CAPITOLO 4 –
WINTERFELL
[BRAN]
“Non puoi
dirglielo così su due piedi, Sam. Lo distruggerebbe” Bran ne era assolutamente
convinto.
Jon aveva vissuto
tutta la vita nella convinzione che Eddard Stark fosse suo padre, con la
promessa di conoscere la vera identità di sua madre, un giorno. E ora che
Brandon aveva districato i meandri della storia, sapeva di non potergliene
parlare con leggerezza. Le menzogne dell’uomo che l’aveva cresciuto avrebbero
minato le sue certezze, costruite in anni e anni di sacrificio e privazione.
Jon si era unito ai Guardiani della Notte per redimersi dalla sua condizione di
bastardo, per dimostrare al mondo e a se stesso di essere un vero Stark, anche
a causa degli sguardi di disprezzo di Lady Stark. Lady Catelyn aveva odiato il
giovane Snow per tutta la vita a causa di una menzogna.
“Può una bugia detta a fin di bene risultare meno dolorosa?”
Se l’era chiesto
spesso, Brandon Stark, e l’unica risposta che era riuscito a darsi era no. Jon
ne avrebbe sofferto ugualmente. Scoprire di non aver mai conosciuto il suo vero
padre e di non poter conoscere sua madre avrebbe distrutto anche l’uomo più
forte e risoluto del mondo.
Eppure Bran non
poteva biasimare suo padre. Quella bugia aveva protetto Jon da orrori ben più
gravi dell’essere etichettato come bastardo.
“Quindi dovremo
semplicemente mantenere il segreto?” piagnucolò Samwell Tarly. “Non sono mai
stato bravo a mentire. Jon è stato il mio unico amico per molto tempo”. Avvolto
in numerosi strati di pelliccia con il solo volto in vista, Sam accompagnava
Bran quando questi aveva voglia di visitare il Parco degli Dei e passava il
resto del suo tempo immerso in biblioteca a cercare notizie sulla Lunga Notte e
su come sconfiggere gli Estranei.
“Non devi
mentirgli. Devi solo aspettare il momento giusto per dirglielo”
“E quando sarà?”
chiese Sam, non ancora del tutto convinto.
“Lo capirai”
Sam Tarly sembrò
convincersi che mantenere il silenzio sulla faccenda fosse la cosa migliore e
cambiò argomento.
“Hai visto
qualcos’altro di cui vuoi parlarmi, mio principe?”
“No Sam. Le mie
visioni continuano ad essere confuse, annebbiate” Bran cercò di nascondere la
sua preoccupazione ma non dovette riuscirci molto bene perché Samwell gli
lanciò un lungo sguardo interrogativo.
“Ho visto delle
cose… Ho fatto delle cose…” lasciò andare tutta la sua frustrazione “Io… non
sono se ero me stesso negli ultimi Sogni dell’Oltre. È colpa mia Sam… Hodor… Il
Re Folle… Io…”.
Sam sembrò capire
a fondo i suoi turbamenti. “Qualsiasi cosa sia successa, so che non era tua
intenzione fare del male” provò a rassicurarlo.
Ma Brandon sapeva
che prima o poi avrebbe dovuto risponderne agli Antichi Dei, a quegli Alberi
Diga che dapprima l’avevano guidato ed ora sembravano averlo abbandonato al suo
destino.
“Non ero ancora pronto. Il vecchio corvo mi aveva avvertito”
Ma era stato presuntuoso, sciocco. Aveva creduto di poter
controllare l’immenso potere che gli era stato dato, ed ora, con la Lunga Notte
ad un passo, l’ultima speranza per gli uomini era un ragazzino storpio che non
era in grado di svolgere il suo compito.
D’improvviso si ricordò della canzone di cui il principe Rhaegar
parlava in una delle sue visioni.
“Sam, hai mai sentito parlare del Canto del Ghiaccio e del Fuoco?”
“Il Canto del Ghiaccio e del Fuoco?” chiese Sam dubbioso “Io… non
credo. Perché me lo chiedi?”
“Ho visto il principe Rhaegar parlarne a sua moglie” rivelò
Brandon.
“Il principe Rhaegar?” chiese stupito. “Tu… sai a cosa si
riferisse?”
“No” dovette ammettere. “Rhaegar pensava che il Canto si riferisse
al suo primogenito, l’infante che fu ucciso nel sacco di Approdo del Re,
durante la Ribellione di Robert”
“Mi dispiace Bran, non ne ho mai sentito parlare. Ma posso cercare
nella libreria del tuo castello. Anche se non è saggio interrompere le ricerche
sulla Lunga Notte, anche solo per qualche ora”
“Non dovrai farlo. La canzone di cui parlava Rhaegar, credo si
riferisca al Principe che fu Promesso”
Sam tossì per la sorpresa. “Il Principe Promesso? Azor Ahai
intendi? Lady Melisandre credeva che Stannis fosse il misterioso guerriero che
guiderà gli uomini nella Battaglia per l’Alba”
“Ma Stannis Baratheon è morto. Cosa sai del mito della Lunga
Notte, Sam? Del Principe Promesso o di Azor Ahai”. Se c’era qualcuno che poteva
aiutarlo a ricomporre il puzzle quello era Sam.
“Niente più di quello che ho sentito da Melisandre. Che è rinato
dal sale e dal fumo e che, in battaglia, brandisce la Spada Rossa degli Eroi. E
non molto altro” rabbrividì. “Non mi piacciono molto le profezie. Preferisco la
storia vera”
“Pensaci Sam. Rinato dal sale e dal fumo”
“Jon?” Sam per poco non si strozzò per la sorpresa. “Ma il sale e
il fumo?”
