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Autore: Danail    11/06/2018    0 recensioni
Quando una malattia, oltre al dolore e alla sofferenza, porta anche qualcosa di bello.
Finalmente zio Osses avrebbe mostrato loro come condurre una barchetta, come pescare qualche pesce, come orientarsi con l'aiuto del sole e si sarebbero divertiti ad affrontare le rapide. E, forse, l'elfo avrebbe fatto vedere loro anche qualche magia legata all'acqua!
E invece no.
La Febbre Spaccaossa lo aveva colpito per colpa di chissà quale insettaccio.

[Partecipa alla Challenge del gruppo: Hurt/Comfort Italia – Fanfiction & Fanart | 26 Prompt Challenge | 5/26: Acqua]
Genere: Angst, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Velo degli Dei.'
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5 Acquatic Lights.

[Theme | Challenge Gruppo]

/àc·qua/
sostantivo femminile

1 Composto chimico di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, incolore, inodore, insapore; costituente fondamentale degli organismi viventi. Distesa d'acqua.



Quanto aveva pianto per essersi perso quella gita ai laghi? Solo Torag poteva saperlo.
Quando aveva sentito il ciarlare allegro dei suoi amici, nell'intimità della sua cameretta Infaustus aveva cominciato a singhiozzare, per quanto glielo permettevano i residui della febbre.
Avevano aspettato tanto, lui e gli altri bambini, avevano aspettato con angoscia quella gita da fare tutti assieme.
Finalmente zio Osses avrebbe mostrato loro come condurre una barchetta, come pescare qualche pesce, come orientarsi con l'aiuto del sole e si sarebbero divertiti ad affrontare le rapide. E, forse, l'elfo avrebbe fatto vedere loro anche qualche magia legata all'acqua!


E invece no.
La Febbre Spaccaossa lo aveva colpito per colpa di chissà quale insettaccio -Infaustus era sicuro che c'entrassero le creature invertebrate di Guzma, ma non aveva quella malignità d'animo per incolpare il suo amichetto umano- e, tra un febbrone da cavallo e la sensazione di ossa ridotte in poltiglia, il nano era rimasto a letto per l'intera settimana, resistendo alla malattia con stoicismo, anche se dentro di sé voleva solo che urlare e piangere per il dolore.
Sia prima che dopo la gita, a turni i suoi amici venivano a trovarlo. Forse per distrarlo un po' e alleviare le sue sofferenze, forse per non fargli pensare troppo a quello che stava e si era perso, forse perché non volevano smettere di giocare con lui solo per una stupida malattia.
Forse tutte queste ragioni erano vere.
A volte venivano i tre piccoli mezzorchi.
Infaustus si divertiva sempre con loro, visto che ci mettevano sempre parecchia energia e inventiva nei loro giochi. Però poi finiva sempre che Pendragon barava o che cambiava le regole, che Tsadock ci mettesse troppa forza e faceva male a qualcuno o a lui stesso o che l'attenzione di Grimbull scemasse, cosicché questo passasse a fare altro con il nano, ignorando bellamente i due cugini.
A volte venivano Ash e Giada. Anche se spesso era solo Ash.
Infaustus trovava curioso il loro aspetto, molto più di quanto accadeva con gli altre tre mezzosangue. Forse perché in loro c'erano i tratti familiari di Osses e di Guzma.
Loro due erano molto più tranquilli rispetto agli altri. Ash non parlava gran che, ma a cogliere anche i più piccoli dettagli era sempre stato parecchio bravo. Ogni volta che poteva cercava sempre, con l'aiuto della sorella, di disegnare ciò che osservava per poi raccontarglielo.
Ogni tanto Ash arrivava coi suoi disegni assieme a Guzma, un bambino affetto da una strana forma di albinismo totale.
Sebbene trovasse questa peculiarità vagamente inquietante, era sempre uno spasso sentire le storie esagerate che questo riusciva a sfornare, aiutato dai disegni del mezzelfo.


