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Autore: Alexis Laufeyson    12/06/2018    0 recensioni
Tsarn ha iniziato ad osservare gli umani dal momento in cui è caduta all'Inferno assieme alla Stella del Mattino. Li odia, perché non capisce come Dio possa concedere il perdono anche alla peggior feccia per poi non degnare i propri figli dannati di un solo sguardo, ma desidera anche poterli osservare da vicino. Lei è l'Ira, il Vizio peggiore e figlia prediletta della Cupidigia, ed è per questo che la Stella la invia sulla Terra, una mattina nebbiosa del 793 -non si aspetta di certo di essere osteggiata, lei.
La Carità è la Virtù più alta, spada e paladina di Dio, pura ed innocente e ingenua ambasciatrice dei Cieli, ma nonostante la facciata, neanche lei può essere cieca davanti allo sfacelo umano. Finge di non vedere, però, inizialmente incolpando il Vizio e Lucifero per tutto il Male commesso, tuttavia la realtà è ben diversa, e di certo non si aspetta di scoprirla per mano di un demone.
Tra le pagine della storia, una macchia nera si espande sul buon nome del Paradiso: una relazione clandestina che sa di lacrime e fumo e alla quale, tuttavia, si inchina persino la Città Eterna.
Genere: Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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DISCLAIMER: Storia dedicata ad @HanaSheralHaminail (grazie di tutto, elfaccia mia). La storia, come avrete già intuito leggendo l'introduzione, ha prese di posizione abbastanza forti, ma ci tengo a precisare che esse non sono una critica teologica, bensì pensieri di personaggi fittizi destinati all'evoluzione di essi e della trama. Qualora, tuttavia, non fosste disposti ad accettarli, vi consiglio di non continuare con la lettura. Per quanto riguarda i fatti storici menzionati all'interno, sono stati descritti a seguito di una minima informazione che ogni scrittore dovrebbe fare, ma di certo non sono descrizioni perfette e tanto meno hanno un proposito educativo.
Detto questo, se ancora non siete scappati, vi auguro una buona lettura (e, se volete, vi invito a farmi sapere cosa ne pensate).






 
 
«La carità che non costa niente, il cielo la ignora.»
(Honorè De Balzac)






8 Marzo 793, Monastero di Lindisfarne, Regno di Northumbria, Inghilterra

 
Tsarn1 della propria vita di angelo serbava solamente la memoria frammentata di tutto ciò che non possedeva più.
Ricordava ali di morbide piume che splendevano sotto un cielo celeste, e la luce purissima che, sola, bastava a donarle una meravigliosa sensazione di libertà e innocenza che non sapeva più come provare -e che l'aveva stancata.

Si era dannata dal momento in cui aveva deciso di seguire la Stella del Mattino: stanca si era fatta cacciare all'Inferno, eppure inizialmente non era stata pronta ad accogliere l'oscurità, e solo poi aveva compreso l'incanto che era viverci.

Soleva passeggiare tra le rovine e le fiamme della Città di Dite per respirare la sua nuova libertà, quella meravigliosa libertà che si era guadagnata da quando aveva inalato l'aria del Regno Maledetto per la prima volta; non c'era nulla che rimpiangesse, e tuttavia, di tanto in tanto, osava sbirciare oltre i confini dell'Inferno verso la Terra -quel luogo verde e meraviglioso che somigliava così tanto alla sua vecchia casa e di cui desiderava vedere il cielo.

Ma non le era permesso.

Portare giustizia e paura tra gli esseri umani non era un compito che le spettava, e pertanto le porte della Terra le erano chiuse; la Stella del Mattino non ascoltava mai le sue preghiere, nonostante lei fosse una dei suoi più leali seguaci: le diceva che non era pronta, che, nella sua anima immortale, era ancora un Angelo -pura, buona, "debole come tutti i figli del Paradiso".

Tsarn amava l'Inferno, ma desiderava di più: desiderava un corpo che potesse provare dolore, desiderava essere viva, e più di tutto desiderava conoscere da vicino le creature che Dio amava più dei suoi stessi figli caduti -perché a loro era concessa una vita intera per fare ammenda? Perché loro potevano uccidere e poi avere salva l'anima solamente chiedendo pietà?

