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Autore: Mei91    14/06/2018    2 recensioni
Storia partecipante al contest indetto da Meryl Watase" Phobos e Deimos. 2nd Edition"
Un club assai particolare tenta in qualche modo di aiutare i propri clienti a superare le proprie paure, ma come farà Mavis, lo stesso capo di Fairy Tail è affetto da una paura?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gray Fullbuster, Levy McGarden, Mirajane, Natsu/Lucy, Zeref/Mavis
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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FAIRY TAIL: IL CLUB DELLE PAURE!

 

 

Il televisore della sua stanza era acceso ad altissimo volume. Le luci, tutte inesorabilmente accese, sfarfallavano a intermittenza. Fuori, il cielo plumbeo e scuro preannunciava l’imminente temporale che da lì a poco avrebbe ricoperto il Regno di Fiore.

Mavis, giovane donna dall’aspetto infantile, se ne stava rannicchiata sul suo letto con le coperte che le coprivano la testa e le mani volte a coprire le orecchie, mentre il suo corpo era scosso da tremiti e sussulti.

Non aveva idea di cosa fare per superare quella situazione e quella notte se non utilizzare tutti i mezzi a sua disposizione. Coperte addosso, luci accese, mani sulle orecchie e televisore acceso su un canale che metteva allegria e il cui presentatore faceva di tutto per far ridere il suo pubblico erano l’unico modo che lei aveva per superare la sua maledettissima paura. Più il tempo passava e più quegli escamotage perdevano il loro effetto.

La giornata era cominciata male e le pareva che stesse per finire anche in modo peggiore.

Odiava i temporali.

Ogni fibra del suo corpo era volta a odiare quel fenomeno atmosferico così banale a cui lei però non era in grado di porre rimedio.

Rabbrividendo per l’ennesima volta, si tolse di dosso le coperte, si strinse nella soffice vestaglia di seta, e scese dal letto per spegnere il televisore e poi dirigersi alla finestra dove, con un colpo secco e violento, chiuse le tende impedendo al cielo di riempirle la visuale.

Si sentiva stupida, debole e fifona.

Era sempre stata una donna calma[L1] , saggia e amante della vita. Sembrava che nulla potesse scalfirla.

Nulla, a parte quegli stramaledetti temporali!

Quella paura era nata una notte di dieci anni prima, una notte burrascosa quando il caso la volle far assistere all’omicidio di sua madre da parte del suo maledetto padre. Quella sera si era svegliata in seguito alle urla terrorizzate della madre e, per non interferire nell’ennesimo litigio dei suoi genitori, si era nascosta nella terrazza, a freddo e al gelo e con la pioggia che la bagnava come un pulcino. Non si sarebbe mai aspettata che la madre fuggisse dalle grinfie del padre per rifugiarsi nella terrazza. Lei si era nascosta dietro una pianta e quando il padre aveva afferrato la madre per il collo per poi buttarla di sotto, un tuono aveva coperto il suo urlo di terrore e un fulmine aveva illuminato il viso del padre che ghignava malefico. Alla fine era riuscita a testimoniare contro il padre alla polizia che lo aveva spedito in prigione, donandole una piccola parvenza di tranquillità, ma la paura dei temporali le era rimasta.

Era il capo di Fairy Tail, il rinomato locale del Regno di Fiore volto ad aiutare le persone a superare le loro paure più intime.

Fairy Tail era tutto per lei ma, guardandosi in quel momento, si rese conto di non poter continuare ad essere il capo di un club contro le paure se lei per prima non riusciva ad affrontare la sua. Era affetta dalla paura più stupida e insignificante che esistesse.

Astrafobia: paura di tuoni e fulmini. Cosi aveva letto su internet. Fenomeni completamente naturali di cui non c’era motivo di aver paura.

 Per lei, però, non era affatto così. Era terrorizzata.

Quella paura era talmente forte, talmente radicata dentro di lei da mandarla nel panico. Nel migliore dei casi era semplicemente scossa da brividi e colpita da una tachicardia senza alcun pari, come quella sera, ma nel peggiore, sveniva come una babbea a causa della mancanza d’ossigeno e lo stato d’apnea che la colpiva.

Fairy Tail non era un locale come tutti gli altri e lei lo sapeva bene. Molte erano le persone che potevano aiutarla in quel luogo, le sarebbe bastato uscire dalla sua stanza e scendere al piano di sotto, ma si vergognava terribilmente e raramente riusciva a fidarsi delle persone al cento per cento. In quel posto la gente trovava conforto ma per lei era diverso. Lei era il capo, lei era colei a cui le persone richiedevano aiuto e non il contrario.

