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Autore: rhys89    03/06/2018    4 recensioni
[Logan/Scott]
Scott sta preparando la sua valigia e, tra un vestito e l’altro, si crogiola nei ricordi.
Ricordi di un passato che sembra tanto vicino da poterlo toccare, quando per colpa di un guasto alla moto è rimasto bloccato nel bel mezzo del nulla… costretto a rimanere ospite per giorni di un burbero benzinaio/meccanico di nome Logan.
Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Scott Summers/Ciclope
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino dell'autrice

Salve gente! ^^
Come vi avevo accennato (o almeno mi sembra di averlo fatto, non ricordo bene ^^") sono tornata su questi lidi con una mini-long AU tutta rigorosamente Logan/Scott.

(E, se ve lo steste chiedendo, sì: ho intenzione di riprendere anche "Seconda stella a destra", solo che mi sono un po' impantanata e devo sbrogliare la situazione, quindi onde evitare di bloccarmi di nuovo tornerò a pubblicare solo quando avrò finito di scrivere tutti i capitoli.)

Questa storia è "in cantiere" da almeno due anni, ma è finalmente venuta al mondo grazie al contest The crack- The ship - The canon! Get ready! - II edizione indetto da missredlights sul forum di EFP.

Era un contest a pacchetti, e io ho scelto il pacchetto "America" di cui ho usato i prompt: estate, stelle, festa dell'indipendenza.

Il lavoro dietro a quanto state per leggere è stato davvero moltissimo, e vada come vada sono molto soddisfatta del risultato... spero che piaccia anche a voi.

Ah, un'ultima cosa: su word ho scritto questa storia distinguendo i vari paragrafi (capirete leggendo) con diversi font... solo che ho recentemente scoperto (e potevo arrivarci prima, ma tant'è) che su internet, anche se io inserisco con l'HTML il comando di cambiare font mettendo il nome prescelto, solo chi ha a sua volta installato tale font sul computer riesce a vederlo per come è davvero, gli altri visualizzano un altro font standard.
Ora, dal momento che questo potrebbe rendere la lettura confusionaria, ho optato per la soluzione di scrivere una parte in grassetto e l'altra in carattere normale. Non mi piace granché perché un testo tutto in grassetto non è particolarmente gradevole alla vista, ma non sono riuscita a trovare altre soluzioni. Mi scuso per il disagio.

EDIT: questa storia partecipa alla 666 prompt per essere come il diavolo challenge, indetta da Arianna.1992 sul forum di EFP.
Il prompt scelto è il n.86 --> “È inutile fare la cosa giusta, se quella sbagliata ti piace da morire.”

Concludo con un grazie immenso a missredlights per avermi dato la possibilità di portare finalmente a termine questa storia, e anche grazie a chi sceglierà di dedicarle un po' del suo tempo.
Ci vediamo domenica prossima per il capitolo 2.

EDIT bis: questa storia partecipa anche al contest In viaggio indetto da Emanuela.Emy.79 sul forum di EFP.
Il tema è ovviamente quello del viaggio, mentre la parola chiave scelta è "imprevisto".

Disclaimer: i personaggi e la storia di X-Men non mi appartengono e non ci guadagno nulla di materiale a scriverci su.

Buona lettura a tutti! ^_^



Titolo storia: Semplicemente sei
Fandom: X-Men (film)
Personaggi e pairing: James 'Logan' Howlett (Wolverine), Scott Summers (Ciclope), Logan/Scott
Pacchetto (e cosa avete utilizzato): America (estate, festa dell?indipendenza, stelle)
Introduzione storia: Scott sta preparando la sua valigia e, tra un vestito e l?altro, si crogiola nei ricordi. Ricordi di un passato che sembra tanto vicino da poterlo toccare, quando per colpa di un guasto alla moto è rimasto bloccato nel bel mezzo del nulla… costretto a rimanere ospite per giorni di un burbero benzinaio/meccanico di nome Logan. Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.
Note autore: modern!AU senza poteri; inframmezzate al testo ci sono delle frasi [tra parentesi quadre], tratte dall?ultima strofa della canzone “The Other Side”, di The Greatest Showman; l?ho scelta perché credo che sia perfetta per questa storia (e perché in questo periodo ne sono ossessionata), ma sono frasi usate più che altro come espediente per suddividere i paragrafi, quindi non si tratta di una song-fic; altre note alla fine.

