Anime & Manga > Inuyasha
Ricorda la storia  |      
Autore: visbs88    10/06/2018    10 recensioni
Inuyasha esprime il suo desiderio alla Sfera dei Quattro Spiriti: diventare umano, per poter vivere per sempre accanto a Kikyo e liberarla dal giogo di custodire il gioiello. Dopo averlo sognato con trepidazione, l'idillio del loro amore è finalmente realtà.
Ma il confine con l'illusione è molto più vicino di quanto non possano immaginare.
[Fanfiction scritta a quattro mani con harua_96 e vincitrice del contest "Sfida a catena - Gara a coppie", indetto dal gruppo su Facebook "Takahashi Fanfiction Italia"]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kikyo | Coppie: Inuyasha/Kikyo
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa fanfiction è stata scritta per il contest “Sfida a catena – Gara a coppie” indetto dal gruppo Facebook Takahashi Fanfiction Italia; come si evince dal nome, ho avuto il piacere di lavorare insieme a un’altra autrice, harua_96, che ringrazio di cuore per la collaborazione e la bella esperienza <3 il nostro prompt era bacio di resurrezione; io, visbs, ho scritto il POV di Inuyasha, lei quello di Kikyo. Siamo consapevoli dei rischi che corriamo ad aver scelto questa coppia, lol, ma speriamo comunque che a qualcuno il nostro lavoro possa piacere! Un bacio e buona lettura. ^^

 

 

 

Phantom of you

 

di visbs88 e harua_96

 

 

Image and video hosting by TinyPic

 

 

Quello in cui Inuyasha era da poco entrato era un mondo più piccolo, ma in cui respirare era più semplice.

Non vedeva altrettanto distante e i colori erano appena più spenti; non riusciva più a distinguere le parole di voci lontane, l’aria era ormai quasi priva di odori per la maggior parte del tempo, a eccezione del vago aroma d’erba e di fiori a cui nessuno poteva sfuggire, nella dolcezza della primavera. Aveva provato a correre e aveva percorso quelli che erano pochi centimetri, in confronto alle distanze che prima riusciva a superare con rapidi balzi e ben poco sudore. E c’erano più fame, più sonno, più sete: lavorava duro, era ancora forte, ma era costretto a fermarsi dopo quelli che prima sarebbero stati miseri secondi. All’inizio, era stata Kikyo a doverlo invitare con fermezza a prendere una pausa, e solo dopo le sue parole di gentile ma irremovibile rimprovero si era reso conto di quanto i suoi muscoli dolessero.

Eppure, non era calata alcuna notte, né era sorta alcuna alba, che lo trovassero a pentirsi della sua scelta. Ogni grammo di fatica in più era ripagato dal momento in cui poteva stringere la mano bianca di Kikyo nella propria senza che alcun timore le adombrasse il volto, senza che lei si scostasse, senza che la sua voce diventasse fredda nell’intimargli che non potevano. Al contrario, la sua pelle era tiepida, le guance di un rosa soffuso e sano, gli occhi scintillanti di un calore che fino a quel momento Inuyasha aveva visto solo nelle stelle.

Era bella, ed era serena, libera come un soffio di vento d’estate. Spendeva ore interminabili coi bambini e di tanto in tanto la sentiva perfino ridere. Come lui rimaneva un poco scontroso con gli estranei, impulsivo e riottoso, così lei non aveva perso la grazia, la compostezza, la piega saggia e pensosa delle sue labbra rosee. Tuttavia, vederle curvarsi in quei lievi, calmi, sinceri sorrisi sarebbe bastato a spazzare via qualsiasi nuvola dal cielo, e di sicuro dal suo cuore.

Non era un male che, per un giorno di ogni mese di tutta la sua vita, Inuyasha avesse già sperimentato la condizione umana, e avesse dunque evitato angoscia, sbigottimento e oppressione nel momento in cui aveva espresso il suo desiderio alla Sfera. Ciò che lo aveva turbato, riflettendovi qualche sera dopo, era la consapevolezza che neppure un briciolo della sua forza sarebbe tornato mai più; che le leggende sulla tomba di suo padre che Myoga gli aveva raccontato dovessero rimanere un mistero irrisolto; che un giorno, magari, suo fratello avrebbe incrociato il suo cammino, e sarebbe stato troppo difficile difendersi dal suo odioso, spietato disprezzo. Ma quella minaccia era pur sempre distante, vaga, al contrario della pressione continua del timore e del disgusto di quelli che, prima, incrociavano il suo cammino.

Alla fine, si sentiva finalmente parte di qualcosa. Che fosse il villaggio, la specie umana, o solo un dolcissimo rudimento di famiglia quale la piccola casa che condivideva con Kikyo era, non voleva darsi troppa pena a pensarci. Anche lui si sentiva sciolto da catene di frustrazione e irrequietezza che lo avevano tenuto imprigionato troppo a lungo.