La temeraria Mavis Vermilion aveva la propria paura personale e non c’era niente che potesse fare per evitare quella situazione. Per quanto fosse stupida, insignificante e infantile, era pur sempre una paura. Certo, ben celata agli altri, ma per lei era un tassello mancante, tetro e buio, una macchia nera sulla sua veste bianca, un grosso problema della sua vita che aveva cominciato a detestare.

Lentamente, si diresse nel piccolo cucinino per prepararsi una fumante tazza di tè nella speranza che l’aiutasse a rilassare un poco i nervi ma, quando un tuono scoppiò sul tetto della stanza, la tazza che aveva tra le mani cadde rovinosamente a terra andando in mille pezzi e facendole emettere un grido per poi rannicchiarsi tremante su se stessa, quasi con le lacrime agli occhi.

Come poteva essere il capo di quel pub quando era la prima a non essere in grado di riuscire a superare lo scoglio della sua paura?

Doveva fare qualcosa, ormai ne era certa. Non poteva continuare a fare parte di Fairy Tail. Doveva eleggere un nuovo capo. Ne andava del suo onore e del prestigio del locale e di tutti coloro che lavoravano al suo interno.

Ogni dipendente di Fairy Tail, in passato, era stato qualcuno che non riusciva ad affrontare le proprie paure e grazie a quel luogo, ai suoi dipendenti e forse anche un po’ a lei stessa, era riuscito a uscirne e a cambiare vita, migliorandola.

Cercando di rimettersi in piedi, nonostante sentisse le gambe come fossero diventate di burro, si diresse allo stanzino e, con una scopa e una paletta, ripulì il disastro che aveva combinato. Poi andò alla cabina armadio della sua stanza e si preparò di tutto punto per scendere al locale e dire ai suoi dipendenti che presto avrebbe scelto un successore come capo del locale, perché lei non poteva più farlo.

Quella giornata era cominciata ed era finita male e non lei non prevedeva un miglioramento da lì a breve.

Triste e scoraggiata indossò la solita vesta bianca fatta di pizzi e merletti e con una faccia da funerale, scese al piano di sotto.

Non appena mise piede dentro le mura del club, qualcosa di diverso la colpì. Non c’erano le solite urla e gli schiamazzi di Natsu e Gray per decretare chi dei due avesse aiutato più persone a superare le proprie paure. Cana non era seduta al bancone bar a tracannare vino. Lucy non cercava di quietare la baldoria e Levy non era immersa nei suoi calcoli come al solito. Tutto era calmo, silenzioso e tranquillo, solo Mira Jane se ne stava al suo posto, come al solito, dietro il bancone degli alcolici a pulire e asciugare i bicchieri.

Un altro piccolo dettaglio che le saltò all’occhio fu Natsu, seduto con le mani tra i capelli e gli occhi socchiusi, mentre Lucy, la sua fidanzata, aveva il telefono tra le mani e se ne stava seduta davanti il ragazzo dalla capigliatura rosa con un’espressione crucciata.

 

«Che succede?» chiese Mavis piano, con un filo di voce, come se temesse di scatenare l’inferno da lì a poco. Poggiò una mano sul bancone quando un lampo fece sfarfallare per l’ennesima volta le luci del club.

«Zeref» sussurrò Lucy facendo le veci del fidanzato. La ragazza si alzò e si diresse alla spalle di Natsu per poi poggiare il mento sulla testa di quest’ultimo e circondagli le spalle con le braccia.

«Chi?» chiese Mavis con la faccia che sembrava aver preso le sembianze di un punto interrogativo.

«Mio fratello.»

«Quindi?»

Natsu prese un profondo respiro e infine intrecciò una mano con quella della fidanzata poggiata delicatamente sul suo petto, poi parlò.

«È finalmente tornato dall’Italia, ma ho notato qualcosa di diverso in lui!»

«Cosa?»

«È il solito testone calmo e pacato ma ho notato che non si fa toccare. Mi ha salutato a malapena. A me, suo fratello! Posso capire con mamma e papà, ma con me? Gli ho chiesto che avesse ma mi ha detto che era stanco e ha continuato a darmi scuse patetiche da una settimana a questa parte! Se ho appreso qualcosa di decente da quello che ci hai insegnato, Mavis, Zeref ha una paura, ma non mi permette di avvicinarlo! Ci ho provato io, ci ha provato Lucy, ci ha provato Cana, ci ha provato Levy e ci ha provato persino Gray, ma niente, è un muro impenetrabile!»

