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Autore: Old Fashioned    10/06/2018    16 recensioni
Alla fine del XIV secolo le navi della Lega Anseatica subivano la costante minaccia dei pirati, tanto che per scacciarli dal Baltico dovette intervenire persino l'Ordine Teutonico. Il più famoso e temuto di essi era Klaus Störtebeker, il cui motto dà il titolo a questa storia.
Attraverso gli occhi di un giovane prigioniero, seguiremo l'ultima avventura del leggendario pirata.
Prima classificata al contest "In Medio Stat Virtus" indetto da mystery_koopa sul forum di Efp, premio speciale "Quo vadis?" per la migliore ambientazione storico/geografica.
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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AMICO DI DIO, NEMICO DI TUTTO IL MONDO




Parte prima



Germania, da qualche parte lungo le coste del Mare del Nord, circa 1420

Il cielo era un immane ribollire di nubi livide e contorte. L'ululato del vento si mescolava al rombo cupo del tuono e al crepitio dei fulmini, e dalla superficie sconvolta del mare si levavano spruzzi che il bagliore dei lampi rendeva sinistramente fosforescenti.
La Kogge[1] volava sulle onde verdastre, immergeva la prua e riemergeva con fiotti di spuma che sgrondavano dagli ombrinali. La vela si gonfiava investita dal vento di maestrale, l’albero gemeva a ogni raffica, mentre il sartiame si tendeva allo spasimo.
Capitano, se continua così affonderemo!” esclamò il nostromo, reggendosi alla struttura del castello di poppa.
L’uomo cui si era rivolto, alto, imponente, un mantello di cuoio lucido di pioggia che gli svolazzava dietro le spalle, sollevò lo sguardo verso le scricchiolanti strutture, e semplicemente ordinò: “Una mano di terzaroli, Hein.”
L’altro trasmise l’ordine, e subito due marinai afferrarono la vela per linea di scotta e cominciarono a serrare i matafioni.
Tesa allo spasimo dalla tempesta, la tela era dura come ferro. Si aggiunse un terzo uomo, ma un’ondata più violenta delle altre gli fece perdere l’equilibrio, egli rotolò investito dall’acqua che aveva invaso la coperta, e al successivo sollevarsi della prua venne trascinato fino all’impavesata. Si aggrappò spasmodicamente, ma un brusco movimento della nave lo scaraventò con mezzo corpo fuori bordo.
Egli urlò terrorizzato, mentre l’acqua tumultuosa sembrava addirittura protendersi per ghermirlo. Una folgore squarciò il cielo come un colpo di spada, il tuono che la seguì fu talmente forte da coprire per un attimo ogni altro suono. L’uomo urlò di nuovo.
Il capitano abbandonò la sua posizione sul castello, raggiunse rapidamente il ponte di coperta, barcollò investito da un’ondata e il cappuccio gli scivolò all’indietro, rivelando capelli biondi scoloriti dalla salsedine e una cicatrice che gli tagliava il volto dalla tempia al mento. Scrollò il capo per allontanare dagli occhi le ciocche bagnate, poi afferrò il marinaio e lo issò di nuovo a bordo.
Grazie, capitano,” ansimò questi, ma l’altro stava già tornando sul castello. Chiamò il nostromo.
Egli si fece avanti. “Capitano?”
Il primo strinse gli occhi. Scrutò per qualche istante il cupo agitarsi delle onde, quindi disse: “Con questo mare non riusciremo a passare dalla Bocca di Lupo.”
Ma non possiamo nemmeno rimanere qui fuori. Dobbiamo comunque raggiungere Lüsum.”
Passeremo dalle secche.”
Dalle secche, capitano? Rischiamo di arenarci.”
No, se passiamo per il canale.” Poi, dopo una pausa: “È l’unico modo. Dì a Lars che lo sostituisco io al timone, tu occupati della vela.”
Capitano, senti...” cominciò il nostromo, ma l'altro lo interruppe categorico: “No, Hein, senti tu: mi avete eletto come vostro comandante, e io ho giurato di fare del mio meglio per guidarvi. Dovete fidarvi di me, conosco questo tratto di mare.”
Si fissarono negli occhi per qualche istante, un'ondata scrosciò sulla prua, schizzi di spuma gelida arrivarono fino a loro. Un fulmine crepitò illuminando dall'interno le nubi plumbee.
Infine il capitano si girò, e senza dire altro raggiunse il timone.
L'uomo chiamato Lars aveva circondato la barra con entrambe le braccia, e la teneva in direzione puntellandosi anche con i piedi. Accanto a lui, un altro marinaio lo aiutava a reggerla. Nonostante gli sforzi congiunti dei due, il timone dava l'impressione di poter sfuggire alla presa da un momento all'altro, lasciando la nave senza guida in balia dei flutti.
Il capitano si unì a loro. “Va' ad aiutare gli altri alla vela, Lars!” ordinò poi. “Qui rimango io.”
La nave si scosse, rollò investita da un'ondata laterale, dalla stiva provenne il rumore secco di qualcosa che si spezzava.
Dannazione!” ringhiò fra i denti il capitano. Poi, di nuovo rivolto a Lars: “Tesa a ferro la scotta di dritta, voglio potermi affidare alla vela quando ce ne sarà bisogno.”
Sì, capitano.”

