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Autore: schwarzlight    30/05/2018    0 recensioni
"Eva è indistruttibile."
Eva è forte e imperturbabile. Affidabile e rassicurante nella sua razionalità.
Ma ora si trova sull'orlo di un precipizio, i binari interrotti, senza sapere da dove cominciare a costruire il ponte.
O forse, senza averne nemmeno l'intenzione.
E poi, un giorno, la possibilità di respirare di nuovo arriva da una donnina assolutamente innocua. Una Signora d'altri tempi, che le offre un posto dove stare e la tranquillità di accettare le proprie debolezze. La signora Angelica.
E poi c'è Claudia, l'amica di sempre che mina molto spesso il suo auto-controllo, Federico, il nipote svaporato di Angelica, e Ray.
Ray che abita nell'appartamento di fronte, e che ha i suoi stessi occhi.
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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Polvere

 

"Eva è indistruttibile."

Eva non era indistruttibile, per quanto potessero affermare il contrario.
Eva aveva i suoi patemi, le sue insicurezze, le sue paure. Solo che non sfociavano all'esterno, rimanevano chiusi nelle loro scatole, accatastati sugli scaffali assieme agli altri pensieri, al sicuro, mentre da fuori, Eva, sembrava effettivamente intoccabile.
Niente stress, niente isterie, niente debolezze, Eva era il saldo piedistallo che sorreggeva tutti. Eva era forte e poteva sopportare il peso degli altri.
Ma, forse, anche lei aveva i propri problemi. Forse, il proprio peso era il più insostenibile fra tutti.
Ray se n'era accorto.

La precoce sera autunnale oscurava il paesaggio, ed entrambi fingevano di osservare il panorama, occultato dai finestrini del treno trasformati in specchi. Attraverso il vetro, Ray osservava la ragazza dall'altra parte del corridoio, lo sguardo fissato oltre le sporadiche luci di case isolate sulla costa.
Eva non vedeva nulla. Persa nei suoi pensieri, osservava il buio, senza accorgersi dello sguardo indiretto del ragazzo poco distante.
Occhi come polvere. Occhi grigi che ad un soffio un po' più forte sarebbero svaniti, dissolti nell'aria, portandosi dietro le loro silenziose parole.
Occhi come polvere, opachi, immobili da troppo tempo. E poi? Cosa avrebbe fatto lui, a parte continuare a fissarla, affascinato da quell'immobilità, da quel suo esser persa e impalpabile e forte allo stesso tempo.
Il treno cominciò a frenare.
Si sarebbe girato. Si sarebbe girato a guardarla, prima di scendere, e l'avrebbe fatto direttamente, senza tramiti, senza sotterfugi di specchi e ombre. L'avrebbe guardata e... e l'avrebbe portata con sé, l'avrebbe tenuta con sé.
No.
No, no, no.
Lui sarebbe stato con lei, sarebbe rimasto con lei, avrebbe sopportato il suo peso e tutto il resto.
Il treno si fermò, le porte si aprirono.
Per un attimo, solo per un infimo attimo, lei si spostò: sembrò notarlo, ed entrambi si girarono.
La gente stava scendendo. La gente stava scendendo, ed effettivamente quella era anche la sua fermata, di lei, di lui. La gente stava scendendo, una marea quasi immobile fra loro.
Poi la gente finì, e lei era già andata.