“Non lo so. Qualcuno una volta ha detto che le profezie sono come
spade senza elsa, difficili da maneggiare. Non sempre una profezia si avvera
come ci si aspetta. Durante l’Età degli Eroi ad un Lord fu predetto che sarebbe
morto sotto le mura di un castello. Perciò per tutta la vita si tenne lontano
almeno cento miglia da tutti i castelli di Westeros. Tuttavia quando la morte
lo colse si trovava di fronte ad una locanda, nelle Terre dei Fiumi, sotto
l’insegna che recava inciso un maestoso castello”.
“D’accordo… d’accordo. Devo andare in biblioteca immediatamente”
risolse Sam con una punta di eccitazione nella voce. “Tu dovresti andare a
riposare un po’ Bran”.
Quando Sam lasciò il Parco degli Dei si apprestava la mezzanotte.
Bran spinse la sedia con le ruote che maestro Wolkan gli aveva gentilmente
costruito fino alla radura dell’Albero Diga. La neve cadeva ancora fitta, come
aveva faceva ormai da giorni, ma i vapori delle sorgenti calde del Parco degli
Dei di Grande Inverno rendevano il freddo quantomeno sopportabile.
Spettro, che era rimasto accovacciato per tutto il tempo vicino al
piccolo laghetto, sembrò fiutare qualcosa nell’aria. Alzò di scatto la testa,
annusando l’ambiente circostante, prima di lanciarsi a capofitto verso l’arco
in pietra che delimitava l’entrata del Parco. Bran avrebbe potuto facilmente
scivolare dentro di lui come un tempo faceva con Estate. L’aveva fatto alcune
volte e gli era sembrato di sentire Jon accanto a lui, a sussurragli
indicazioni su come scoccare una freccia con precisione o a sorridergli come
faceva quando lo guardava scalare le mura di Grande Inverno.
“Il Canto del Ghiaccio e del Fuoco” disse a mezza voce scrutando
l’antico volto austero.
Un’arpa suonava una triste melodia, in una
fortezza semidistrutta, bruciata. Qualcuno cantava di un eroe, di sacrificio e
di gioia, di colpa e d’amore.
Una regina sedeva sul Trono di Spade, con
avanti a se un uomo dal volto nascosto da un cappuccio.
Un esercito di morti cancellava tutto ciò che
aveva davanti a se, alle porte di un castello in fiamme.
Un principe dal capo ornato d’oro uccideva la
sua amata trapassandola con la spada.
Un uomo che odiava il fuoco guidava un attacco
tra le fiamme.
Un cavaliere in una scintillante armatura nera
cavalcava contro la morte, la Spada degli Eroi in pugno.
Decine di fiere combattevano l’una al fianco
dell’altra. Meta-Lupo e Leone, e Orso, Cane, Cervo. Su tutti dominava la più
stupefacente delle bestie, il Drago.
Un donna dai capelli biondo-argento sedeva con
le spalle poggiate all’unica colonna risparmiata dalla catastrofe.
Un neonato dormiva in una culla di ghiaccio
con le piccole braccia avvolte intorno ad un uovo di drago.
[ARYA]
Grande Inverno
attendeva il ritorno del Re del Nord con ansia e trepidazione. I Lord alfieri
del Nord e della Valle di Arryn pretendevano spiegazioni da lui. Spiegazioni
che né Sansa né, tantomeno, Arya avrebbero potuto dargli. Anche se nessuno
aveva più parlato apertamente della faccenda, Arya sapeva che erano
semplicemente riuscite a tenerli a bada fino a quel momento.
Lo sapeva perché
aveva osservato con attenzione tutti gli abitanti del castello. Dalla giovane
Lady Mormont, fino ad arrivare all’anziano e burbero Lord Royce, passando per
tutti gli altri Lord, i comandanti e anche i nuovi stallieri, maniscalchi e
fattorini. E se il popolino di Città dell’Inverno sognava estasiato dei draghi
e della loro Regina, non così i Lord.
Ogni volta che
poteva, Gendry la raggiungeva scovandola in qualsiasi luogo del castello lei si
trovasse. Sospettava che Sansa fosse l’informatrice del giovane mezzo-Baratheon.
Aveva scoperto con stupore, ma anche con immenso piacere, che collaborare con
la sorella rendeva il compito di gestire Grande Inverno decisamente più
semplice per entrambe. Sansa si occupava di tenere in ordine i conti, di
organizzare la servitù e, grazie all’aiuto di Adryan Cassel, di tenere alte le
difese. Arya invece, memore degli insegnamenti di Syrio Forell, osservava
silenziosa i comportamenti di tutti, anticipando le esigenze tanto dei Lord
quanto del popolino. Le due sorelle erano comunque in eterno conflitto per via
dei loro caratteri agli antipodi, ma si erano date delle regole per cooperare
al meglio. Il branco unito era più forte, ed Arya e Sansa insieme avevano
dimostrato di poter governare il Nord anche in un’epoca di guerra e morte. Jon
sarebbe stato fiero del loro operato.
Un corvo era
giunto da Porto Bianco, recante la notizia dello sbarco del Re del Nord e della
Regina dei Draghi. Da quel giorno Arya non aveva fatto altro che aggirarsi per
la fortezza di Grande Inverno in attesa di ricongiungersi al fratello. Non
poteva prevedere con precisione il giorno del suo arrivo, così ogni volta che
poteva si recava in cima alle mura a sud a scrutare l’orizzonte. La neve e il
vento erano i suoi elementi. Era in grado di starsene immobile tra una
merlatura e l’altra anche per tutta la notte se necessario, quando persino i
soldati di vedetta preferivano rintanarsi intorno ai fuochi nelle torri di
guardia, a ripararsi dalle intemperie.
Quella notte la
neve non cadeva così fitta da non permettere di vedere oltre un palmo dal naso,
come aveva fatto per tutto il giorno, anche se i venti dell’inverno non si
risparmiavano certo. Ma Arya non si era fatta intimidire dalle condizioni
avverse e si era messa di guardia su uno dei camminamenti non sorvegliati dai
soldati. In qualche modo lei stessa sperava che Gendry la raggiungesse, anche
se non l’avrebbe mai detto ad alta voce.