Le secche apparvero in lontananza, annunciate da un maggiore ribollire di schiuma bianca e da una disordinata frenesia delle onde. L'acqua era più chiara, e la sabbia sollevata dalla burrasca la rendeva lattiginosa. Il capitano diede un'occhiata ai suoi uomini e li vide scrutare preoccupati oltre la prua della Kogge.
Animo!” urlò, con voce sufficiente a coprire il fragore della tempesta. “Dopo quello che abbiamo passato, non vi farete spaventare da una secca!”
Un tuono sembrò suggellare quelle parole di sfida.
La nave avanzò destreggiandosi sui bassi fondali. A un tratto si udì un rumore raschiante, e lo scafo si inclinò da una parte.
Mollare i terzaroli!” ordinò il capitano, “Tesare a ferro le scotte!”
La vela così liberata si gonfiò con uno schiocco, e strappò in avanti la Kogge. L'albero emise un gemito, sulla sua sommità si accese gelida la fiammella di un corposant[2].
È un segno di Dio!” gridò qualcuno in coperta.
Con voce possente, il capitano rispose: “Meno chiacchiere, uomini! Non sarà Dio a tirarci fuori da questa situazione, ma il nostro coraggio!”
La nave scartò, beccheggiò investita da ogni parte dalle onde impazzite, di nuovo raschiò il fondo con la carena. Le fiamme azzurre del corposant si torsero nell'aria livida mentre scrosci di pioggia e schiuma si abbattevano sulla coperta.
Il capitano manovrò ancora una volta la barra del timone, cercando di offrire al vento ogni minima parte della vela. La Kogge parve scrollarsi, uno scricchiolio sinistro percorse tute le sue strutture, l'albero si curvò come sottoposto a una forza immane, ma subito dopo l'imbarcazione scattò in avanti, lasciandosi a poppa i banchi di sabbia.
Gli uomini esultarono di nuovo, con un urlo di selvaggia rivalsa nei confronti degli elementi furibondi. Sospinta dalle raffiche di maestrale, la nave volava sulle onde sollevando creste di spuma. In lontananza comparvero due luci fioche.
Lüsum,” sospirò il nostromo, con lo sguardo fisso in quella direzione.
Il capitano annuì, poi proclamò: “Audaces fortuna iuvat, avrebbe detto Magister Wigbold.”
Già.”
Berremo alla salute sua e degli altri, stasera.”
Come sempre, capitano.”
Lo meritano.”
Già.”