A lungo li aveva osservati, come si erano fatti tentare dal rosso succoso di una mela, come avevano ucciso il figlio di Dio per soddisfare la loro invidia e la loro avidità, come senza scrupolo alcuno avevano crocifisso il loro santo Pietro a testa in giù, e aveva provato solo disgusto, perché non era giusto che creature così fragili e meschine potessero godere dell'Amore che a loro, angeli nonostante tutto, era stato negato per sempre.

Tutto era cambiato per lei dopo un'eterna attesa, quando per gli esseri umani era iniziato l'anno settecentonovantatre e metà della Terra già credeva nella parola di Cristo. La Chiesa di Roma si era diffusa ormai in tutta l'Europa quando dei guerrieri pagani avevano deciso di attaccare il monastero di Lindisfarne per rubarne l'oro.

Tsarn stava osservando dal confine dell'Inferno quando la Stella del Mattino le aveva offerto la possibilità di attraversare le porte di quel mondo estraneo per portare la sua giustizia nella casa del Signore -"Aiuta i Vichinghi" le aveva detto "Proteggili, e mostra loro la via per la Santa Croce".

Lei aveva accettato il suo ordine con tutta la gratitudine che era capace di provare, e gli aveva baciato i piedi, promettendo che non l'avrebbe deluso.

Ora camminava calciando via i sassi del povero cortile, invisibile ma consapevole testimone di quell'apocalisse pagana che, nel silenzio della preghiera, aveva visto entrare l'anticristo nel luogo sacro, nella casa di Dio.

C'era cenere nel vento, la cenere di un camino ancora acceso, libera nel cielo plumbeo che prometteva pioggia imminente -invero, quello era un buon modo per inaugurare la propria venuta sulla terra. Una finestra sporca le rimandava il riflesso del corpo che si era creata: l'immagine di una skjaldmær2 ricoperta di polvere e sangue così come l'ascia che teneva stretta nella mano sinistra -una potente guerriera che avrebbe portato il proprio popolo alla vittoria.

Tutt'attorno a lei riecheggiavano inni di vittoria e grida di terrore, e, per la prima volta da che era caduta nell'abisso infernale, il dolore che aveva provato nel sentirsi strappare le ali e nel vedere il proprio corpo sfigurarsi nella maschera dell'eterna dannazione si acuì.

Ora camminava attraverso il caos più totale per poter profanare l'ultimo porto sicuro, la misera cappella di preghiera dove tenevano Cristo crocifisso nell'oro: ne varcò la soglia incustodita senza che nessuno avvertisse la sua presenza, prendendo ad avanzare verso la corta navata non curante dell'incenso che le bruciava le narici. Una luce soffusa illuminava la via verso l'altare, ma lasciava in ombra le panche di legno - e lei rise dell'idiozia dei Cristiani che pretendevano di creare una via verso il Cielo quando era proprio nell'oscurità che quelli come lei sapevano nascondersi meglio.

Cristo la osservava fisso dall'alto della propria croce, giudicandola con l'avorio dei suoi occhi vuoti.

Dove sei ora, eh?

Si fece beffe della sua impotenza, ma poi il riso le morì sulle labbra.

C'era una figura seduta sull'altare, e fu come guardare il passato allo specchio, come se le ombre avessero deciso di svolgere il tempo e tornare a perseguitarla.

L'Angelo pregava in silenzio con le grandi ali piumate chiuse a carezzarle la schiena, e brillava di una luce bianca e purissima che somigliava a quella che anche lei aveva emanato, molto, molto tempo prima.

«Sei venuta qui per vedere tuo Padre cadere?» Ghignò, sprezzante.

L'altra alzò gli occhi per rivolgere uno sguardo mesto e carico di pietà: «Ti aspettavo.» Annunciò, rivelando una voce cristallina.

Tsarn inarcò il sopracciglio biondo del proprio corpo semi-mortale: «E perché?»

«Per porre fine a questa insensatezza.» Le ali dell'Angelo frusciarono quando si mosse per raggiungerla, facendo risuonare la cappella di un dolce canto celeste: «Non c'è motivo per tutto questo male.»

«Il male è una costante di questo mondo.» Tsarn cacciò via la mano che le veniva offerta in segno di pace: «E questi norreni stanno facendo ciò che desiderano, io ho solo aperto loro le porte. Li senti?» Con un dito indicò la porta chiusa della cappella, e nel silenzio che seguì giunsero alle loro orecchie le urla -di dolore e vittoria- e i sibili delle asce che fendevano l'aria per conficcarsi nella carne: «Questo è il libero arbitrio che papà ha tanto magnanimamente concesso. Non dare a me la colpa delle loro azioni.»