Semplicemente sei

I parte: venerdì e sabato


 La valigia aperta sul letto attende silenziosa la tua attenzione, i vestiti e gli accessori che hai scelto di portarti dietro allineati al suo fianco come bravi soldatini. Prendi il primo – il giubbotto di pelle – e lo sistemi sul fondo, spuntandolo dalla lista. E poi sorridi: se Logan ti vedesse ora ti prenderebbe in giro fino alla nausea.
 Aggiungi un’altra giacca, un paio di jeans e un pantalone elegante, e intanto ammetti con te stesso che in effetti non avrebbe tutti i torti, perché quella delle liste è una mania che la parte perfezionista del tuo carattere non ha mai voluto né potuto abbandonare, a prescindere da quanto tu ci abbia provato.
 Una goccia di sudore scivola dalla fronte fin dietro gli occhiali, e dopo averla asciugata interrompi un momento il tuo lavoro per bere un paio di sorsi di tè freddo in cerca di un po’ di sollievo.
Anche quel giorno faceva un gran caldo.
 Sorridi di quel pensiero improvviso, lo sguardo perso oltre l’orizzonte che si intravede dalla finestra e la mente già lontana. Era successo per caso, in un pomeriggio che avrebbe dovuto essere solo uno tra tanti altri: l’attimo prima guidavi tranquillo lungo la strada che ti avrebbe portato dalla tua ragazza, quello dopo la tua vita era cambiata per sempre – senza averlo voluto, senza averlo cercato, senza aver potuto fare nulla per impedirlo.

 
 Ancora non riesci a credere di essere stato così sfigato: per nove lunghi anni la tua moto non ti ha dato neppure il più piccolo problema, nonostante tu le abbia fatto macinare diverse centinaia di miglia[1]… e oggi, proprio oggi, ha deciso di guastarsi a poche ore dalla tua meta, nel centro esatto del nulla.
Fanculo.
 Continui a spingere a mano la tua Night Road Special[2] a bordo strada mentre speri che il sole del deserto non ti faccia secco prima di arrivare alla stazione di servizio che hai sorpassato poco fa e che, ovviamente, non è segnata sulle mappe stradali – quindi niente numero di telefono per farti venire a prendere da un carro attrezzi né tantomeno un’indicazione precisa su quanto ancora tu debba scarpinare.
 Sbuffi, ti asciughi il sudore dalla fronte con la manica della maglia e mugugni imprecazioni indefinite contro tutto e tutti, perché oltre al caldo e alla fatica che devi sopportare non riesci neppure a scacciare il pensiero di quanto sarà seccante la telefonata che dovrai fare alla tua fidanzata. Quella in cui le spiegherai che non solo non hai preso l’aereo da Salt Lake City come ti aveva suggerito lei, ma che dovrà pure venirti a prendere perché altrimenti rimarrai bloccato qui per quei pochi giorni che potreste passare insieme.
Davvero una bella prospettiva.
 Per cercare di distrarti estrai il cellulare dalla tasca e controlli l’ora. Sono quasi le cinque e trenta – ovvero quaranta minuti dopo quel maledetto guasto – e hai un messaggio dell’operatore che ti avvisa che Jean ti ha cercato poco fa. Aggrotti le sopracciglia e per un momento ti soffermi a chiederti perché mai non fossi raggiungibile, – dopotutto non ci sono certo ostacoli da queste zone – ma una nuova chiamata della tua ragazza attira tutta la tua attenzione. Sospiri ancora, ti prendi qualche secondo per prepararti mentalmente a una probabile discussione e infine rispondi.
 «Ciao, tesoro!» esclami con quanta più naturalezza possibile.
«Ciao! Non sei ancora all’aeroporto, vero?»
 «Ehm… no» rispondi esitante. «Vedi, io–»
«Menomale» ti interrompe Jean, evidentemente sollevata. «Allora ho fatto in tempo. Ti avevo chiamato anche prima, ma non eri raggiungibile.»
 «Sì, ho visto ora il messaggio, non so perché prima non c’era… ma in tempo per cosa?» le domandi all’improvviso, realizzando in ritardo la stranezza di quella prima frase.
 Jean però non ti risponde subito, e tu inizi ad avere un brutto presentimento.
 «Jean?» la chiami ancora, e la senti sospirare – altro brutto segno.
«Io… ecco, scusa, ma non possiamo vederci, questo weekend» sussurra dispiaciuta. «Il mio capo mi ha assegnato un articolo all’ultimo minuto e devo andare a San Francisco.»
 Accusi il colpo in silenzio.
«Scott… mi dispiace davvero. Sei arrabbiato?»
 «No» commenti secco.
«Sì, invece» ribatte lei.
 Sospiri.
 «No, Je… ci sono solo rimasto male, ecco tutto.»
 E “male” probabilmente è riduttivo, perché è da fine marzo – da quando cioè si è trasferita a settecento miglia di distanza – che tu e Jean non riuscite a vedervi, e avevi preso anche qualche giorno di ferie per festeggiare con lei il quattro luglio… e invece niente.
«Mi dispiace, Scott» ripete Jean.
 Respiri a fondo, poi ti sforzi di abbozzare un sorriso che speri in qualche modo lei possa percepire.
 «Lo so» mormori infine, accomodante. «Non fa niente.»
 Jean ti ringrazia, si scusa ancora e promette che vi vedrete presto, – ma non specifica quando – poi parlate qualche altro minuto e vi salutate.
 Infili di nuovo il telefono in tasca e ti sistemi lo zaino sulle spalle, continuando a camminare con il morale sotto i tacchi e i capelli fradici appiccicati alle tempie. Chissà quanto manca, ancora. Insomma, a occhio e croce avevi sorpassato la stazione di servizio da massimo dieci minuti, prima del guasto. E dieci minuti in moto, a piedi dovrebbero essere…
 Aggrotti la fronte e cerchi di fare il calcolo a mente, poi sbuffi, riprendi il cellulare e inizi a fare una ricerca – quantomeno per tenere la mente occupata.
 Pochi minuti dopo, puoi dire con un buon margine di sicurezza che ti mancano ancora al massimo due ore di viaggio per arrivare a destinazione.[3] Sospiri e rimetti via il telefono.
Forse era meglio restare nell’ignoranza.
 La maglietta è ormai zuppa di sudore, così te la togli e la arrotoli attorno alla testa a mo’ di turbante, – la sfiga non si può evitare, ma forse un’insolazione sì – raccogli lo zaino da terra e riprendi la tua piccola maratona personale.
 Il resto del tragitto lo trascorri sforzandoti di non pensare a cose come la possibilità che la fantomatica stazione di servizio non sia aperta o a dove diamine potrai passare la notte, visto che non hai neppure una macchina in cui dormire… e poi, finalmente, all’orizzonte intravedi la sagoma della tua meta. Sorridi tra te – ormai quasi non ci speravi più – e acceleri il passo.
  
