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Autore: EffyLou    10/06/2018    2 recensioni
ATTENZIONE: storia interrotta. La nuova versione, riscritta e corretta, si intitola Stella d'Oriente.
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Ha venti anni quando incontra per la prima volta quegli occhi, lo sguardo fiero del re di Macedonia, il condottiero che non perdona; ha venti anni quando lo sposa, simboleggiando un ponte di collegamento tra la cultura greca e quella persiana. Fin da subito non sembra uno splendente inizio, e con il tempo sarà sempre peggio: il suo destino è subire, assistere allo scorrere degli eventi senza alcun controllo sulla propria vita, e proseguire lungo lo sventurato cammino ombreggiato da violenza, prigionia e morte.
Una fanciulla appena adolescente, forgiata da guerre e complotti, dalla gelosia, dal rapporto turbolento e passionale col marito. Una vita drammatica e incredibile costantemente illuminata da una luce violenta, al fianco della figura più straordinaria che l'umanità abbia mai conosciuto.
Rossane, la moglie di Alessandro il Grande. Il fiore di Persia.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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- Questa storia fa parte della serie 'Memorie Antiche'
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۲۴. Chahar-beest


 
Da quando lasciarono l’accampamento per continuare a muoversi verso nord-ovest, in direzione di Pasargade, Alessandro non fece altro che inviare lettere, riceverle, dare ordini e arrabbiarsi. Era tremendamente irascibile, tanto che anche Efestione evitava di disturbarlo più del dovuto.
Rossane aveva scoperto, tramite voci tra i soldati e indiscrezioni di Bagoa e Perdicca, che il re era infuriato con i notabili che aveva messo al comando delle città e delle satrapie. Quasi tutti i governatori furono responsabili di abusi verso i sudditi, arruolamenti illegali, violenze e sacrilegi. Già da quando erano ad Hormuz, aveva subito dato ordine di costruire una prigione in un piccolo centro abitato in un’oasi tra i deserti del Dasht-e Kavir e il Dasht-e Lut. Era abitata da gente umile, ma avevano un grazioso Tempio del Fuoco e alcune Torri del Silenzio.
La cosiddetta Prigione di Alessandro, secondo i rapporti, fu costruita in tempi molto brevi in quanto il re era già in collera e non volevano fomentarla ulteriormente ritardando la costruzione.
Arrivarono a Pasargade dopo pochi giorni di marcia. Alcuni contadini lungo la via gli avevano detto che la tomba di Ciro era stata profanata e saccheggiata, e Alessandro voleva constatarlo di persona.

Si fece condurre alla Torre del Silenzio da una guida e quando vi entrò, raggelò. Il meraviglioso interno d’oro era stato barbaramente scrostato, lasciando segni di raschiatura sulle pareti di mattoni; il tesoro con cui Ciro si era fatto chiudere lì era completamente assente. Ormai quello che fu il corpo dell’antico re, non c’era più, era un cumulo di ossa. Ma quelle stesse ossa erano sparse qua e là nella Torre. Senza alcun rispetto. Era una tomba spoglia, poteva appartenere ad un misero contadino per quanto era vuota.

«Mio re, - cominciò la voce fievole del contadino, - non voglio adirarvi ulteriormente ma la situazione è più drammatica. La profanazione della tomba re Ciro è solo una parte dei danni. Alcuni generali macedoni, in vostra assenza, hanno stuprato, saccheggiato e ucciso soprattutto nei paesi più piccoli».

Alessandro fece appello a tutto il suo autocontrollo per placare la collera. Lo ringraziò e lo pagò profumatamente. Mandò le truppe di Efestione e Cratero a indagare e arrestare i notabili e i generali colpevoli; i profanatori della tomba, però, non vennero trovati. I prigionieri furono rinchiusi nella Prigione di Alessandro, nell’oasi tra i due deserti. Tuttavia non tutti: seicento uomini tra soldati e generali, colpevoli di stupri e omicidi su gente civile e innocente, furono passati per le armi.
Il re non dimostrò alcuna pietà.

L’Asia tremava di terrore ad ogni movimento di Alessandro. I satrapi divennero più controllabili, ma nelle province l’instabilità raggiungeva livelli altissimi. Le convocazioni o le missive reali erano viste come un segnale che precedeva la purga.
Nonostante le punizioni, Alessandro era profondamente amareggiato e deluso dal comportamento dei macedoni, sia governatori che generali. Per evitare ogni rischio di insubordinazione, sostituì i satrapi e diede loro ordine di congedare le truppe mercenarie al loro servizio. Decise di riformare gli eserciti da capo, inglobandoci anche quegli stessi mercenari.