E c’era qualcosa di straordinariamente vivo nel doversi riparare dal sole per non scottarsi, nel crollare a terra in un prato dopo aver fatto un bagno nel fiume e aver rincorso i più vivaci dei bambini del villaggio, nel poter passare una mano tra i capelli di Kikyo senza avere timore di ferirla e sapendola sua. Lei, che per prima aveva visto in lui qualcosa più di un reietto da rifuggire; lei, una vittima della solitudine tanto quanto lui, allontanata dal mondo dallo stesso potere che custodiva in seno. Pura e fresca anche ora che il gravoso compito di custodire la Sfera le era stato tolto dalle spalle, anzi, più ancora; il sacrificio che Inuyasha aveva compiuto valeva ogni secondo in cui lei respirava senza sentirsi il petto oppresso dal destino.

Una sensazione che, infine, poteva assaporare anche lui.

 

 

Asserire che fosse stato facile stare accanto ad Inuyasha, nei primi tempi, sarebbe stata una menzogna. Inuyasha, per indole, non era mai stato tipo da piccoli passi. E abituarsi a quella situazione aveva spazientito lui e messa a dura prova lei, ma nemmeno questo avrebbe mai ammesso. Non avrebbe ammesso che dietro quei gentili incitamenti, quelle carezze d’amorevole incoraggiamento, anche Kikyo si sentisse spossata, più di quanto quelle corse stancavano il ragazzo.

Eppure ci sarebbe voluto molto più del caratteraccio del giovane moro per separarsi da lui.

Kikyo lo amava.

Inuyasha la amava.

E la gioia di poter mostrare il loro legame alla luce del sole, e talvolta a quella della luna, sommergeva ogni affanno.

Da quando avevano espresso il loro desiderio alla Sfera dei Quattro Spiriti ed essa si era purificata, la vita scorreva tranquilla, una quotidianità semplice, forse monotona, ma era proprio quella monotonia che Kikyo aveva ricercato ancor prima che divenisse la protettrice del gioiello. Era ancora una sacerdotessa, trascorreva il tempo coi bambini, i vecchi, i malati, compiva esorcismi e andava alla ricerca di erbe. Sebbene i suoi poteri spirituali fossero drasticamente calati e non fosse più la potente miko di un tempo, non riusciva a non gioirne. Fin dalla nascita, l’animo puro della fanciulla era stato una benedizione per l’umanità e una maledizione per lei. Seppur non potesse più aiutare come prima, Kikyo sentiva di aver trovato un equilibrio per rendere felice se stessa e il prossimo.

Per quanti anelassero il potere, lei non l’aveva mai desiderato, anzi l’aveva solo resa triste e sola e ora capiva: era il proprio piccolo mondo, le piccole cose e l’amore ricevuto, quello vero, e l’avere accanto poche persone speciali a infondere la vera felicità, più della pace nel mondo, della gratitudine di chi si è aiutato o del rispetto; per quanto lasciasse rinfrancati non era quella la completezza, quell’appagamento dello spirito, che ogni essere umano anelava e ricercava.

Kikyo, una donna comune, ora era felice.

 

 

***

 

 

Le sere erano placide, un poco umide, ma silenziose.

In effetti, prima di divenire umano Inuyasha forse non aveva mai apprezzato il valore della vera quiete. Solo il lieve scoppiettio di un fuoco, pochi grilli, il fruscio degli abiti di Kikyo mentre si stringevano l’uno all’altra. La sua incapacità di sondare il buio non era angosciante, come aveva temuto: era piuttosto una coperta, un velo fatto di pace che gli permetteva finalmente di avere uno spazio per se stesso, una rilassante solitudine da condividere solo con colei che tanta serenità gli aveva donato.

E alcune sere voleva solo addormentarsi sulla rugiada, accarezzandole i capelli, ascoltando il suo respiro, cullando la testa che lei gli poggiava sul petto, magari dopo aver fatto l’amore in riva a una sorgente. Allontanato il pensiero di combattere giorno per giorno, gli pareva di potersi semplicemente perdere a osservare i riflessi del piccolo falò nei suoi occhi profondi e limpidi come cristallo; la sua voce gentile si mescolava allo stormire delle foglie, mentre parlava delle piccole mansioni che aveva svolto lungo la giornata, delle notizie che provenivano dagli altri villaggi – qualche rara volta, la sua pallida fronte si corrugava menzionando un demone che si stava avvicinando. Ma sapevano entrambi che la sua energia spirituale e l’allenamento che Inuyasha manteneva giorno per giorno sarebbero stati abbastanza per proteggere i bambini di cui si prendevano cura ogni ora, ogni minuto; e così, con un lieve bacio sulla guancia e un sorriso, la notte tornava limpida.

Fu sotto un simile cielo stellato che rincasarono anche quando la pace iniziò a incrinarsi.

Mai prima di allora, da quando il loro idillio era iniziato, Inuyasha aveva avuto incubi. Eppure, dopo un lungo oblio, ecco un’immagine sfuocata di una foresta piena di sole, quella che aveva attraversato il giorno in cui aveva espresso il suo desiderio alla Sfera; luminosa, ma gelida, tanto da accapponargli la pelle.

Il sibilo di una freccia accanto al suo orecchio. Un grido d’odio.

Si svegliò di scatto, sussultando; Kikyo dormiva ancora di un sonno profondo, immobile e quieta nei primissimi bagliori dell’alba – filtravano attraverso le finestre, sotto la porta, e per un fluttuante momento a Inuyasha parvero fantasmi, sussurri, avvertimenti.

