sarebbero più stati quelli di un tempo, dopo quella esperienza, ma questo poteva solo essere un bene. Di certo, sarebbero stati molto più uniti, molto più vicini. Sempre se Vegeta avesse avuto la forza di reagire. Quella era l’unica cosa che non aveva previsto. Eppure era successa: in qualche modo, il re dei saiyan era entrato in simbiosi con lui, patendo le sue stesse sofferenze, i suoi stessi tormenti.
“Vickas… Vickas…”.
“Ragazzo…”.
“Ce l’abbiamo fatta. Sono fuori… Tutti!”.
“Sì… Ce l’abbiamo fatta per davvero, alla fine”.
“Ma Vegeta… Perché tu e lui… Io… Non capisco”.
“Mi dispiace, ragazzo. Questa è una cosa che non so spiegare né a te né a me stesso…”.
“Però… Guardalo…” – e lo aveva indicato. Vegeta se ne stava lì, a pochi passi da loro, accovacciato, confuso, quasi spaventato.
“Lui non dovrebbe trovarsi qui. Nessuno di noi dovrebbe”.
“Sì, Gohan… Hai ragione”.
“Ascolta… So che non è il momento più adatto, ma io vorrei… Voglio cogliere questa occasione per ringraziarti, Vickas”.
“Come?” – questo proprio non se lo aspettava.
“Hai capito bene. Volevo ringraziarti. Penso che tutti noi dovremmo farlo. Noi saiyan, perché grazie a te, abbiamo scoperto la verità sulle nostre origini acquisendo abilità che non avremmo avuto, capendo realmente la differenza tra l’essere delle bestie mostruose e degli esseri umani. Grazie a te, alla tua perseveranza, il sacrificio ha assunto tutto un altro valore. Grazie a te, che hai creduto in noi, Oozaru, finalmente, non c’è più. Per questo, Vickas… Grazie. Comunque vadano le cose, grazie”.
Per la prima volta da quando si erano incontrati, Vickas non aveva saputo che cosa dire. Tante volte era rimasto in silenzio, trattenendo una battuta di troppo o un commento sarcastico, ma quella volta era diverso. Per la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, un altro essere umano gli aveva mostrato riconoscenza. Forse, se avessero avuto un altro po’ di tempo da trascorrere insieme, quel ragazzo così simile a lui, quello specchio in cui si rifletteva, avrebbe persino potuto provare affetto nei suoi confronti. Vickas, però, sapeva bene che un simile lusso non gli sarebbe mai stato concesso e che il tempo a sua disposizione stava per esaurirsi.
Per questa ragione si era limitato a sorridere, sperando che ciò potesse essere abbastanza. La loro missione non era ancora terminata, del resto. C’era ancora una cosa che i saiyan dalle stesse abilità dovevano fare.
“Riportiamolo indietro” – aveva detto Vickas, serio e deciso – “Restituiamo quell’uomo alla sua famiglia”.
Quella sarebbe stata l’ultima volta in cui si sarebbero visti, percepiti, parlati. A Gohan dispiaceva, e non poco. Sperava di poter apprendere di più da quell’uomo straordinario, ma sapeva bene quanto tiranno potesse essere il tempo, a volte, soprattutto quando si metteva d’accordo con ciò che gli umani chiamavano Fato. Vickas sarebbe stato una perdita non indifferente, ma perdere Vegeta sarebbe stato molto peggio. E né lui, né Vickas stesso avrebbero mai potuto permetterlo.
“Quando vuoi, maestro”.
“Dopo di te, ragazzo”.
La luce dei due saiyan aveva vinto il buio. Era bastato che entrambi chiudessero gli occhi e, per la prima volta da quando le loro menti erano entrate in contatto, non vi era stato niente di doloroso, di forzato. Tutto era stato naturale e semplicemente perfetto, proprio come doveva essere.
Gohan e Vickas si erano mossi all’unisono, proprio come se fossero stati una cosa sola. E, insieme, avevano raccolto Vegeta, o quello che ne restava, guidandolo dove avrebbe dovuto essere sin dall’inizio, aiutandolo a tornare a casa.

 
EPILOGO
 
Erano trascorsi tre giorni da quando ogni cosa era tornata esattamente come doveva essere.
Ancora una volta, le sfere del drago erano state fondamentali per ripristinare l’ordine. Quella volta, Dende le aveva evocate quando ancora si trovavano tutti nell’Aldilà, e lo aveva fatto non appena Vegeta aveva ripreso conoscenza.