Non si era resa
conto di quanto tempo fosse passato quando decise di accendere un fuoco in uno
dei bracieri sistemati tra due merlature.
Furono proprio le
fiamme ad attirare l’attenzione di Gendry che usciva dalla fucina. Il giovane
la raggiunse in cima alle mura credendo di coglierla di sorpresa. Lo faceva
sempre, ma nemmeno una volta Arya non lo aveva sentito avvicinarsi.
“Un uri farebbe
meno rumore di te” lo apostrofò quando fu abbastanza vicino da udire la sua
voce nella tormenta di neve.
“Come hai fatto
ad accorgerti di me? Stavolta sono più che sicuro di non aver fatto nessun
rumore” si lamentò Gendry.
“Ti ho sentito lo
stesso” Arya gli sorrise.
“Allora ti sarai
anche accorta del Meta-Lupo di tuo fratello che raschia la porta sud cercando di
uscire” le rispose infastidito. Non gli andava proprio giù di non riuscire mai
a sorprenderla. In qualche modo Arya trovava tenero questo suo comportamento.
“Spettro?” chiese
allarmata.
“E chi se no”
confermò lui.
Se Spettro era
impaziente di uscire poteva voler dire una sola cosa. Jon era vicino a casa.
In fretta e furia
gettò una coperta bagnata e irrigidita dal freddo sul braciere per spegnere il fuoco
e si diresse di corsa verso le stalle. Anche a notte fonda e con una tormenta
in atto sarebbe andata incontro a suo fratello. Gendry le tenne dietro imprecando.
“Dove stai
andando?”
“Da Jon.
Tornatene ai tuoi impegni”
“Non se ne parla.
Credi davvero che ti farei uscire da sola con questo tempo?”
“Spettro verrà
con me. E non mi serve certo il tuo permesso per…”
“No, non ti
serve” la interruppe lui, testardo come sempre. “Ma non puoi impedirmi di
venire con te”
Straniera, la sua
puledra nera come la notte, la attendeva nelle stalle. Scalciò impaziente
mentre Arya armeggiava con le stringe della sella. Quando l’aveva vista per la
prima volta nella foresta azzuffarsi con un paio di lupi ed uscirne vittoriosa
le aveva ricordato un altro cavallo dal pessimo carattere, e quando era
riuscita a portarla con se a Grande Inverno le aveva dato il suo stesso nome.
Dopo pochi minuti
Spettro correva, confondendosi nelle distese nevose. I cavalli di Arya e Gendry
arrancavano per tenergli dietro.
Poche miglia più
avanti, con il Meta-Lupo che era scomparso nella notte, Arya decise di lasciare
la Strada del Re ed inoltrarsi nella Foresta del Lupo. Tacitate le proteste di
Gendry che aveva paura di azzoppare il cavallo e rompersi il collo nella
caduta, ripresero la loro marcia.
Cavalcavano solo
da un paio d’ore, quando si trovarono in prossimità di Castel Cerwyn. Arya
sospettava che Jon avrebbe seguito la strada del Re, perciò decise di fermarsi
a meno di un miglio da un ruscello a nord della fortezza, dove probabilmente il
convoglio si sarebbe fermato ad abbeverare i cavalli. Trovarono una piccola
insenatura sul fianco scosceso di una collina, per ripararsi dal vento e dalla
neve, che comunque erano diminuiti di intensità in confronto a quando erano
partiti.
Arya aveva
intenzione di riposare per qualche ora e riprendere la marcia verso sud appena
prima dell’alba. Nella piccola caverna trovarono della legna abbastanza
asciutta per accendere un piccolo fuoco e riscaldarsi un po’. Gendry si era
lamentato del freddo ogni volta che aveva potuto così Arya non obiettò quando
lui lo propose.
“Tua sorella ha
ragione” cominciò il giovane bastardo quando il fuoco ebbe attecchito sulla
legna mezza bagnata. “Quando ti lanci a capofitto in qualcosa non pensi mai alle
conseguenze”
“Quindi è lei a
dirti dove trovarmi ogni volta che mi allontano” sovvenne Arya.
Gendry arrossì
vistosamente. “Tranquillo, se non avessi voluto farmi trovare nemmeno le
indicazioni di mia sorella ti avrebbero aiutato”
“Beh, mentre tu
pensavi solo a sellare i cavalli io ho preso un po’ di cibo per il viaggio”.
Tirò fuori dalla bisaccia due salsicce e una forma di pane.
Mangiarono in
silenzio per qualche minuto. Quando ebbe finito estrasse Ago e si mise ad
affilarla sulla gote. Gendry la osservava in silenzio, con un mezzo sorriso
sulle labbra.
“Cos’hai da
guardare?” lo apostrofò sentendo lo sguardo pesante di lui addosso.
“Niente” rispose
baldanzoso. “È solo che affili la tua spada nel modo sbagliato”
“Ma davvero?” gli
fece eco lei. “Se sei così esperto perché non lo fai tu?”
Gendry si alzò e
andò a sedersi accanto a lei. “D’accordo. Il tuo modo si affilarla andrebbe
bene per una spada lunga. Ma per una spada dalla lama così sottile è meglio
fare in questo modo. Guarda”
Prese Ago e ne
osservò filo e bilanciamento. Dopodiché estrasse un panno oleato dalla sua
borsa da fabbro e si mise a lavoro. Arya lo osservò incantata. I suoi movimenti
erano fluidi ed esperti e mai, nemmeno per un attimo, alzò gli occhi dalla
spada, come un maestro guaritore chino sul suo paziente. Quando gliela rese, la
lama era talmente affilata da apparire bluastra alla flebile luce delle poche
braci rimaste.
“Hai fatto un
buon lavoro. Grazie” si costrinse a dirgli.