L'Angelo sorrise come se non l'avesse sentita: «Potresti rimediare.» Rispose: «Nostro Padre saprà essere misericordioso.»

«E come? Mi ridarà forse le mie ali? O lo lascerà fare a te?»

Lo sguardo confuso dell'altra davanti a quella domanda la fece scoppiare a ridere: «Pensi che non ti abbia riconosciuta?» Sputò: «Basta la tua luce a dire chi sei, Carità.»

Un'espressione compassionevole apparve sul volto dell'altra: «Allora saprai perché Dio ha voluto inviare proprio me. Posso insegnarti la pietà, posso ricordarti chi eri… insieme possiamo portare la pace in questa casa!»

Tsarn scosse la testa e si voltò con stizza, incamminandosi verso la porta a passo veloce: «Io sono l'Ira, mia cara, e con te non ho nulla a che spartire.»

Spalancò i battenti, e in silenzio osservò i vichinghi profanare la casa di Dio.



***


21 Giugno 1348, Lazzaretto di S. Lorenzo, Comune di Firenze, Italia


La peste l'avevano portata i topi e le loro pulci, eppure per le strade di Firenze già era dilagata la caccia alle streghe: si cercavano gli untori, fantasmi invisibili a cui dare la colpa per tutto, e nel fumo dell'ira che accecava lo sguardo si catturavano indistintamente ebrei, donne sole e uomini loschi perché potessero soffrire le pene della forca.

Le vie della città erano sature dell'olezzo dei cadaveri lasciati agli angoli per paura del contagio, e il vento era carico delle preghiere e dei lamenti strazianti di chi vedeva impotente morire ogni suo affetto -l'aria, l'aria, l'ira di Dio… Cosa abbiamo fatto?

Non c'era spazio neanche per un misero funerale, né tempo per osservare il lutto, perché le chiese suonavano le proprie meste campane ad ogni ora, liquidando in fretta gruppi eterogenei di anime che sarebbero state seppellite nella stessa bara senza cura alcuna. L'importante, d'altro canto, era non morire.

Agape3 vagava piangendo in silenzio, consapevole che la sua presenza non sarebbe stata abbastanza per acuire l'ira e il dolore della povera gente e che nessuno l'avrebbe invocata per un gesto di misericordia -non c'era posto per la Carità, in quel momento.

Cercavano tutti la grazia che lei non poteva concedere.

O Padre, dove sei adesso?

L'Angelo si asciugò le lacrime dal volto attraversando lo stretto spazio tra i letti di quel lazzaretto che puzzava di marcio, seguendo passivamente suo fratello Azrael4 e osservando come, imperturbabile, si accucciava accanto ad una bambina che non doveva avere più di sette anni -troppo piccola per quelle piaghe, troppo piccola per dover sopportare tanta sofferenza.

La bimba respirava veloce, distesa su un lenzuolo logoro, le labbra violacee che annaspavano alla ricerca di aria. Teneva gli occhi socchiusi, un paio di enormi occhi celesti velati dalla febbre, ed era una visione così straziante che Agape non poté fare altro che carezzarle la guancia: «Vorrei tanto aiutarti…» mormorò in un singulto, sentendosi inutile, persa, incapace di comprendere perché di tante anime perverse che brulicavano tra le macerie dell'antico paradiso dovesse spegnersi una così innocente.

La bambina sollevò su di lei lo sguardo stanco: «Un Angelo… siete venuto a portarmi in Cielo?»

Non dovresti vedermi, non tu, bambina…

Agape finse un sorriso e la strinse a sé, mentre davanti a lei, alle spalle della piccola, Azrael alzava la mano e le chiudeva per sempre le palpebre. La sua anima le sfuggì tra le dita nel tempo di un respiro, e le lacrime che seguirono le rigarono copiosamente le guance senza che potesse fermarle; suo fratello la guardava con disapprovazione, ma a lei non importava. Non era fatta per quello, lei, ma per donare sollievo -lei era l'amore infinito di loro Padre, d'altro canto, ma in quel momento si sentiva nulla.

«Perché sei venuta? Non puoi fare niente qui.» Azrael aveva le iridi buie, e quando le parlò sembrò non provare niente.