[Don’t you wanna get away to a whole new part you’re gonna play.]
 
 Quando raggiungi l’ombra della tettoia del distributore ti lasci sfuggire un sospiro di sollievo, grato per quel riparo dal sole cocente. Poco lontano da te, un uomo – probabilmente il gestore – è seduto davanti alla pompa di benzina; ti guarda di sottecchi un momento appena, ma prima che tu possa parlare si alza e si mette a trafficare con qualcosa che tu non puoi vedere.
 «Metti la moto sul cavalletto e levati quella roba ridicola dalla testa» è l’unica cosa che ti dice, senza neppure voltarsi.
Che tipo…
 Ti sfili la maglia-turbante – in effetti è davvero ridicola – e la appoggi sul sedile insieme allo zaino, poi sistemi la moto sul cavalletto. Hai appena finito quando senti dei passi pesanti venire verso di te, ma non fai in tempo ad alzare lo sguardo che un getto d’acqua gelida ti arriva dritto addosso.
 «Che cazzo fai?!» urli, facendo istintivamente un passo indietro.
 L’uomo di prima – che ora tiene tra le mani un tubo di gomma di quelli per annaffiare – ti guarda scocciato.
 «Volevo evitare che ti si cuocesse il cervello, ragazzino!» sbotta. «Ma forse è già troppo tardi.»
 E allora ti rendi conto che, forse, raffreddare la tua temperatura corporea dopo una maratona nel deserto non sarebbe poi una cattiva idea.
Anche se quello stronzo poteva almeno avvisarti, prima di farti venire un mezzo infarto.
 «Sì… beh, grazie, ma faccio da me» borbotti allora, tendendo la mano per prendere il tubo.
 Il tizio sbuffa ma ti accontenta, poi si avvicina alla moto.
 «Hai finito la benzina?» ti chiede, iniziando a esaminarla.
 «No, ho fatto il pieno poco dopo Las Vegas.»
 Lo vedi annuire una volta sola, ma siccome poi non ti presta più attenzione ti chini in avanti e porti il getto d’acqua sui capelli per rinfrescarti.
Ci voleva proprio.
 Ti sciacqui abbondantemente anche il viso, poi – a malincuore – decidi che quella doccia improvvisata è durata abbastanza, così tiri di nuovo su la testa e ti sposti indietro la frangia che era finita sugli occhi – rivoli d’acqua fresca ti scivolano sul petto e sulla schiena, facendoti sospirare beato.
 «Meglio?» ti chiede una voce sarcastica, e quando incroci lo sguardo di quell’uomo ancora senza nome lo vedi sogghignare divertito.
 Abbozzi un sorriso imbarazzato – stavi così bene che avevi dimenticato di non essere solo – e ti affretti a restituirgli il tubo di gomma.
 «Sì… grazie» borbotti. Lo guardi chiudere l’acqua e riporre la bobina al suo posto. «Mi chiamo Scott, comunque» ti ritrovi a dire prima ancora di averlo deciso davvero.
 Lui torna in silenzio verso la moto. Per un momento pensi che continuerà a ignorarti, invece si ferma vicino a te e tende una mano callosa per stringere brevemente la tua.
 «Logan» si presenta. «E molto probabilmente ti sei fottuto il radiatore della moto» aggiunge, indicandola con un cenno del capo.
Oh, merda…
 «Sei sicuro?» gli chiedi, decisamente preoccupato.
 Logan si stringe nelle spalle.
 «Non l’ho ancora smontata e potrei anche sbagliarmi, ma fossi in te non ci spererei troppo.»
