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Autore: Yoko Hogawa    06/07/2009    8 recensioni
Abrahel è un dio della morte particolare. Affetto da una feroce intolleranza agli umani e da un disprezzo spiccato della loro razza, nell'ambiente è conosciuto come lo Shinigami delle anime oscure, il messaggero di morte per gli esseri umani pregni di malvagità.
Eric è un ragazzo come tanti altri. Studente di letteratura e nuotatore agonistico, si trova molto spesso in situazioni non esattamente tranquille grazie ad amicizie non proprio giudizievoli.
Ma il destino ha deciso di giocare con loro una partita strana ed orrenda, dal significato nascosto ma dalla crudeltà evidente.
Entrambi si troveranno improvvisamente fra le mani un problema più grosso di loro.
Quel problema, si chiama Joshua Archer.
[Linguaggio colorito][Dedicata a Shichan]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questo lavoro è la prima originale che pubblico

Questo lavoro è la prima originale che pubblico.

Non so quanto potrà essere venuto bene, o quanto il cambiamento di stile e genere ne abbia risentito… ma spero comunque che sarà apprezzata, magari come lettura semplice e senza obblighi.

Anche perché è una storia che ho creato per un’occasione particolare.

Sì, questa short story ha una dedica.

E’ dedicata tutta, integralmente, ad una persona molto importante. Ha fatto sì che io diventassi quella che sono oggi; una persona libera al di là del carattere intrattabile e delle abitudini dure a morire.

Una persona che sa scegliere con chi stare invece di amalgamarsi alla massa.

E di questo, di avermi dato la “libertà”, io non smetterò mai di ringraziarla.

 

Dedicato a Shichan;

perché non c’è mai due senza tre.

Don’t Forget.

 

 

 

Antefatto

 

Abrahel

The day I became Joshua Archer

 

 

Lei non era nulla di speciale.

I capelli biondi non avevano riflessi dorati, gli occhi non possedevano una particolare sfumatura di blu, la pelle non era né più chiara né più scura di tante altre.

Era semplicemente una ragazza.

Bella sì, delicata quanto un giglio lasciato in balia della tempesta; ma pur sempre essere umano.

E questo anche Enma lo sapeva.

Nonostante tutto gliela aveva assegnata. Proprio a lui, che delle politiche di buona condotta per l’accompagnamento nell’aldilà se ne infischiava altamente.

Cercava di ammorbidirlo? Quello della ragazza era un caso anormale, fuori dall’ordinario?

Non sembrava.

Eppure doveva esserci un motivo, se uno dei maggiori esponenti dell’aldilà si era deciso a scomodarlo dalla sua eterna nullafacenza. Sapendo com’era fatto lui, tra l’altro.

« Chi sei? » chiese lei, mettendosi a sedere fra le lenzuola bianche bagnate di luna.

Classica domanda. Non era speciale nemmeno in questo.

Cosa cavolo ci faceva lì, allora?

« Uno Shinigami » fu la risposta breve.

Non rispose, inizialmente. Lo guardò solamente, con gli occhi azzurri fin troppo puri puntati sui suoi, nascosti nell’ombra dell’angolo più buio della stanza.

Non poteva vederlo, ne era sicuro. Non più della sua sagoma scura.

« Sei… venuto a prendermi? » chiese poi, acuta.

«» altra risposta breve.

Un leggero sorriso, le labbra curvate verso l’alto, lievemente.

« Ti aspettavo, lo avevo visto » disse.

Ah, eccolo il motivo.

« Sei una veggente? »

Annuì. « Vedo il futuro nei sogni. Ti ho visto arrivare… e so già che non mi darai una settimana di tempo, come fanno tutti gli altri » preannunciò.

« Notevole » fu la semplice risposta, neanche troppo sentita.

Cosa ci trovava Enma di pericoloso in una ragazzina simile? Cosa aveva paura che facesse, con quel potere particolare che si ritrovava?

Glielo aveva detto più volte di non interpellarlo se non si trattava di esseri umani rischiosi, che necessitavano di un trapasso veloce a causa della loro pericolosità.

Quella ragazza era pericolosa quanto lo stelo di una margherita.

« Potresti farlo… subito? » chiese lei, indecisa nonostante la richiesta fosse frutto di una forse morale forte.

Non ribatté. Semplicemente si distaccò dal muro, uscendo dall’ombra.