Lüsum era poco più di una spiaggia che si allargava in un'insenatura riparata, circondata da case fatiscenti. Da una parte c'era un corto molo di pietra, attorno al quale erano ormeggiate un altro paio di Kogge e qualche Kreyer[3]. Le poche strade, trasformate dal temporale in torrenti di fango, erano deserte.
Solo il più grande degli edifici, ovvero ciò che restava di una chiesa sconsacrata e priva del campanile, mostrava qualche fioca luce all'interno. Per il resto, a parte due lanterne che cigolavano spinte dalle raffiche, il luogo sembrava disabitato.
Di più: sembrava non essere mai stato abitato. Le finestre erano serrate, dai camini non usciva fumo. Alcune delle capanne avevano il tetto di paglia fradicio, nel quale gli uccelli di palude avevano nidificato.
Rade erbacce crescevano ai piedi dei muri sporchi.
La Kogge attraccò, il capitano scese a terra. La porta di un capanno poco distante si schiuse, e da essa fece capolino un volto magro, con una benda sull'occhio destro e radi capelli rossicci a incorniciarlo.
Salute, Tilo,” disse il capitano.
Ah, sei tu,” brontolò l'altro, senza abbandonare il suo posto. “Fatto buona caccia?”
Il primo si strinse nelle spalle. “Le navi dell'Hansa non escono con questo tempo.” Si aggiustò il cappuccio di cuoio che una raffica di vento gli aveva spinto indietro.
Hanno paura di perdere il loro prezioso carico?”
Già. C'è qualcuno all'Aringa?”
Sono tutti là.” L'uomo sputò da una parte, poi recuperò un bicchiere di coccio e bevve un sorso. “Tranne me e Fiete. A noi tocca la guardia.”
Prima o poi tocca a tutti.”
Tilo ghignò. “Certo, ci spartiamo ogni cosa come dei veri fratelli[4].”
Tieni gli occhi aperti.”
L'altro alzò le spalle. “Chi vuoi che arrivi con questo tempo? Anche i pesci stanno nascosti.”
Tu tienili aperti. Non ci tengo a finire al Grasbrook[5].”