“Questo ed altro
per la mia Lady”
Arya si protese
per assestargli uno schiaffo ma Gendry intercettò la sua mano a metà strada e
scoppiò a ridere divertito. La bellezza del suo sorriso le fece quasi male.
“Lasciami andare”
gli disse distogliendo lo sguardo.
“Non credo
proprio” sorrise ancora lui tirandola verso di se. Arya glielo permise senza
opporre resistenza.
Si baciarono per
un breve istante. Una ragazza non credeva di poter provare sentimenti così
forti per qualcuno, Arya Stark si rese conto di averli nascosti a se stessa per
troppo tempo. Poi Gendry si scostò appena.
“Cosa c’è?”
chiese un po’ imbarazzata e un po’ arrabbiata. “Credevo fosse quello che
volevi”
“Certo che lo è”
sorrise ancora anche se stavolta sembrava preoccupato. “Ma ho bisogno di sapere
una cosa prima”
“Avanti spara”
Arya stava perdendo la pazienza.
“Ecco… io…”
balbettò. “Ho bisogno di sapere se sei la mia Lady?”
Fuori dalla
caverna un cavallo nitrì. Entrambi si resero conto che quel momento idilliaco
era svanito. Gendry distolse lo sguardo imbarazzato. Subito dopo delle voci
ruppero l’oscurità.
“Jon” sussurrò
Arya balzando in piedi. Gendry imprecò sottovoce suscitandole un sorriso
spontaneo.
Si accostò
all’entrata della piccola caverna in cui avevano trovato riparo. Le prime luci
del mattino illuminavano il mondo esterno. Come Arya aveva previsto alcuni
uomini si erano fermati per abbeverare i propri cavalli nel ruscello poco
lontano. Qualcuno imprecava cercando di rompere lo strato di ghiaccio che si
era formato sull’acqua.
“Non posso
crederci” si voltò verso Gendry. “È il Mastino”. Raccolse Ago da terra.
“Cosa credi di
fare da sola?” bisbigliò Gendry seguendola nella boscaglia.
Sgusciò tra gli
alberi, quanto più vicino poté al ruscello. Degli uomini abbeveravano i
cavalli. Jon era pochi passi dietro di loro, intento a tranquillizzare il suo
cavallo che sembrava mezzo imbizzarrito e provato dalla lunga cavalcata.
Il suo cuore
perse un colpo.
Tornò indietro
silenziosa e svelta come un gatto. Straniera la attendeva all’entrata della
caverna, Gendry l’aveva sellata per lei. Lo ringrazio con un cenno e balzò in
sella dirigendosi di gran carriera verso il ruscello.
“Jon” urlò,
uscendo dal folto del bosco.
Gli uomini
estrassero le spade pronti a dare battaglia. Il Mastino si voltò verso di loro
lanciando una risata roca. “Fossi in voi rinfodererei le spade. La ragazzina è
pericolosa quasi quanto me”
Era a meno di
cento metri da loro. La pianura innevata si apriva davanti a lei. Vide Jon
saltare in sella al suo destriero e cavalcarle incontro. Dopo pochi attimi si
ritrovarono a cavalcare in cerchio, l’uno intorno all’altra. Jon sorrideva come
non lo aveva mai visto fare prima, Arya a stento trattenne le lacrime.
“Credevo di non
rivederti mai più, sorellina” le disse Jon quando furono scesi da cavallo,
scompigliandole i capelli.
Le sembrò come se
non fosse passato nemmeno un giorno da quando si erano lasciati. Anche se il
Jon che aveva davanti somigliava molto poco al giovane che aveva salutato
diretto alla Barriera. Somigliava di più a suo padre Ned, molto più di quanto
Arya avesse immaginato.
Gli saltò in
braccio, il viso immerso nella folta pelliccia nera che indossava.
“Mi sei mancata”
“Anche tu,
fratello. Ma non aspettarti che ti chiami Maestà” lo prese in giro.
Rise. “Non devi
farlo, visto che non sono più Re di niente” Jon abbassò lo sguardo.
“Ho saputo. Dov’è
la Regina? Credevo di sentirvi arrivare da dieci miglia almeno”
“Ci
raggiungeranno presto. Non potevo attendere un’altra notte, così vicino a casa”
Arya osservò la
reazione di Jon e capì che Daenerys Targaryen era per lui più che una semplice
Regina. Avrebbe indagato a fondo più tardi, l’emozione per aver ritrovato suo
fratello era troppo forte per pensare a qualsiasi altra cosa. Anche Gendry
sembrò capirlo, perché dopo aver salutato Jon non fece nient’altro per
avvicinarla. Cosa di cui Arya gli fu grata. Ci sarebbe stato tempo, più tardi,
per rispondere alla sua domanda.
“Ragazzina.
Dovrei staccarti la testa per avermi lasciato a morire” grugnì il Mastino
quando si rimisero in marcia.
“Visto come è
andata a finire forse dovresti ringraziarmi, Clegane” entrambi risero. Sandor
le tese il braccio e Arya lo strinse in segno di rispetto reciproco.
Fratello e
sorella cavalcarono fianco a fianco fino alle porte di Grande Inverno
scambiandosi storie sugli anni passati lontano, dall’altra parte del mondo
l’uno rispetto all’altra.
“Credevo che
Spettro mi avesse anticipato” gli rivelò ad un certo punto del viaggio. “Sono
uscita per seguirlo convinta che avesse fiutato il tuo ritorno”
“Magari qualche
animale lo ha distratto e si è messo ad inseguirlo. Niente paura, tornerà
presto”
[DAENERYS]
Avvistarono la sagoma di Grande Inverno con il
giorno che volgeva ormai al termine. Una fortezza scura in lontananza, ben
visibile anche nell’immane coltre di neve. Persino da quella distanza poteva
percepire la maestosità di quel luogo, tanto nelle fattezze quanto nella storia di cui era impregnato. Ricordò di
come Tyrion le aveva raccontato che il castello era stato bruciato dai Greyjoy,
saccheggiato dai Bolton e aveva subito un assedio da poco. Ma nonostante tutto
questo si ergeva ancora maestoso nella pianura innevata.