Si avvicinò a lei, lievemente e con solo un inudibile fruscio a determinare la sua reale presenza in quella camera, a provare che non era solo una delle ombre di un incubo fanciullesco.

Si chinò su di lei, immobile, posando le labbra sottili e rosa pallido su quelle di lei.

Condannando la sua anima alla luce eterna, o alle tenebre perenni. Non stava a lui deciderlo.

Nel momento in cui si distaccò, il suo corpo ormai esanime ricadde scomposto sul materasso.

Quella, era stata l’ultima volta in cui era uscito dall’aldilà.

Francia, anno domini 1785.

 

Le regole ufficiali degli Shinigami sono poche, ma fondamentali.

Primo: gli Shinigami si mostrano solo a coloro il cui tempo sta giungendo al termine. Ogni uomo nasce con un tempo predefinito da poter utilizzare in vita, oltre il quale è necessario che l’anima ritorni al cospetto dei signori dell’aldilà.

Gli Shinigami accompagnano queste persone nei loro ultimi giorni, come figure gentili ma inevitabilmente fatali.

Secondo: viene dato un tetto massimo di sette giorni in cui il dio della morte starà al fianco dell’essere umano, per quanto gli è possibile. Sono loro a dover rubare la scintilla, l’ultimo fiato vitale, così che l’anima sia condotta sana e salva nel mondo dei morti.

Il bacio della Morte, così viene chiamato.

Terzo: il dio della morte non dovrà mai essere coinvolto sentimentalmente. Sono essenze antiche, quasi arcaiche, e vengono selezionati appositamente per questo motivo; per loro i sentimenti sono qualcosa di così vecchio da essersi perso nei meandri nel tempo, e non ricordano cosa sia l’amore, o l’affetto.

Tuttavia sono pervasi da una gentilezza infinita, atta a cercare di far accettare l’idea della morte all’essere umano che dovrà affrontarla.

O almeno, lo erano tutti… tranne uno.

Abrahel.

Lui aveva una sorta di intolleranza verso gli esseri umani, sviluppatasi in tempi così antichi da essere ormai parte di memorie consunte. Eppure ancora reali, vivide, per lui.

Un episodio. Un esperimento da parte sua, conclusosi però in tragedia.

Un uomo, corrotto dalla bellezza, si innamora della Morte. Un uomo che, corroso da tale infatuazione, decide di creare ad essa un altare, per amarla completamente con corpo, mente e spirito.

La Morte sperimenta questa dedizione inconcludente in modo malevolo, demoniaco: chiede all’uomo di sacrificargli il figlio, di ucciderlo in suo nome.

Quando l’uomo lo fece, per poi supplicarlo di restituirgli il sangue del suo sangue, lui ebbe la sua prova:

gli esseri umani erano una razza corrotta, inutile e nociva.

In quel momento, mentre restituiva al padre il figlio così superficialmente sacrificato, decise.

Decise che non avrebbe mai più avuto a che fare con gli esseri umani, di qualsiasi cosa si fosse trattata.

Per lo stesso motivo, per lui le regole degli Shinigami non avevano significato. Anzi, le considerava ipocrite.

Gli dei della morte sono esseri astratti e falsi, che tolgono la vita agli umani solo perché un’entità altrettanto astratta chiamata Fato ha deciso che la loro ora è giunta.

Rubano loro quel tempo a cui disperatamente si aggrappano, e poco conta che debbano seguire un santo o un assassino seriale. Tutti, ognuno di loro, di fronte alla prospettiva della morte piagnucolano, e piangono, e pregano di non far giungere il giudizio finale.

All’ultimo, anche se nella loro esistenza si sono dimostrati retti e coraggiosi, la paura li rivela per quello che sono: codardi.

Per tale motivo Abrahel non era uno Shinigami come gli altri.

E come gli altri non veniva nemmeno considerato.

Lui non dava possibilità, né prolungamenti di tempo. Non c’erano i sette giorni nel suo iter comportamentale e non dispensava gentilezza o dolcezza.

Quando veniva chiamato, e fortunatamente non succedeva così tanto spesso, era solamente per compiti che richiedevano una soluzione veloce.

Assassini, persone con poteri speciali, psicopatici. Portava lui la morte a quelli di loro che non se la davano da soli,  o che non finivano sotto al fuoco incrociato della polizia per una rapina o un tentato omicidio.

Sempre quelli da inferno, in poche parole.

Tranne quella ragazzina. L’unica volta in cui aveva visto un’anima finire in paradiso.