Ma richiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. Cosa poteva mai essere un banale scherzo del sonno, nella vita radiosa che era riuscito a conquistarsi?

 

 

– Inuyasha, sono una persona egoista?

Così Kikyo gli aveva sussurrato un giorno.

Il sole del tramonto filtrava tiepido tra le fronde nodose e rigogliose, frantumandosi sulle timide increspature della piccola sorgente termale, creando piccoli giochi di luce dai toni aranciati.

Abbracciati dall’acqua tiepida e avvolta dalle braccia possenti di Inuyasha, la giovane ondeggiava le dita sinuose della mano sulla superficie cristallina. Gli occhi persi in pensieri lontani, segreti, che teneva nascosti anche al suo amato.

Per quanto la loro vita fosse tranquilla e felice, Kikyo non riusciva a scrollarsi di dosso una fitta che le premeva dalla spalla sinistra al seno. Un peso che diveniva talvolta doloroso, così tagliente e bruciante da mozzarle il respiro e stringerle il cuore in una morsa da cui era impossibile sottrarsi.

Perfino quel momento che doveva essere perfetto, in realtà appariva pieno di crepe e ogni cantuccio sembrava più spigoloso del solito. Era come se qualcosa non fosse andato come previsto, ma, per quanti sforzi facesse, non riusciva a venire a capo del dilemma e più ci pensava più quel dolore si faceva atroce. Perciò alla fine tornava sempre all’unica risposta che era riuscita a darsi: lei era una persona egoista che aveva sfruttato l’unico desiderio disponibile per ricavarne una vita spensierata, e quella spensieratezza che del tutto non poteva raggiungere era il prezzo per essere stata egoista.

– Come puoi pensarlo? – chiese Inuyasha pacato, affondando il volto nell’incavo del bel collo sottile e baciandolo candidamente – Sei la persona più altruista che abbia mai posato piede su questa terra rossa. Hai sacrificato la tua vita per il prossimo, ma anche tu meriti la felicità.

Si scostò appena prendendole il mento tra le dita.

– E la tua felicità è qui con me – sussurrò prima di adagiare le labbra sulle sue.

Prima degli ultimi giorni si sarebbe lasciata convincere accogliendo quella scorciatoia senza remora alcuna, ma ora sentiva di non esserne capace, di non potersi rassicurare con tanta leggerezza; neppure adesso che si lasciava trascinare blanda sulla riva per fare l’amore con Inuyasha riusciva ad accantonare quell’oscura sensazione.

Avrebbe voluto lasciarsi travolgere dall’innamorato, avrebbe voluto che lui la trasportasse con sé nel limbo del piacere più profondo e assoluto, ma non ne era in grado. Per sua indole sapeva di non poter lasciar perdere, che se qualcosa non andava non avrebbe sorvolato, ma come trovare soluzione ad un problema che nemmeno riconosceva?

E così, permetteva a quei timori di rovinare anche l’attimo più intimo al mondo, e mentre i loro corpi si univano più impetuosi, anche la frustrazione diveniva più irruenta e a nulla serviva distrarsi, nulla riusciva totalmente a riportarla alla realtà. Non i gemiti rochi che le bruciavano la gola, non le spinte passionali di Inuyasha, né aggrapparsi agli steli d’erba che stringeva fra le mani.

Ma perché? Perché non poteva essere finalmente felice e basta? Forse a lei non era concesso? Dove aveva sbagliato?

Voglio essere felice! Voglio stare con Inuyasha! Oh destino, dove ho sbagliato? Non mi hai forse destinata alla gioia? Non voglio trascinare Inuyasha nel dolore!

Con un grido, gli occhi torbidi di piacere e disperazione, Kikyo permise al proprio corpo di ascendere alla soddisfazione fisica assoluta, avvolgendo l’amato nella propria morbida morsa, riempiendosi del suo seme e del di lui piacere.

Le accarezzò una guancia, osservandola, innamorato e appagato. Mai si sentiva così innamorata di lui come quando facevano l’amore e anche quella volta, come tutte le altre, non poté che ricambiare sinceramente il suo sorriso. Inuyasha si chinò a baciarle le labbra rosse e gonfie, scendendo poi a posarle altri baci sul cuore e sul ventre.

Se i Kami avessero voluto, prima o poi sarebbe sbocciata la vita anche dentro di lei.

Decise di cercare di accantonare i brutti presagi almeno per quella notte. Voleva bearsi totalmente della compagnia di Inuyasha e così, percorrendo la via di casa sotto alla stellata volta celeste, Kikyo si strinse più a lui lasciandosi andare a un dolce sorriso e un piccolo gemito di gioia.

D’altronde quei brutti pensieri parevano affollare solo la sua mente, Inuyasha invece sembrava sereno come al solito, dunque forse erano davvero solo sue elucubrazioni. Per una volta nella vita voleva cercare di essere ottimista, forse influenzata dalla presenza di Inuyasha, o dalla dolce euforia dovuta all’amplesso; ma quella notte si accoccolò al ragazzo e si addormentò col sorriso.

Non immaginava sarebbe stata l’ultima volta.