 Sospiri a fondo, sconsolato, e intanto osservi Logan spostare la tua bambina davanti a quello che ha tutta l’aria di essere un piccolo garage. Esiti un po’, indeciso sul da farsi, poi ti stringi nelle spalle, raccogli lo zaino e lo raggiungi.
 Logan intanto ha preso diversi attrezzi da una cassetta arrugginita lì vicino e inizia a lavorare sul motore borbottando tra sé. In qualche modo, riesci a trattenere l’impulso di chiedergli ossessivamente come sta andando: detesti quando qualcuno mette fretta a te, quando lavori, e inoltre hai la non troppo vaga idea che quell’uomo scorbutico – che al momento è la tua unica speranza di andartene da qui – non reagirebbe bene alle sollecitazioni.
 Lo osservi lavorare in silenzio per diversi minuti, affascinato dalla sicurezza con cui le sue mani si muovono tra bulloni, tubi e fili elettrici. E quando Logan alza gli occhi su di te trattieni istintivamente il fiato, in attesa del responso…
 «Sì, il radiatore è andato» commenta lapidario. «Se vuoi posso ordinartene un altro, ma oggi è già tardi e il mio fornitore non lavora nei weekend, quindi dovrai aspettare lunedì.»
 Mastichi tra i denti un’imprecazione dopo l’altra, – contro i fornitori, contro la sfiga, contro la tua stupida idea di questo viaggio on the road – ma poi ti imponi di calmarti.
 «Non puoi davvero fare nient’altro?» gli chiedi in tono lamentoso, anche se razionalmente sai che così non risolverai un bel niente.
 «In caso non l’avessi notato, non sono una fottuta fatina» ribatte brusco.
Beh, questa un po’ te la sei cercata.
 Sospiri a fondo, passandoti una mano tra i capelli mentre ti sforzi di trovare una soluzione – una qualunque – che possa toglierti d’impiccio.
 La scelta più logica sarebbe farti venire a prendere da qualcuno, ma a parte Jean – che non puoi chiamare per ovvi motivi – i tuoi amici si trovano tutti a diverse centinaia di miglia di distanza.
 Un taxi, poi, è fuori discussione, perché verrebbe a costarti un occhio della testa.
 Sospiri ancora, ti scompigli di nuovo i capelli e torni a guardare Logan.
 «Non è che c’è un motel, da queste parti?» gli domandi senza sperarci sul serio – dopotutto l’hai visto coi tuoi occhi che siete praticamente in mezzo al nulla.
 «Da queste parti c’è solo casa mia.»
Infatti.
 «E immagino che tu non abbia una stanza da affittarmi…» commenti quasi tra te e te.
 «No. Però se ti accontenti puoi dormire sul divano.»
 Lo guardi sorpreso.
 «Davvero?»
 Lo vedi alzare gli occhi al cielo, ma poi sogghigna.
 «Beh, credo che il ritrovamento di un cadavere a poche miglia da qui non gioverebbe agli affari» ribatte, gli occhi che scintillano divertiti. «Sai, la gente è superstiziosa, da queste parti…»
 Gli sorridi raggiante, grato per quell’aiuto inaspettato.
In fondo a modo suo sa essere gentile.
 «Penso proprio che accetterò» rispondi. «In cambio posso aiutarti qui con i clienti…»
 «L’unico aiuto che mi serve è che tu non mi stia troppo tra i piedi, ragazzino» rifiuta seccamente, rimettendo via gli attrezzi.
A modo suo, appunto.
 