Un altro duro colpo in arrivo, amico mio, pensò Efestione mentre apriva un lembo della tenda reale, trovando Alessandro intento a discutere con Cratero e Perdicca riguardo le nuove decisioni per l’ordine militare.
«Ah, Efestione! – lo salutò con un sorriso. – Vieni, stavamo discutendo delle ultime sistemazioni. Dicci cosa ne pensi»
«Aspetta, Alessandro. Qui un uomo ha delle notizie da darti, è uno dei miei informatori»
Il sorriso si spense. «Fallo entrare».
Efestione fece un cenno fuori la tenda, ed un uomo scheletrico fece il suo ingresso. Trovandosi in presenza del Re dei Re, il conquistatore che stava facendo tremare l’Asia, rabbrividì. Voci che lo paragonavano ad un leone sembravano vere. Lo sguardo scaltro, vigile, e al contempo feroce e predatorio, in quegli occhi come il cielo e come la notte, più di tutti ricordavano gli occhi di un leone. Più dei suoi ondulati capelli dorati. Più di quel portamento regale e forte.
«Qual è il tuo nome, buon uomo?»
Il vecchio trovò la sua voce graffiante, piacevole. Era ferma, proprio come si aspettava da un personaggio così carismatico.
«Mi chiamo Darioush»
«E che notizie mi porti, Darioush?»
«Riguardano Arpalo, mio re».
Alessandro lanciò un’occhiata ad Efestione, mordicchiandosi il lato del pollice. Cosa aveva da dirgli quell’uomo su Arpalo? Era un suo amico d’infanzia, un fratello. Si fidava ciecamente di lui, gli aveva affidato il delicato compito di custodire il tesoro di Babilonia e le rendite reali. Temette per la sua vita: con le insurrezioni degli ultimi tempi, sperò che non fosse rimasto ucciso.
«Lui ha… – esitò per un momento. – Ha sperperato buona parte del tesoro reale in vizi e capricci. Quando ha saputo che stavate arrivando, si è dato alla fuga con cinquemila talenti»
«Calunnia» ringhiò Alessandro, arricciando il naso in un’espressione feroce.
Gli occhi di Darioush si allargarono per l’agitazione e la paura, l’adrenalina prese a scorrergli nel sangue facendogli tremare le gambe. «No, mio re, ve l’assicuro»
«Calunnia! Arpalo non lo farebbe mai!» sbraitò scattando in piedi.
L’informatore si fece minuscolo sotto gli occhi fiammeggianti di Alessandro. Aprì bocca per cercare di farlo ragionare, ma il re lo prese per la mascella con la mano. «Non fiatare. – sibilò. – Non voglio sentire un’altra parola uscire dalla tua bocca, maledetto calunniatore. Efestione! Portalo via, rinchiudilo».
L’amico lo guardò confuso, ma fece come gli era stato detto. Non voleva alimentare l’ira di Alessandro insistendo, avrebbe cercato di parlargli una volta che avrebbe sbollito l’ira. Affidò Darioush ad alcune guardie fuori la tenda, per condurlo alla prigione dell’accampamento.

Il re si accomodò sul seggio, senza fiatare. Anche Perdicca e Cratero erano rimasti in silenzio. Allora Efestione tentò di portare il suo pensiero altrove.
«Per la tomba di Ciro, invece, cos’hai intenzione di fare?»
«Ho già dato ordine di restaurarla e sigillarla, sotto la supervisione di Aristobulo. Poi dovrà ricevere nuovamente onori e gloria. Sono un grande estimatore di Ciro» replicò annoiato.
«I responsabili sono stati trovati?»
«No. A questo punto la responsabilità ricadrà sul quel satrapo della Parside, auto-eletto come tale e dalla spocchia di pochi. Non ricordo neppure il suo nome per quanto mi è indigesto» brontolò.
Perdicca sorrise divertito. «Orxine» gli ricordò, accomodante.
Cratero invece aggrottò le sopracciglia. «È un discendente di Ciro, ha molte persone dalla sua parte»
Il re sollevò pigramente gli occhi sul generale. «E non credi che sia un’ottima occasione per levarlo di mezzo, questa? – poi posò lo sguardo su Efestione. – Va’ da Eumene, digli di scrivere una lettera per convocare Orxine. Qualcuno dovrà pagare per la profanazione della tomba di Ciro».


