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Autore: Lady_Night    26/05/2018    0 recensioni
Camila Cabello, un ex-tributo degli Hunger Games del distretto 12, dopo 7 anni riesce a sfuggire dalla prigionia a cui l'avevano costretta.
Lauren Jauregui, un soldato del distretto 4 a cui hanno assegnato una missione alquanto particolare, si ritroverà immischiata in qualcosa per cui non esiste addestramento.
Loro ancora non lo sanno, ma le loro vite stanno per essere stravolte.
Dal capitolo 3:
"Le mie ginocchia cedono e cado a terra, il sedativo inibisce poco a poco i miei sensi, l'ultima cosa che riesco a distinguere sono un paio di scarpe da ginnastica bianche che si avvicinano al mio corpo, poi chiudo gli occhi, ed è con ancora le guance bagnate dalle lacrime e il corpo rannicchiato su se stesso che cado in un incoscienza tormentata da corpi dilaniati ed un paio di occhi verdi che mi scrutano nell'oscurità."
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nell'ultimo anno le torture sono aumentate esponenzialmente, se prima sembrava che lo facessero solo per utilizzarmi come cavia da laboratorio, adesso sembra quasi ci sia un piano ed una motivazione più grande dietro.

E' veramente così che vivrò? Continuerò a rimanere in questo posto finchè non mi uccideranno con i loro continui esperimenti?

Il corpo non risponde ai comandi. Le gambe non si alzano e le braccia non si muovono.

Sono diventata paraplegica? Sarò condannata ad essere una cavia da laboratorio paraplegica, pazza e muta? Wow, un futuro entusiasmante.

Non dormo, non ci riesco. Ma forse è un bene, se iniziassi a sognare tornerebbero gli incubi e là non posso fermarli, posso solo aspettare che si concludano. Almeno se sto sveglia posso continuare a pensare senza che quei volti mi vengano in mente.

Sono giorni che nessuno viene a portarmi fuori per degli esperimenti, entrano solo per portarmi l'acqua e quella poltiglia verdognola che loro chiamano cibo. Non la mangio mai. Così i vassoi si sono accumulati e adesso emanano un olezzo nauseabondo dopo tutti questi giorni trascorsi all'aria. L'acqua è evaporata o ne rimane ben poca, comunque.

Poi la porta si spalanca. Che sia già ora di mangiare di nuovo? Eppure mi sembrava che l'ultimo pasto me l'avessero portato poco fa. Non alzo nemmeno gli occhi per vedere chi sia. Mi prendono e mi trascinano. Mi sembrava che fosse passato troppo tempo. Guardo il pavimento senza vederlo, vengo condotta per i corridoi senza nemmeno accorgermene.