Mavis sorrise.

«Tu non puoi aiutare questo Zeref, Natsu!» sussurrò Mavis avvicinandosi di qualche passo al suo dipendente per poi inginocchiarsi davanti a lui con uno sguardo dolce. Lo capiva, Natsu desiderava disperatamente aiutare suo fratello, ma con le paure di un soggetto, la famiglia poteva fare ben poco.

«Cosa!» urlò Natsu scattando in piedi, Lucy si allontanò di scatto per non cadere rovinosamente a terra, al contrario di Mavis, quando la botta che il suo sedere ebbe con il pavimento le arrivò dritta al cervello.

«Aspetta! Lasciami spiegare! Nastu, sei suo fratello giusto? Se hai ben ascoltato quello che ti ho insegnato, quale persona con un trauma o una paura la supera parlando con la famiglia? Forse un caso su diecimila» spiegò Mavis tentando di rialzarsi dopo la caduta.

«Mettiamo che tu abbia ragione, ci ha provato persino Lucy!»

«È la tua ragazza, non cambia!» constatò Mavis osservando Lucy che nel frattempo aveva abbassato gli occhi, come se la punta dei suoi piedi fosse estremamente interessante.

«Cana e Levy.»

«Siete cresciuti insieme, siete come fratello e sorella. Non cambia lo stesso!»

Cana e Levy, sentendosi chiamate in causa, sollevarono entrambe il viso da quello che stavano facendo per osservare con sguardo triste Mavis. In quel momento capì che la maggior parte dei membri di Fairy Tail soffriva il fatto di non essere in grado di aiutare questo Zeref.

«Gray!» urlò Nastu.

«Il tuo migliore amico. Di tutte le persone che mi hai elencato, ognuno di voi ha un legame con questo Zeref, è normale che il ragazzo non si apra e non parli!»

Mavis osservò Gray che in quel momento aveva preso quasi a ringhiare e aveva sbattuto un pugno sul tavolo.

«Non rompere nulla Gray!» lo rimproverò Mavis.

«Ma Mavis, allora come possiamo aiutare Zeref?» chiese titubante Gray. «Anche se è il fratello di Natsu, gli voglio bene!»

«Lo capisco Gray, Nastsu, ma se non è lui a fare il primo passo, non potete aiutar…» iniziò Mavis, triste per il fatto di dover dar loro quella notizia.

«Aspetta, ci sono!» esclamò Lucy alzandosi in piedi di scatto e avvicinandosi a passo di carica al fidanzato per poi osservare Mavis con gli occhi a forma di stella.

«Visto che ognuno di noi qui dentro ha un legame con Zeref, non possiamo aiutarlo, ma tu capo, tu non hai nessun legame con lui! Potresti aiutarlo tu!» propose Lucy, talmente euforica da costringere Mavis a tapparsi le orecchie.

«Cosa? No!»

«No, Lucy ha ragione. È deciso, chiamo Zeref e lo faccio venire qua così Mavis potrà aiutarlo!»

«NO, Aspetta Natsu, io…»

Troppo tardi! Il ragazzo dalla capigliatura rosa era già scomparso nella sua stanza. Mavis sospirò, chiedendosi come avrebbe fatto ad aiutare un ragazzo di cui non conosceva praticamente niente e come avrebbe fatto a non deludere le aspettative di Natsu e Lucy, dato che in quel momento non si sentiva in grado di aiutare nessuno, specialmente con il temporale che infuriava fuori dal Club.

Esasperata, si passò una mano sul viso per poi dirigersi al bancone degli alcolici.

«Mira Jane, un Martini con ghiaccio!»

«Subito!»

 

 

 

Natsu tornò nella stanza con il capo chino e un broncio senza pari. Mavis lo guardò con la coda dell’occhio mentre sorseggiava il suo drink, mentre Lucy si era alzata di scatto per raggiungere il fidanzato, in attesa.

«Allora?» esclamò Lucy impaziente.

«Non mi risponde, mi chiude la chiamata. Non lo ha mai fatto! Che cavolo succede a mio fratello?» piagnucolò Natsu.

