Requiem della Sabbia
…Ho
Sete…
Sabbia… Sabbia
rossa e deserto… Ovunque Caron volgesse il capo. Ma aveva ormai da tempo smesso
di cercare qualcosa con lo sguardo in quel nulla torrido. Erano giorni… Giorni
interi che camminava senza sosta nel deserto di Amun-Kharak… Oramai era certa
che le dune fossero tutte sorelle… differenti eppure sempre uguali… Sfilando
davanti ai suoi occhi stanchi e roventi senza sosta e senza pietà. Non
guardavano più, i suoi occhi; vedevano soltanto. Seguivano il capo che
oscillava troppo provato per non danzare come sulla soglia del sonno. Le labbra
secche, schiuse appena, lasciavano passare il suo respiro che ansimava stanco,
come se volesse sussurrare una melodia fatta solo di vocali simile a quelle che
si bisbigliano a un infante per cullarlo sul far della sera. Eppure non emettevano
alcun suono, nemmeno quello delle parole che più facevano eco nel suo capo…
…Ho Sete…
Sabbia… Sabbia
sotto i suoi stivali… Dentro si essi… Sabbia che dietro di loro il vento
sollevava cancellando presto le tracce… Loro… Con un gesto ormai ripetuto
troppe volte, Caron si sforzò di risistemare il corpo del fratello stremato sulla
sua spalla. Tenendone il braccio intorno al collo, ancora lo portava come se
volesse sostenerne il passo, ma, da ormai più di un giorno, la sua mente aveva
abbandonato la veglia e le sue gambe non camminavano più, lasciando una traccia
serpeggiante a fianco delle impronte di Caron… Il solco durava un poco di più
delle orme, poi il vento… e la sabbia… arrivavano a riparare la perfezione
uniforme che loro avevano spezzato.
Quando il capo
stanco di Caron si inclinava a lungo verso il basso e il suo sguardo lasciava
l’orizzonte, immergendosi nella sabbia rossa, il deserto portava il suo
pensiero al passato più recente, a come erano giunti a vagare nel suo grembo
riarso.
…Si erano uniti a
una spedizione… Una spedizione di saccheggiatori di tombe… Ma loro si
definivano “avventurieri”… Erano persone avide… bramose di fama e potere. Era
stato Mephisto, suo fratello, a udire le loro conversazioni mentre facevano
provviste al mercato della città di Nemrhol. Era stato sempre lui a suggerire
di aggregarsi a quei viaggiatori. Caron sapeva da sempre che suo fratello era
nato per essere una mente brillante e di un’arguzia inarrivabile. Per questo
aveva sempre lasciato a lui le scelte su cosa fosse meglio fare, dove fosse
meglio andare… Ma, da quando avevano lasciato la torre di loro padre, le
decisioni si erano fatte via via più ambiziose, via via più guidate da un gioco
di probabilità di cui solo lui poteva comprendere i contorni e le regole.
Lei sapeva di non
essere stata creata per assemblare complesse strategie… Solo una cosa voleva:
dare la caccia a tutti gli abomini che, come loro padre, avevano sfuggito le
leggi della vita e della morte per portare sofferenza agli altri… E questo
anche lui lo voleva: l’odio che provava per il padre, per la sua, per la loro
prigionia era un’ossessione che lo divorava al pari del rimorso di Caron. Ma,
un poco per volta, aveva visto le scelte di suo fratello soccombere sotto quel
peso e cominciava a pensare che, per colmare quel dolore, il fratello stesse iniziando
a cercare il potere che gli facesse scordare la sua schiavitù.
L’istinto di Caron
non aveva mai lasciato davvero la torre… le arene e i campi di battaglia non
concedono ai loro ospiti lunghi pensieri… come gli animali, chi vive con
l’acciaio deve conoscere il nemico dall’odore, dallo sguardo. Non si fanno cene
di gala in battaglia. E, anche ora che era fuggita, Caron giudicava dagli occhi
e col cuore… E quelli degli uomini che avevano affiancato erano gli occhi che
aveva fissato quando era la gelida inviata del padre… Quando consegnava l’oro
dello stregone non-morto ai mercanti di schiavi che lo scambiavano con le cavie
umane che sarebbero perite nei sotterranei della torre. Erano gli occhi di chi
non riconosce valore oltre a quello che può spendere…
Ma Mephisto aveva
detto che era… sì, aveva detto che era un rischio calcolato… La tomba di Kharak
era anche la loro meta, in fondo… le aveva ricordato con quale orrore persino i
nomadi del deserto parlassero dei fanatici di Sama-Skamuridan che lì avevano
fondato una setta blasfema… Essi come loro guida avevano scelto l’antico e
sanguinario faraone Amun-Kharak… Morto settecento anni prima con una velenosa
maledizione nel cuore, in attesa che qualcuno lo risollevasse dall’oltretomba per
tornare a terrorizzare le distese di sabbia che si diceva fossero tinte dal
rosso del sangue delle sue vittime.
Da anni quella
maledizione era stata risvegliata… E loro avevano seguito la traccia di dolore
e lacrime che il faraone risorto aveva lasciato. L’avevano seguita decisi a
porvi termine. E Mephisto le aveva detto che la cupidigia di quegli uomini
avrebbe facilitato loro la strada verso il cuore del tempio. Aveva detto che per
conquistare i tesori della tomba li avrebbero aiutati ad uccidere il faraone e
i suoi accoliti. E, razziando la piramide, loro stessi avrebbero trovato le
risorse e i poteri per continuare a cacciare…
…Ho Sete…
Voltando il capo
dietro di sé cercando di capire dalle poche orme rimaste se stesse girando in tondo,
Caron prese brevemente congedo da quella sua reminiscenza per tornare al sole
crudele e alla sabbia rossa, per tornare al deserto. Presto, però, le dune
tornarono a ondeggiare ipnotiche davanti a lei, suggerendole domande e ricordi
che avrebbe sfuggito se non fosse stata tanto stanca da non poter impedir loro
di farsi strada nella sua mente.
