Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Damnatio_memoriae    15/06/2018    2 recensioni
Sul continente i ministri dei cinque rioni si affrontano nel Torneo di Palazzo per assicurarsi il dominio della Cittadella, ma nessuno sospetta che nell'ombra stia già tramando da tempo un oscuro pericolo che minerà profondamente le basi delle loro istituzioni, rompendo quella pace che, a fatica, è stata riconquistata dopo il tradimento di Kalendor. E intanto Theresa affronta le sue paure cercando di ricordare un passato troppo lontano e inafferrabile, mentre Daianara tenterà invano di battersi per impedirglielo.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 16
 
♦ L​a menzogna nella verità
 
 
Canterai ancora una volta per me prima di allontanarti.
Salirai sempre più in alto per ricordarti la mia voce.
Ascolta la mia ultima canzone e prova ad amarmi.
Domani sarò qui a cantarti queste ultime parole:
per te troverò sempre un’ultima canzone”
 

Da che ne aveva memoria, Theresa aveva sempre saputo di essere diversa.
Era una consapevolezza viscerale, completamente illogica, eppure così naturale da essere ovvia. Un mostro si annidava nel suo corpo e nella sua mente, sempre pronto a suggerirle che doveva esserci qualcosa, che doveva esserci dell’altro oltre a tutte le spiegazioni incongruenti che le erano sempre state fornite. I ricordi che aveva accumulato non erano sempre così lucidi e a volte anzi si distorcevano in immagini che lei sentiva familiari, ma che oltre ad essere completamente prive di senso, non avevano nemmeno nulla a che fare con la sua vita. E nonostante il vincolo che la legava a Daia, nonostante tutto l’amore che provava per lei, nonostante tutta la sua vita fosse racchiusa nelle mani di quella ragazza, e anzi forse proprio per questa ragione, non era con Daianara che riusciva a sentirsi veramente libera.
«Mi fa male» aveva confessato una volta a Savannah, tastandosi il petto sotto la giacca di pelle. Al confine tra Ennon e Nika, nel punto in cui iniziavano i rigogliosi e densi boschi del Borgo del Legno, le due ragazze erano riuscite a ritagliarsi un angolo tutto per loro. «Mi fa male quando mi viene dato un ordine. Mi sento soffocare, schiacciare, bruciare, è come se tutto il mio corpo si rifiutasse di obbedire e la testa mi rimbomba, si spacca a metà ed io sento tutto questo improvviso dolore... È come se dovessi morire ogni volta. Ma in realtà non muoio mai». Aveva stretto la mano in un pugno «Avrei così tanta voglia di…di ribellarmi, di disobbedire. Di togliermi di dosso la perenne sensazione di essere ingabbiata e fare a modo mio».
Savannah, la schiena appoggiata al tronco dell’albero, aveva sussultato. «Disobbedire?» aveva domandato con una punta di incredulità che velocemente aveva provato a mascherare.
«Sì. Daianara me l’ha promesso: non mi costringerà mai a fare qualcosa che non desidero. Non potrei sopportarlo, non riuscirei a resistere al pensiero di essere usata come un lurido burattino, senza possibilità di scelta, senza nessuna via di fuga. Un inutile ammasso di carne spostato a destra e a sinistra a seconda del piacere di un estraneo. Non voglio questo per me. Non lo vorrò mai e non sarei in grado di perdonarglielo per nessuna ragione al mondo». Si era seduta a terra giocando con l’erba umida «Anche tu soffri quando ti costringono, vero?».
Senza darle una risposta, Savannah le aveva sollevato il mento per poterla guardare dritta negli occhi. «Theresa…».
«Che cosa stai facendo?» le aveva domandato, impacciata da tutta quella vicinanza. Era una sensazione così diversa da quella che provava quando si trovava vicino a Daianara.
«Dimmi, qual è la prima cosa di cui hai memoria?».
«Eh?».
«Se dovessi pensare al tuo primo ricordo, che cosa vedresti?».
«Ma che domanda stupida!» aveva riso, allontanando la mano dell’amica dal suo viso.
«Rispondimi».
«Ovviamente Daia. Non potrebbe essere altrimenti. E…» alzò gli occhi al cielo «E un campo di grano. Un’immensa distesa di grano al tramonto».
«Grano?».
«Sì, grano!» aveva scandito con uno sbuffo, passandosi una mano sulla treccia rossa.
«Non ci sono campi coltivati ad Ennon».