 

 

 

Le giornate continuarono a svolgersi come di consueto. Eppure, Inuyasha si sentiva di mattino in mattino un poco più stanco, un poco più irritato, un poco più vuoto.

Quel che era peggio, anche Kikyo era sempre più pallida.

All’inizio, naturalmente, tentò di dirsi che era tutto un frutto della sua immaginazione – che stava proiettando il proprio malessere all’infuori di sé, che non era vero che i loro silenzi cominciavano a essere più lunghi e più tesi, che di tanto in tanto lei pareva evitare il suo sguardo. O era lui a rifuggire la luce inquieta e penetrante delle sue iridi, perché le aveva viste fiammeggiare di rabbia in sogno?

Era ridicolo, si ripeteva; ma il cuore gli balzava in gola ogni volta che si domandava perché mai la sua mente osasse produrre delle immagini così crudeli, così lontane dalla verità, così piene d’odio e tristezza. In quale mondo Kikyo l’avrebbe aggredito così? In quale mondo l’avrebbe… tradito, rifiutandosi di consegnargli la Sfera? A quale scopo? Attirarlo in una trappola solo per ucciderlo… mai avrebbe potuto crederlo.

Ma di notte in notte quella scena si faceva più chiara e più oscura allo stesso tempo. C’era il suo nome, Inuyasha, gridato con furore; c’era una corsa, un desiderio inesplicabile di ottenere qualcosa che gli era stato negato. Una volta si vide tendere la mano – una mano ancora munita di lunghi artigli affilati – verso una spada, verso qualcosa di chiamato Tessaiga, o verso una coppa piena di sangue, con l’orrido presentimento che fosse il suo, di sangue, quello che aveva perso a trasformarsi in umano. Ma non importava quale fosse l’oggetto della sua brama: alla fine, svaniva in un bagliore rosa e splendente, lo stesso che gli aveva ferito le pupille il giorno in cui aveva espresso il desiderio e aveva saputo che tutto sarebbe andato bene.

Si svegliava pensando di volere la Sfera. Si sorprendeva durante la giornata a digrignare i denti, domandandosi perché gli fosse stata rubata, e doveva sbattere le palpebre diverse volte di fila per dirsi che stava delirando, che il gioiello era scomparso, che nulla del suo animo voleva più altro se non amare con tutto il proprio cuore la bella, dolce, saggia Kikyo. Sempre più lontana.

Era un affanno, tentare di capire se fosse lui a respingerla, pieno di malumore e incertezze, o se fosse lei a starsi allontanando. Tra le sue sopracciglia c’era sempre più di frequente una strana ruga, che le increspava e invecchiava la fronte bianca; gli diceva di doversi allontanare un momento, e svaniva per ore. Una volta la intravide, seduta in riva al fiume, immobile, lo sguardo perso nel vuoto, il vento che le accarezzava i capelli: in profonda meditazione, china su se stessa, le labbra strette e rigide in un’espressione di disagio e preoccupazione. Quando l’aveva vista portarsi le mani al viso, un lieve singhiozzo a scuoterle il corpo snello, aveva provato l’impulso di uscire allo scoperto e andare a consolarla; ma un istinto più ancestrale, selvaggio e feroce gli aveva suggerito di farla finita, di darle ciò che si meritava – ed era fuggito, era corso a riprendere fiato, domandandosi perché, perché, come poteva anche solo immaginare una cosa così orribile? Era mai possibile che le immagini dei suoi sogni, quelli in cui Kikyo lo odiava tanto, lo influenzassero in maniera così viscerale anche da sveglio?

E poi cominciò a vedere ombre. Ombre di frecce che lo inseguivano dietro gli alberi, sogghigni pallidi ed eterei, un agitarsi di abiti rossi e bianchi anche mentre era da solo; ed era solo sempre più spesso. La notte, era molto più raro che dormissero abbracciati: si rannicchiavano ognuno nel proprio angolo, augurandosi la buonanotte con voce stanca, fissandosi negli occhi per un momento abbastanza lungo da sapere che avrebbero dovuto parlare, ma troppo breve per decidere di farlo. D’altronde, come avrebbe potuto spiegarle la situazione? Lo avrebbe preso per folle. Forse soffriva solo per causa sua – anche se, nel profondo di un temporale notturno, si era svegliata gridando come se mille artigli le fossero appena stati affondati nella carne.

Era ancora più strano, in verità, come il mondo attorno a lui stesse rallentando. Come gli pareva che gli altri abitanti del villaggio lo ignorassero, come ogni conversazione sembrasse vuota e uguale alla precedente; ogni immagine un po’ sfuocata, alcuni oggetti che gli scivolavano tra le dita come se non avessero peso. Si sforzava di rifletterci, e non ci riusciva. Si ritrovava a camminare, a svolgere le mansioni come sempre, dimenticandosi per qualche momento di tutto quello che lo circondava, fino al momento in cui non sentiva un urlo lontano e si domandava perché Kikyo gli stesse dando la caccia.

 

 

Le giornate e le notti si susseguivano, tutte uguali. Aveva provato ad attribuirne la monotonia alla vita pacifica che ora conducevano, ma ad un certo punto, quando un paesano le aveva rivolto la stessa identica frase di qualche giorno addietro, quel tedio non era più stato ignorabile e il timore che qualcosa non andasse era divenuto cosa certa.