«Lo so…» Agape si asciugò gli occhi umidi di pianto e si alzò in piedi in un fruscio di piume: «Forse è meglio che vada via.» Non avrebbe voluto, ma era necessario.

Suo fratello non le rispose.


***


Quando uscì dal lazzaretto, la degradazione che vide non le fu di alcun conforto: il cielo limpido era di un azzurro gelido, e il fumo di pire di fortuna avvolgeva Firenze come fosse nebbia al mattino; le persone che non potevano entrare negli ospedali o nelle chiese giacevano sul lastricato, e quelle che invece ancora erano sane passavano oltre facendo finta di non vedere e stringendo fazzoletti profumati tra le mani.

Il più brillante gioiello di quelle terre, il faro dell'arte e della democrazia, invero, si era trasformato in un incubo, in una danse macabre.

Agape si infilò in un vicolo buio alla ricerca di pace per non vedere né sentire più niente, per estraniarsi dal tutta quella sofferenza che minacciava di sovrastarla.

Troppo… troppo… troppo…

«Ci rincontriamo, infine.»

La voce dell'Ira echeggiò tra le mura, e il suo ghigno sprezzante brillò come avorio nell'oscurità; anche quella volta la sua forma demoniaca era celata da una maschera: una donna bellissima dai capelli di fuoco e gli occhi di giada, la pelle bianchissima e lo sguardo ammaliatore di una strega -la migliore immagine per risvegliare l'odio negli animi terrorizzati della gente. «Se non erro, l'ultima volta la tua misericordia non è servita a nulla.»

Agape fu lesta a dissimulare lo sconforto, e guardò il Male in volto ostentando sicurezza: «Perché sei venuta da me?»

«In verità…» L'altra finse un'espressione offesa: «Io stavo solo camminando.»

«Per portare dolore.»

«Anche.»

«Poni freno a questa follia.» Agape indicò la sua figura e scosse la testa: «Non puoi davvero volere tutto questo male.»

Il sorriso sulle labbra dell'Ira si spense alle sue parole: «Te lo dissi cinque secoli orsono: non è colpa mia.» La sua voce si era ridotta ad un sibilo, e la sua maschera si stava sciogliendo per lasciare il posto al suo vero volto: «Non puntare il dito contro di me, Carità, non lo tollererò una terza volta.»

Agape alzò la testa, obbligandosi a guardarla nonostante lo sdegno: «Ho visto persone innocenti bruciare sul rogo per la rabbia che tu rappresenti! Persone che non avevano fatto niente e che sono state ammazzate per il colore dei loro capelli, per-»

«E io ho visto aristocratici con le tasche piene di denaro passare accanto a mendicanti pelle e ossa che chiedevano l'elemosina senza degnarli di uno sguardo. Dove eri tu

«Io…» Agape tentò di replicare, di rispondere che non aveva potere sugli animi corrotti dalla Cupidigia, ma l'altra fu più lesta: «Perché la mancanza di voi Virtù deve essere sempre una nostra colpa? Ve ne lavate le mani come fece Pilato davanti a Cristo e accusate noi della vostra indolenza. Pensi che gli umani si scannino tra di loro a causa mia? E allora dov'è la Pazienza? Dove sei tu, Carità, quando la Cupidigia impedisce ai ricchi di fare del bene?»

Le sue parole furono un duro colpo nella barriera salda delle sue convinzioni, ma ancora di più fu lo sguardo ferito che per un attimo brillò negli occhi di brace dell'Ira e che andò contro l'ordine dell'universo stesso -anche lei ne soffriva? Possibile?
«Io faccio solo il volere di Dio…» Mormorò. Ma lo credeva davvero?

«Anch'io.» L'Ira le passò accanto e le diede le spalle proprio come aveva fatto la prima volta, a Lindisfarne, quando fuori dalle porte consacrate di una cappella si consumava il massacro: «Si fa sempre la Sua volontà, dopotutto.»

Agape la osservò scomparire nel fumo, e più non la vide per altri due secoli.