«Forse non vuole parlare con un piagnucolone come te, Dragneel!»

«Vuoi morire Fullbaster?!» ringhiò Natsu.

«Fatti sotto fiammella!»

«Te ne pentirai ghiacciolo!»

«Ora basta!» urlò Mavis esasperata nel sentire l’ennesima lite di Natsu e Gray.

«Adesso voi tutti ve ne tornate nelle vostre stanze e la piantate di fracassare le mie povere orecchie. Il fatto che viviate tutti negli appartamenti di Fairy Tail non vi dà il diritto di occupare il locale fino alle tre di notte! Via! Andatevene prima che mi infuri su serio!» urlò Mavis.

«Ma Zeref…»

«Ci penseremo domani. Il sonno vi sta dando alla testa. Cosa vi ho insegnato?»

«Mai obbligare qualcuno a parlare delle proprie paure» sussurrarono tutti in coro.

«Esattamente! Ora andatevene!»

Mavis li vide annuire e piano e Natsu, Lucy e Gray salirono al piano di sopra in fila indiana, sparendo nei loro appartamenti.

«Andate anche voi altre, qua penso io a chiudere e sistemare!»

«Siete sicura, capo?» chiese apprensiva la barista.

«Sì Mira Jane!»

La giovane annuì e seguita da Levy e Cana, anche loro sparirono negli appartamenti di Fairy Tail.

Rimasta sola, si stava versando un ultimo Martini, quando la porta del Club si aprì facendo entrare il rumore di un tuono. Saltò per aria e il bicchiere cadde rovinosamente a terra mentre un suo gemito riempì l’aria.

«Mi scusi, non volevo spaventarla!» esclamò la voce di un uomo. Calmo, pacato. Mavis si voltò lentamente verso di lui trovando dietro di sé un ragazzo molto più alto di lei, ma che non poteva avere più di vent’anni, profondi e penetranti occhi tristi e neri. Indossava un paio di pantaloni di pelle nera, una maglietta del medesimo colore e un giubbotto di pelle anch’esso nero con le cuciture bianche.

Un dettaglio saltò all’occhio di Mavis, era bagnato fradicio.

«Oh, non si preoccupi, le prendo un asciugamano!» esclamò Mavis correndo dietro il bancone, afferrando l’asciugamano e correndo nuovamente verso di lui, pronta a tamponare l’acqua che gli bagnava il collo.

«Non serve!» sussurrò lui sempre con il solito tono calmo, ma Mavis si accorse che aveva fatto un passo indietro non appena aveva notato il gesto che lei aveva fatto per asciugarlo dall’ acqua. Mavis sospirò e gli porse l’asciugamano che lui prese con calma per poi tamponarsi i capelli.

«Grazie.»

Mavis annuì, poi lentamente si lasciò cadere su un divanetto del Club.

«Ritroso, eh!»

«Come prego?»

Mavis aprì un occhio che precedentemente aveva chiuso e osservò il ragazzo che adesso la guardava come se le fosse spuntato in testa un corno da unicorno.

«Oh, non si preoccupi. Ho questo talento. Riesco a capire le persone solo guardandole.»

«Oh, ma davvero!» sussurrò il moro passandosi una mano tra i capelli e socchiudendo gli occhi, infine lasciò andare un sospiro, avvicinandosi a lei ma sedendosi sul divanetto di fronte.

«Mh mh.»

«E cosa avete capito di me?»

Mavis aprì entrambi gli occhi e si sistemò meglio sul divanetto per poi sollevare le gambe e incrociarle sotto il sedere.

«Siete alquanto schivo. All’apparenza sembrate un tipo calmo, pacato, controllato, ma dentro c’è di più…c’è come una sorta di repulsione verso l’altro. Poco fa, quando ho tentato di darvi una mano per asciugarvi dalla pioggia…» Mavis rabbrividì al solo pensiero, ma poi scosse la testa in segno di negazione. Aveva deciso: quella persona che era entrata nel suo locale sarebbe stata l’ultima persona che avrebbe cercato di aiutare come capo di Fairy Tail.

«Quindi?»

«Avete indietreggiato dicendo che non vi serviva l’asciugamano, ma quando poi io ve l’ho offerto senza offrirmi di asciugarvi, voi lo avete accettato senza alcuna esitazione. Questo mi fa pensare che di fondo voi avete un piccolo problema con le persone, con chi tenta di avvicinarsi a voi» sussurrò Mavis e, quando vide gli occhi del ragazzo sgranarsi, un sorriso mesto apparve sul suo volto.