L’ultima anima che aveva visto.

« Abrahel? »

Voltò il capo, aprendo gli occhi chiari sotto i sottili ciuffi corvini.

Chi aveva il coraggio di venirlo a cercare, in quell’universo di tenebra e profondo silenzio?

« Zerachiel » salutò monotono, una volta riconosciutolo: « cosa ti serve? »

« Enma. Ti vuole per un incarico » disse quello.

Abrahel lo guardò con cipiglio confuso.

Da quanto era che non veniva convocato per un’assegnazione? Da quanto tempo, da quanti… anni?

Nel rimanere a fluttuare nell’oscurità di quel mare buio si perdeva il senso del trascorrere del tempo.

Zerachiel sorrise appena, gli occhi ridenti di benevolenza. « Una buona occasione per vedere un po’ di luce, non credi? » azzardò.

Abrahel sospirò rassegnato, cominciando a muovere le mani per cercare nella sua incoscienza una qualche percezione del suo corpo, ormai perduta nell’immobilità a cui si era completamente abbandonato.

Le dita di piedi e mani formicolavano, ma c’erano. Ora anche le braccia, le gambe, i muscoli del collo, tesi… poteva sentirli. I capelli gli solleticavano le gote, la veste di seta scarlatta accarezzava leggiadra la sua pelle.

Trovare le sensazioni del suo corpo era come ritrovare se stesso un’altra volta.

Sperava l’ultima.

« In che anno siamo? » chiese allora, guardando Zerachiel con una maschera di apatia.

Doveva essere un incarico di routine. Probabilmente Enma voleva mandarlo sul Mediano solo perché stava scadendo il tempo, e lui doveva portare un’anima nell’aldilà per prolungare la sua presenza in quel mondo di nulla.

Gli Shinigami non muoiono, no, non possono. La Morte non può morire.

Però possono scomparire.

Quando non entrano in contatto per troppo tempo con l’anima di un essere umano, quando non si nutrono della loro ultima scintilla vitale… semplicemente spariscono, si dissolvono.

L’oblio della sparizione era l’unica cosa rimasta capace di spingere Abrahel a mantenere una coscienza. Altrimenti avrebbe volentieri cancellato anche quella.

Zerachiel non si scompose, aspettando con pazienza che l’essere ritrovasse la mobilità persa. Rispose alla sua domanda, cortesemente: « duemilanove dopo Cristo ».

« Duecento anni… » sussurrò Abrahel, riguadagnando la posizione eretta nonostante fluttuasse ancora.

Era da duecento anni che non vedeva nessuna luce.

« Un po’ di più » ribatté l’altro, sempre sorridente.

Per la prima volta dopo più di due secoli, l’espressione dello shinigami mutò; lineamenti di un’ira seccata comparvero a curvargli le labbra sottili verso il basso, così come le iridi spente brillarono di qualcosa simile al risentimento. « Non trattarmi come una delle anime che scarrozziamo avanti e indietro Zerachiel, non c’è bisogno di quella ostentata gentilezza con me » sputò rabbioso.

« Perché pensi sempre che le persone non possano essere veramente gentili con te, Abrahel? Solo una volta ogni tanto? » ribatté l’altro.

Un lampo, un ghigno su quegli occhi color neve.

« Perché sono la morte, Zerachiel » rispose solamente, prima di passargli accanto per dirigersi fuori dal mare oscuro.

L’angelo sospirò con rassegnazione.

Shinigami… non imparavano mai.

 

I palazzo di Enma non era diverso da quello degli altri sovrani dell’aldilà.

Enorme, maestoso e inopportunamente facoltoso. All’interno, un’enorme stanza circolare piena di porte faceva da luogo di transizione per anime sole e fluttuanti, sfere di luce che attendevano il giudizio per essere indirizzate nel posto in cui avrebbero dovuto passare l’eternità.

Si poteva riconoscere il tipo di anima dal colore della luce che emanava. In definitiva, erano molte sfumature di grigio.

Poche erano le anime nere, quelle così malvagie da aver perso completamente la loro luce.

E, nonostante in passato ne vedesse alcune, quelle completamente bianche erano ormai scomparse. Nessun lucore puro brillava in quella stanza ormai, probabilmente a causa dei tempi che cambiavano, e la possibilità di non vedere bontà nel mondo gli lasciava uno strano senso di nostalgia.

A lui non interessava se la bontà spariva, nel mondo degli esseri umani.