Suo fratello
parlava sempre così tanto… Per lei, che già da tempo aveva composto una marcia
funebre per le sue Parole, forse tutta quella voce era sprecata… Tutto
l’impegno per dipingere nelle parole i tesori che la caccia avrebbe potuto
portar loro riempiva una brocca già colma. Il pensiero di portare a compimento
la caccia era tutto per lei… Ma questa volta… questa volta aveva rivolto un
pensiero a quelle frasi… Sentendo quelle frasi nella bocca di suo fratello, si
era chiesta perché dentro di lei non ve ne fosse traccia.
Diversamente dal
solito, il viaggio verso la loro meta lo avevano trascorso a fianco degli
avventurieri. Con essi, suo fratello, a suo agio con la conversazione, aveva a
lungo disquisito su molti argomenti. Con il fare di un’onda che sempre torna a
schiantarsi sugli scogli, però, le parole dei loro compagni tornavano sempre a
parlare di ricchezze… Di oro e gioielli, di terre e oggetti magici… e del potere
che davano, dell’obbedienza e del rispetto che la magia e l’oro sapevano
comprare…
Nulla di ciò
l’aveva minimamente attratta. Né in quella conversazione, né mai nella vita.
Per lei la magia e anche il semplice potere non erano mai stati che un mezzo.
Un mezzo per compiere la sua vendetta.
Il che era
ironico, se pensava a come si era conclusa la loro spedizione.
La mente di Caron
fu bruscamente riportata indietro da questi suoi pensieri dalla sgradevole
sensazione delle zampe artigliate di un grosso insetto che le percorreva il
volto. Uno scarabeo dal carapace d’oro massiccio, grande tanto da poter entrare
solo a fatica nella bocca di un uomo, solcò la guancia della cacciatrice per poi
avvinghiarsi ai suoi capelli. Lì si fermò per far vibrare le sue ali, mettendo
in mostra un dorso di puro rubino. Caron era troppo stanca per tentare di
scacciarlo e in ogni caso sapeva che sarebbe stato inutile. Quando le forze non
le mancavano ancora aveva a più riprese tentato di liberarsene, ma né quello né
gli altri cinque a lui simili erano a lungo rimasti lontani da lei. Anche se
scagliati lontano tornavano da lei per arrampicarsi sul suo corpo… E poi ormai
svanito era anche il timore che quelle cose volessero divorarle le carni. Erano
giorni che le camminavano addosso senza alcun apparente scopo…
…Ho Sete…
L’accordo con
quegli “avventurieri” fu presto messo in chiaro durante il viaggio: avrebbero
acconsentito a spartire molte delle ricchezze che avrebbero recuperato dentro
alla tomba, ma un oggetto in particolare doveva in ogni caso rimanere a loro.
Come i due fratelli si erano mossi con l’obiettivo di abbattere Amun-Kharak,
così loro avevano cominciato il viaggio alla ricerca della leggendaria “Stella
di Khepri” che si diceva avesse il potere di proteggere il suo possessore da
ogni male. Di certo a Caron quell’accordo andava bene. Non fosse stato per suo
fratello, lei avrebbe lasciato che si prendessero tutto, pur di vedere
distrutto il faraone non-morto.
Per questo quando
Amun-Kharak fu sopraffatto dalle loro forze e costretto nuovamente all’esilio
nell’oltretomba, Caron lasciò che fossero gli altri a gustare l’esaltazione dello
scorrere in rassegna l’oro e i gioielli sepolti insieme al faraone alla ricerca
di quel prezioso tesoro. Lei si limitò a pulire le sue lame dal troppo sangue
che aveva versato e a porre l’unguento sulle ferite riportate… Fino a quando
non udì le esaltate urla del sacerdote che accompagnava i razziatori. Stringeva
tra le mani, sollevando sopra il capo, un cofanetto ornato di metalli preziosi
e a forma di stella a sei punte. Lei osservò gli avventurieri circondare lo
scrigno; persino suo fratello si fece appresso, la sua mente curiosa decisa a
scoprire di più di quel misterioso oggetto di cui persino lui non aveva mai né
letto né sentito parlare. Dentro era custodita una gemma di rara bellezza che
aveva la stessa forma stellare della custodia, ma grande circa quanto un
occhio. Il resto del cofanetto era rivestito di metalli preziosi e piccole
gemme e, incastonati nelle estremità di ciascuna punta, sei scarabei d’oro
massiccio volgevano il loro sguardo verso la pietra.
Subito i due
banditi avevano estratto i loro pugnali ricurvi, tentando di infilarli tra la
gemma e l’imbottitura vellutata del cofanetto per estrarla, ma si erano immediatamente
resi conto che la gemma non voleva saperne di essere rimossa. Fu allora che gli
avventurieri si ricordarono di lei. Le chiesero di far leva con la spada, che
era più lunga; le dissero che lei, che aveva il braccio sinuoso come un giunco,
ma forte come l’acciaio, sarebbe sicuramente riuscita.
Era sempre stata
diffidente nei confronti dei complimenti ed ora che provenivano da simili
loschi figuri non suonavano certo più rassicuranti. Volse così il capo verso il
fratello per cercarne il consiglio e, invero, lui le fece quasi immediatamente
cenno di procedere… Si chiese però se tale solerzia non fosse stata dettata
dalla sconfinata brama di sapere del fratello piuttosto che da un accurato
calcolo dei rischi.
Non volendo però
mettere in dubbio il giudizio di Mephisto proprio in quel frangente, si sollevò
e si apprestò a fare quanto richiesto. La punta della sua spada si infilò
anch’essa sotto alla gemma, poi le forti braccia della Traghettatrice si tesero
per forzare il tesoro.