Non serve che legga la targhetta per sapere dove sono. Laboratorio A-23. Ne sono certa. Difatti quando entro mi posizionano su una sedia. Una poltrona reclinabile, nera con vicino macchinari e strumenti strani. Tra cui una piccola fiaschetta con dentro un liquido semi trasparente. Ormai sapevo com'era il processo. Mi facevano vedere qualche video di questa Katniss Everdeen, una vincitrice dei giochi che aveva dato origine ad una rivoluzione. Poi prendevano un mio ricordo di un particolare momento della mia vita, come andare a fare la spesa alla panetteria Mellark con mia mamma, o andare a raccogliere fiori al Prato con mio padre, o giocare a palle di neve con mia fratello. Ecco, prendevano uno di questi ricordi e mi convincevano che c'era anche questa Katniss, poi quando mi avevano cambiato le dinamiche del ricordo fanno in modo che il veleno degli aghi inseguitori faccia il resto. Il ricordo modificato viene attaccato dalle tossine che cambiano l'emozione provata in quel momento e rendono un determinato soggetto un nemico, almeno ai miei occhi. In questo caso lo è Everdeen. Ovviamente ci sono dovuta arrivare da sola, sapevo dell'esistenza di questo tipo di tortura. Il depistaggio. Ma non avrei mai potuto pensare che avrei potuto essere io una vittima di questo trattamento. D'altronde io non avevo mai conosciuto questa rivoluzionaria, gli unici ricordi intatti che ho di lei, per adesso, sono di quando la vedevo scendere in città con le sue prede, con quel Gale. Probabilmente lei non saprà nemmeno della mia esistenza, quella lurida stronza, nata solo per farci soffire, se solo... blocco i miei pensieri, sta succedendo di nuovo! Cazzo! Cerco di scacciare le immagini di lei che uccide la mia famiglia, mentre uccide mio fratello nell'arena, mentre mi trascina agli Hunger Games. Non è reale. Non è reale! E' solo il veleno... devo concentrarmi su qualcosa, ma cosa? Un ricordo non manipolato, uno qualsiasi. Pensa pensa pensa. Alla mente mi ricompare solo un ricordo, io e mia mamma, mentre cuciniamo. Lei ride, con la sua voce dolce e affettuosa, ma riesco a trattenerlo solo un momento, poi sento un leggero fastidio nell'interno gomito, un'infermiera mi passa un piccolo batuffolo di cotone bagnato con del disinfettante; la seduta è iniziata, mi legano ad un lettino e con una ago prelevano una piccola quantità di veleno dalla fialetta, poi cominciano con il solito trattamento, per quello sono preparata, poi mi infilano una specie di lastra in plastica tra i denti, aggrotto le sopracciglia, cponfusa da questa novità, avvicinano un elettrode alla mia tempia e solo allora capisco, chiudo gli occhi e poco dopo una scossa parte dal piccolo oggetto in ferro posta al lato della mia test. Sento il mio corpo tendersi e plasmarsi sotto l'effetto della scossa elettrica, quando finalmente l'elettricità smette di scorrere nel mio corpo ritorno a respirare. Trattengo le lacrime che minacciano di uscire. Mi concentro su altro ignorando il dolore lacerante che sento espandersi per tutto il mio organismo. Perchè farmi tutto questo? A quale scopo farmi del male, depistarmi, sprecare tempo con una ragazza come me? Odio non saper dare una risposta a tutte queste domande. Ma non ci penso più appena un nuovo dolore improvviso mi blocca il respiro, grugnisco per trattenere un urlo di dolore. La mandibola si serra e per poco i denti non tranciano di netto l'oggetto in plastica ancora posizionato nella mia bocca, il mio corpo è scosso dalle convulsioni irrefrenabili, dalle labbra contratte fuoriesce una schiuma biancastra che scivola giù per il mio mento. La mia mente, completamente scollegata e inconsapevole di ciò che sta succedendo al corpo vaga in mezzo ai ricordi, ormai non riesco più a distinguere ciò che è successo veramente e ciò che è finzione. Quando la seduta finisce sono completamente svuotata di tutte le energie, non sento le parole che mi vengono rivolte, non percepisco le mani che si serrano sulle mie braccia e che rudemente mi trascinano per i corridoi riportandomi alla mia cella, mi fanno stendere sul letto, i miei occhi spalancati fissano la parete bianca senza riuscire a distogliere lo sguardo, rimango immobile per quelle che mi paiono ore, non ho la forza di fare niente, il mio respiro è quasi assente. Rimango immobile, cercando di tenere la mia mente libera da ogni pensiero, lasciando che il mio corpo soffra e guarisca. Il silenzio viene squarciato da un suono acuto e stridulo, si ripete in modo costante, suono, silenzio, suono, silenzio. Capisco che è una sirena dopo alcuni secondi, poi all'acuto si aggiungono le urla, parole incomprensibili, ordini ripetuti fino allo sfinimento, grida che si inseguono davanti alla camera, la piccola finestrella posta sulla porta proietta le ombre di persone che corrono sul muro che sto fissando, dovrei essere preoccupata, dovrei domandarmi cosa sta accadendo, invece sono immobile a domandarmi invece quando tutto questo finirà. Passa poco tempo prima di accorgermi che c'è qualcosa di diverso nell'illuminazione, la stanza sembra più buia, ed effettivamente mi accorgo che le luci si sono spente tutte, l'unica illuminazione proviene dall'esterno della mia cella, dalla finestrella sulla porta, poi anche quella viene oscurata per un attimo. Finalmente il mio interesse si sposta dalla parete a ciò che sta accadendo all'esterno della stanza in cui sono, con fatica riesco a spostare il mio sguardo verso il fondo della cella, e dalla piccola apertura riesco a vedere un volto sconosciuto, non è un soldato di quelli che sono abituata a vedere, anche se i vestiti sono molto simili... è una donna, lo sguardo che si pianta nel mio. Mi guarda sconvolta, distolgo lo sguardo non riuscendo più a sostenerlo, e ritorno nel mio mondo immaginario, persa in una vita che non esiste più. La porta viene buttata giù, ma non mi importa, vengo sollevata e qualcuno mi prende in braccio, le braccia che mi sostengono non sono muscolose come quelle di un uomo, sono calde e confortevoli, mi viene da pensare che probabilmente è la stessa ragazza di prima, la mia mente riprende lentamente coscienza e comincio ad interessarmi a ciò che ho attorno. Sto venendo trasportata attraverso l'edificio, in una parte in cui non ho mai messo piede. Dove mi porteranno? Quali esperimenti vorranno farmi? A quei pensieri il mio animo viene invaso dalla paura e più avanziamo più la paura aumenta, dalla mia gola cominciano ad uscire dei suoni gutturali simili a dei ringhi, gli occhi spalancati non registrano niente di ciò che vedo. L'ansia e il terrore si impossessano poco alla volta di ogni fibra del mio essere fino a quando tutte le mie emozioni non si scatenato in un violento attacco di panico, il fiato è serrato nella gola, il petto è sconquassato dai battiti veloci e scoordinati del mio cuore, le budella si attorcigliano tra loro. Urlo, tutto ciò che riesco a fare è urlare frasi sconnesse e dimenarmi nelle braccia della donna che adesso mi guarda terrorizzata senza sapere che fare. La guardo negli occhi e tutto ciò a cui riesco a pensare in questo momento è che sono bellissimi. L'attacco passa e mi ritrovo a piangere lacrime disperate mentre il mio sguardo non si sposta dal suo.

“Uccidimi...”

Una lacrime scende da quegli incredibili occhi color del Prato.

“Ti prego, uccidimi... Ti prego....”

I miei sussurri si fanno via via più fievoli, sento un piccolo pizzicore all'interno del braccio e poco dopo la mia vista si fa sempre più sfocata, l'ultima cosa che riesco a registrare è un soffio di vento che mi carezza il viso e un fascio luminoso che per un secondo mi acceca e mi riscalda.

Sono fuori...

Sono libera.

 

   
 
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