Grande Inverno era lì da migliaia di anni, a
governare il Nord. E dopo chissà quanti anni, una Targaryen stava per visitarla
di nuovo. Grande Inverno che aveva combattuto al fianco di Robert Baratheon per
spodestare il Re suo padre.
Inevitabilmente si ritrovò a pensare a quanto i
Lord del Nord potessero odiare l’ultima Targaryen. Qualcuno l’avrebbe ritenuta
un’usurpatrice. Avrebbe dovuto sopportare sarcasmo e sicuramente qualche
insulto ma sapeva che Jon sarebbe stato al suo fianco. Non che ne cercasse la
protezione, cercava la sua compagnia e la possibilità di essere se stessa con
lui. L’alleanza col Nord doveva funzionare per la guerra e per Daenerys.
“Sei il sangue del Drago. Funzionerà”
Lungo le ultime tre miglia prima del Castello
erano state piantate delle torce su entrambi i lati. Illuminavano la Strada del
Re fino all’ingresso della fortezza. Il Re del Nord, accompagnato da una scorta
di uomini a cavallo, li attendeva nel punto in cui le cominciavano le torce.
“Spero che l’ultimo giorno di viaggio sia stato
veloce e privo di rischi, Maestà. È bello rivederti” le disse Jon cavalcandole
al fianco.
“Lo è stato, Jon” rispose beandosi un attimo
della sua presenza al suo fianco. Ricordò di come le aveva raccontato di averla
sognata camminare sui bastioni di Grande Inverno. Arrossì appena abbassando lo
sguardo per nasconderlo. Non voleva deludere le sue aspettative.
“La regina del fuoco baciata dal
ghiaccio”
Cavalcarono in silenzio fino all’interno del
cortile di Grande Inverno dove Lord e Lady attendevano l’arrivo della Regina.
Ser Jorah le tese la mano per scendere da cavallo. Jon fu in un attimo al suo
fianco.
“Maestà, loro sono la mia famiglia. Sansa Stark,
Lady di Grande Inverno” presentò Jon. Sansa si inchinò appena in segno di
rispetto. Era di una bellezza veramente rara pensò Daenerys. I lunghi capelli
castano ramati, il volto fiero e attraente, gli occhi di un blu intenso e
profondo. Qualcosa in lei le ricordava Cersei Lannister: il portamento retto e
lo sguardo indagatore. Tyrion le aveva parlato dei fratelli Stark, e Daenerys
aveva intuito dalle sue parole la stima che lui provava per la giovane
principessa del Nord.
“Brandon Stark, erede diretto di Lord Eddard
Stark”. Fu lei stavolta a chinare appena il capo verso Bran che rispose con un
piccolo cennò della testa. I suoi occhi erano di un castano molto profondo. “Occhi che vedono tutto” pensò.
Le sembrò che Bran non fosse realmente lì con
loro. Una sensazione che di sicuro anche gli altri provavano. Si sentì nuda
davanti a lui. Non in senso fisico, bensì come se il suo sguardo potesse
scavare nel suo passato, come se lui potesse vedere chi realmente lei fosse.
“E la più piccola delle mie sorelle, Arya Stark”
concluse Jon.
Arya fu più calorosa dei fratelli, o quantomeno
più loquace. Fece un passo avanti e la guardò dritta negli occhi. “Jon ci ha
detto cosa hai fatto per lui al di là della Barriera. Te ne sono grata”. Quella
giovane ragazza dal viso indurito rinchiudeva un’immensa forza dentro di se.
Daenerys poté percepirla chiaramente.
“Lei è la Regina Daenerys della casa…” cominciò
Missandei.
“No mia cara, non ora. Lascia che parli io” la
interruppe. “Io sono Daenerys, di casa Targaryen. Sono lieta di conoscere la
famiglia Stark e visitare Grande Inverno. Spero possa nascere una proficua
alleanza tra il Meta-Lupo e il Drago. Lasceremo le presentazioni ufficiali ad
un altro momento”. Tyrion al suo fianco annuì compiaciuto.
“Loro sono parte della mia corte” continuò.
“Conoscerete sicuramente Lord Tyrion di casa Lannister, Primo Cavaliere della
Regina, e Ser Jorah Mormont, mio consigliere. E lei è Missandei, la mia
ancella”
In quell’esatto momento Drogon ruggì nei cieli lì
intorno. E dopo un istante lui e Rhaegal volarono sopra la Fortezza di Grande Inverno.
Gli occhi di tutti andarono al cielo. Grida e sospiri di stupore riempirono il
cortile.
Fu Jon ad interrompere quel momento di trance
generale. “Maestà ci sono notizie di cui devi essere informata e i Lord alfieri
attendono di fare la tua conoscenza. Ho fatto predisporre degli appartamenti
per te. Se ti compiace puoi rilassarti per un po’ e poi raggiungerci”.
“Ne ho davvero bisogno. Ti ringrazio”. Dopo
giorni di serrato viaggio a cavallo aveva proprio bisogno di un bagno caldo e
di un vestito pulito. Certo aveva cavalcato più a lungo e più duramente
attraversando la Desolazione Rossa o il Mare Dotraki, ma per presentarsi ai
Lord alfieri di Casa Stark avrebbe dovuto essere in pieno possesso di tutte le
sue facoltà.
“Accompagno io la Regina Daenerys alle sue
stanze” si propose Arya.