Fu d’improvviso
che, con un gesto secco e deciso, fece saltare via la gemma dal suo vano. Il
raggiante sguardo dei presenti durò ben poco, però, perché in quello stesso
istante gli scarabei dorati presero immediatamente vita facendo vibrare le loro
ali metalliche per poi strisciare rapidissimi fuori dal cofanetto. Conoscendo
bene le leggende che avvolgevano i luoghi di riposo degli antichi faraoni,
tutti avevano udito almeno una storia sulle terribili maledizioni che sapevano
lanciare su chi profanava i loro tesori e almeno un’altra sui terribili insetti
che divoravano le carni dei vivi. Fu per questo che il panico si sparse subito
tra gli astanti, facendoli allontanare immediatamente da ciò che avevano tanto
cercato fino a quel momento. Fu Caron, per assurdo, quella che mantenne il
sangue più freddo, nonostante dopo solo qualche istante fosse chiaro che gli
scarabei stessero tentando di raggiungere proprio lei.
Mentre tentava di
tenere a distanza i piccoli bersagli, tra gli altri scoppiò ben altro caos.
Come risvegliato dalla malia che il tesoro aveva gettato su di lui, Mephisto si
era ora rivolto contro gli altri, intimando al sacerdote dei predoni di
utilizzare i suoi poteri per scacciare la maledizione di Amun-Kharak. Per tutta
risposta i compagni di quello, ormai certi che gli scarabei non ce l’avessero con
loro, si gettarono a recuperare la gemma, mentre il sacerdote stesso
farfugliava asserendo di aver ormai utilizzato tutti i suoi poteri.
Per solo pochi
istanti, mentre riecheggiavano le grida di gioia dei predoni per aver in mano
la gemma e le velate minacce di Mephisto, i suoi pur superbi riflessi
riuscirono a tenere lontane le bestie metalliche, poi una di esse balzò sulla
spada che avrebbe dovuto colpirla e ne risalì la lama fino a giungere al suo
braccio. Rapida afferrò lo scarabeo con l’altra mano e lo gettò lontano, ma
questo breve varco permise agli altri di assalirla.
Ormai concentrata
sul tentativo di liberarsi da quella minaccia, Caron non fece più molto caso
alla confusione che era scoppiata nella stanza, udendo solo a brani la ressa di
voci che la avvolgeva. Mentre lei si dibatteva contro quel pericolo, udiva il
fratello accusare gli altri di averla usata per far scattare la trappola che
custodiva il tesoro e poi ancora frasi di discolpa degli altri… Fu solo quando
ormai le mani di suo fratello cominciarono a tracciare i segni arcani di un
incantesimo che sia lei che uno dei predoni si accorsero di alcune singolari
circostanze. Lei si avvide che, nonostante le agili mosse che aveva attuato per
scrollarsi di dosso gli insetti, rotolandosi persino a terra nel tentativo di
schiacciarli, gli scarabei avevano da tempo avuto la meglio su tali tentativi.
Se davvero avessero voluto scavare nella sua pelle per raggiungere il cuore e
divorarlo avrebbero di certo avuto il tempo di farlo… Ed invece nulla di ciò
era accaduto. Ben più sconcertato apparve invece il saccheggiatore nello
scrutare attentamente la gemma mentre i suoi compagni fronteggiavano Mephisto.
Furono le sue parole a mettere invero fine alla confusione che imperava.
Tutti si zittirono
subito quando dichiarò ad alta voce che la gemma non era magica.
…Ho Sete…
Caron aveva
trovato, per una volta tanto, piacevolmente ironico lo scoprire che il destino
non riservava solo a lei scherno e derisione. Persino ora che il deserto le
stava prosciugando sempre più rapidamente le forze trovava quasi ristoro nelle
immagini dei volti di quei predoni che la sua memoria le riportava alla vista.
Avevano lo sguardo di chi non aveva mai pensato che la cupidigia, che tanto
bene e a lungo aveva servito, potesse rivoltarglisi contro. Il tesoro magico
contenuto nel cofanetto non era infatti la gemma dalla pur singolare fattura.
Erano gli Scarabei stessi che attendevano di essere risvegliati pronti a
servire un nuovo signore.
La Stella di
Khepri stava ora correndo libera sulla pelle della sua nuova padrona.
Nel probabile
tentativo di lasciare che fosse lei a far scattare una trappola a guardia del
tesoro, essi avevano finito per consegnarglielo. Buffo, in fondo, visto che lei
non lo aveva mai desiderato.
Quando fu chiaro
che Caron non era in pericolo e che il tesoro era effettivamente in mano loro,
gli animi di tutti si acquietarono e sia Mephisto che gli altri fecero finta di
scusarsi per il malinteso. Dopo lo scontro con il faraone non morto, né lei né
suo fratello volevano rischiare un duello con i predoni; così acconsentirono
che a più riprese e in diversi modi i loro compagni di viaggio tentassero di
riprendersi quel che erano venuti cercando, ma nessuno stratagemma, né alcuna
delle preghiere del sacerdote fu in grado di allontanare gli scarabei da chi
avevano prescelto. Non rimase che accettare la situazione giocando in bilico
sulla fiducia incrinata. I predoni a loro volta sapevano di doversi guardare
dallo sfidare apertamente la stregoneria di Mephisto e le sue lame, per questo
non erano certo intenzionati a scatenare apertamente un conflitto, ma non
avrebbero mai lasciato che i due tenessero per loro quel tesoro.
Caron immaginava
già di dover affrontare un viaggio di ritorno fatto di veglie e di turni di
guardia per evitare che un pugnale tagliasse loro la gola nel sonno, ma
l’occasione per i loro infidi compagni si presentò ben prima.
Se infatti la
morte di Amun-Kharak era parsa senza conseguenze dall’interno della camera
mortuaria dove lo avevano affrontato, fuori da essa era chiaro che il suo
spirito malvagio aveva tentato di portare con sé quanto possibile, una volta
condannato all’oltretomba. Tutto ciò che aveva o aveva avuto una parvenza di
vita era stato divorato e scarnificato: i cadaveri dei seguaci del faraone che
avevano tentato di sbarrar loro la strada, i corpi di chi invece si era
nascosto ed infine lo spettacolo più inquietante li attendeva oltre la soglia
della piramide maledetta… Gli animali da soma che li avevano lì condotti
insieme alle provviste per il viaggio giacevano riversi nella sabbia, le carni
divorate, le giare di acqua infrante, le vettovaglie marcite.