 Scuoti la testa divertito: quelle frecciatine acide sono sempre state una vera e propria firma, per Logan; come per paura di apparire troppo accessibile.
Come per paura di abbassare la guardia ed essere ferito. Di nuovo.
 Ti riscuoti da quei pensieri quando una nuova goccia di sudore ti scivola nell’occhio, e allora imprechi a mezza voce, ti asciughi bene il viso e ti decidi a tornare a lavoro.
Prima avrai finito, prima potrai rinfrescarti.
 In effetti potresti anche chiudere la finestra e accendere il condizionatore, ma qualcuno ha rotto il telecomando parecchi anni fa, e tu non hai mai imparato come si avvia manualmente. Sbuffi contrariato, senza però riuscire a reprimere un sorrisetto al pensiero del broncio che ha messo su Logan la prima volta che gliel’hai fatto notare.
«Non l’ho rotto, mi è caduto!»
«L’hai lanciato contro il muro, Logan. Pensavi si aggiustasse?»
«Sì, beh, tanto non funzionava lo stesso.»
«Cambiare le pile era troppo semplice?»
«E perché non l’hai fatto tu, allora?!»
 Sistemi in valigia gli scarponi da lavoro, e intanto il sorriso diventa malizioso: anche quella discussione alla fine l’avevate risolta in un modo tutto vostro.
E, sì, il telecomando di fatto era rimasto rotto… ma chi ci pensava più, al telecomando?
 Controlli di nuovo la lista e vedi che hai saltato una maglia. Quella maglia. Quella azzurra, che Jean ti ha regalato perché faceva risaltare i tuoi occhi – parole sue – e che Logan ha guardato storto dal momento esatto in cui ti sei lasciato sfuggire questa cosa.
 Esiti a lungo, indeciso… e poi la sistemi con cura sopra ai pantaloni.
Dopotutto è anche la maglia che indossavi quando sei arrivato qui.

 
 Passare la notte sul divano di Logan è stato come un lunghissimo incubo a occhi aperti. Letteralmente, o quasi: avrai dormito sì e no un’ora scarsa divisa in vari pisolini, e non solo per la dubbia comodità del tuo giaciglio, ma soprattutto perché il petto e le spalle bruciavano – e bruciano ancora – come l’inferno.
Stupido, stupidissimo sole del deserto!
 Oltretutto, per colpa di quella dannata scottatura sei stato costretto a dormire supino. E tu odi dormire supino; così, quando senti dei rumori in casa e capisci che Logan è già sveglio, non ti prendi nemmeno il disturbo di guardare l’orario prima di raggiungerlo.
Se lo avessi fatto, avresti scoperto di esserti alzato praticamente all’alba.
 Entri sbadigliando in cucina e vieni accolto dal confortevole aroma del caffè appena fatto.
 «Sembri uno zombie.»
E dalla soave voce del tuo ospite.
 «Non ho dormito bene» mugugni, andando a sederti su uno sgabello.
 «La suite presidenziale non era di vostro gradimento, altezza?»
 Alzi gli occhi al cielo ed eviti di rispondergli male solo perché non vuoi rinunciare al tuo caffè.
 «Non è per quello» borbotti contrariato. E poi esiti, perché dirgli il vero motivo del tuo malessere equivarrebbe probabilmente a nuove prese in giro, e in tutta sincerità non hai voglia di sopportarle.
 Logan ti porge una tazza fumante e indica la credenza con un cenno della testa, poi torna a controllare le uova e il bacon.
 «Come va la scottatura?» ti chiede all’improvviso, voltandosi appena verso di te. «Sei rosso come un peperone» aggiunge al tuo sguardo sorpreso.
 Ti alzi a prendere lo zucchero e le posate e intanto lo guardi di sottecchi, studiando la sua espressione: il sogghigno che gli è salito spontaneo in viso è il degno riverbero del divertimento che hai sentito nella sua voce…
 «Mi sento andare a fuoco» gli rispondi infine in un impeto di sincerità.
… ma in fondo se fosse successo a un altro anche tu te la rideresti sotto i baffi.
 Contrariamente alle tue aspettative lo vedi annuire tra sé senza aggiungere nulla, così prendi i piatti e li metti in tavola insieme al pane tostato. Poco dopo Logan spenge i fornelli e serve la colazione a entrambi, e per qualche minuto mangiate in perfetto silenzio, troppo intontiti dal sonno – almeno per quanto ti riguarda – per mettere insieme frasi di senso compiuto.
 