Il capitano si tirò il cappuccio fin sugli occhi, e seguito dai suoi uomini si diresse alla chiesa. Spinse la porta ed entrò nell'edificio: la navata era ingombra di tavoli, sui quali ardevano numerose candele. Da una parte era stato ricavato un grande camino, e il fuoco vi scoppiettava allegro. Su spiedi e graticole cuocevano pesci di varie dimensioni.
Ovunque c'era gente che beveva, parlava a voce alta e rideva, e la cacofonia delle conversazioni si rifletteva e si amplificava contro le volte del soffitto.
Il capitano fece qualche passo nella sala. Una donna che stava passando con un vassoio carico di boccali si fermò a guardarlo e disse: “Ecco finalmente il vecchio Eike! Va' vicino al fuoco, prima di prenderti un malanno: sei più fradicio di un pagliolo.”
L'uomo annuì e si diresse verso il camino. Mentre passava, gli altri gli davano pacche sulle spalle o gli rivolgevano rudi parole di saluto. Uno gli porse addirittura il boccale, dal quale egli bevve un lungo sorso.
Tese le mani verso le fiamme, socchiudendo gli occhi con un sospiro di soddisfazione, poi si fece scivolare giù dalle spalle il mantello di cuoio ormai fradicio e lo appese a un piolo che spuntava dalla parete. Si stirò avvertendo le ossa scricchiolare, poi si passò le mani fra i capelli bagnati per tirarseli indietro, quindi li legò con un laccio che portava al collo.
La donna di prima lo raggiunse e gli tese un boccale pieno, dal quale colava un rivolo di schiuma candida. “Un po' di birra,” disse semplicemente.
Grazie, Dörthe,” rispose l'uomo.
Vuoi da mangiare?”
Il capitano scambiò un'occhiata con il nostromo, comparso nel frattempo alle sue spalle, quindi indicò un pesce che stava cuocendo e rispose: “Un po' di quell'halibut non ci dispiacerebbe.”
Arriva.”
Trovarono un tavolo libero e si sedettero. Poco lontano c'era un gruppetto di giovinastri che pareva molto allegro.
Eike si voltò a osservarli: un equipaggio arrivato a Lüsum da poco.
Forse non hanno ancora capito come funzionano le cose da queste parti,” brontolò il nostromo quando il capo della banda salì in piedi su una sedia per farsi acclamare dai suoi.
Il capitano scosse la testa. “Ah, lascia stare. Sono riusciti a catturare una Vredekogge[6] e pensano di essere diventati i padroni del mare.”
Detto questo cercò di disinteressarsi al gruppetto, ma più i giovinastri bevevano birra, più la loro allegria diventava invadente anche per i criteri dell’Aringa Salata. Più d’uno rivolse loro occhiate infastidite.
Sempre in piedi sulla sedia, il ragazzo a un certo punto gridò: “Lo sapete chi sono io? Amico di Dio, nemico di tutto il mondo!”
A quelle parole, immediatamente il nostromo strinse la mano sull’avambraccio che il capitano aveva posato sul tavolo. “Lascia stare,” lo ammonì a mezza voce.
Branco di pivelli con la bocca ancora bagnata di latte,” ringhiò questi. “Non sanno nemmeno di cosa stanno parlando.”
E dai, capitano.”
Guardalo là: tronfio come un galletto su un mucchio di letame.”
Il ragazzo salì in piedi sul tavolo. “Amico di Dio, nemico di tutto il mondo!” ripeté. “Questo è il mio motto!”
Eike si alzò in piedi e allontanò bruscamente la sedia, poi si diresse a grandi passi verso l’allegra combriccola, afferrò il giovanotto per una gamba e lo scaraventò giù dal tavolo. Già alticcio, questi non riuscì a opporsi e cadde con fragore, mandando in frantumi tazze e boccali. “Ehi, che ti piglia?” urlò costernato. Nessuno si mosse in sua difesa. Più d’uno, anzi, testimoniò la propria approvazione al capitano con cenni del capo o parole.
Eike frattanto incombeva su di lui con i pugni serrati e gli occhi iniettati di sangue. “Quello non è il tuo motto, specie di bamboccio idiota.”
Non è nemmeno il tuo, se è per questo,” replicò il più giovane, fissandolo con astio.
L’altro fece un passo avanti, costringendolo ad arretrare bruscamente, poi chiese: “Lo sai cos’hai appena detto? Lo sai di chi stai parlando?”
Io...”
Lo sai chi era Störtebeker?”
Nella sala era calato un silenzio gelido. Gli unici rumori che si udivano erano il crepitare del fuoco e l’ululato lugubre del vento. Gli occhi di tutti erano fissi sulla scena. “Sai chi era?” ripeté il capitano.









[1] Imbarcazione in uso nel medioevo nel Mar Baltico e nel Mare del Nord. Aveva funzioni sia commerciali che militari.
[2] Anche noto come “Fuoco di Sant'Elmo”, è una scarica elettro-luminescente provocata dalla ionizzazione dell'aria durante un temporale.
[3] Tipo di chiatta coeva della Kogge, in uso nelle stesse zone.
[4] Fa riferimento al nome che si davano i pirati di quelle zone, ovvero Vitalienbrüder (letteralmente: “i fratelli delle vettovaglie”). Il nome deriva dal fatto che nel corso della guerra tra Svezia e Danimarca essi furono ingaggiati dal re svedese Albrecht III per rifornire di vettovaglie la sua capitale assediata.
[5] Spianata situata vicino al porto di Amburgo, sulla quale anticamente si giustiziavano i pirati.
[6] Da vrede, forma più antica di Friede, ovvero pace. Si trattava di Kogge armate che venivano usate per i combattimenti contro i pirati. Il termine fa riferimento al fatto che avevano il compito di “portare la pace” nei mari.

   
 
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