«Ve lo avevo detto, capisco le persone.»

«Non pensate di correre un po’ troppo nel decretare di conoscermi?!» esclamò il ragazzo, alzandosi dal divano e camminando verso il centro del locale per poi fermarsi di botto e passarsi una mano sul collo e poi tra i capelli, mentre una sorta di fastidio gli colpiva le viscere. Credeva di essere abbastanza bravo a mascherare i propri sentimenti, ma quella ragazza lo aveva colto impreparato. Si sentiva in imbarazzo, a disagio e dentro di sé covava di desiderio di darsela a gambe, di lasciare quel posto e quella ragazza che con estrema facilità era riuscita a capire molto di lui solo da pochi atteggiamenti. Il disagio gli aveva attanagliato la bocca dello stomaco e un peso enorme gli era appena apparso alla base del collo, sul petto, rendendogli difficile quasi respirare. Davanti quella ragazza si sentiva nudo, senza protezione. Nemmeno trovarsi davanti il fratello lo aveva fatto sentire come si sentiva in quel momento. Nervoso, frustato, desideroso di rivolgersi a lei con tono freddo, scontroso, ma al contempo curioso di capire come mai, con un semplice sguardo, lei fosse riuscita a capire una parte di lui che nemmeno suo fratello aveva compreso.

Girandosi lentamente la guardò da sopra una spalla.

«Chi sei?»

«Non ha importanza chi sono, come non ha importanza chi siete voi. Sappiate solo una cosa, io posso aiutarvi. Avete solo paura.»

«E secondo voi la paura non è un problema?»

«Oh, lo è eccome ma, come è nata, quella paura può essere scacciata via. Basta solo guardarla in faccia e affrontarla. La vostra paura credo che nasca dalla vostra infanzia. Si chiama afefobia e precisamente è la paura di essere toccati.»

«Cosa…»

«Senza rendervene conto, siete entrato in un Club un po’ particolare. Qui noi aiutiamo le persone a superare le loro paure, sempre che vogliano essere aiutate. Inoltre abbiamo una sorta di codice, ciò che ci viene detto resterà sempre e comunque tra noi, in questo caso me, e il cliente, cioè voi, se volete» sussurrò Mavis per poi stiracchiarsi sul divano. L’occhio le cadde alla finestra, notando i vetri bagnati dalla pioggia e voltò di scatto lo sguardo verso il ragazzo. Ne era sicura, da lì a breve un tuono o un fulmine avrebbe squarciato il cielo e per l’ennesima volta sarebbe saltata in aria. Doveva sbrigarsi ad aiutare quel ragazzo e rifugiarsi in camera sua e sotto le coperte, pregando e sperando che quel tempaccio passasse in fretta.

«Un club di strizzacervelli!» dichiarò il moro affilando lo sguardo e cambiando il tono della voce, da calmo e pacato era divenuto freddo e spietato.

Mavis scosse la testa in segno di negazione.

«Non sono una strizzacervelli, sono solo una persona che nella vita ha sofferto parecchio e che in qualche modo vuole aiutare il prossimo a superare ciò che lo frena dall’essere felice. Penso che ognuno di noi meriti di essere felice e poi, come dico sempre… Far entrare qualcuno nelle proprie paure è più intimo che andarci a letto!»

«E chi ti da questo diritto? Chi ti dice che le persone siano disposte a parlati delle proprie paure!» dichiarò il ragazzo con tono spietato e girandosi del tutto verso di lei e facendo qualche passo nella sua direzione.

«Molte più persone di quanto immagini. Le paure sono la malattia del nuovo millennio e non sai quante persone sono disposte a liberarsene, specialmente se tale aiuto risulta essere gratis! Quello che chiediamo in cambio ai nostri clienti più affezionati è quello di fare per gli altri quello che noi abbiamo fatto per loro, ovvero aiutare il prossimo a superare le proprie paure. Con il tempo si affina la percezione e la capacità di riconoscere queste paure nelle persone, proprio come io ho fatto con te! Tranquillo, non sono una persona cattiva e davvero non ho secondi fini se non davvero quello di aiutarti! Comunque nessuno ti obbliga, se vuoi parlami mi trovi qua, seduta su questo divanetto a guardare la tv!» esclamò Mavis facendo dietro front per tornare sul divanetto che poco prima aveva abbandonato, prendere il telecomando lasciato su di esso e accendere la televisione su un programma di televendita.