Semplicemente, era dispiaciuto dal fatto che i suoi pensieri sulla razza umana fossero così veritieri, confermati dall’assenza progressiva di quelle luci pure.

Gli esseri umani erano inutili.

Quando mise piede all’interno della grande sala, fasciato dalla formale divisa nera e scarlatta che si era deciso di rifilare agli Shinigami, i beati addetti all’ enumerazione delle anime si ammutolirono.

Non era frequente vedere Abrahel camminare in quella sala… anzi, in quel mondo.

Solitamente si rinchiudeva nelle regioni oscure dell’aldilà, dove non vi era altro che buio e silenzio, e la sua presenza in quel luogo poteva significare solamente che c’era un’anima malvagia in arrivo.

Abrahel, il “Cacciatore delle Luci Nere”.

Enma lo scomodava solo per prelevare anime nere o grigie scure. Per questo nessuna buona sensazione scorreva nello spirito di quello Shinigami, che si cibava solo di scintille oscure, prive di luce.

Prive di sentimenti positivi.

Le iridi albine vagarono per la sala, fulminando gli addetti alla selezione con insensibilità. Quegli occhi, di quel colore bianco che a lui poco si addiceva, avevano il potere di gelare chiunque li guardasse troppo a lungo, e dunque portavano gli altri a distogliere lo sguardo.

Che lui, puntualmente, distoglieva a sua volta.

Anche in quel momento.

Proseguì per il suo cammino, velocemente ma non così tanto da sembrare di fretta. Voleva togliersi di dosso quegli sguardi e tornare ad affogare se stesso nell’universo buio che si era scelto come casa, nel silenzio del nulla.

Appena notato il suo obiettivo, i suoi occhi non videro nient’altro.

« Pietro » chiamò, la voce modulata e vuota.

L’anziano santo, avvolto nella sua tunica bianca ed oro, voltò lo sguardo limpido in sua direzione. « Oh, Abrahel! » disse con gentilezza: « strano vederti qui, davvero. Abbiamo in arrivo un’altra anima oscura? » chiese, sorridendo dolcemente nonostante il ragazzo davanti a lui non avesse la minima intenzione di rispondere a quel gesto.

« Non lo so » rispose l’altro: « sto per l’appunto cercando Enma ».

Davanti alla sua apaticità, Pietro non fece una piega. Era abituato a non vedere emozione alcuna su quel viso delicato e fin troppo bello, in quegli occhi chiari e trasparenti come il ghiaccio.

« Ti consiglio di controllare l’esterno, solitamente si reca» gli consigliò.

Abrahel annuì appena prima di andarsene, salutando Pietro con un breve cenno del capo e una parola sussurrata velocemente.

Non c’era mai bisogno di prodigarsi in ringraziamenti prolissi con il santo del giudizio, e anche se ce ne fosse stato bisogno lui sarebbe stato l’ultimo a farlo.

Ignorando gli sfuggevoli sguardi che il suo passaggio attirava inevitabilmente su di lui, il dio della morte proseguì in direzione di una porta laterale alla stanza, semi nascosta fra una colonna e un arazzo con ritratta chissà quale figura celeste. Attraversò un corto corridoio in penombra e, assottigliando gli occhi all’improvvisa luce esterna, si ritrovò nel giardino di rose dietro il palazzo.

L’angolo di pace di Enma.

Ed infatti il capo degli shinigami spiccava elegante in mezzo ai fiori multicolore, rigogliosi.

Sembrava un uomo, ma non lo era. Era semplicemente un’esistenza dalla forma antropomorfa creata per controllare coloro che amministravano la morte. Poteva scegliere da solo che forma assumere, e non era infrequente che modificasse i suoi lineamenti con artigli e becco da rapace. I capelli corvini e lunghi sforavano tutta la schiena fino alla zona lombare, delicatamente adagiati sulla seta nera di un abito a strascico dagli intarsi d’oro.

Lui non aveva bisogno di voltarsi, per “vedere”. Percepiva la presenza di chiunque, Shinigami, angelo o santo che fosse.

Di fatti, non lo osservò per sincerarsi della sua presenza, quando prese a parlare.

« Grazie per essere venuto così in fretta, Abrahel » disse, la voce colma di quella gentilezza che tutti a avevano nei confronti di tutti; ma che sulle sue labbra risuonava di un tono diverso, regale.