 
 
Tre giorni dopo, all’accampamento si presentò Orxine. Si comportò in maniera estremamente amichevole e carezzevole nei confronti di Alessandro, portò persino dei regali a lui e a Rossane. Come se sapesse già la sorte che lo attendeva e cercasse di far cadere la decisione del sovrano.
Tra l’altro il re aveva parlato alla sua sposa della profanazione della tomba di Ciro, ben consapevole che l’avrebbe incattivita come sempre faceva quando qualcuno osava intaccare l’impero persiano in qualche modo. S’incattivì quando scoprì che il suo stesso padre era un congiurato di Dario, quando scoprì che suo marito aveva distrutto Persepoli, e s’incattivì anche stavolta quando Alessandro le disse che la tomba di Ciro era stata profanata, che Orxine non era stato in grado di proteggerla e non aveva fatto niente per trovare il colpevole. Dunque erano d’accordo: Orxine doveva pagare.
Ancora una volta, Alessandro non ebbe pietà. Lo fece crocifiggere come usurpatore.
In quei giorni, l’informatore Darioush fu liberato in quanto le tremende notizie che portava riguardo Arpalo si rivelarono vere. Colui che fu un fidato compagno del re fin dall’infanzia, si rivelò uno sperperatore degli stessi tesori che doveva sorvegliare e, preda della paura per l’arrivo di Alessandro ben consapevole della sua ira, fuggì ad Atene con cinquemila talenti. Da Atene arrivarono informazioni secondo cui tentò di spronare il popolo a ribellarsi al sovrano macedone, ma senza successo.
 
 
* * * *

 
 
Primavera 324 a.C.
Susa.



Arrivarono a Susa dopo una marcia di ventiquattro giorni. La città, una delle cinque capitali dell’impero, era la residenza imperiale della famiglia di Dario.
Il palazzo era talmente grande da poter ospitare tutti i diadochi in stanze confortevoli e adeguate al loro rango. Era bellissimo, spazioso e decorato con mattonelle smaltate di blu cobalto e bassorilievi d’oro raffiguranti tori e leoni alati. Persino sui capitelli nell’Apadana, la sala delle udienze, c’erano teste di toro.
Rossane si era guardata attorno con profonda ammirazione e sgomento, mentre Alessandro le spiegava il percorso tra i corridoi e le sale del palazzo. Era quasi convinta che in vita sua sarebbe rimasta in Battria, che non si sarebbe mai spinta fino al cuore dell’impero. Ora, invece, avrebbe persino dormito nel palazzo reale di Dario, a Susa.
Amu le aveva detto che erano arrivati anche Ossiarte, Darya e Mizda. Il giorno seguente li avrebbe incontrati tutti dopo tre anni.
Andò a dormire con il cuore leggero e la mente sgombra, dopo tanto tempo, tanto che persino Alessandro se ne accorse. Avrebbero condiviso la stanza poiché non erano più rimasti appartamenti per la regina, e per loro non era un problema condividere il talamo.

Lei era già sotto le coperte, guardava il soffitto pieno di intarsi dorati dalle forme geometriche ed elaborate. Alessandro si chinò per avvicinarsi, scostando appena le lenzuola e le pellicce.
«Sei felice» osservò, con un sorriso.
Rossane lo guardò, ricambiò increspando le labbra. «Da cosa te ne accorgi?»
Le fece cenno di accoccolarsi a lui, lei obbedì. «Da niente. Semplicemente, ti sento felice. Appena ci siamo incontrati di nuovo, a Hormuz, più che felice eri spensierata. Ma ora sei davvero felice, ed è la prima volta che succede da quando siamo insieme»
«Non è colpa tua. – sussurrò. – Non del tutto» e gli regalò un sorriso furbo e dispettoso.
«Ora sarà diverso. Per un po’ di tempo, almeno»
Lo guardò interrogativa. «Cioè?»
«Perché poi avremo un figlio, e a quel punto non saremo più noi due ma noi tre. Le cose cambieranno. E poi, sto pensando di partire per l’Arabia tra qualche tempo, allargare i confini»
«Non è lontana come l’India. – osservò Rossane. – Si può fare»
«Lo farei comunque. E tu verrai con me. – le baciò la tempia. – La famiglia conduce l’uomo a casa, ma se tu sarai con me non avrò bisogno di tornarci. E poi sarei onorato di combattere al tuo fianco, coniugi e compagni in armi»
«Come Nino e Semiramide» commentò sorridendo.
«Come Nino e Semiramide. - annuì Alessandro, ripensando che Efestione ed Eumene avevano commentato allo stesso modo. – Ora dormi. Domani accoglierò la tua famiglia a palazzo, ci saranno anche le principesse che dimorano qui»
«Statira e Dripetide? Le figlie di Dario?»
«Sì. – rispose piano, le diede un ultimo bacio e lasciò che si accoccolasse a lui. – Buonanotte, cheshmam».