Seguì la sorella di Jon all’interno del castello
con Missandei appena dietro. Gli appartamenti che le erano stati riservati si
trovavano all’interno della Prima Fortezza di Grande Inverno, che Jon aveva
fatto ristrutturare dopo aver ripreso il Castello. Erano stati gli appartamenti
di Lady Catelyn Stark le raccontò Arya. Sansa non li utilizzava perché
preferiva vivere nella Seconda Fortezza, più piccola ma di costruzione più
recente. Solo Jon viveva nella Prima Fortezza, un piano più giù negli
appartamenti da dove Lord Eddard Stark aveva amministrato il Nord. Il camino
sempre acceso nel solarium, in ricordo del Lord defunto.
“Sono felice di conoscere la storia del vostro
casato, Lady Arya” le disse con trasporto. “Jon mi ha parlato della Prima Fortezza,
ma devo dire che la sua bellezza e la sua maestosità mi hanno sorpreso. Roccia
del Drago non è un castello così grande, così… eterno”.
“Aspetta di entrare nel bagno che era di mia
madre, Maestà. Le sorgenti calde sotto questo castello saranno di certo qui per
l’eternità. E preferisco che mi si chiami Arya, non sono mai stata una Lady”.
Arya le sorrise congedandosi.
“Grazie Arya”.
Un’ora dopo, Missandei la aiutò ad indossare il
vestito che una delle ancelle di Lady Sansa le aveva lasciato sul letto. Un
corpetto di pelle nera lucida su una camicia cremisi, con una gonna anch’essa
nera, a più strati, lunga fino alle caviglie, con pieghe striate della stessa
sfumatura di rosso della camicia. Sopra indossò il mantello di lana nera,
fermato al collo dal fermaglio d’acciaio rosso a forma di drago a tre teste,
che Jon le aveva donato.
“I colori
della mia casata” pensò con un moto d’orgoglio.
Quei vestiti erano caldi e accoglienti e le
ricordarono le braccia di Jon, e quanto si sentisse completa insieme lui.
Arya la attendeva davanti alla sua camera per
accompagnarla nella Sala Grande. “Alcuni si opporranno, urleranno e ti
malediranno. Ma Jon è stato piuttosto convincente. Dice che tutti vedranno chi
sei e capiranno perché ti ha giurato fedeltà. Si fida e a me tanto basta”. Le
disse con solennità.
“Basta per cosa?” si trovò a chiederle,
piacevolmente colpita.
“Per seguirti. Per rispettare la decisione di
Jon” rispose Arya con semplicità.
“Ti ringrazio”.
Fu piacevolmente sorpresa da quel giuramento di
fedeltà, seppur non ufficiale. Fu lieta per una volta di piacere a qualcuno
senza dover conquistare la sua ammirazione. Un po’ come le era successo con
Jon. Lei lo aveva trattenuto a Roccia del Drago e a lui era piaciuta la Regina
dei Draghi. Senza dovergli dimostrare nulla, semplicemente essendo se stessa.
I Lord erano tutti raccolti nella Sala Grande,
seduti su lunghe panche o in piedi alle spalle di esse. Entrarono da una porta
dietro al palco reale dove la famiglia Stark sedeva. Jon al centro sul piccolo
Trono in legno-ferro con il Meta-Lupo scolpito sul vertice dello schienale,
Sansa seduta alla sua sinistra e Bran un posto più in là.
“Maestà, sali accanto a noi sul palco. I nostri
Lord attendono di conoscerti”. La invitò Jon allungando la mano per aiutarla a
salire i pochi gradini di legno.
“Daenerys, Nata dalla Tempesta, della nobile casa
Targaryen, prima del suo nome, Regina degli Andali, dei Rhoynar e dei
Primi Uomini, Signora dei Sette Regni e protettrice del Reame,
Principessa di Roccia del Drago, Khaleesi del Grande Mare d'Erba, la
Non-bruciata, Madre dei Draghi, Regina di Meereen e Distruttrice di
catene” presentò Missandei.
Rimase in piedi accanto a Jon per qualche secondo
osservando gli uomini nella sala. Erano uomini rudi, temprati dall’inverno,
anche se alcuni dei quali molto giovani.
“Miei Lord” esordì. “Non sono qui per conquistare
il Nord o per sottometterlo. Sono qui per combattere insieme al Nord. I miei
eserciti giungeranno presto a dar man forte ai vostri…”
“Chi ci dice che quegli eserciti non
attaccheranno i nostri invece che aiutarli.” urlò qualcuno.
“Non ci inginocchieremo davanti ad un invasore
straniero” si unì un’altra voce.
“Il Re del Nord è il nostro Re”. Molte voci si
unirono agli oppositori. “Stark! Stark!”.
Sapeva di dover sopportare le urla di quegli
uomini la cui fedeltà era stata promessa ad una famiglia che avevano combattuto
anni prima, Arya l’aveva avvertita e prima di lei anche Jon e Tyrion. Lasciò
che tutti urlassero il proprio disappunto cercando di cogliere tutte le
obiezioni che le venivano fatte.
Lady Sansa si alzò in piedi. “Miei Lord, vi
prego”. Attese che si calmassero prima di continuare.
“Regina Daenerys, cerca di capire i nostri dubbi.
I nostri padri hanno combattuto la tua famiglia per molti anni e sono morti,
nella Battaglia del Tridente e in tante altre. E abbiamo ottenuto il diritto di
governarci da soli quando nostro fratello Robb fu acclamato Re del Nord durante
la Guerra dei Cinque Re, e poi quando Jon fu parimenti eletto dopo la Battaglia
dei Bastardi. Per noi è difficile accettare di sottostare ad un nuovo sovrano
del sud, che non conosciamo e della quale abbiamo sentito solo storie lontane e
magari mal raccontate. Ti prego continua”.
Tutti i presenti si erano quietati quando la Lady
di Grande Inverno aveva preso la parola sintetizzando quelle urla irrequiete.
Daenerys non poté che provare ammirazione, per una donna che aveva conquistato
il rispetto di uomini così duri e legati ai loro principi, e gratitudine per
l’aiuto che le aveva dato.