***


Quarta zona, Girone dei Traditori, Inferno


La Stella del Mattino sedeva sul proprio trono di ossidiana con l'eleganza di una creatura divina, bello come era sempre stato sin dal primo giorno e regale come si addice solamente a un Re. Il figlio prediletto di Dio guardava lontano verso l'universo terreno e nel suo volto non si leggeva niente -Lucifero era meraviglia e silenzio, era Signore e carnefice, era l'estrema sapienza macchiata dall'ignoranza, e lei lo seguiva per amore dell'ossimoro eterno che lui solo rappresentava.

Inginocchiata ai suoi piedi nel più estremo gesto di sottomissione, ascoltava dalle sue labbra il rimprovero e resisteva all'impulso di battersi in petto in segno di cordoglio.

Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.

«Spero tu comprenda l'importanza della tua esistenza.» Le stava dicendo, mai spostando i propri occhi su di lei: «L'Ira non sarà la madre del vizio, ma ne è la figlia prediletta, e non posso tollerare che si abbassi a giustificare se stessa con una virtù.»

Tsarn scosse il capo: «Mio Signore, se è questo il vostro desiderio, vi prometto che non le rivolgerò mai più la parola.»

«Affatto.» Lucifero alzò la mano sinistra per zittirla, ma non fu un gesto dispotico il suo: «Tu le parlerai ogni qualvolta sarà tuo desiderio farlo, ma rammenta il tuo orgoglio e non piegarti più davanti ai Suoi messaggeri. Altrimenti come ti punii mandando Akrasía5 da quel poeta al tuo posto ti punirò per sempre.»



***



13 Dicembre 1566, Carceri dell'Inquisizione, Madrid, Regno di Spagna


Lucifero le aveva detto che avrebbe aspettato il momento giusto per inviarla nuovamente sulla Terra, e durante quella lunga attesa Tsarn restò seduta sul bordo dell'abisso, ascoltando il suono della palude Stigia alle sue spalle che si confondeva con le grida delle anime quasi fosse una ninna nanna, gli occhi rivolti oltre il confine per osservare come l'umanità distruggeva inconsapevolmente se stessa.

Aveva visto la Sacra Chiesa di Roma cadere in pezzi e interi popoli venire sterminato dalla brama dei conquistadores; aveva visto come le grandi opere dell'ingegno umano si oscuravano all'ombra della caccia alle streghe e aveva riso di cuore quando un semplice monaco era stato abbastanza per mettere in discussione il Papa stesso e quando la testa del Re d'Inghilterra ordinato da Dio era rotolata sul patibolo come quella del peggior criminale.

Poi, in un momento dell'infinito in cui esisteva, le grida irate di Flegias6 avevano ceduto il proprio posto a quelle disperate degli eretici imprigionati da quella nuova forma di tortura che nel regno di Spagna chiamavano "Santa Inquisizione" -uomini di Chiesa al servizio della Corona che uccidevano per il solo gusto di farlo, nascondendosi dietro la scusa di voler difendere il Sacro Verbo di Cristo.

Non avrebbe saputo inventare una farsa migliore neanche se si fosse impegnata con tutta se stessa.

Tsarn sedeva ad un angolo della sala dei processi, gli occhi fissi sulle catene arrugginite attaccate al basso soffitto da dove poco prima aveva visto pendere il corpo di un condannato, un morisco di Barcellona che era stato sorpreso a pregare Allah e che ora ne stava pagando le conseguenze. Aveva assistito -passiva per la prima volta- al suo interrogatorio e alla maniera subdola con la quale era stato costretto a confessare, alla perversione con cui le torture erano state portare avanti, e da silente testimone si era domandata più volte quale fosse il suo ruolo.

Cosa poteva fare l'Ira a chi godeva della sofferenza altrui? Non c'era incentivo che potesse dispensare in quel senso, e oltre che essere mera spettatrice non poteva fare nient'altro.

C'era una pozza di sangue fresco sul pavimento che nessuno si era dato la pena di pulire; Tsarn le si avvicinò e guardò a lungo il proprio riflesso tremulo, quel volto demoniaco che amava nonostante tutto perché era espressione della sua libertà e che pure faceva male fissare troppo.

Immobile, restò ad ascoltare il ticchettio sordo della pendola che scandiva il tempo come lei non aveva bisogno di fare fino a che un famigliare frusciare di ali piumate non giunse a spezzare il silenzio.

L'Angelo dietro di lei si asciugò una lacrima cristallina prima di ridere una risata spezzata, un gesto grazioso e tremendamente triste: «Sapevo che ti avrei rivista ancora.»