« Mi piacerebbe sapere quale pericoloso criminale è a piede libero sul Mediano da necessitare il mio intervento » arrivò diritto al punto, quasi frettoloso di andarsene. Non apprezzava particolarmente stare al cospetto di Enma… di nessuno che avesse il potere di obbligarlo a fare quello che non voleva.

Non lo vide in volto, ma poté percepire la risatina sincera che vibrò nell’aria.

Anche questo suo comportamento perennemente sconclusionato lo irritava.

« Nessuno, a dire il vero. O almeno, nessuno che debba morire entro breve » rispose l’essere, sfiorando con le dita affusolate e pallide un bocciolo rosso sangue.

Lui arricciò il naso, seccato.

« E allora per cosa ti servo, di grazia? » chiese sgarbato, dandogli del tu.

Enma ridacchiò ancora, divertito da quel comportamento scostante. Era sinceramente ilare vedere quanto lo Shinigami cercasse di mascherare quel disgusto di fondo che provava per qualunque cosa, che parlasse o semplicemente esistesse; come le rose.

Era quasi convinto che non gli sarebbero piaciute nemmeno quelle.

« Per un incarico, ovviamente » gli rispose di nuovo Enma, togliendo qualche foglia gialla dai cespugli profumati e punteggiati di fiori rossi.

Abrahel non ribatté nulla, attendendo probabilmente che l’altro continuasse da sé. Era inutile chiedere, se Enma aveva deciso di giocare con lui per una sorta di diletto personale.

Quando il silenzio si fece pressante, fu infatti l’altro a continuare il discorso.

« Non è un criminale, né un’anima oscura. Anzi, ritengo che sarà un’anima candida, questa volta » precisò.

Se avesse avuto un cuore, probabilmente avrebbe perso un battito.

« Mi rifiuto » disse subito.

« No, non puoi » gongolò Enma.

« E perché? »

« Perché non te lo permetto » disse ancora, quasi in estasi: « non solo perché devi nutrirti dato che rischi di scomparire entro qualche anno, ma anche perché un’anima bianca di cui nutrirti ti serve. Guarda in faccia la realtà, non puoi vivere rubando spiriti oscuri una volta ogni duecento anni » aggiunse.

Abrahel arricciò il naso, disturbato da quel discorso quanto come lo sarebbe stato da una mosca ostinata.

Enma, dall’alto della sua ostentata leggerezza, continuò: « hai avuto a che fare con un’anima pura in passato, no? Non dovrebbe essere una cosa totalmente nuova per te ».

Lo Shinigami assottigliò gli occhi, serrando le labbra.

Ricordava fin troppo bene la sua prima e ultima, nonché unica, anima bianca. Una ragazzina malata di leucemia nel sedicesimo secolo, con capelli biondi e occhi azzurri, e con la particolare capacità di vedere il futuro nei sogni.

L’unica che non abbia avuto paura o che non si fosse sottratta al bacio con cui l’aveva privata dell’ultima briciola di forza vitale che la teneva in vita.

Erano passati più di due secoli eppure, ogni tanto nel suo interminabile sonno privo di coscienza, ancora ci pensava.

Al perché non fosse scappata, al perché non lo avesse rifiutato come tutti gli altri.

« Non voglio più avere niente a che fare con esseri umani dall’anima pura » disse, voce lineare, deciso a non accettare un incarico simile nemmeno sotto tortura.

Non sopportava gli esseri umani di principio; la loro razza, la loro abitudine al masochismo, il loro materialismo e l’attitudine che avevano nel rovinare qualsiasi cosa su cui mettessero le mani.

E aveva a che fare con criminali, per lo più. Figuriamoci se si fosse messo a prendere anime candide.

Se li figurava tutti con gli occhi blu di quella ragazza…

Enma rise al suo tentativo di cavarsene fuori, di cuore.

« Tu farai quello che ti dico, invece » ridacchiò: « e lo farai bene, questa volta. Non in due minuti come sei abituato a fare di solito. Voglio che applichi le regole standard degli Shinigami, che passi con la persona che ti indicherò il tempo necessario per farle affrontare l’idea della morte nel modo più sereno possibile. Non tollererò altre anime spaventate e in preda al panico davanti a Pietro, come non ti concederò persone che hanno visto la tua venuta in sogno e che possono quindi evitarti l’impiccio » spiegò, con una leggiadria quasi fuori luogo per un discorso simile.