***



Un'altra mattina, una come tante. Rientrava appena a quell'ora, Ray, casco sotto braccio, dopo una nottata passata al circuito a collaudare moto da corsa, quei cavalli meccanici imbizzarriti che il suo responsabile si divertiva tanto ad affidargli.
Gambe e spalle a pezzi, finalmente tornava al suo appartamento, all'ultimo piano di una palazzina antiquata dall'ascensore capriccioso. Non si sapeva mai se fosse in funzione o stesse tirando le cuoia, motivo per cui molti inquilini ignoravano la sua esistenza per non rischiare di rimanere appesi a metà fra due piani ad attendere i soccorsi.
O in fondo alla tromba dell’ascensore ad aspettare il becchino.
Per sua fortuna, però, quella era una delle rare volte in cui, per chissà quale intercessione divina, pareva voler funzionare senza magagne o scricchiolii inquietanti.
Meglio per lui.
Sganciò la grata di protezione una volta arrivato a destinazione, solamente per ritrovarsi la strada sbarrata da uno scatolone abbandonato nel bel mezzo del pianerottolo.
Rimase interdetto per qualche secondo, troppo stanco per formulare un piano d’azione o ignorare il tutto, e proprio mentre si decideva a scavalcare l’ostacolo e cancellarne mentalmente la presenza, un tonfo lo colse di sorpresa.
Un altro scatolone era spuntato dal nulla a ostruirgli la porta d’ingresso.
O meglio, non proprio dal nulla. Una ragazza visibilmente stanca, che palesemente non aveva avuto la sua stessa fortuna con l’ascensore, aveva delicatamente scaraventato l’oggetto a terra dall’ultimo scalino, dove ora si era accasciata a riprendere fiato.
Erano sei piani: non esattamente una passeggiata, se avevi del peso da trascinarti dietro.
- Che stai facendo.
Occhi come polvere.
Di nuovo, gli stessi occhi grigi, la stessa fragile forza, lo sguardo che si intrecciava al suo.
La ragazza del treno era lì, davanti casa sua, presa alla sprovvista dalla sua presenza cui non aveva fatto caso. Anche se non lo dava molto a vedere.
- Muoio. – rispose impassibile. Ray non capiva se fosse ostile, o ironica, o brutalmente sincera e incurante delle opinioni degli altri.
Poi si alzò, passandosi una mano nei capelli per toglierli da davanti gli occhi. Ed erano occhi ferrei, non solo nel colore.
La polvere non c'era più.

- Mi chiamo Eva, abito con la signora Angelica. - disse indicando l'appartamento esattamente di fronte.
- ...Ray. E vorrei entrare in casa mia.
- Oh. Mi dai un minuto?
- E se invece ti dessi una mano?
Nemmeno aveva finito la frase che lei aveva già recuperato il suo carico, dirigendosi al proprio appartamento.
- Ci vediamo!
 
Lei era lì, ed era assurda. Era tutto assurdo.
Girò la chiave nella toppa, mentre sentiva Eva armeggiare con la maniglia, ed entrò in casa senza più voltarsi.
 
Andava bene così.
 

***


- Ma quindi ce l’abbiamo, un vicino.
Angelica, la Signora Angelica, stava quietamente versandosi il tè, quando Eva si presentò in salotto con gli ultimi scatoloni di suoi abiti.
- Mia cara, tutti noi abbiamo un vicino. In ogni momento e luogo della nostra vita.
L’anziana donna sorrise alla smorfia scocciata della giovane: un aggrottare scetticamente le sopracciglia che lei trovava molto divertente.
- È un giovanotto interessante, anche se lo vedo molto raramente. Sempre educato, ma un po’ cupo.
Più che cupo, a Eva era sembrato distrutto.
- Ha degli orari molto strani, ma non ho mai saputo che lavoro faccia. Mi è sempre parso molto maleducato andare a ficcanasare senza una base di confidenza.

Fosse stata un’altra persona, Eva avrebbe storto il naso e ribattuto molto acidamente a quella affermazione.
Ma quella candida signora d’altri tempi era sempre sincera e mai maligna nelle insinuazioni: accettava qualunque stranezza con una naturalezza ammirevole, senza mai giudicare, senza mai condannare.
“Le persone sono tutte diverse, bisogna accettarlo” era solita ripetere.
Quella stessa signora che possedeva una laurea e diversi titoli di ricerca nel campo della fisica nucleare, conseguite in un tempo in cui le donne non erano considerate all’altezza nemmeno degli studi universitari.
Una donna che vedeva ben oltre le apparenze, e che comprendeva molto più di quanto non desse a vedere.
Una donna che aveva costruito i propri binari da sola, e li aveva percorsi fino alla fine.
La invidiava. La ammirava.

- Un po’ di tè? Prima di ricominciare bisogna rilassarsi e rifocillarsi per bene, non trovi?
Le porse una tazza già colma. Un rifiuto non era accettato.
 
E va bene.
Ricominciamo.
   
 
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