Eppure, Rossane se ne accorse, quella notte Alessandro non riuscì a dormire. La stringeva tra le braccia e le sussurrava parole che somigliavano al greco, ma lei udiva a malapena e non capiva; si mosse solo quando lei si spostò per girarsi di fianco. Si era messo seduto, non aveva mai interrotto il contatto tra le loro pelli. Qualcosa lo tormentava e pensò si trattasse solo degli squilibri in Persia.

Quando si svegliò, il mattino dopo, Alessandro non c’era già più. Rossane venne servita e riverita per la colazione e i trattamenti del corpo, le ancelle la tirarono a lucido per la prima volta dopo Al-Khanoum. D’altronde stava per avere un incontro ufficiale con la sua famiglia e le principesse figlie di Dario. Le pulirono la pelle tramite oli e impasti, le pettinarono i capelli e le truccarono il viso.
Rossane fece il suo ingresso nella sala dei banchetti, gremita di ospiti, splendente come una stella. Almas, vicino a lei, era compiaciuta dagli sguardi sgomenti che le rivolgevano i macedoni e i persiani stessi.
La regina indossava una lunga veste porpora con ricami floreali d’oro, impreziosita da gemme luminose, dietro le spalle scendeva il lungo mantello di una tonalità viola scuro, senza alcun ricamo. Ai capelli castani erano intrecciati filo d’oro e pallide perle, sul capo era posato il diadema reale che la classificava come regina ufficiale dell’impero di Persia. Gli occhi erano truccati da una linea di kajal che si estendeva oltre la palpebra, facendo sembrare ancor più grandi i suoi occhi d’ambra, sporcati da pagliuzze verde oliva vicino alla pupilla. Le braccia erano coperte di gioielli rigidi, sottili o spessi, dalle forme che variavano in teste di toro a serpenti attorcigliati, mentre sulle dita anelli impreziositi da gemme o incisioni particolari; indossava collane preziose e vistose e orecchini a disco.
Nessuno, nemmeno Alessandro, aveva mai visto la regina nelle vesti regali. La regina barbara venuta dall’ostile terra di Battria, colei che aveva preso parte alla sanguinosa battaglia sull’Idaspe, aveva condiviso le disgrazie del viaggio in India e ritorno, si mostrava per quella che la sua fama voleva: la donna più bella di Persia.

Nella sala ammutolita, tra gli occhi che la fissavano, riconobbe quelli blu di Amu, e quelli ambrati di Darya e Ossiarte. Sorrise, preda dell’emozione e la voglia di riabbracciarli. Suo padre era sempre uguale, con i suoi capelli e barba sale e pepe; anche Amu non era cambiata molto. Ma Darya ormai era una donna, ed era bellissima.
Alessandro si avvicinò appena ad Efestione, senza smettere di guardare Rossane. «Chi è che dice che Statira è più bella di Rossane, scusami?»
«Un cieco, credo» rispose l’amico, incredulo.
Il re si alzò in piedi, porgendo una mano alla moglie. Lei lo afferrò, e Alessandro la tirò delicatamente al suo fianco. «Amici commensali, ora siamo al completo. Non tutti la conoscete: lei è Rossane, mia moglie. La vostra regina».

Alla ragazza non sfuggirono le occhiate di Statira, il cui letto da convito e la mensa erano poco distanti da quelli di Alessandro. Le aveva poste così vicino per un atto di cordialità e rispetto nella loro posizione.
Statira era bellissima, ma aveva un ché di aggressivo e volgare nel suo aspetto. Doveva essere sua coetanea, o poco più giovane, aveva la pelle dorata e sottili occhi azzurri, il viso affilato incorniciato dai capelli nero corvino. Sembrava esile, del tutto priva di forme nonostante avesse circa vent’anni. Dripetide era diversa per lineamenti e per colori: la pelle era poco più scura, gli occhi neri e i capelli castani. Era palese che Statira somigliasse più a sua madre, e Dripetide a re Dario.
Le occhiate della principessa erano quasi sprezzanti. Guardava Rossane e poi Ossiarte, consapevole che egli fosse uno dei congiurati di suo padre e quella che doveva chiamare regina era la figlia di un traditore. Una selvaggia battriana, una scalatrice di classi sociali troppo ambiziosa per quella misera regione, che dalla fine del mondo era riuscita a raggiungere il cuore dell’impero. Era bella, non lo negava, ma Statira non comprendeva come quella selvaggia avesse fatto a conquistare le attenzioni e il cuore di Alessandro. Che fosse frutto di un accordo politico non c’era dubbio, ma non le sfuggirono le dolci attenzioni che lui le rivolgeva. I sorrisi, gli occhi con cui la guardava. Come aveva fatto? Se c’era riuscita una battriana, poteva riuscirci anche lei che era una principessa.
   
 
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