Davanti a un
simile spettacolo i saccheggiatori non si inquietarono quanto sarebbe stato
lecito aspettarsi; il loro sacerdote pregava infatti un dio che proteggeva chi
dell’imbroglio fa stile di vita e tra le sue preghiere ve ne era una che
garantiva una fuga sicura. Prima di pronunciarla dissero che poteva condurre in
salvo solo loro, ma che sarebbero presto tornati con gli aiuti necessari. Poi
svanirono diventando fumo portato dal vento secco del deserto.
I fratelli
sapevano che non sarebbero mai tornati o che, se l’avessero fatto, con loro
sarebbero giunti abbastanza uomini armati da sopraffarli.
Per questo
capirono che l’unica opzione era affrontare il deserto anche se senza viveri e
con poca acqua…
…Ho Sete…
La gola riarsa
riportò ancora una volta Caron alla veglia, rimproverandole il fatto che anche
ricordando come tutto era iniziato, nulla sarebbe cambiato in come sarebbe
finita. La magia del fratello, portatrice di distruzione e in grado di
comandare gli spiriti, poco poteva fare contro l’arsura e l’immensa distesa del
deserto e anche le sue spade erano prive di efficacia contro un avversario di
cui non si poteva conoscere il cuore da trafiggere o la testa da tagliare. Ma
la sete che attanagliava la gola della Cacciatrice non era simile nella natura
a quella che aveva privato dei sensi suo fratello.
Persa in quella
distesa di sabbia rossa, Caron sentiva la malinconica sensazione di essere a
casa. La pervicacia con la quale insisteva nel non cadere stremata
rassomigliava troppo da vicino quella con la quale si trascinava attraverso una
vita arida di ogni piacere e vuota di ogni emozione… L’unica cosa che la
colmava era la sua sete di vendetta, proprio come quel deserto era colmo di
quella sabbia rossa.
Ammantata nella
più esplicita raffigurazione della sua vita, Caron si rendeva conto di avere
sete da sempre… Sete di un’acqua chiamata gentilezza, sete di un’acqua chiamata
affetto.
Un’acqua che per
lei aveva un volto. Il volto di chi non l’aveva scacciata, il volto che le
aveva sorriso quando altri erano inorriditi. Il volto di chi era morta per
donarle un’anima.
Di lei aveva sete…
di quel volto che non poteva vedere, ma solo sognare, di quel volto che non era
più lì. Tanto ci era voluto: tutto un deserto aveva dovuto abbracciarla perché
si costringesse a ricordare davvero dove era nata tutta quella sabbia che le
riempiva il cuore. Tanto era dolce quel ricordo che con ancor più odio aveva dovuto
seppellirlo per non sentire il dolore di averlo perso per sempre. Giorno dopo
giorno aveva contato i grani rossi di sabbia di quel deserto fino a quando non
si era persa tra di essi; il desiderio di vendetta diventato tanto esteso in
ogni direzione da farle scordare perché era nato. Così si era trovata a vagare
per quell’immensa distesa di nulla. Per questo si sentiva ogni giorno più
debole e arida.
Il vero deserto
divora ogni cosa. Nessuno può sopravvivergli per quanto forte e addestrato: può
solo vagare in esso fino a spegnere tutte le sue pur grandi forze per infine
diventare a sua volta sabbia.
Se tanto aveva
saputo camminare in quella sabbia rossa, Caron lo doveva non al suo rigido
addestramento o alla sua incuria per il proprio dolore, ma a quel miraggio
ardente che brillava là, sull’ultima duna all’orizzonte. Quel pensiero, quel
viso gentile che anche in mezzo a quel deserto sapeva donarle un poco di pace.
Come un miraggio brillava forte proprio lì dove l’occhio cominciava a non
vedere più e fissarlo le faceva male, ma era l’unica ragione per cui le sue
gambe ancora volevano camminare e le sue braccia combattere.
Ora, se fissava
davanti a sé, sopra quell’alta duna che le stava davanti, Caron poteva
addirittura scorgerlo quel bagliore, come una figura scintillante che la
sovrastava facendole cenno di seguirla… Non era vero, lo sapeva… Era solo un
gioco di luce a cui la sua mente stanca si aggrappava per non farla svenire… Ma
non importava. Anche se quella era solo un’illusione, il suo miraggio ardente
era più vero che mai. E davvero esso giaceva lì, oltre l’ultima duna. Davvero
la chiamava e le chiedeva di non arrendersi, nemmeno al deserto. Davvero ad
esso lei aveva votato ogni suo pensiero. Davvero, per seguire Lei, Caron non
avrebbe mai smesso di lottare.
Ritrovando la
decisione che l’aveva resa viva tanto tempo prima, lo sguardo della Cacciatrice
lasciò la stanca espressione di chi aspetta solo di smettere di soffrire per
assumere quella di chi avrebbe raggiunto quel miraggio all’orizzonte ad ogni costo.
Caron sistemò
meglio il corpo del fratello sulla spalla, decisa a non risparmiare alcuna
energia. Il passo stanco si fece sicuro. I denti si serrarono rabbiosi, la
rabbia di chi non accetta la sconfitta, e le gambe obbedirono ricominciando a
spingere decise per raggiungere quel miraggio ardente. Il capo di Caron smise
di ondeggiare stanco e si fissò sul bagliore all’orizzonte, nella promessa che,
fino all’ultimo, l’avrebbe seguito piuttosto che arrendersi.
L’aria calda del
deserto ondeggiava di fronte a lei, ma quel gioco di luce non svaniva
dall’orizzonte nemmeno ora che la sua mente aveva trovato lucidità… Sembrava
invece rispondere al suo rinnovato vigore prendendo una forma sempre più
definita. Sempre più simile all’immagine del suo Miraggio, all’immagine di Lei.
Non importava. Non
le importava che fosse un’illusione della sua mente sconvolta dal caldo: dentro
di lei il suo Miraggio era davvero lì… e lei lo avrebbe afferrato!