 Logan si alza prima di te e sparisce lungo il corridoio, ma neanche il tempo di finire gli ultimi sorsi di caffè e lo vedi ricomparire con in mano un flacone giallo senape.
 «È scaduta da un po’, ma è sempre meglio di niente» dice soltanto, prima di lanciartelo.
 Lo prendi al volo e osservi come pietrificato quella che a quanto pare è una vecchia crema doposole, poi ti riscuoti dalla sorpresa e alzi gli occhi. Logan è già arrivato alla porta d’ingresso.
 «Grazie!» esclami al suo indirizzo; lui fa uno strano movimento col braccio destro e neppure si gira per risponderti.
 Sorridi e guardi di nuovo la confezione tra le tue mani. In effetti, stando alla data sbiadita che si intravede sul fondo, quella roba è scaduta ormai da più di un anno… tuttavia, come ha detto Logan, è sempre meglio di niente. Senza contare, ti dici mentre sparecchi, che sarebbe davvero scortese rifiutarsi di provarla dopo che lui si è preso la briga di cercartela senza che nemmeno gliel’avessi chiesta. È stato un gesto gentile, il suo, e tu apprezzi sempre la gentilezza… anche – e soprattutto – se qualcuno cerca di nasconderla dietro modi rozzi e grugniti indistinti.
 Alzi gli occhi sul tuo riflesso nello specchio del bagno e scopri di star ancora sorridendo.
E che hai la faccia e il collo rossi come quella volta in cui da bambino ti sei travestito da fragola.
 Sbuffi tra te e inizi lentamente a levarti la maglietta, e il pizzicore della stoffa che striscia sulla pelle infiammata catalizza tutta la tua attenzione fino a che non ti ritrovi finalmente a torso nudo. Poi, versandoti una generosa dose di lozione sulla mano, inizi a massaggiare delicatamente le parti scottate.
 Il profumo fresco e vagamente floreale sale subito alle tue narici; è ancora buono, nonostante tutto il tempo trascorso. Ti chiedi istintivamente perché mai Logan lo tenesse ancora in casa… anche perché, in effetti, non sembra proprio il tipo da usare una crema emolliente – né un qualunque tipo di crema in generale, se è per questo.
 Ti volti per controllare la schiena allo specchio e noti con sollievo che – almeno quella – è a posto, probabilmente perché è sempre stata coperta dallo zaino.
E per fortuna, perché da solo non avresti davvero potuto arrivare fin laggiù e avresti dovuto chiedere aiuto a Logan…
 Scacci prepotentemente dalla testa l’immagine delle forti mani di Logan che ti massaggiano e ti affretti a chiudere il tappo e sciacquarti le mani. Poi guardi la tua maglietta: è quella pulita che ti sei messo ieri sera dopo la doccia, e ti scoccerebbe non poco sporcarla con il doposole – anche perché hai solo un altro paio di cambi, con te, e devono bastarti come minimo fino a martedì.
 Esiti un altro momento ancora, poi ti dici che in fondo anche quando sei arrivato eri senza maglia, e Logan non ha battuto ciglio; inoltre, dato che – a quanto pare – non vuole che tu interagisca con i suoi clienti, non c’è nessun motivo per cui ti debba creare tanti problemi.
 
[‘Cause I got what you need, so come with me and take the ride to the other side.]
 
 Esci fuori a torso nudo e raggiungi Logan davanti al garage: ha già tirato fuori la moto e sta sistemando gli attrezzi su un tavolo vicino, ma quando ti sente arrivare si ferma a guardarti. Ti squadra da capo a piedi con espressione indecifrabile… e poi sogghigna.
 «Sembri un’aragosta appena bollita» sentenzia.
 «E mi ci sento pure» ribatti con un mezzo sorriso ironico. «Comunque grazie» aggiungi dopo un attimo di esitazione. «Per la crema, dico» spieghi al suo sopracciglio inarcato.
 Logan annuisce senza rispondere e ritorna a concentrarsi sul suo lavoro. Lo osservi prendere un cacciavite e iniziare a smontare meticolosamente il motore, appoggiando i vari pezzi su un ripiano al suo fianco, e le parole scivolano fuori dalla tua bocca prima ancora di renderti conto di averle pensate.
 «Comunque mi hai sorpreso… non sembri il tipo che usa il doposole» scherzi.
 Forse è una tua impressione, ma Logan sembra irrigidirsi a quella frase – fintamente – casuale.
 «Era della mia ragazza» risponde secco.
No, forse non era solo una tua impressione.
 Ti mordicchi il labbro, imbarazzato da quella gaffe. Logan continua a ignorarti.
 «Uhm… posso aiutarti?»
 «Vai in casa, ragazzino» ribatte lui. E, sì, sai di aver sbagliato a impicciarti degli affari suoi, ma un po’ ci rimani male comunque. «È meglio se eviti il sole, per oggi» aggiunge a sorpresa, smorzando il tono brusco di prima.
 Sorridi tra te: probabilmente è il suo modo di chiedere scusa.
 «Sì, forse è meglio» concordi. Poi, dopo un cenno di saluto, torni sui tuoi passi e rientri in casa.
 