Non aveva voluto vedere, non si era fidata del proprio presentimento, che in più di una volta l’aveva ben consigliata, e ora ne pagava lo scotto: non aveva potuto evitare la situazione con Inuyasha.

Lui non la guardava più con gli occhi di un tempo. Il suo sguardo era divenuto diffidente, talvolta addirittura astioso, e Kikyo lo evitava per non sentire il cuore stretto in una morsa aguzza.

Spesso le capitava di camminare per la prateria per raggiungere il Goshinboku, in genere la percorreva per passare inosservata, ma da quando erano cominciati i sentori c’era dell’altro: si sentiva attratta da quel posto, era come se i suoi piedi la guidassero lì e la sua mente ricercasse qualcosa.

E allora Kikyo cercava e cercava, si guardava attorno, scostava gli alti steli, senza mai trovare nulla, finché un giorno il suo sguardo non fu colto da una luce violacea. Una luce alquanto famigliare, ma oramai inesistente.

Si chinò, avvicinò la mano per trovarne la fonte tangibile, ma all’improvviso l’arto prese a dolerle.

Si bloccò esterrefatta osservando con sconcerto e afflizione le dita irrigidite, contratte e immobili.

Che cos’erano quei sentimenti che le stavano albergando nel petto? Umiliazione, turbamento, angoscia, desolazione, supplizio.

Perché provo ciò? È come se... qualcuno mi avesse pugnalata alle spa...” il flusso di pensieri fu bruscamente interrotto. Le gambe le cedettero e Kikyo cadde a terra, in ginocchio, in un urlo di puro dolore. Strinse gli occhi nel tentativo di sopportarlo e si portò la destra alla spalla tremante. Mai come prima d’allora quella fitta si era fatta così veemente, così reale. Aveva freddo, tanto freddo.

Si guardò la mano e sgranò gli occhi intrisi di panico: sangue, sangue vermiglio la imbrattava. Stava morendo? Era il gelido abbraccio della morte quello che avvertiva?

Terrorizzata spostò le stoffe macchiate con uno strattone, per prendere consapevolezza dell’entità della ferita, ma non vi era niente, la sua pelle era candida e pulita come era sempre stata.

Si rialzò barcollando e malferma cominciò a correre a perdifiato. Si buttò smarrita alle radici del Goshinboku e si aggrappò alla corteccia, lasciandosi andare ad un singhiozzo senza lacrime, sconvolta.

Inuyasha!” un grido furioso, una voce carica di risentimento. Si voltò di colpo ritrovando se stessa dall’altra estremità del ciottolato, gli occhi fiammeggianti di disperazione e rabbia, l’arco contratto e la freccia incoccata. Il suo sibilo fendette l’aria nella frazione di un secondo. “Kikyo...”.

Alzò lo sguardo sul tronco rimanendo scioccata. Si allontanò tremante da esso con gli occhi lucidi e la bocca dischiusa dal turbamento.

Non poteva credere a tutto ciò! Come avrebbe mai potuto lei sigillare Inuyasha all’albero?! Lei amava Inuyasha! No, non era vero, era la sua mente a giocarle brutti scherzi, avrebbe persino potuto credere a una sua pazzia, ma non a quello!

No, no, io non l’ho fatto!” delirò guardandosi le mani, ora entrambe sporche di sangue.

Si ritrovò a scappare di nuovo, nessuno la fermò, nessuno proferì parola. Raggiunse il fiume crollando fra i sassi e freneticamente prese a sfregare le mani nell’acqua, a pulire la faccia e la spalla sinistra. Si trascinò senza forze sulla riva e perse lo sguardo nella corrente.

Si era lavata ma non era abbastanza, si sentiva sporca, sporca dentro. Lei non avrebbe mai potuto sigillare Inuyasha, ma soprattutto quale motivo avrebbe mai potuto avere? Tuttavia non poteva ignorare tutti quei segnali, qualcosa doveva essere successo, dunque lei... lei dunque l’aveva davvero sigillato, ma quando? Perché non aveva memoria di ciò? Loro erano stati felici fino a poco tempo prima, Inuyasha era divenuto un essere umano e lei una donna comune, perché erano apparse quelle visioni? A meno che... non fosse stato proprio Inuyasha a procurarle quella profonda lesione.

Si portò le mani a nascondere il volto coperto di lacrime, la schiena scossa da un primo singhiozzo non più trattenibile.

Distrutta da quella atroce possibilità sempre più fondata.

 

 

 

Alla fine, divenne così violento che intorno a lui calò il buio. Ci fu solo quell’illusione, così vivida che gli parve di averla incisa sulla pelle.

Era nel bosco. Attendeva di recarsi da lei. E tre frecce gli sibilarono accanto, portandolo a girarsi di soprassalto, sconcertato e furioso: lì, piena di sdegno e disprezzo, Kikyo gli sputò addosso che uno sporco mezzo-demone come lui non avrebbe mai avuto un posto tra gli umani, e poi fuggì, vigliacca, lasciandolo inerme, il cuore spezzato pieno di umiliazione, di rifiuto e di dolore.