Forse il deserto
che portava dentro era tanto simile a quello che le sue gambe solcavano che il
confine tra di essi era ormai caduto: gli occhi corporei potevano vedere le
stesse cose che vedevano quelli del suo animo.
Non importava.
L’avrebbe raggiunta comunque. L’avrebbe seguita ovunque.
Tanto desiderava
ritrovarla perché guidasse i suoi passi che il bagliore all’orizzonte assunse
un’immagine precisa persino per la sua vista facendole riconoscere i contorni
di un viso che sapeva perso per sempre. La immaginò ammantata con le vesti di
un bianco candido che quasi scintillavano accecandola. La vide, o la immaginò,
ormai non sapeva più dirlo, farsi più vicina, come se le camminasse innanzi, ma
tenesse un passo lento per lasciarsi raggiungere. Accelerando ancora la marcia,
stringendo più forte il corpo di Mephisto, Caron si lanciò al suo inseguimento,
tanto desiderosa che quel miraggio fosse vero da farle gridare il suo nome
perché la aspettasse.
Mentre le sue
gambe scalavano la duna di sabbia, il cuore e la mente di Caron erano ormai
tanto vicini che la vide voltarsi verso di lei come per dirle che l’aveva
udita, ma non rallentò il passo come se volesse spronarla a non desistere.
E Caron seguì quel
comando. Là dove la voce furiosa e crudele del padre aveva scatenato la sua
ribellione, là la voce di quel suo Miraggio l’avrebbe condotta con la sua più
totale devozione… nessuna minaccia e nessuna tortura avrebbero mai costretto il
Traghettatore del Regno dei Morti a obbedire a un ordine, ma Lei, con quel suo
sorriso avrebbe potuto farle varcare mille e più volte le porte dell’Inferno
solo chiedendoglielo con la sua voce gentile.
Quel tepore tanto
semplice aveva riempito il suo cuore gelido della forza di uccidere suo padre.
Le aveva dato la forza di ribellasi a un destino già scritto. Le aveva dato la
determinazione necessaria ad abbattere ogni avversario, ogni ostacolo, ogni
debolezza.
Sentiva di
odiarsi, Caron. Perché aveva stretto così tanto a lungo l’acciaio nella mano
che aveva finito per credere che fosse quella la sua forza. Per questo si era
sentita debole. Perché ora l’acciaio non poteva sconfiggere il suo avversario.
Perché il Deserto è fatto di sabbia rossa e sole cocente che la spada non può
trafiggere. Ma la sua forza non era nata dalle arene dove aveva combattuto nel
nome del padre. La sua forza era fiorita in un viso semplice che sapeva
sorridere. Quella era la sua vera forza.
E con quella
avrebbe affrontato persino la Sabbia. Quella davanti ai suoi occhi. Quella
dentro al suo cuore.
La Sabbia che ora
le si avvolgeva intorno ai piedi mentre saliva sulla duna per seguire il suo Miraggio.
La Sabbia che tentava di fermarla. La Sabbia che le ricordava quanto oltre
quella duna ve ne fosse solo un’altra. La Sabbia che le ricordava quante volte
avesse invero desiderato che la tortura che per lei era vivere giungesse infine
al termine.
Ma il suo Miraggio
la chiamava e solo a Lei Caron voleva obbedire. Scalando la china sabbiosa
Caron disprezzava la sua debolezza che le aveva suadentemente sussurrato di
arrendersi perché ormai non v’era speranza. Quel suo disprezzo si vedeva
persino nella rabbia con cui divincolava gli stivali dalla morsa della Sabbia
mentre vi affondavano dentro… E nello sguardo che fissava avanti a sé ignorando
il caldo che la bruciava, il peso del fratello che scivolava sulla sua spalla,
il pendio che voleva farla desistere dal proseguire.
Anche una volta
raggiunta la china, il passo di Caron non cedette. Il deserto davvero
continuava senza sosta, ma non le importava. Un passo alla volta la stava
raggiungendo. Ogni passo era un passo per Lei. Perché la udisse anche oltre la
Vita.
Il vento caldo del
deserto le soffiò contro, aggrappandosi alle vesti nere del fratello tentando
di farlo sfuggire alle sue cure. Caron lo afferrò con entrambe le braccia
decisa a non ascoltare il respiro del deserto. Sapeva cosa voleva dirle. Le
soffiava contro per farla fermare. Le gettava la sabbia rossa addosso per
distrarla dal suo Miraggio. E, più subdolo, le voleva ricordare che il suo
passo sarebbe stato più svelto se non avesse dovuto soccorrere altri.
Ma non era così
che era diventata forte Caron. Era stato perché qualcuno si era fermato per
aiutarla che aveva trovato la sua forza. Era perché, ancora adesso, qualcuno le
faceva strada nel suo Deserto. Perché qualcuno era tornato indietro da oltre la
vita per guidarla una volta di più. E così Caron avrebbe combattuto.
Sorreggendo il corpo di chi non poteva battersi da solo. Come in ogni caccia,
avrebbe usato la sua forza per vincere le battaglie di chi non poteva
difendersi.
Quanti? Quanti ne
aveva salvati? Caron non se lo chiedeva mai. Il suo Deserto era invece pieno
del pensiero di tutti quelli per cui era arrivata tardi. Su quella Sabbia Rossa
camminavano tutti i figli sacrificati in cerimonie lugubri, tutte le donne il
cui sangue era stato bevuto dai Nosferatu, tutti gli uomini divorati dai ghoul…
tutte le ragazze sacrificate sull’altare della torre del padre.
Ora tutti
camminavano al suo fianco in una lenta processione in quel suo Deserto. Caron
poteva vederli al suo fianco. Silenziose figure spettrali che con passo
instancabile la seguivano in quella marcia. Anche senza voltare il capo verso
di loro sentiva il peso dei loro sguardi e del loro rimprovero. Ma non le
importava. Nemmeno il Rimorso, il suo dolore più grande, l’avrebbe fermata.
Ogni giorno della sua vita il suo sguardo era quello di chi conosce il peso
delle proprie colpe, ma Lei, il suo Miraggio Ardente adesso era più forte
persino di quella maledizione che da sola si era imposta.