Tagliò un bocciolo, lasciandolo cadere a terra. Quello si adagiò sull’erba senza rumore e, in un certo senso, anche quell’azione tanto abituale nella cura delle rose parve un avviso rivolto a lui.

Abrahel non rispose, ribattendo con il silenzio per non esprimere la costrizione con cui si ritrovava a dover provvedere ad un incarico simile.

Perché era ovvio che fosse obbligato.

« Chi è? » chiese dunque, rassegnato all’idea di dover passare sette interminabili giorni fingendosi umano fra gli umani.

Se avesse potuto vederne il volto, era sicuro che sulle labbra di Enma ci fosse stampato un sorriso da vincitore.

Vincitore in ogni caso, tra l’altro. Chi ha potere decisionale vince sempre.

Era in questo che l’essere era simile agli esseri umani.

« Sono felice che tu ti sia convinto » osservò con voce calma, la falsità dell’obbligo che gli aveva messo sulle spalle nascosta da quei toni quasi infantili. « I documenti per il tuo incarico ti verranno consegnati in poco tempo, non appena saranno completati. Quando li avrai, ti consiglierei di crearti un’identità che combaci con la maggior parte degli impegni che il tuo obiettivo ha nella giornata ».

« So fare il mio lavoro » lo interruppe lui, seccato da quei consigli superflui che Enma sembrava tanto in vena di dispensare.

« Oh, ne sono convinto… » rispose malizioso l’altro. « Bene, puoi andare » aggiunse poi.

Abrahel, senza nemmeno salutare, girò i tacchi e si allontanò a passo svelto, quasi violento, puntando i piedi con rabbia contro l’erba verde chiaro del giardino.

Enma, rimasto accanto alle rose di cui si prendeva cura ma che non poteva amare, si voltò appena per guardare la sua schiena scomparire oltre la porta da cui era venuto.

Alzò l’angolo della bocca e ghignò, compiaciuto di se stesso.

Chissà… forse avrebbe imparato qualcosa, questa volta.

Sospirò, sorridendo. « Tu sei sicura che fosse lui quello della tua visione, Selene? » chiese, apparentemente al nulla.

«» rispose però la voce cristallina di qualcuno; di una ragazza dai capelli in lunghi boccoli biondi e dagli occhi blu indaco, fasciata in un vestito bianco dal taglio tardo-settecentesco.

Raccoglieva le rose con un paio di forbici in argento cesellato, posandole al suo fianco in un mazzo che pian piano si ingigantiva. Una nuvola rosso sangue che sfigurava quasi, accanto alla bellezza pura e all’innocenza di quell’anima.

Il ghigno del re si trasformò in un sorriso compiaciuto. Osservando ancora il punto in cui lo Shinigami era sparito, gli occhi carmini di Enma brillarono di una scintilla divertita.

« Buona fortuna, Joshua ».

 

 

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Qualche precisione:

Abrahel è il nome di un demone mitologicamente esistente. All’interno del capitolo è nascosta anche la storia che lo riguarda, facilmente rintracciabile su Wikipedia. Teoricamente con gli Shinigami centra poco e niente; il più adatto sarebbe stato Azazel, che fungeva da “Caronte” per le anime dei morti… ma Azazel era stato usato in talmente tante altre opere (per esempio il film “Dogma”) che mi sembrava ripetitivo utilizzare lui.

Passatemelo come libertà artistica ^^’’’

Selene è il nome di una beata (Selene Alleine) primogenita di una nobile famiglia di Reiterstarker, fondatrice e badessa dell’abazia di Sant’Anderswo. Non è detto che sia stata beata nel settecento, come ho messo nel capitolo, ma per bieca convenienza la userò con questa tempistica. Mi piaceva il nome, dato che era la parola greca che designava la Luna.

Enma è il nome giapponese per il dio buddista dell’oltretomba. E’ usato anche in manga come “Yami no Matsuei” (in italiano “La Stirpe delle Tenebre”) dove ha lo stesso ruolo di questa fanfic.

Zrachiel è un angelo mitologicamente esistente. Non pensate che gli Shinigami siano demoni; semplicemente loro sono neutrali fra bene e male, perché aiutano la Morte, che è neutrale a sua volta.

 

Ok, il prologo è andato. Ed è noioso, lo so, ma utile.

I capitoli dovrebbero essere sette in tutto, e cercherò di frenare il mio impulso ad allungare sempre tutto, altrimenti non finisco più.

Per chi ha letto fin qui, grazie XD

Alla prossima!

   
 
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