E allora corse a prendere la Sfera, a rubare quel maledetto arnese dalle grinfie di quegli umani tutti uguali e tutti ignobili, lei compresa. Avrebbe ceduto al richiamo del suo sangue, avrebbe perso ogni legame con quel mondo infimo e insignificante di creature molli e deboli, finalmente sarebbe stato libero.

Ma, gridando il suo nome un’ultima volta, una Kikyo ricoperta di sangue scoccò una freccia che si piantò dritta nel suo petto. Oltre lo scintillio della Sfera che gli sfuggiva tra le dita, la vide accasciarsi; lo schianto contro la corteccia di un albero, un velo di lacrime, l’oblio.

Si piegò in due, ansimando a pieni polmoni, in mezzo a un prato in cui non sapeva di essere arrivato e che non ricordava nemmeno esistere.

La visione non era mai stata così vivida. La carne gli bruciava all’altezza del cuore; si sentiva stretto da corde invisibili, sia sopra la pelle che dentro le viscere.

In quel momento, seppe che poteva solo scegliere se cedere alla follia, o confessare a Kikyo tutto il suo tormento. Alzò lo sguardo e la vide – emaciata, smarrita, i capelli scomposti nel vento inquieto e uno sguardo d’orrore sui lineamenti pallidi. Era arrivato il momento.

Mai come allora gli era parso di soffocare.

 

 

Che sciocca che era stata. Aveva voluto coprirsi gli occhi davanti all’evidenza: Kaede che non cresceva, i capelli che non si allungavano, la gente che non invecchiava...

Dopo essersi calmata e aver analizzato la situazione con lucidità, vedeva i fatti con più chiarezza e i pezzi si stavano incastrando, i ricordi riaffiorando.

Kikyo si sedette sul tatami della loro camera, svelò lo specchio sotto la stoffa e aprì la conchiglietta preziosa regalatale da Inuyasha in un’azione meccanica.

Incredibile, sembrava che il mezzo-demone non avesse dimenticato proprio niente.

Il rosso rubino scintillò alla fiamma tremolante della candela. Fuori era il crepuscolo.

Portò l’anulare a raccogliere la pasta cremosa e la adagiò con regale maestria sulle labbra sottili, proprio come aveva fatto quella notte, quando un barlume di desiderio di normalità l’aveva colta nel sonno agitato.

Si rimirò allo specchio, stupenda ed eterea. Intangibile e defunta.

La pelle del candido viso venne percorsa da crepe, dapprima piccole e appena accennate, poi più evidenti, come solchi profondi di una terra inaridita. Vide un frammento di guancia cedere, staccarsi come una squama e divenire polvere, cenere che si disperse nell’aria.

Voltò lo specchio e chinò le fragili spalle, un tempo fiere, troppo addolorata da quell’immagine. Addolorata dalla sua veridicità: lei era morta, quel corpo non era né reale né cenere, solo frutto di una mistificazione nel sonno eterno di Inuyasha, a cui lei stessa l’aveva condannato come punizione.

No, sorrise appena, affranta, non aveva avuto l’audacia quel giorno fatale di ucciderlo. Né il tradimento, la ferita mortale o il ratto della Sfera dei Quattro Spiriti le avevano concesso il coraggio. Era proprio vero che l’amore l’aveva avvinghiata nelle sue spire di ingannevole distorsione, ma quello non poteva permetterlo. Ora che vedeva, Kikyo avrebbe posto lei stessa rimedio a quella farsa.

Inuyasha aveva intrappolato il suo spirito in quel limbo costruito sui propri desideri e la mente aveva scacciato il più lontano possibile i brutti ricordi, ma non per sempre perché questi, incontrollabili, terribili e furtivi, erano pian piano riemersi.

Sarebbe potuto essere bello stare insieme in quel mondo, ma ormai non era più possibile, quella falsa realtà era divenuta una trappola e l’amore non era più abbastanza.

Ora che rimembrava, anelava solo al sonno eterno. Non avrebbe mai saputo la verità sulla sua morte, se il tradimento di Inuyasha fosse stato tale o il destino avesse tramato contro di loro, ma aveva potuto avere un barlume di visione su come sarebbe stata la loro vita insieme, su come sarebbe stata la sua vita da donna comune. Inutile affannarsi sui “se”, sui “ma”, e ulteriori elucubrazioni irrealizzabili, l’oltretomba la stava richiamando e Kikyo non si sarebbe fatta attendere oltre.

E di Inuyasha? Dell’amato malvagio Inuyasha che ne avrebbe fatto?

Non necessitava di riflessioni.

Come sempre, Kikyo già sapeva come avrebbe agito.

Si strofinò le labbra togliendo il rossetto in un misto di dispiacere e rancore e si alzò, conscia che non sarebbe tornata indietro, che se l’oblio la intimoriva, poiché anch’ella era umana, era un’alternativa migliore a quella statica illusione, per lei come per lui.

Trovò Inuyasha al sole morente all’orizzonte. Il vento che ululava la loro afflizione.