 

Il ragazzo si fece pensoso, poi si avvicinò a lei di qualche passo e si sedette nel suo stesso divanetto però al capo opposto.

Mavis sorrise.

«È già un passo!» sussurrò.

«Cosa?»

«Ti sei seduto sul mio stesso divanetto mentre prima ti eri seduto di fronte a dove ero seduta io!» constatò Mavis mentre il ragazzo sgranò per l’ennesima volta gli occhi e si alzò di scatto.

«Dai, ormai il passo lo hai fatto, non scappare!» esclamò Mavis continuando a guardare la televisione. Anche lei però cominciava ad agitarsi, non mancava molto a un tuono, lo percepiva.

Il moro sospirò e si sedette nuovamente.

«Dici che parlare può essere utile?» sussurrò il ragazzo con fare pensieroso.

«Più di quanto pensi!»

Il silenzio calò sovrano e a lungo, solo lo scrosciare della pioggia e la televisione rompevano quell’atmosfera.

«I miei genitori non mi hanno mai amato, mai voluto» sussurrò chiudendo gli occhi e sospirando.

«Uhm… mai toccato immagino?» sussurrò Mavis guardandolo di sbieco.

«Già.»

«E tu te ne fai una colpa?»

«Già»

«Perché? Non è mica colpa tua?»

«Quando nacqui, mia madre si ammalò e morì e mio padre mi odiò per questo e io fui cresciuto da una varietà infinita di tate e domestiche, poi mio padre si risposò e da quel matrimonio nacque mio fratello, ma sebbene la nuova moglie fosse una madre amorevole e adorasse il suo bambino, io non ero realmente suo figlio, così fin da quando ero piccolo…»

«Non hai mai sentito il tocco di qualcuno…»

«Sì, solo mio fratello, ma tre anni fa lui se ne andò di casa perché aveva trovato un lavoro che gli dava vitto e alloggio e io restai solo con mio padre e la mia matrigna, fuggii due mesi dopo che mio fratello se ne era andato e andai in un altro continente.»

«Ora però sei qui, perché non cerchi tuo fratello?»

«Lo ha fatto lui, ma adesso lui ha una fidanzata e…»

«Ti senti surclassato, come se la ragazza di tuo fratello fosse più importante di te. Ragazzo mio, il cuore delle persone è grande, certo ci sono persone che un cuore non ce lo hanno, tipo tuo padre, ma non è detto che l’affetto di un fratello possa cambiare solo perché quest’ultimo ha trovato un'altra persona d’amare, mi spiego?» chiarì Mavis voltandosi verso di lui.

Il moro si voltò verso di lei, sorpreso.

«Hai mai sperimentato una carezza?»

«No-»

«Un abbraccio?»

«No.»

«Un bacio?»

«No.»

«Vuoi provare?» chiese infine Mavis.

«No.»

«Potresti scoprire che essere toccati non è poi così male, specialmente se chi ti tocca non ha che come fine quello di aiutarti.»

«Non è il caso!»

«Come vuoi!»

Il silenzio scese nuovamente sovrano e stavolta per un tempo molto più lungo di quello precedente, tanto che il programma di televendita era finito, poi un fulmine, seguito da un tuono, fece saltare la corrente con un boato e la televisione si spense.

L’urlo di Mavis fu disumano. Saltò per aria e corse a rannicchiarsi contro il ragazzo che annaspò terrorizzato, tentando in qualsiasi modo di staccare le braccia di Mavis dai suoi fianchi e respirando affannosamente ad un passo dal gridare anche lui. L’attimo dopo, però, tutto cambiò. Quell’abbraccio non era così male come pensava, ma in quel momento non desiderava altro che lei si staccasse e con movimenti mirati e decisi allontanò da se la ragazza, cominciando a mettere tra loro una distanza di sicurezza. Nonostante ciò, si accorse che però la ragazza non lo aveva seguito per pretendere da lui un abbraccio e che invece si era rannicchiata su se stessa, con le lacrime agli occhi e aveva preso ad ondeggiare avanti e indietro nella speranza di calmarsi.

 

La ragazza che fino al secondo prima aveva parlato di superare le proprie paura, adesso era in lacrime, con il respiro quasi inesistente, il suo corpo era teso e rigido, le spalle scosse dai singhiozzi e sembrava che la paura l’avesse paralizzata, al contrario di lui che, nonostante fosse stato toccato, era riuscito a mantenere una parvenza di calma, lei pareva essere caduta nel baratro della paura più profonda.