La forza di quella
sua Visione aveva già cambiato il profilo del suo volto triste e gelido. Ora aveva
ritrovato la forza e la rabbia che avevano spezzato le sue catene.
E con essa
affrontava il vento che le soffiava in faccia la Sabbia rovente per convincerla
a desistere. Davanti a lei, la sua visione le diede nuova forza arrestando il
suo passo e voltandosi, come se la attendesse. Senza indugio Caron scavò ancora
più a fondo nel suo animo per richiamare anche la più piccola delle sue energie
e giungere da Lei mentre il vento si faceva sempre più forte. Forte fino a
costringerla a piegarsi in avanti per procedere. Forte fino a farle piovere
addosso una tempesta di Sabbia come a volerla seppellire sotto il peso delle
sue colpe.
Ma Caron, almeno
quella volta, non sentiva più quell’insopportabile peso che la schiacciava.
Vedeva solo lo sguardo tenero del suo Miraggio e le sue mani che la aspettavano
tese.
Ogni passo che
faceva il vento cresceva per impedirle di raggiungerla. Ogni passo che faceva
il deserto le scagliava addosso più sabbia per fermarla. Ma anche così, anche
se quell’immagine davanti a lei poteva davvero essere solo un gioco della sua
mente confusa, anche così la forza che Caron sentiva nascere dentro di sé dal
desiderio di raggiungerla, quella era la più vera forza che avesse mai sentito.
Una forza che si estendeva oltre ogni confine di quell’infinito Deserto e che
dentro di lei faceva vibrare ogni fibra del suo animo.
Con un grido Caron
sfidò l’ululato del vento che era ormai diventato un tornado. Gridando il nome
di Lei Caron lottò contro la Sabbia che ormai le scendeva addosso come una
cascata. E urlando il suo nome Caron tese una mano per raggiungerla prima che
la Sabbia, incapace di accettare la sconfitta, la sommergesse del tutto.
…Ho Sete…
La sensazione
della Sabbia bollente sul viso scosse la mente di Caron dal torpore in cui si
sentiva cullata. Lentamente la sua mente fece ritorno alla veglia, scoprendosi
riversa nella sabbia, il braccio ancora intorno al collo del fratello svenuto
che le giaceva accanto. La sua visione svanita. Forse il parto di una mente che
non voleva arrendersi là dove il corpo già lo aveva fatto. Un sogno di
resistenza là dove le difese avevano già ceduto alla stanchezza. A quel
pensiero, Caron si sentì debole per aver lasciato che la sua mente sognasse un
simile miraggio mentre non era stata in grado di sostenere il passo con
altrettanta forza.
Forse non era una
guerriera forte come pensava. Forse non valeva la pena di risollevarsi. Tutta
la vita aveva cercato la morte in battaglia per espiare la sua colpa e, se
avesse chiuso gli occhi di nuovo immersa in quella Sabbia, avrebbe potuto
infine sfuggire a quella vita macchiata di sangue che fingeva di vivere.
Ma dietro questo
pensiero amaro, un altro che già mille volte era risuonato nella sua mente le
fece visita con un volto diverso…
…Ho Sete… Significa che sono viva…
Distendendo le
braccia Caron si rialzò sollevando con sé anche il fratello. Anche se provata e
con le energie ormai allo stremo, Caron non poté che percepire un sollievo
sottile in quella rivelazione. La sete che provava, la sete di Lei, le
annunciava una verità che sotto la Sabbia del suo Deserto ormai sembrava essere
scomparsa…
La verità era che,
anche se si sentiva debole, anche se si sentiva colpevole, il suo cuore voleva
battere ancora. Nemmeno il disprezzo che provava per sé stessa era in grado di
farla cedere.
Sì, un giorno
sarebbe morta in battaglia. Ma non avrebbe mai lasciato che una lama la
trafiggesse per cogliere una scorciatoia che le consentisse di smettere di
lottare. A chi le aveva dato la vita avrebbe dimostrato di non aver sbagliato a
sacrificare il proprio respiro pur di darle un’anima. Quando anche l’ultima
goccia delle sue energie sarebbe stata spesa, allora avrebbe riposato sapendo
di aver fatto tutto ciò che poteva per onorare quel sacrificio. Fino ad allora,
non si sarebbe arresa nemmeno di fronte al più immenso deserto… o alla Sabbia
più rossa. Fino ad allora la sua vita sarebbe stata spesa per salvarne altre.
Così Caron si fece
di nuovo carico del corpo del fratello e si rimise in marcia, scrutando
l’infinita distesa di sabbia che giaceva davanti ai suoi occhi… Davanti e
dentro di essi. Caron scrutava il deserto che ancora giaceva nel suo cuore, ma
questa volta, anche se gli occhi corporei non la vedevano più, quel suo
Miraggio era forte dentro di lei e la Sabbia che il vento spazzava dentro il
suo cuore ora portava il sapore di un mare fresco sul quale, da qualche parte nel
suo animo, il suo Deserto si affacciava.
Lì avrebbe
condotto i suoi passi. Fino alla fine.
E con quel
pensiero che le donava una rarissima espressione serena, Caron riprese ancora
una volta la sua marcia.
Sabbia… Sabbia
Rossa e Deserto sorvegliarono i suoi passi in attesa che il ricordo del suo
Miraggio si facesse di nuovo debole… Attesero che il sole fosse alto sul suo
capo per bruciare più forte che mai, ma non fu abbastanza. Attesero che il
vento sabbioso soffiasse ancora, ma non fu abbastanza. Attesero che le dune si
facessero ripide, ma Caron varcò anche quelle.
Infine il sole
raggiunse l’orizzonte. E la Sabbia e il Deserto dovettero arrendersi.
Proprio prima che
il sole svanisse del tutto dietro a quella linea lontana, Caron fermò il suo
passo, ma non lo fece né per stanchezza né per scegliere la notte come riposo.
Lo fece perché capì che stava per accadere qualcosa.