L’apparente ragazzo le stava davanti reggendosi in piedi a stento, lo sguardo incredulo, tremante; l’espressione, di una smarrita incredulità, era terrorizzata, ma ormai decisa a scoprire la verità, e Kikyo non gliel’avrebbe negata.

 

 

 

– Cos’è successo? Kikyo, perché l’hai fatto?

Le parole uscirono tra respiri affannosi. Voleva ancora ripetersi che era tutto uno sbaglio, tutto un maledetto incantesimo giocato loro da un qualche dio crudele.

Ma lo sguardo carico di rabbia e disperazione nel profondo di quegli occhi scuri, non più limpidi, parve allungare dita di mostro a chiuderglisi sulla gola.

– Siamo perduti, Inuyasha – soffiarono le sue labbra, quasi immobili, ma contorte in uno spasmo di dolore, i capelli sconvolti dal vento – Tu ci hai condannati.

– Di cosa stai parlando? – esclamò lui, esterrefatto – Io volevo solo una vita normale, una vita con te!

– Tu mi hai uccisa, Inuyasha!

Quel grido parve squarciare il cielo; e la sua anima, anche. Uno strappo netto, una ferita di fuoco così ardente che in pochi attimi diventò una cicatrice contorta, che bruciava sorda: il dolore era così intenso che la mente di Inuyasha lo chiuse fuori, sbigottita, congelata, incapace di accettarlo. E anche Kikyo sembrò farsi all’improvviso vuota, un guscio esausto dopo quell’accusa terribile: occhi lucidi e colmi di tristezza, il capo chino, le mani serrate sul petto e il respiro corto al punto che Inuyasha quasi non udì il suo sussurro.

– Tutto questo non è mai esistito.

Le parole riverberarono nel vento, esili e magnetiche. L’aria intorno a loro si increspò – all’improvviso, aveva un odore diverso, così diverso.

Di menzogna, di illusione.

– Mai… esistito? – mormorò Inuyasha, esitante, tentando di ignorare quella strana paura che sentiva nel profondo dello stomaco: la consapevolezza di una verità orribile.

Kikyo alzò la testa, i lineamenti di nuovo irrigiditi, più fiera e più gelida. Era la determinazione della conoscenza, quella che si agitava sotto le sue ciglia scure.

– Sei tu – affermò, la voce dura come pietra – Tu ti stai aggrappando a ciò che ti rimane, mentre dormi il sonno che ti ho inflitto. Tu mi hai uccisa e adesso mi condanni a questa condizione!

Il sonno? Una condanna? Io l’ho uccisa?”.

Nulla di quelle affermazioni avrebbe avuto un senso, se solo tutto di lui non gli stesse gridando che il mondo gli si stava sgretolando attorno proprio come in un incubo; che in nessun universo un idillio come il loro avrebbe potuto esistere, e meno ancora disintegrarsi tra follia e lampi d’angoscia. Il sonno…

– Ma io… io ti amo, Kikyo – si sforzò di ribattere, di negare, di aggrapparsi a quel misero barlume che ancora scintillava nel cielo – Non avrei mai potuto… perché è finita così?

Ma ormai, gli occhi di lei erano opachi come pietra, fossili di dolore, e nella sua espressione non c’era altro che disprezzo.

– Siamo perduti. La nostra, qui, è una mera condanna – ripeté, scuotendo la testa, i capelli neri che le sfioravano le guance umide come rampicanti scuri che volessero succhiare la vita dalla sua pelle già troppo bianca – Vattene. Lasciami almeno riposare, ormai…

– Non so come fare! Non so come svegliarmi! – le gridò di rimando, senza neppure accorgersi di sapere, ormai, di capire cosa fosse quel patimento lancinante all’altezza del cuore, quel sigillo di disperazione, ghiaccio e fuoco; avrebbe solo voluto poterle spiegare che mai, neppure per un momento, neppure per un istante, aveva dimenticato quanto l’avesse amata, e mai l’avrebbe fatto. Che non voleva che lei soffrisse, che se solo avesse potuto l’avrebbe adorata e aiutata e protetta per tutta la vita; e perché lei lo aveva tradito così, allora? Era stato davvero un tale mostro da spingerla a diventare un’assassina?

Che diavolo era stato di loro?

Ma lei gli si stava avvicinando. Passi ampi, regali, un barlume di vera fierezza nelle pupille, il coraggio della donna integerrima e inscalfibile che era riuscita a fare breccia nella sua solitudine, e si era lasciata carpire a sua volta.

– Lo farò io per te. È un dono che non meriti, ma che il mio cuore non può negarti – sentenziò, tendendo una mano verso il suo viso, bellissima e pallida come uno spettro – Svegliati. Forse solo così saremo entrambi finalmente liberi.

Le sue dita gli si posarono sulle guance. C’era l’oblio, scritto nei suoi lineamenti: una sentenza eterna, contro cui Inuyasha tentò di dibattersi, all’improvviso in preda all’orrore.

– No, Kikyo, io non posso…!

Ogni suo tentativo di sfuggirle fu reso vano dal tocco delle sue piccole labbra rosee sulle proprie. Ancora calde, ancora morbide, ancora dolci, come in tante notti in cui avevano parlato solo d’amore; ma all’improvviso arsero come fiamme, del fervore divino che solo una sacerdotessa come Kikyo avrebbe potuto scatenare: chiuse gli occhi e la sua mente urlò, come se sangue uscisse a fiotti da una freccia che gli si stesse torcendo nel petto.