Le vere sorprese erano le rare apparizioni di Plumeria alla finestra: una tiefling tanto svelta di corpo quanto di mente che portava sempre delle erbe o dei fiori dalle proprietà curative, a detta dei bigliettini che lasciava vicino a questi piccoli regali.
Infaustus non sapeva praticamente nulla su di lei. La vedeva solo apparire sul davanzale, in equilibrio grazie alle alucce nere e alla coda, posare ciò che aveva raccolto, salutarlo con un cenno del capo e guizzare via.
Ma era anche grazie a quella peculiare ragazzina dai capelli rosati e dal loro amico umano se lui si trovava quella notte fuori dalla sua cameretta, quando invece doveva passare quel tempo di convalescenza a letto.
Gli ultimi giorni li aveva passati in solitudine, chiedendosi che fine avessero fatto tutti: e ora, si chiedeva, nel torpore del sonno mancato, se allontanarsi dal Kamigakushi in quel modo fosse sicuro.
Intorpidito dagli ultimi strascichi della malattia, il piccolo nano non riusciva a tenere alta l'attenzione: seguiva solo la figura sfuggente di Plumeria, che era sempre un passo avanti a loro, e Guzma, che lo teneva pazientemente per mano.
Quando si fermarono, Infaustus non seppe bene dire dove fossero e che ora s'era fatta. Si erano semplicemente seduti in un piccolo spiazzo, isolato dal resto del mondo grazie alle fronde degli alberi, dai cespugli e dal tappeto foglioso che impediva al terriccio di sporcarli.
Il nano, resosi conto di esser arrivato alla misteriosa destinazione, sbattè un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco il panorama di fronte a lui e tese le orecchie.
Sentiva perfettamente lo sciabordare dell'acqua a pochi metri da lui, Plumeria era appesa a qualche ramo sopra le loro teste e Guzma era seduto proprio accanto a lui.
La luna piena splendeva alta nel cielo, le stelle luminose si riflettevano sulle acque placide del lago di fronte a lui: era proprio quello che dovevano visitare qualche giorno prima, o perlomeno... era quello principale.
Infaustus si girò disorientato verso l'amico, che gli sorrise e portò l'indice sulle labbra, indicandogli di fare silenzio, per poi indicare il lago.

Il nano seguì la direzione indicata, ancor più confuso di prima. E poi
accadde.
Lui non se ne accorse nemmeno: ma lucciole e altri insetti che brillavano di luce propria avevano cominciato a volare assieme, come in una danza sincronizzata, poco sopra lo specchio d'acqua.
Da sotto di questa, piccoli globi luminescenti, appartenenti a chissà quali esseri, risalirono dalle loro profondità per illuminare da sotto il lago.
Infaustus trattenne il fiato e sobbalzò quando il motivo per quella risalita gorgogliò ed eruppe proprio al centro: con un brontolio il geyser eruttò e si trasformò in un'enorme colonna d'acqua bollente, tesa verso il cielo.
Il bambino restò incantato nel guardare quel pilastro dividersi progressivamente, fra sbuffi e colonne di vapore, in cinque più piccole colonne, rendendosi così più simile a una mano di qualche divinità acquatica che voleva protendersi verso la volta celeste.
E il vapore alla base intanto assumeva i colori dell'arcobaleno grazie agl'insetti che, a sciami, frusciavano e volavano attorno a quell'evento unico. E nel frattempo, dal basso, le creature che lui non sapeva distinguere illuminavano la base dei cinque geyser, il cui perenne discendere e risalire dell'acqua produceva riflessi indicibili, per una mente come la sua.

-
Si dice che sia un portale. Si dice che attraversandolo possa portare in regni bellissimi!- gli sussurrò l'albino, che cercava di tenere a freno l'entusiasmo.
-
Ti piace, vero?- gli chiese poi, con una nota d'insicurezza nella sua voce da bambino.
Ma Infaustus non lo stava a sentire.
Il dolore e la sofferenza erano volate via con quei coleotteri, a lui non era rimasta che una mutua gioia e la gratitudine per aver potuto assistere a quel dono della natura.
Non rispose a Guzma: qualcosa gli diceva che quello era una sorta di tacito regalo che tutti quanti, compreso il buon Osses, gli volevano fare. Che avessero aspettato solo il momento giusto, nella convalescenza, per mostrarglielo e augurargli così una ripresa rapida.
Perché quello era solo un assaggio di quello che avrebbero potuto trovare.
Per cui, per non rovinare quel momento fuori dal tempo, Infaustus semplicemente posò la testa sulla spalla dell'amico, lasciando che calde lacrime di gioia sofferta offuschino quel paesaggio notturno.







Da qualche parte, in un altro universo, le cose andarono diversamente. Non c'erano bambini legati da una profonda amicizia, non c'era un giovane elfo che cercava affannosamente di star loro dietro.
C'erano solo un umano e una tiefling, in una terra in eterno conflitto con sé stessa.
In breve tempo, quella terra perse tutto ciò che aveva a causa di scelte sbagliate, della corruzione e del dolore di una studiosa, di un (in)consapevole aiuto degli abitanti.
E quell'umano e quella tiefling cercarono di fuggire, riponendo le loro speranze in quella vecchia storia del portale dentro i geyser del lago, ormai l'unica ricchezza che avevano ancora in piedi.
È raro che nel Multiverso due universi possibili e reali possano solo lontanamente sfiorarsi.
Ma successe.
Così, per un attimo passato e presente, possibilità e realtà riuscirono a incontrarsi: per un attimo, gli adulti e i bambini riuscirono a guardarsi fra le ombre e le luci del lago.
L'attimo fugace svanì. Ma l'uomo e la tiefling, abbracciati dentro la loro barchetta, si chiesero per un momento se per loro ci fosse ancora speranza.

   
 
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