Tsarn le rivolse un'occhiata bieca, ma in realtà non smise di guardare il proprio riflesso scarlatto: «Sei venuta tardi, Carità, il processo è finito da ormai mezz'ora.»

«Non sono qui per il dolore, ma per il conforto.»

La risposta la fece scoppiare a ridere: «Quale conforto?» Infine si voltò a guardarla, in parte sorpresa dell'innocenza che trasudava ogni sua parola, quasi fosse davvero convinta delle proprie affermazioni nonostante la cruda realtà che entrambe conoscevano: «Ho appena visto un sacerdote ordinare di strappare le unghie ad uomo con una pinza e poi di fracassargli le ginocchia per rendere più atroce il dolore. Cosa sussurrerai alle orecchie del condannato, dolce Angelo? Gli dirai che l'amore di Vostro Signore lo salverà?»

La Carità si morse il labbro d'argento, poi si sedette al suo fianco nascondendo le possenti ali dietro la schiena: «In realtà non sono qui per Suo volere.» Confessò: «Vorrei parlare con te, se possibile.»

«Con me?» Tsarn si portò una mano al petto, incredula oltremodo.

L'Angelo annuì: «Volevo domandarti come fai… a sopportare tutto questo, intendo.» Aprì un braccio ad indicare la sala quasi buia, quel luogo spietato di sofferenza e testimone dell'orrore e della follia umana: «Sei l'unica a cui sapevo di poter chiedere senza che dover rispondere troppe domande.» Confessò: «Ho atteso a lungo che scendessi di nuovo e ti ho seguita, anche se sono certa che nostro Padre ci stia guardando in questo momento.»

«Tuo Padre.» La corresse: «Ha smesso di essere il mio dal momento in cui mi ha cacciata senza alcun ripensamento.»

«Ma tu hai disobbedito-»

«Anche tu, proprio ora. E se davvero desideri una mia risposta, non giudicarmi come se mi conoscessi.»

La Carità abbassò il capo con imbarazzo, e Tsarn si ritrovò per un misero attimo ad averne compassione, nonostante l'idea stessa risultasse ridicola per definizione; ma con la coda dell'occhio la osservò tormentarsi le dita brillanti di luce divina, e le labbra le si incurvarono in un sorriso comprensivo senza che lo volesse: «Sai che non ti piacerà quello che sto per dirti, non è vero?» Anche la sua voce, invero, divenne più morbida.

Per Giuda, cosa mi prende?

L'altra annuì, e Tsarn allungò una mano per afferrare le spesse catene che pendevano sopra la propria testa: «Homo homini lupus. 7» Recitò, facendo stridere il ferro: «Non c'è altro da capire. Li ho osservati a lungo, e ciò che ho compreso è che potrai spargere il seme della virtù ovunque e appassirà come è successo al grano d'Egitto, perché è così che sono gli umani: doni a loro Dio e loro lo crocifiggono come uno schiavo perché predica l'amore.»

«Non sapevano quello che stavano facendo.» Rispose la Carità, tutto d'un fiato, e Tsarn non poté fare altro che sogghignare per sopperire al bisogno di prenderla a schiaffi e costringerla ad aprire gli occhi: «Seriamente vuoi convincermi citando le loro stesse parole? Sei stata indottrinata bene, Carità.»

«Agape.»

Tsarn inclinò la testa, confusa: «Scusami?»

L'Angelo sorrise incerta: «Il mio nome è Agape… "Carità" è solamente ciò che vorrei essere e non posso.»

Sciocca, innocente creatura celeste… Tsarn la compatì, un po': «Te ne rendi conto solo adesso?» Domandò, allora, tentando di non mostrarsi troppo conciliante e nel profondo ancora offesa per le accuse di secoli prima -così tanto per gli umani eppure a lei sembrava un battito di ciglia… ma se persino i demoni sapevano mutare allora, forse, lo sapevano fare anche gli Angeli; avrebbe voluto ricordarlo, eppure più guardava Agape e più perdeva il ricordo di se stessa e di una vita che non le apparteneva più: pensare di essere stata così bianca e priva di macchia era diverso dal continuare a vedere il divino nella Stella del Mattino -lui era un Angelo caduto, eppure restava comunque un Angelo.