«Ehi… Ehi… ragazza…» sussurrò per poi avvicinarsi a lei e toccarle la spalla con un dito nella speranza che lei si riprendesse.

«M-mi… scusi… adesso mi riprendo.»

«Come ti chiami?» le chiese. Non che il suo nome gli interessasse davvero, o forse sì, ma voleva trovare un modo per aiutarla.

«M-ma… Mavis»

«Che succede?»

«Io…»

Il ragazzo sorrise.

«Paura, eh! Predichi bene, ma razzoli male.»

Mavis non rispose, se ne stava rannicchiata su se stessa e tremante come una foglia.

«As-Astrafobia» sussurrò

«Paura dei temporali?» dichiarò il ragazzo sgranando gli occhi leggermente e infine sospirò.

Mavis non rispose per l’ennesima volta, mentre il ragazzo si alzava in piedi dal divano per poi toccarle la spalla e richiamare la sua attenzione. Per lui, toccarla in quel modo, anche solo con la mano, erano enormi passi avanti. Senza rendersene conto e grazie a quella ragazza la cui empatia aveva toccato il suo cuore, era stato aiutato, sebbene in piccola parte, a superare la sua paura. Ora toccava a lui aiutare lei.

«Mavis, ascolta, non c’è nulla di male che ti possa succedere con un temporale, la percentualità che succeda qualcosa è vicina allo zero, anzi, guarda, a volte un temporale è pure rilassante. Guarda Mavis! Fidati! Io mi sto fidando di te, ti ho toccato no? Puoi ricambiare il favore?» chiese con tono dolce e pacato il ragazzo dai capelli scuri.

Lentamente, Mavis staccò la testa dalle proprie gambe per puntare i suoi occhi verdi in quelli di lui. Il suo viso era illuminato dai lampi che il cielo in quel momento presentava e gli davano un aria così fiera e valorosa, quasi mistica. Sembrava quasi uno stregone di altri tempi. Infine, Mavis voltò lo sguardo verso la finestra e quello che vide le mozzò il fiato. I lampi illuminavano la città rendendola quasi magica, il vento, sebbene non fosse così forte, sembrava cantare una leggera melodia, e la pioggia sembrava danzare a quel canto. Presa di coraggio, Mavis scese dalle braccia del ragazzo e si avvicinò maggiormente alla finestra piantando il naso contro il vetro, poi la risata del ragazzo la costrinse a staccare gli occhi da quella visuale.

«Ciò di cui hai paura è solo il rumore, ma esso non potrà mai farti nulla!»

«Esattamente come un abbraccio!» sussurrò Mavis non staccando gli occhi dalla finestra

«Esattamente come una stretta di mano» sussurrò infine il ragazzo. Un abbraccio era ancora un enorme passo avanti, ma poteva provare a tenerle la mano e cosi fece. Prese piano e delicatamente la mano della bionda nella sua, poi anche lui si voltò a guardare il temporale.

«Mia madre è stata uccisa in una notte come questa da mio padre!»

«Capisco Mavis e mi dispiace per la tua perdita, ma non è stato il temporale ad ucciderla, bensì tuo padre.»

Mavis sorrise tristemente, stringendo di più la mano del ragazzo e lui ricambiò la stretta.

«Grazie.»

Alla fine, aveva superato la sua paura e promise a se stessa che avrebbe aiutato lui a fare altrettanto.

 

Si erano addormentati sul divano, seduti uno accanto all’altra e mano nella mano, con le finestre aperte a guardare il temporale e ascoltare i suoi suoni.

La mattina successiva un urlo squarciò l’aria.

«Per tutti i draghi, Zeref, che diavolo ci fai qui e mano nella mano con il mio capo!» urlò Natsu.

Mavis spalancò gli occhi.

«Tu sei Zeref?»

«Tu sei il capo di mio fratello?» esclamò Zeref divertito, ma non staccò le dita da quelle della ragazza.

«Tra tutti i club che potevi scegliere ieri sera…»

«Il destino ha voluto che scegliessi te!» concluse Zeref per poi poggiare una mano su una guancia di Mavis e sorriderle dolcemente.

 

 

The end. Ringrazio di cuore la mia beta Lysl :) Grazie di cuore tesoro.

 


   
 
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