Nessuno, tra loro, avrebbe mai potuto dimenticare quel momento. Erano stati testimoni di un evento a dir poco memorabile. Non erano stati in grado di vedere con esattezza chi o cosa fosse comparso: mentre la famiglia Brief piangeva Vegeta, una calda luce dorata era apparsa dal nulla, rischiarando la pelle ustionata e sudata del re dei saiyan. Anche se non li avevano visti, era chiaro che Gohan e Vickas fossero lì, proprio in quel chiarore, e nello stesso istante in cui la luce era scomparsa, Vegeta aveva smesso di tremare, aprendo gli occhi e scoprendosi completamente guarito. Non c’era più neanche una cicatrice sul suo corpo, non vi era nessuna traccia di ustione. Era lui, semplicemente lui, in salute e fiero di aver ritrovato le persone che amava. La commozione dei presenti era stata a dir poco contagiosa. Persino Vegeta aveva le lacrime agli occhi, ma non aveva pianto. Nonostante si trattasse di lacrime di gioia, aveva preferito tenerle al suo posto. Aveva altre cose a cui pensare, adesso. Aveva una vita da vivere, e voleva trascorrerla accanto a chi amava.
Per questo, il primo desiderio che aveva espresso al grande drago Shenron, era stato quello di riportare in vita tutte le persone vittime della crudeltà di Oozaru. Tutte, nessuna esclusa, persino coloro che non erano di animo gentile.
Bulma era stata la prima a tornare in vita, seguita da Goku. Poco dopo, le divinità sacrificatesi per un bene superiore erano riapparse tra lo sgomento e lo stupore di tutti. Sulla Terra era successo lo stesso: Tenshing, Rif e tutti i terrestri vittime del malefico piano di Oozaru erano tornati indietro, completi, felici, forse un po’ in colpa con se stessi per aver preso una decisione avventata e decisamente sbagliata. Di una cosa erano certi, però: avrebbero avuto tutto il tempo del mondo per rimediare. Tutto il tempo del mondo.
Il secondo desiderio era servito per riportare il mondo alle sue condizioni originarie. Niente più macerie venute giù dal palazzo di Vickas, niente più terra brulla, niente più villaggi sporchi e poveri. Le valli e il boschi erano tornati più verdi e rigogliosi di prima, così come le città, le strade e le persone che, consapevoli di quanto era successo, avevano iniziato a comportarsi in modo diverso, forse più responsabile, forse più umano.
Chichi aveva riabbracciato i suoi figli, suo marito, Videl aveva fatto lo stesso con suo padre. E Vegeta… Vegeta aveva riabbracciato Bulma, quella vera, quella che gli aveva chiesto mille volte scusa per come si era comportata, per come lo aveva trattato.
Ma non aveva potuto fare lo stesso con un'altra persona. Nessuno dei due aveva potuto abbracciare il piccolo Trunks.
Purtroppo, il suo corpo era andato distrutto durante lo scontro finale contro Oozaru, e neppure Shenron era abbastanza potente da poterlo ricomporre e rianimare.
Quel piccolo, coraggioso saiyan avrebbe dovuto rinunciare a tornare in vita.
Quello sarebbe stato il triste epilogo di quella storia se solo non fosse accaduta un’ultima cosa apparentemente impossibile.
Stavano per lasciare il mondo degli dei. Tra l’ilarità comune, solo i due genitori affranti erano rimasti indietro, e non per puro caso.
La fessura tra il loro mondo e quel posto dimenticato da tutti si era ormai richiusa completamente, ma qualcosa aveva fato sì che da un piccolo, minuscolo spiraglio, qualcuno che avevano visto solo per un breve istante comparisse, mostrando se stesso e ciò che portava con sé solo a Bulma e a Vegeta.
“Ma tu… Tu sei…”.
La donna dai capelli turchini aveva portato entrambe le mani alla bocca, cercando di soffocare l’urlo di sgomento e gioia che stava per venire fuori. Quello che aveva davanti, seppur evanescente, seppur stanco, era la copia esatta di suo marito: quello era il re dei saiyan vissuto ai tempi di Vickas. E portava con sé un dono, quell’uomo così simile al suo Vegeta: portava con sé il corpicino intatto di Trunks.
Senza dire una parola, il sovrano di un tempo si era avvicinato a quello attuale e, guardandolo negli occhi, gli aveva sorriso, fiero, consegnandogli il più prezioso tra i tesori prima di congedarsi da lui per sempre.