 Quando Logan, verso mezzogiorno, ti raggiunge, hai già lavato e messo a posto le stoviglie della colazione, rassettato il divano su cui hai dormito, messo un po’ in ordine la cucina e – adesso – stai finendo di preparare il pranzo.
 Logan si guarda intorno sorpreso e poi sposta gli occhi su di te in una muta domanda.
 «Visto che non mi permetti di aiutarti là fuori ho pensato di dare una sistemata in casa» gli spieghi con semplicità, continuando a tritare le verdure per l’insalata.
 «E perché?»
 Alzi gli occhi al cielo.
 «Si chiama “buona educazione”, Logan. Hai presente?»
 «Uhm… sì, ne ho sentito parlare. Ma pensavo servisse solo a non dire le parolacce.»
 Tuo malgrado sorridi divertito.
 «Comunque non ce n’era bisogno» aggiunge poco dopo.
 Ti stringi nelle spalle.
 «Mi piace rendermi utile.»
 «L’affitto te lo faccio pagare lo stesso» commenta con un ghigno.
 «Non ne dubitavo» ribatti per le rime.
 Logan ti sorride e comincia ad apparecchiare.
 
 Dopo pranzo vai in bagno a rimetterti un po’ di doposole – sarà anche scaduto, ma un po’ di sollievo te lo dà comunque – e poco dopo, con la coda dell’occhio, vedi Logan appoggiarsi allo stipite della porta aperta. Non dice nulla, però, e allora anche tu continui facendo finta di niente.
Ma ignorare quello sguardo fisso su di te diventa più difficile ogni secondo che passa.
 «Vuoi una mano per la schiena?» ti chiede infine, e se da un lato gli sei grato per aver interrotto quell’imbarazzante teatrino dall’altro la sua proposta ti coglie in contropiede.
 “No, non serve”, dovresti dirgli – perché la schiena è a posto, perché potresti cavartela da solo, perché non è assolutamente il caso di coinvolgerlo più del necessario.
 «Sì, grazie» accetti invece, passandogli la crema con un sorriso.
 Logan ne prende un bel po’ e si sistema dietro di te. Ti accarezza lentamente, spalmando con cura quella fresca lozione anche nei punti dove eri già arrivato da solo, e la sensazione di quei calli ruvidi che scivolano sulla tua pelle ti fa rabbrividire tanto che sicuramente se ne accorge anche lui. Lo osservi dallo specchio: ha le sopracciglia lievemente aggrottate e sembra molto concentrato sul suo lavoro, ma poco dopo alza gli occhi per incrociare il riflesso dei tuoi.
E i brividi sembrano raddoppiare.
 Restate in silenzio a lungo, – un silenzio carico di elettricità – poi lui abbozza un sorriso.
 «Ora è meglio se torno fuori… magari arriva qualche cliente.»
 Annuisci e ti sforzi di sorridere a tua volta.
 «Sì… e grazie.»
 Logan si allontana, ma continui a sentire il fantasma delle sue mani sulla tua schiena.
 