“Ti ringrazio, Lady Sansa. I miei eserciti non
attaccheranno i vostri schieramenti e i miei Draghi non faranno del male alla
popolazione di Grande Inverno e del Nord tutto. Avete la mia parola. Sono qui
solo per combattere il Re della Notte e per chiedervi di seguirmi in guerra
come il vostro Re ha scelto di fare. Parleremo dei Sette Regni dopo averli
salvati. Anche io ho visto l’armata dei non-morti. Seguite il vostro Re,
seguite me e vi prometto che li combatteremo con tutta la nostra forza, Drago e
Lupo insieme, Fuoco e Ghiaccio”.
La sala grande esplose in una cacofonia di suoni
confusi. Alcuni uomini inneggiavano ancora a casa Stark, molti altri invece
alla nuova alleanza che andava creandosi.
“Fuoco e Ghiaccio! Drago e Lupo” urlarono e
urlarono.
“Gli uomini seguono chi gli dà speranza. Convincili che sei
la loro occasione migliore per sconfiggere gli Estranei e ti acclameranno” le aveva detto Lord Tyrion quando lei gli aveva confessato i
suoi timori. E aveva funzionato.
Quando le urla di giubilo si placarono Jon prese
la parola. “Grazie miei Lord. Al più presto riuniremo il concilio di guerra. Vi
chiedo di mettere da parte l’orgoglio ferito e lottare con onore al nostro
fianco. Mio padre diceva che incontri i tuoi veri amici sul campo di battaglia,
e noi stiamo per combattere il più grande nemico della storia. La morte è il
nostro nemico. Il primo e l’ultimo. Abbiamo bisogno di fidarci l’uno
dell’altro”.
Le piacque il modo che aveva di parlare ai suoi
uomini. Non aveva bisogno di mostrarsi forte, Jon Snow, perché era
incredibilmente autorevole.
Aspettò che gli uomini lasciassero la Sala Grande
prima di riprendere. “Ser Davos chiedi all’attendente di servire la cena alla
Regina e al suo seguito nel solarium dei suoi appartamenti.” Riuscì a mantenere
il contegno che il suo ruolo richiedeva in quella situazione ma i loro occhi si
incontrarono per un attimo. Profondi occhi neri, velati della solita malinconia
che lo contraddistingueva eppure dolci verso di lei, occhi che le appartenevano
e urlavano il desiderio di starle ancora accanto.
“Presto Jon Snow, presto”. Gli
sorrise di rimando.
[CERSEI]
Dal giorno in cui si era seduta sul Trono di Spade quale legittima
sovrana dei Sette Regni aveva dovuto affrontare la diffidenza e le chiacchiere
della gente. Nonostante l’esplosione del Tempio di Baelor avesse messo la
parola fine sulla diatriba con il Credo e i Tyrell, il popolino continuava a
parlare di come lei aveva tradito il Re suo marito, giacendo con suo fratello e
organizzando la sua morte. E da quel momento in poi la gente del volgo aveva
aggiunto un nome ai suoi titoli: Regina Folle.
Quando Lord Quiburn gliene aveva parlato era stata sul punto di
ordinare alla Montagna di staccare la testa del mezzo maestro per essersi
permesso di pronunciare quelle parole in sua presenza. Ma Quiburn, come al
solito, era stato svelto di pensiero e aveva fornito alle guardie i nomi di
tutti gli uomini che si erano macchiati di tradimento nei confronti della
Regina Cersei. Qualcuno aveva preteso un processo equo, per questo Cersei lo aveva
consegnato a Quiburn stesso, qualsiasi cosa lui ne facesse. Qualcun altro aveva
preteso un giudizio per singolar tenzone. Cersei non aveva nemmeno assistito ai
duelli. La Montagna se ne era occupato in fretta. Le mura della Fortezza Rossa
erano ornate con decine di teste infilzate su picche. Ogni volta che le vedeva,
Cersei si sentiva potente e appagata.
L’inverno era giunto anche sulla capitale. I tetti erano
imbiancati da molti giorni e al mattino le finestre della Fortezza erano
ricoperte da uno spesso strato di ghiaccio. Per suo ordine in tutti i camini
del castello ardeva un fuoco e i bracieri nella Sala del Trono erano sempre
pulsanti ed incandescenti. Ma al Fondo delle Pulci la situazione era ben
peggiore. I rigori dell’inverno erano cosa rara ad Approdo del Re. Nell’ultimo
inverno la neve era caduta sulla capitale solo per qualche giorno. Al contrario
delle settimane di nevicate che già avevano attanagliato le Terre della Corona.
“Che gli Stark e i Targaryen combattano pure i morti. Noi intanto
governeremo il Reame. Esigeremo le tasse dal Nord quando sarà il momento” aveva
detto a Quiburn quando lui le aveva confermato la facile presa di Capo
Tempesta, lasciata praticamente sguarnita quando Stannis si era recato a Nord.
Il sud era interamente in mano alla Corona. Con la sconfitta dei Tyrell e dei
Martell nessun altro si opponeva al Trono di Spade.
L’unica immediata preoccupazione di Cersei era Euron Greyjoy,
rientrato ad Approdo del Re con il conclamato obiettivo di sposare la Regina. E
i suoi muti continuavano a creare problemi per la città: risse, tentativi di
stupro. Più volte le Cappe Dorate erano dovute intervenire e diversi erano
morti nei duelli che ne erano scaturiti.
“Tu e i tuoi uomini siete qui per aiutare la Corona, non per
creare scompiglio” era stata costretta a richiamare Occhio di Corvo quando le
era giunta notizia dell’ennesimo tafferuglio causato dai suoi uomini.
“I miei uomini anelano vedere il loro Re sedere al tuo fianco, mia
Regina” aveva risposto con un ghigno. “Tuo fratello ti ha abbandonato. Mi duole
saperti sola nelle lunghe e fredde notti che stiamo vivendo”.