Ma lei era Vizio e Peccato, era l'ira di un mondo che non sapeva più soddisfarsi, e scoprire il proprio riflesso negli specchi trasparenti delle iridi di Agape le provocava uno strano dolore al centro del petto, e così il suo profumo mortale di orchidea.
L'Angelo parlò, ma della sua risposta Tsarn sentì solamente un "ti invidio" mormorato a fior di labbra.


***



Trono delle Virtù, Cielo di Marte, Paradiso


Aveva iniziato a percepire diversamente la propria esistenza da molto prima di conoscere l'Ira, perché, seppur davanti a lei non l'avesse ammesso, era scesa sulla Terra già molte volte prima dell'anno umano settecentonovantatre, e nella maggior parte dei casi si era vista rinnegare da gesti tremendi che erano stati l'equivalente di una pugnalata al cuore -ma non era mai arrivata a mettere in discussione se stessa; fiduciosa dell'essere l'espressione dell'Amore di Dio, aveva accusato i Vizi di tutta la cattiveria di cui era stata testimone, incapace di comprendere per prima la propria mancanza.

Trovava buffo che fosse stato proprio un demone a togliere il velo dell'ignoranza dai suoi occhi, ma ora sedere sul proprio trono cristallino per restare semplicemente a guardare mentre un'altra anima innocente pagava lo scotto della propria bontà le risultava penoso -si sentiva inutile, e il vuoto che le si era aperto nel petto si ampliava di momento in momento, una macchia nera che non sapeva come lavare via.

Le sue sorelle non facevano caso al suo dolore, troppo impegnate a crogiolarsi nella luce divina che ispirava il loro nullo operato, e oramai persino la loro compagnia era diventata motivo di insofferenza. Come potevano essere così cieche? Come potevano non accorgersi di niente quando l'evidenza era così prepotente da bruciare lo sguardo? E perché sembrava che a nessuno importasse niente?

Era ingiusto ed era reale, e la conoscenza, a discapito di quanto avesse sempre creduto, era peggiore dell'ignoranza, perché non era comunque abbastanza per scoprire il più grande disegno, e la limpidezza delle cose era un tarlo che tormentava mente e anima -il corpo no, ma se ne avesse avuto uno, era certa che anche quello avrebbe sofferto.

Eppure da quando era tornata in Cielo l'ultima volta un'altra urgenza spezzava la monotonia del proprio crogiolarsi nell'autocommiserazione: sentiva impellente il desiderio di rivedere lei, di poterle parlare e trovare conforto nel suo limpido disprezzo… e nel suo volto.

L'Ira aveva un volto meraviglioso, invero,  e un sorriso ancora più dolce.





NOTE: 
1 "Ira" in lingua yiddish (dialetto parlato dalla maggioranza degli Ebrei stanziati nell'Europa centrale e orientale e di quelli di qui emigrati negli Stati Uniti). L'Ira è uno dei sette peccati capitali, assieme a Lussuria, Gola, Avarizia, Superbia, Invidia e Accidia.
2 Le skjaldmær nella mitologia norrena sono donne-guerriero ispirate dalle valchirie.
3 Parola in greco antico che indica l'amore disinteressato, fraterno, smisurato. Nella teologia cristiana  indica l'amore di Dio nei confronti dell'umanità. Agape rappresenta la virtù teologale della Carità (le altre sono Fede e Speranza), ed è considerata come la più importante.
4 Nella tradizione islamica è l'Angelo della morte, il cui nome significa "colui che Dio aiuta".
5 In greco antico, "lussuria". Il poeta menzionato immediatamente dopo è, ovviamente, Dante. Il riferimento si collega alla Divina Commedia e in special modo al primo canto dell'Inferno, dove Dante si ritrova osteggiato da una lonza, un leone e una lupa, rispettivamente allegorie della lussuria, della superbia e della cupidigia.
6 Figura della mitologia greca, figlio di Ares e della ninfa Crise. Nella Divina Commedia è uno dei traghettatori infernali e trasporta le anime nel girone degli Iracondi e degli Accidiosi.
7 Espressione latina che significa "l'uomo è un lupo per l'altro uomo" e allude all'istinto primario umano di sopraffare il proprio simile. Probabilmente ispirata da Stazio, la citazione fu ripresa nei secoli a venire da altri intellettuali come Erasmo da Rotterdam e Thomas Hobbes, il quale credeva che la natura umana fosse fondamentalmente egoistica.
   
 
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