Gli scarabei
dorati che le danzavano addosso tornarono infine a camminare sulla sabbia
proprio sul finire del giorno e formarono un arco davanti a lei, per la prima
volta immobili. Le loro ali metalliche si aprirono rivelando le gemme preziose
sotto di esse e queste brillarono per un istante. Poi quel tramonto che stava
per spegnersi fu rischiarato da una luce multicolore che esplose uscendo dagli
insetti.
Per qualche
istante Caron chiuse gli occhi per proteggerli da quel lampo, poi, quando li
riaprì, davanti a sé vide sei figure evanescenti che indossavano antiche vesti
monacali e la cui trasparenza permetteva di vedere loro attraverso. Fu, con una
compostezza propria solo di un uomo dall’animo nobile, che lo spirito a lei più
prossimo le si rivolse.
“Noi siamo gli
Spiriti Cremisi. Noi siamo i guardiani delle Tombe dei Re” Esordì. Non sapendo
cosa attendersi, la Cacciatrice adagiò lentamente il fratello a terra e
richiamò tutte le sue forze preparandosi al combattimento, ponendo la mano
sull’elsa della spada. “Noi siamo i sei sacerdoti che per primi cacciarono
l’usurpatore Amun-Kharak dalla terra dei vivi” Concluse però la figura; ancora
incerta, la mano di Caron non lasciò la spada, ma allentò la presa sentendo
l’imminenza dello scontro allontanarsi.
“Cosa volete?” Si
sforzò la Traghettatrice scegliendo le poche parole che il fiato rimasto e la
sua gola riarsa le permettevano di pronunciare.
“Ti abbiamo
osservata… Abbiamo visto il tuo cuore gelido battersi contro la reincarnazione
del Faraone Maledetto, abbiamo visto il tuo istinto guerriero abbatterlo non
per la gloria né per l’oro. In questo ti avevamo giudicata degna…”
Caron
ascoltava, ma la sua attenzione era ora per il suo respiro, che cercava di
rendere regolare, ancora sospettosa di quelle manifestazioni che venivano
chiaramente dalla terra al di là della vita sui cui confini lei tentava di
vigilare. Non ricevendo alcun cenno dalla propria interlocutrice, il sacerdote
continuò.
“…Ma
la colpa della cupidigia dei tuoi compagni è ricaduta su tutti voi. Gli indegni
vi hanno voltato le spalle lasciandovi a pagare da soli il vostro pegno al
Severo Padre che è il Deserto. Rispettosi della sacra volontà di questo luogo,
abbiamo atteso perché tu avessi la possibilità di mostrare la tua innocenza
anche di fronte a un occhio tanto inflessibile come quello del Sole. Abbiamo
osservato il Padre gettare su di te il suo sguardo rovente, abbiamo ascoltato
il suo soffio adirato cercare di abbatterti, abbiamo visto il suo grembo di
sabbia avvolgerti per inghiottirti. Abbiamo scrutato il tuo cuore mentre
l’immensa distesa di questo luogo ne divorava la speranza. E, nonostante tutto…
Tu non hai ceduto. E, nonostante tutto, non hai abbandonato chi era più debole
di te. Nemmeno nel momento in cui hai trafitto il cuore di Amun-Kharak ci sei
sembrata tanto meritevole” Concluse infine. Caron aveva ascoltato tutto con
grande attenzione, ma ancora faticava a comprendere cosa ciò significasse.
Perciò, diretta come può esserlo solo una guerriera come lei, non fece mistero
di questa sua perplessità.
“Cosa
significa tutto ciò?”
“Significa
che, nella veste di guardiani eterni di questi luoghi, noi ti concediamo
passaggio sicuro attraverso queste terre per aver abbattuto il Faraone
Maledetto. Ma non solo: il tuo animo sincero anche se aspro ha conquistato il
rispetto di ogni grano di questa Sabbia. Per questo desideriamo che tu porti la
Benedizione di questo Deserto con te, perché ti protegga”
Ancor
prima che la frase dello spirito cessasse di echeggiare nella sera, egli alzò le
braccia traslucide come a voler afferrare il cielo notturno. Invero, le sue
mani sembrarono raggiungere qualcosa e un lembo di cielo, nero come la tenebra,
si avvolse intorno alle sue braccia fino ad adagiarvisi come fosse un mantello.
“Tieni,
tieni Cacciatrice. Indossa questo Manto Celestiale e ogni tuo viaggio sarà
sicuro” Sempre diffidente, Caron osservò lo spirito distendere il manto
tenendolo per le spalle. Era ancora difficile distinguerlo dal semplice cielo
notturno: solo quando lei tese una mano per afferrarlo sembrò mutare in una sagoma
più definita come prendendo forma dai suoi pensieri. Solo allora le parve di
distinguere le vere sembianza dell’abito, vedendo che come un manto era lungo,
ma aveva maniche in cui infilare le braccia perché potesse avvolgerla mentre
combatteva senza costringerle gli arti. Non era fatto di stoffa, ma di una
pelle tanto ben lavorata da sembrare lucida. Le spalle erano coperte da placche
di Mithril finemente lavorato come se fossero quelle di una elegante armatura
elfica e, in più punti, lacci e cinghie, lavorati come solo l’artigiano più
esperto può fare, servivano a curare la forma dell’abito perché si disegnasse
perfettamente sul corpo di chi l’avesse indossato.
Nonostante
la raffinatezza, la veste era certo adatta a un guerriero, anzi, osservandola,
Caron non poté negare che sembrasse tessuta per essere indossata da lei sola. Lo
spirito non pronunciò altre parole, mentre teneva il manto sospeso, ma la
solennità del suo gesto lasciava pochi dubbi su cosa si aspettasse da lei.
Così, non percependo alcuna ostilità provenire dal sacerdote, Caron fece
scivolare le proprie braccia dentro alle maniche del manto nero e lasciò che le
cadesse sulle spalle.
La
magia che quegli spiriti le avevano offerto le fu immediatamente svelata. Nello
stesso istante in cui indossò quel dono, il suo intero corpo, anche quello che
il manto non copriva, fu completamente liberato dal cocente calore del deserto.
