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Autore: Tigre Rossa    22/05/2018    2 recensioni
Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
- David Foster Wallace-
'Thorin alzò di scatto la testa, come se quella voce che sapeva di non poter più sentire fosse davvero lì, come se quella voce che avrebbe riconosciuto tra mille fosse reale e provenisse proprio di fronte a lui, come un eco lontano portato dal vento.
E fu in quel momento che lo vide.
Fu allora che vide Bilbo per la prima volta.
In piedi dietro al suo corpo infranto, come un fiore schiacciato che dà il suo estremo saluto al sole, il piccolo hobbit aspettava di incontrare il suo sguardo, i grandi occhi blu aperti e lucidi, la scia timida di una lacrima che gli apriva la guancia destra come una ferita.
Ma quella, per quanto delicata, era la sua unica ferita.'
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Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Till death do us part

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faccio sempre lo stesso sogno, ogni singola volta che chiudo gli occhi.


 

Sono solo in mezzo alla neve, i rumori della battaglia insolitamente quieti, come resi silenti da una leggera nebbia.

Tutto, attorno a me, è sfocato.

Non riesco a vedere nulla, a parte una piccola ombra quasi evanescente, troppo lontana da me per riuscire a disgiungerla con chiarezza.

Una voce mi sfiora, portata fino a me dal vento e distorta da questo vuoto. Ma, per quanto possa essere lontana e contorta, i miei piedi si muovono per seguirla, quasi l’avessero riconosciuta, quasi sapessero che sta chiamando me.

Ad ogni passo, l’ombra diventa sempre più nitida e sempre più vicina, e solo quando ormai riesco a distinguere i lineamenti del suo viso mi rendo conto che a chiamarmi è proprio lei.

La sua voce è appena un sospiro nel silenzio, ma ha il suono di una supplica.

Mi vede e solleva le braccia nella mia direzione, e la mia diventa una corsa disperata.

Quando sono abbastanza vicino da scorgere delle lacrime nei suoi occhi chiari ma non per toccarla, essa si lascia cadere, come un fiore strappato via dalla tempesta.

Un urlo mi sfugge dalle labbra, anche se non ne sono nemmeno consapevole, e corro per raggiungerla.

Ma quando arrivo da lei, quando mi inginocchio al suo fianco e faccio per sollevarla sento qualcosa di umido sotto le dita, qualcosa che non dovrei sentire.

Distolgo lo sguardo dal suo viso pallido quasi a fatica e, quando lo faccio, sento il mondo attorno a me fermarsi.

 

Ho le mani sporche di sangue.

Sporche del suo sangue.

 

“No, no, no . . .”

 

Non riesco a fare altro che ripeterlo, incredulo e senza fiato, perché no, non può essere possibile, non può. Non può essere il suo sangue. Non può essere ferito. Non posso perderlo. La morte non può portarmi via anche lui. Non lui.

Mi chiama, e il mio nome sa quasi di fiele sulle sue labbra spaccate. Tento di rassicurarlo mentre gli tampono la ferita, gli prometto che andrà tutto bene, che la morte non ci separerà.

Cerco di tenerlo ancora con me, con una ostinazione paragonabile alla follia, ma è troppo tardi, e la cosa più crudele è che lo sappiamo entrambi.

La sua stretta attorno alla mia mano si fa sempre più debole e i suoi occhi, quei meravigliosi occhi blu sempre così pieni di energia e calore e vita, improvvisamente vengono privati di tutto questo, svuotati come un cielo privo di stelle.

Il mondo attorno a me smette completamente di esistere quando lo stringo, supplicandolo di non andare.

Ma, ovunque ormai sia, non può più sentirmi e non potrà mai più farlo.

 

 

È a questo punto, di solito, che apro gli occhi.

 

Apro gli occhi, e in teoria tutto questo dovrebbe svanire, no?

Non dovrebbe diventare polvere come qualsiasi altro brutto sogno?

Ma questo non succede mai.

Perché, ogni volta che apro gli occhi, mi rendo conto che non era solo un sogno.

Ogni volta che apro gli occhi, la mia anima agonizzante si mette ad urlare, ricordandomi che sì, è tutto vero.

Tutto questo è davvero successo. Ho davvero perso tutto, in quella battaglia che mai avrebbe dovuto esserci.

 

Bilbo è davvero morto tra le mie braccia.

 

Quel piccolo hobbit dal sorriso puro non tornerà più a casa per colpa mia.

I suoi occhi non vedranno mai più il cielo, il suo cuore non batterai mai più, perché io ho lasciato che la morte se lo portasse via quando invece avrei dovuto proteggerlo.

Bilbo Baggins è morto, e io non potrò mai più vederlo.

Non potrò mai più stringerlo tra le mie braccia, incontrare i suoi occhi, sentire la sua voce.

Non più.

 

 

“Thorin?”

 

 

Non davvero.

 

 

 

 

 

 

Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi.
- David Foster Wallace-

 

 


 

 

 

 

 


 

La tana dell’autrice

 

Sì, dovrei togliermi il vizio di iniziare fic a capitoli quando ho duemila aggiornamenti da mandare avanti. Lo so, lo so davvero! Ma, se con ‘Figlio di Erebor’ sto procedendo, seppur lentamente, l’altra è in pieno stallo -sì, sto modificando alcune linee guida, e a ristrutturarla ci vuole decisamente più tempo di quanto credessi-  e io non riesco proprio a non scrivere una cosa alla volta. Questa storia mi tormentava da un bel po’, forse un anno, e semplicemente alla fine ho ceduto.

Almeno sarà moooolto più corta delle precedente, non ho intenzione di fare una vera long, non ne avrei il tempo. E’ più . . . una lunga short spezzettata. Molto strana, molto triste, decisamente ispirata ad alcuni avvenimenti di Ano hana, di Sherlock, di Tredici e di tante altre cosine deprimenti di cui sono da anni in fissa. No happy ending, no fluff, spero qualche lacrima –io ce provo, eh!- e idee folli della mia testa. Niente di più, niente di meno. Siete avvertiti.

Dopotutto, sapete che sono una malata di angst.

E se c’è una ship adatta a questo genere di storie, quella è la Bagginshield.

 

P.s. No, non è un errore. Nel testo passo volutamente e all’improvviso dall’usare il pronome lei all’usare il lui perché quando Thorin lo vede ferito smette di identificarlo con un’ombra, per quanto sappia che non sia vero, e vede solo il suo Bilbo, unico, tangibile e reale, come se fosse di nuovo lì con lui. Lì, che muore tra le sue braccia per l’ennesima volta.

 

 

 

 

 

  
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