 Nonostante il doposole, quella maledetta scottatura rende anche la seconda notte che trascorri sul divano di Logan lunga e tormentata. E noiosa, tanto noiosa che la mente si prende libertà che non dovrebbe prendersi, mentre i pensieri vagano indisturbati verso zone pericolose.
Zone in cui le mani di Logan scivolano sulla tua pelle nuda senza più il pretesto della crema da spalmare…
 Irritato con te stesso, sbuffi e ti alzi in piedi per andare a prenderti un bicchiere d’acqua. Insomma, che Logan sia un bell’uomo è un dato di fatto, – non sei mica cieco – ma hai passato da un pezzo l’età delle fantasticherie su dei perfetti sconosciuti… senza contare che sei fidanzato, maledizione, e quindi…
 Un rumore improvviso interrompe quello scomodo flusso di pensieri. Tendi l’orecchio, curioso, e lo senti di nuovo: sembrano dei lamenti. E provengono dalla camera di Logan.
Che si sia sentito male?
 Bussi alla sua porta, ma dall’interno risponde solo il silenzio della notte.
Forse ti sei sbagliato.
 Stai quasi per lasciar perdere quando quei suoni ti bloccano di nuovo, e allora vinci ogni ritrosia e abbassi la maniglia, più preoccupato di quanto vorresti; nello spiraglio di luce che viene dal corridoio vedi il volto di Logan contratto in una smorfia sofferente, ma i suoi occhi sono ancora chiusi.
Sta avendo un incubo, capisci all’improvviso. Uno terribile, a giudicare dalla sua espressione.
 Rimani indeciso a lungo sulla soglia, consapevole di essere in bilico su un confine che – se tu avessi un briciolo di buonsenso – ti guarderesti bene dall’attraversare… ma alla fine entri nella stanza.
Non ti sentiresti in pace con te stesso a lasciarlo solo in queste condizioni.
 Ti avvicini lentamente, continuando a chiamarlo, e siccome non risponde gli scuoti piano una spalla per cercare di svegliarlo. All’improvviso, con uno scatto che ti spaventa a morte, Logan ti afferra il polso tanto forte da farti male… ma poi il suo viso si rilassa, mormora qualcosa di incomprensibile e smette di agitarsi; senza aprire gli occhi.
Senza lasciarti la mano.
 Un sorriso intenerito ti sale spontaneo alle labbra, prima di renderti conto dell’assurdità di questa situazione.
E ora?
 Provi a tirare delicatamente indietro il braccio, ma la presa di Logan non si allenta. Se strattonassi con decisione certo riusciresti a liberarti, ma adesso dorme così bene che proprio non hai cuore di svegliarlo – non dopo aver visto quanto era agitato il suo sonno fino a poco fa.
 Lentamente, facendo attenzione a non disturbarlo, ti sdrai al suo fianco e appoggi la testa sul cuscino.
Solo per un po’, ti dici chiudendo gli occhi. Poi ritorno sul divano.
 
È stata la prima volta che hai dormito in questa stanza.
 Ti guardi intorno con un sorriso nostalgico, e lo sguardo ti cade sul lato destro del cassettone, proprio accanto a quel soprammobile di dubbio gusto che vi ha regalato tuo fratello per il matrimonio – ma che Logan ha sempre trovato dannatamente divertente.
 Lì, tra quella specie di scultura post moderna e la bomboniera del battesimo di Thomas, c’è una delle prime foto che vi siete scattati insieme: siete tu e Logan in sella alla tua moto, i caschi sottobraccio e un gran sorriso in volto.
 È un po’ sfocata perché scattata col cellulare da un tizio che evidentemente di tecnologia ne sapeva ancor meno di tuo marito, – il che è tutto dire – ma rimane comunque una delle tue preferite, forse la preferita in assoluto. Anzi, probabilmente è proprio quel suo essere sfocata che la rende così speciale, così vera: imperfetta e insostituibile, proprio come è stato il vostro primo incontro.
Proprio come è stato tutto il vostro matrimonio.
 Ti avvicini alla cornice e ne sfiori il bordo coperto da un leggero strato di polvere; dovrai pulirla bene, prima di metterla in valigia.
 Ma, soprattutto, dovrai riempire la valigia, prima di metterci la cornice.



















 
 
[1] Scott è americano e il POV è esclusivamente suo, per questo ho preferito adottare le miglia piuttosto che i chilometri.
[2]Sì, è una Harley Davidson. No, non l’ho scelta a caso ;)
[3]Tanto per la cronaca, ecco come ha fatto il calcolo: con una velocità media di 100 km/h, in 10 minuti si percorrono 16,7 km; considerando che un uomo a piedi va a circa 5 km/h e che Scott cammina da quasi un’ora, gli ci vorranno indicativamente altre due ore per percorrere la strada rimanente (io ho fatto il calcolo con i km, ma ovviamente Scott avrà usato le miglia).
Tuttavia Scott si è sbagliato ed erano passati poco più di 5 minuti da quando aveva superato la stazione di servizio, per cui dovrà camminare in tutto meno di due ore (ma solo perché in fondo io voglio bene al mio monocolo preferito <3).

 

   
 
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