Cersei sapeva bene di non poter tenere a bada Euron per molto
tempo ancora, ma aveva bisogno di lui e dei suoi uomini per vincere la guerra
che si apprestava. Euron dal canto suo aspettava solo l’occasione per
appropriarsi di ciò che Cersei gli aveva promesso, la sua mano.
E quell’occasione non tardò ad arrivare. Un corvo dal Moat Cailin
informò il Trono che un esercito Tully e Lannister, diretto a Nord, era stato
sconfitto dalla Compagnia Dorata e che Ser Jaime Lannister era stato fatto
prigioniero insieme ad altri uomini. Il solo Edmure Tully era riuscito a
sfuggire alla cattura.
“Avresti
dovuto rimanere al mio fianco, stupido fratello”
pensò Cersei esultante quando Quiburn la informò del contenuto della missiva.
Euron era seduto ai piedi del Trono di Spade, compiaciuto per la
notizia.
“Dovresti ringraziarmi, Altezza” le disse quando Quiburn si fu
allontanato. “È grazie a me se tutto questo è stato possibile”
“Hai ragione Lord Euron”. Cersei lo scrutò con sussiego avviandosi
fuori dalla Sala del Trono.
“Re Euron” la corresse con sfacciataggine, seguendola dappresso
verso le sue stanze.
Ser Gregor era a non più di un paio di passi da loro.
“Perché non dici al tuo gorilla di restare fuori dalla porta”
“Ser Gregor è qui per proteggere la mia regale persona. Farai bene
a ricordartelo”
“Ma io non voglio mettere in pericolo la tua regale persona,
Vostra Grazia” Euron sorrise malizioso.
Era attraente a suo modo. La cicatrice sull’occhio sinistro aveva
un che di inquietante ma, nel complesso, Euron Greyjoy era un uomo affascinante.
“Le
lacrime non sono l’unica arma di una donna”. Con un cenno della mano
ordinò a Ser Gregor di restare di guardia fuori dal solarium. Euron sorrise
compiaciuto.
“Credevo fossimo d’accordo che avresti avuto quanto ti è stato
promesso dopo aver vinto la guerra” gli disse continuando a camminare senza
voltarsi.
“Aye… ma quella guerra è
stata interrotta e solo il Dio Abissale sa se mai riprenderà”. Euron la
trattenne costringendola a guardarlo. “Ti desidero” sussurrò. “E tu? Non
desideri festeggiare la prigionia di tuo fratello?”
Ed Euron si prese ciò che secondo lui gli spettava. Ma era Cersei
a condurre realmente il gioco.
Lo trascinò fino al tavolo. Lui la aiutò a sedervi sopra,
alzandole le gonne con un gesto impaziente.
“Sei
mio” pensò con malizia. “E non avrai mai il Trono che spetta a
mio figlio”.
Ma qualcosa non andò come previsto. Cersei cominciò a sentirsi
debole, i pensieri appannati dalla stanchezza. Euron continuava a baciarla sul
collo, sulla spalla. Le scoprì un seno poco prima che Cersei svenisse. L’ultima
cosa che vide fu lo sguardo tronfio e soddisfatto di Euron Greyjoy.
Si svegliò molte ore più tardi, giorni forse, sotto il baldacchino
del suo letto. Quiburn era chino su di lei, con una coppa colma di una densa
pozione biancastra e l’aria preoccupata.
“Bentornata Altezza” sorrise stancamente.
Aveva la gola secca. “Acqua” riuscì a scandire. Bevve a lungo dalla
brocca che una servetta le porse. “Cos’è successo?”
“Non lo so, Vostra Grazia. Sei svenuta, ma ora starai bene”
Quiburn provò a rassicurarla.
“Dov’è Greyjoy?” chiese ricordando gli ultimi attimi prima di
svenire. “Ero con lui quando è successo”
“Per questo Ser Gregor ha provveduto a rinchiuderlo nelle segrete.
Al primo piano come si confà al suo rango. Purtroppo Greyjoy ha provato a
reagire e… beh sai com’è Ser Gregor”
“Che non gli venga fatto altro male. Abbiamo ancora bisogno di
lui” sentenziò. “Gli parlerò io stessa. E se non mi convincerà di non aver a
che fare con il mio malore sarà tutto
tuo. I suoi uomini?”
“Non l’hanno presa molto bene. Più di cento navi hanno ripreso il
largo bloccando la Baia delle Acque Nere sia in entrata che in uscita. Il resto
di loro continua a creare scompiglio in città. Un gruppo si è asserragliato
sulla collina di Vysenia uccidendo chiunque incontrasse e fortificando la
posizione guadagnata. Almeno cinquanta cappe dorate hanno perso la vita”
La rabbia si impadronì di Cersei Lannister. Un furore cieco che
aveva provato solo quando i suoi figli le erano stati portati via, centinaia d’anni
prima o solo il giorno precedente.
Dormì poco e male quella notte. Sognò il giorno della morte di
Joffrey, il Folletto che riempiva la coppa e la porgeva al Re. Ma il suo volto
non era quello di Tyrion Lannister, era Euron Greyjoy ad avvelenare suo figlio,
a spingere Tommen dalla finestra, ad uccidere Myrcella. Si svegliò di
soprassalto, annaspando nel buio.
Chiamò le serve che accesero le candele, rivelando le candide
lenzuola madide di sangue vermiglio.
ANGOLO AUTORE…
Bentornati amici. Voglio ringraziare Reyf perché è sempre puntuale nella lettura e nella recensione del
capitolo e QueenInTheNord che segue
la mia storia con assiduità e mi ha promesso di recensire più spesso ;)… grazie
ad entrambi. :*
Grazie anche a tutti coloro che l’hanno inserita nelle preferite o
nelle seguite e anche a coloro che leggono soltanto… sarebbe bello sapere cosa
ne pensate tutti voi.
A presto amici!