Non avevano idea di come ciò fosse stato possibile, ma a quel punto, importava veramente? Trunks poteva tornare in vita. Il loro piccolo, adorato bambino, avrebbe ricominciato a ridere, a giocare e a combinare un guaio dietro l’altro. La loro famiglia sarebbe tornata insieme, più unita che mai, e niente al mondo avrebbe mai più potuto separarla.
Sgomento? Gioia? Incredulità? Erano questi i sentimenti apparsi sui visi di chi, improvvisamente, aveva visto comparire il corpo del saiyan dei capelli lilla in braccio al padre. Trunks era lì, con loro, chissà come, chissà perché. Adesso, esprimere l’ultimo desiderio avrebbe avuto senso. Adesso, ogni cosa sarebbe tornata veramente al proprio posto.
Il ritorno sulla Terra era stato la vera e propria ciliegina sulla torta. L’accoglienza riservata agli eroi trionfanti non aveva avuto pari, e Bulma e sua madre non avevano perso tempo, decidendo di mettere su un sontuosissimo banchetto seduta stante. Vi avevano partecipato tutti, ma proprio tutti, col loro entusiasmo contagioso e con una gioia di vivere addosso che mai prima di allora avevano palesato con tanto ardore.
E Vickas?
Il suo, era l’unico tassello che ancora non aveva trovato la giusta collocazione. Nessuno sapeva che fine avesse fatto. Era semplicemente sparito. Nel bel mezzo del trambusto creatosi dopo l’arrivo improvviso dei superstiti, si era letteralmente volatilizzato.
Che fosse morto? Che si fosse nascosto? L’unico che avrebbe potuto dire qualcosa a riguardo, forse, era Gohan, ma il giovane Son continuava a fare il vago, cambiando argomento o fingendo palesemente di non sapere nulla a riguardo ogni volta che gli veniva posta una domanda scomoda. Una cosa era certa: non era più lo stesso saiyan di prima. Ma chi poteva non essere cambiato, del resto, dopo aver vissuto un’esperienza così traumatica?
Oozaru, con la sua cattiveria, con la sua sete di potere, li aveva messi alla prova.
C’era da dire, però, che con due persone era stato particolarmente duro e intransigente. E quelle due persone, si trovavano sull’ampia terrazza di casa Brief, con le braccia a penzoloni sulla balaustra e lo sguardo fisso verso la luna, più piena e splendente che mai.
Inizialmente, aveva esitato. Non sapeva come avrebbe reagito nel vederla, nel sentire ciò che aveva da dirgli, così come non sapeva se avesse mai trovato il coraggio di parlargli. Era così… Così… Non avrebbe saputo definirlo. Era fiero? Certamente. Coraggioso? Senza dubbio. Era… Buono? Umano? Più di chiunque altro. Per questo, sorridendo per darsi coraggio, aveva preso un altro bicchiere di cocktail e si era incamminata a grandi passi verso di lui, porgendogli il liquido ambrato senza dire una sola parola.
Le tremavano le mani, ed era certa di aver iniziato a sudare. Si sentiva come una sciocca adolescente alle prime armi. Ma perché, poi?
Si era girato nella sua direzione con decisione, rivolgendole uno sguardo quanto più che mai neutro nel tentativo di mascherare l’imbarazzo che, ahimè, stava provando.
Era stato in fin di vita. Aveva sofferto immensamente, a volte era stato in una sorta di stato catatonico, ma non avrebbe mai potuto negare di essersi accorto di ciò che quella donna aveva fatto per lui.
Lei, che tanto lo aveva odiato, temuto, disprezzato, era stata l’unica a prendersi cura di lui. Lei, così severa, così intransigente, lo aveva coccolato come un bambino, soffrendo per lui e con lui, consolandolo e facendolo sentire protetto e amato.
Avrebbe dovuto ringraziarla, forse, farle un regalo. Ma lui non era capace di simili gesti, se non dettati dalla tragicità del momento.
Per questo, aveva appena accennato un sorriso, prendendo il bicchiere che gli veniva offerto e facendole spazio per lasciarla sistemare a pochi centimetri da lui.
“Che piacevole serata…” – aveva commentato lei, cercando di rompere il ghiaccio – “Da qui la vista è un vero spettacolo”.