I grani di sabbia che il vento ancora sollevava sembravano non riuscire più ad
avvicinarsi a lei, deviando dal loro percorso per non infastidirla. Anche il
sudore che aveva fino a quel momento versato venne asciugato; fu come se
d’improvviso l’aria che l’avvolgeva fosse diventata quella di una brezza
montana nel più bel giorno di primavera. Fresca al punto di rinfrancarla eppure
tiepida a sufficienza perché non provasse nemmeno il più piccolo brivido.
Per
lei il Deserto aveva smesso di esistere.
Anche
se ancora stordita da quel rapido mutamento delle sue sensazioni, non potè fare
a meno di notare che almeno una di esse non era affatto cambiata. Con una mano
andò a toccarsi istintivamente la gola che era rimasta secca e riarsa e, subito
dopo, il suo sguardo corse agli spiriti, volendo chiedere loro come avrebbe
potuto, anche se protetta dal caldo e dal vento, sopravvivere senza cibo o
acqua. I sacerdoti però l’anticiparono prima che qualunque sillaba potesse
lasciare le sue labbra.
“In
quel manto vi sono otto tasche, Cacciatrice. Sei di esse sono profonde tanto
quanto questo deserto è esteso. Affida loro i tuoi averi ed esse li
custodiranno senza fartene subire il peso o l’ingombro. Due di esse sono
generose come il Grande Fiume che attraversa le nostre terre. Affonda in esse
la tua mano e sapranno darti ogni giorno cibo e acqua per sostenerti. Ovunque
tu viaggerai, sarai a casa” E a quelle ultime parole gli scarabei richiusero le
ali e la luce delle loro gemme svanì insieme alle immagini degli Spiriti
Cremisi. Gli insetti mossero poi le loro metalliche zampe nella sabbia fino a
tornare ai suoi piedi per poi aggrapparsi ai suoi abiti e risalirli.
Distratta
solo per un attimo da quel commiato tanto forbito quanto improvviso, subito
Caron cercò nel manto quanto promesso. Le prime tre tasche in cui cercò erano
all’interno veramente immense pur se di aspetto minuto, ma erano tuttavia
vuote. Fu nella quarta che infine percepì un cilindro di cuoio. Già solo
estraendolo si rese conto di quanto in realtà si trattasse di una fiasca e per
giunta colma! Determinata a cedere a un’eventuale meraviglia solo dopo che il
pericolo fosse scampato, Caron si affrettò a stappare il contenitore e a
portarlo alle labbra del fratello ancora svenuto.
Diversi
sorsi dovettero bagnare le labbra secche e semi-dischiuse e le guance
screpolate prima che la coscienza tornasse negli occhi del fratello, ma infine
l’istinto di sopravvivenza prevalse sulla stanchezza e le mani di Mephisto
afferrarono la borraccia portandola più vicina per trangugiarne un sorso dopo
l’altro. Caron lasciò che il fratello si ristorasse, sorreggendogli il capo con
una mano e la fiasca con l’altra. Fu solo dopo che ebbe consumato più di metà
della preziosa bevanda che tornò completamente cosciente ritrovando i ricordi di
quel crudele viaggio e la meraviglia di essere sfuggito a quella che pensava
essere una fine certa.
Mentre
sorseggiava l’acqua, Mephisto cercò di comprendere come fossero riusciti
nell’impresa di salvarsi scontrandosi ora con il velo di stanchezza che ancora
lo avvolgeva ora con la scarsa loquacità della sorella. Dalla mente raffinata e
arguta, suo fratello cercò subito di capire quanto fosse estesa quella che
Caron definì una “Benevolenza degli Spiriti del Deserto” e quanto fosse certo
il passaggio sicuro che avevano garantito loro.
Caron
fece il possibile per accontentare la mente indagatrice di Mephisto, ma, quando
infine le chiese come avesse fatto a sopravvivere a una simile struggente
prova, si rese conto di non poterglielo davvero spiegare. Aveva poche parole,
lo sapeva da sempre, ma avrebbe potuto prendere a prestito quelle di lui che a
più riprese si lanciava in ardite teorie di cui le chiedeva conferma. Si rese
invece conto per la prima volta che le migliaia di parole che il geniale
fratello conosceva erano state seminate e raccolte là dove governava la
scienza, ma non i sentimenti. Le immense librerie che il padre aveva
minuziosamente collezionato gli avevano spiegato ogni miracolo che la scienza e
la magia potevano compiere, ma, dei miracoli che poteva compiere anche il più
semplice degli uomini, non conosceva nulla. E forse nemmeno poteva contemplarne
l’esistenza.
Così
Caron cercò di acquietare la sua curiosità, forse mentendogli per la prima
volta, dicendogli che appena si fosse ripreso gli avrebbe spiegato ogni cosa,
anche se sapeva che non ne sarebbe mai stata davvero capace. Gli disse di
ristorarsi e di usare la notte per recuperare le forze, perché al mattino
sarebbero ripartiti.
E
quando, con i doni degli Spiriti Cremisi, la fame e la sete furono infine
scacciate, Caron trovò un posto comodo sulla sabbia e rivolse lo sguardo al
cielo stellato. E fu allora che si rese infine conto che quel Deserto in cui
tanti uomini avevano trovato la morte l’aveva resa davvero immensamente ricca
come le aveva predetto Mephisto. Ma non per la Stella di Khepri che l’aveva
scelta come sua padrona, né per il Manto Celestiale che ora la proteggeva, ma per
averla ricondotta a quella forza, a quel segreto che nemmeno uno stregone come
il fratello poteva comprendere…
…Per
averle ridato il ricordo di quel suo Miraggio che aveva saputo vincere anche la
Sabbia Rossa che le giaceva in fondo al cuore.
“Ho sete
/
Ho
sete di te che non sei qui /
Stella
Caduta dagli occhi /
Che
voli sul mio Deserto /
Ho
sete /
Le
nuvole mi cadono dentro /
Cerchio
che ha perso il suo centro /
Perché
ha smarrito ogni senso”
Litfiba, Fata Morgana-
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