 

Spalancò gli occhi su una buia notte d’estate – un milione di odori nelle narici, di erbe e fiori e umani e vento; gli artigli che scricchiolavano, le orecchie ottenebrate come da uno strano velo che andava pian piano svanendo, la gola secca e affamata.

Respirò, e in quel sospiro evaporò tutto; per un breve istante gli parve di poter cercare di trattenerlo, uno strano sogno che sapeva di verità e di desiderio e di inganno, di un’illusione creata dal suo cervello per proteggerlo o per ferirlo. Ma, infine, dimenticò: il profumo di Kikyo e il potere della Sfera si stavano avvicinando, li sentiva, stranamente goffi e lenti.

La Sfera, che gli spettava; Kikyo, che l’aveva imprigionato in quel luogo, contro quell’albero, per chissà quanto tempo. Brama e vendetta, in un unico aroma troppo familiare per lasciare spazio a ricordi o a dubbi.

Si dibatté contro la freccia: pulsava, come a volergli marchiare la carne per sempre prima di svanire, sempre più debole e sempre più furiosa, perché niente e nessuno amava essere sconfitto, e a lei mancava solo un ultimo affondo per soccombere.

Perché era arrivato il suo momento di vincere, si disse Inuyasha con un ringhio: contro il tradimento, contro il passato, contro un dolore che poteva solo seppellire per continuare a vivere.

 

 

 

Il calore delle labbra di Inuyasha si affievolì attimo dopo attimo, in un processo inarrestabile che lei stessa aveva innescato.

Quel corpo fittizio perse consistenza mentre ne stringeva le spalle; poteva sentirle sempre più vacue, impalpabili. Lui cercò di dimenarsi al suo volere quando ormai era già troppo tardi.

Inuyasha svanì in una miriade di frammenti di luce davanti a Kikyo, esteriormente impassibile ma ancora in tumulto per gli ultimi avvenimenti. Era stata una decisione facile, come quella di condannare l’amore della sua vita al sonno eterno, ma accettare i ricordi era stato ben più arduo.

Socchiuse gli occhi mentre il mondo irreale attorno a lei andava a frantumarsi e a dissolversi, destino che di lì a poco sarebbe toccato anche a lei.

E nell’attesa della fine, Kikyo si ritrovò a pensare. Era forse una persona cattiva? Inuyasha al risveglio l’avrebbe affermato, ma lei non si considerava tale. Aveva agito per il bene dell’umanità, lei era stata la protettrice della Sfera e non avrebbe mai potuto permettere che essa finisse nelle mani sbagliate, che fossero di un qualunque malvagio o quelle di Inuyasha, animate da un istinto corrotto.

No, aveva agito per il meglio, si ritrovò a constatare. L’aveva punito senza tradire il proprio cuore e la manifestazione più alta del suo amore deluso era stata liberare il mezzo demone da quel giogo che lui stesso aveva creato, donandogli il bacio più assoluto che si potesse offrire: il bacio della resurrezione. Aveva regalato nuova vita a Inuyasha, una seconda possibilità che lui non meritava e che a lei non sarebbe stata concessa.

Eppure l’aveva fatto. Per amore, per pietà, per uno scopo più alto che superava le loro diatribe umane.

Avrebbe atteso nel Regno dei Morti che compisse il suo destino, prima di ricongiungersi a lui. L’avrebbe aspettato e forse, quel giorno, avrebbe avuto le risposte a cui il suo spirito non sapeva dar pace, ma a cui si doveva rassegnare.

E così io muoio di nuovo. Nel mio cammino per l’oltretomba porto con me il rimpianto degli eventi che qui mi hanno condotta, ma anche l’amore a cui non ho saputo rinunciare e che ancora commetterei se potessi tornare indietro.

La solitudine veglia su di me, ora che Inuyasha mi ha abbandonata per sempre.

Il sonno eterno che mi spetta non sarà costellato di serenità, ma è l’unica conclusione a cui un defunto possa aspirare e che per troppo tempo mi è stata negata.

La fantoccia realtà a cui era stata relegata si disperse nell’onirico mondo del nulla e del tutto, nel limbo dei sogni, nell’universo dei desideri e delle possibilità.

Il corpo di Kikyo esplose nell’oscurità in un insieme di sfere di luce purissima, ma fredda e smarrita.

Io muoio di nuovo. Nella paura mi arrendo alle gelide braccia della Morte che accolgono il mio corpo intangibile, lasciando ogni spoglia mortale.

Sono stata presuntuosa. Credevo che avrei accettato senza remore il momento del trapasso, ma ora che sono sola nel buio freddo e il vuoto angosciante, ora che la mia anima si sta spegnendo, avverto la coperta del tormento avvolgere come un sudario il mio spirito.

Dunque è così che chiuderò i miei occhi di cenere? Afflitta dalla paura?

Perché mi hai tradita, Inuyasha?

   
 
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Inuyasha / Vai alla pagina dell'autore: visbs88