Ancora silenzio. Lo aveva visto guardare fisso nel contenuto del bicchiere, come se dentro potesse esserci una risposta o anche solo un indizio. Poi, sempre in silenzio, lo aveva visto portarselo alle labbra e bere una lunga sorsata, a occhi chiusi. Non avrebbe potuto aspettarsi altro, del resto. Ma non si sarebbe fermata. Non quella volta. Non dopo la paura provata alla sola idea di poterlo perdere.
“Volevo ringraziarti”.
A quelle parole, si era irrigidito. Lei voleva ringraziare lui? C’era qualcosa che non andava. Forse, dopo tutto quel trambusto, aveva perso il senno!
“Volevo ringraziarti per non esserti arreso. Mai. Per aver continuato a lottare, per averci dimostrato che tutto può succedere. Per esserti mostrato per quello che sei… Per avermi… Sì, per avermi aperto il tuo cuore”.
Ero certo che un lieve rossore avesse imporporato le sue gote. Non amava quel genere di esternazioni. Poi, lui? Aprire il suo cuore a lei? Aveva detto o fatto qualcosa di cui non aveva memoria?
“Sei un vero re, Vegeta. Non importa che tu non abbia una corona sulla testa o un popolo su cui governare. Sei un re perché ci hai mostrato che dietro una bestia può nascondersi un uomo. Sei un re perché ci hai dimostrato di avere la cosa più importante…”.
Non sapeva perché lo avesse fatto, stava di fatto che, senza neanche rendersene conto, si era girato verso di lei, guardandola negli occhi.
“Perché hai dimostrato di avere cuore”.
D’istinto, senza pensare, Chichi aveva posato una mano proprio lì, al centro del suo petto, sorridendo per mascherare il pianto in procinto di affiorare.
“Chichi… Io…”.
“Il mio principe! Il mio principe! IL MIO PRINCIPE!”.
Quello strano, inaspettato momento era stato interrotto dall’improvviso arrivo della piccola Marron.
Agghindata come una vera principessa, con i capelli acconciati in tanti boccoli biondi e con addosso un abito azzurro degno di Cenerentola, era piombata addosso a Vegeta, stringendolo con tutto il calore e tutta la forza di cui disponeva una bimba della sua età.
“Tu sei il mio principe! Grazie per avermi salvata! Grazie per averci salvati! Grazie!”.
La piccola non si staccava dal suo collo, e Vegeta, imbarazzato e ormai al limite della vergogna, era rimasto impietrito per l’ennesima volta, incapace di capire cosa si dovesse fare o meno in un momento del genere.
Marron lo stava letteralmente mangiando di baci e, alla fine di quello slancio affettivo, quando ancora era in braccio a lui, gli aveva dato un disegno.
“Questo è per te!” – gli aveva detto, schioccandogli l’ennesimo bacio – “Ti voglio tanto bene, Vegeta”.
Così, tra l’imbarazzo e l’orgoglio, il re dei saiyan aveva preso il dono che gli era stato fatto, scoprendo finalmente come lo vedeva la figlia di Crilin e C 18: come un principe coraggioso e fiero, ma capace di sorridere come un essere umano.

 
Fine
 


E così, siamo veramente giunti all’ultimo capitolo.
Non mi sembra vero. Dopo più di un anno, questa storia è giunta alla sua conclusione, tra alti e bassi, tra ritardi e non, tra momenti di ilarità e altri di pura agonia.
Vickas e Oozaru ci hanno accompagnato in questo lungo viaggio fatto di misteri e tradimenti, Vegeta e Goku ci hanno dimostrato – ognuno a modo suo – cosa vuol dire amare, e qual è il reale significato della parola sacrificio. Bulma, Tenshing e gli altri malcapitati ci hanno insegnato che agli errori si può rimediare e Chichi… Chichi… Ditemi voi cosa pensate di lei, della bella mora che ha scoperto che dietro una bestia può nascondersi un uomo.
È doveroso, per me, ringraziarvi tutti.
Ringraziare chi è stato con me sin dal primo istante e chi lo ha fatto solo per poco. Chi ha pianto, riso, “sclerato” per ogni mia follia o qual si voglia cattiveria.
Grazie di vero cuore. Senza di voi che siete lì, pronti ad aspettare, il mio lavoro non avrebbe senso.
GRAZIE.
Per ora, non mi resta altro da fare se non salutarvi.
Ma questo non è un addio… È solo un arrivederci! A quando? Non lo so! Con che cosa? Non so dirvi neanche questo, ma tornerò… Starà a voi dire se questa è una promessa o una minaccia!
Buon proseguimento a tutti!
Vi voglio bene!
Sempre vostra
FairyCleo
   
 
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