Lei aveva alzato le spalle, noncurante della constatazione. «È questo quello che ricordo. Probabilmente mi sto confondendo».
«Capisco…». L’espressione della ragazza di Nika si era fatta tetra, ma prima che Theresa avesse potuto domandarle il perché di quel cambiamento, l’aveva abbracciata e tutto il profumo di muschio e foglie che Savannah emanava l’aveva colta e la sorpresa per un gesto così lontano dalla consueta freddezza della ragazza l’aveva spiazzata.
«Davvero una ragazza di Tanaro…» le aveva bisbigliato all’orecchio la bionda, accarezzandole la testa, stringendola ancora più forte e trasmettendole con quell’abbraccio una angosciosa preoccupazione.
«Non sono una ragazza di Tanaro!».
«Devi fare attenzione Tess».
«Che cosa vai blaterando?».
«Nulla» l’aveva lasciata andare all’istante, intenzionata a tornare a rifugiarsi nella boscaglia.
«Lo vedo quando menti, perché mi stai dicendo una bugia?».
«Non è a me che dovresti fare questa domanda».
«Non ti sopporto quando fai così!».
«Mi dispiace, non posso dirti di più».
«Si che puoi!».
Con un sorriso amaro aveva abbozzato: «No, Tess. Io non posso ignorare gli ordini come fai tu».
Convincere Daianara a svelarle la verità - qualunque essa fosse - non fu facile, specie senza conoscere le domande giuste da porre. Con incredibile e sfiancante caparbietà, la ragazza continuò ad eludere per due stagioni i suoi interrogativi, divagando, sviando, pregandola di lasciar perdere tutte le folle voci che aveva sentito. Quando infine, una sera d’inverno, si decise a renderla partecipe del suo segreto, il freddo che si era alzato fuori sembrò nulla in confronto al gelo che riempì il petto di Theresa.  
«Tu non puoi ricordarlo» le aveva confessato Daianara, immobile davanti a lei. Tremava, nonostante il pesante mantello che la avvolgeva, e il capo chino la faceva apparire colpevole di un crimine atroce. «Ma questa non è sempre stata la tua casa. Io e mio padre ti abbiamo trovata al confine delle terre di Ennon, dove ti aveva portata la corrente, e forse sei rimasta sulle rive di quel fiume per giorni prima che arrivassimo noi. Il tuo corpo era immobile, rigido, non respiravi. Non c’era più nulla che potessimo fare per te, tranne provare a salvarti nell’unico modo che conosciamo, con l’unico sistema che abbiamo per sconfiggere la morte: farti diventare una di loro. Un totem. Però tu…» aveva trovato il coraggio di sollevare appena gli occhi nella sua direzione «Tu eri speciale. E pericolosa. La tua coscienza era immutabile, implasmabile, più forte del legno e dell’acciaio. Troppo forte per essere piegata e troppo rigida per poter essere manipolata e alla fine tutto quello che avevamo fatto per salvarti non ti ha salvata affatto.  Non ne conosciamo il motivo, non me lo chiedere. Solamente, alcuni uomini rimangono ancorati così strenuamente al loro passato da rifiutare qualsiasi assoggettamento. Ignorano gli ordini, non possono essere domati né dai loro padroni né - probabilmente - dal Maestro di Palazzo, anche se nessuno di loro è vissuto abbastanza a lungo da scoprirlo… Il Consiglio ha stabilito la morte per i ricaduti e per quelli che li nascondono, senza alcuna eccezione. Avrei dovuto ucciderti, ma…» le si era avvicinata, colmando il vuoto che le divideva, stringendole le mani tra le sue. «Tess, non ce l’ho fatta. Io non ce l’ho fatta. Forse ti amavo già allora, senza saperlo. Non volevo farti del male, speravo solo di salvarti. Mi dispiace, mi dispiace. Ti prego, dimmi qualcosa».
Si sentiva la mente così affollata di pensieri da mettere a tacere qualsiasi emozione. Non si era mai sentita così apatica. «Io…Io ero umana?» aveva trovato infine la voce per chiederle.
«Lo siete stati tutti».
Theresa aveva deglutito a fatica. Le implicazioni di quella confessione arrivarono tutte insieme e la schiacciarono. «Tutto quello che ho sempre sognato di essere…normale. Ce l’avevo. Ce l’avevo e tu me lo hai portato via».
«Ero una bambina. Non volevo fare del male a nessuno. Desideravo solo che la ragazza che avevo trovato tornasse a stare bene. Io non sapevo cosa potesse significare».
«Hai giocato con la mia vita».
«No, no, questo non è vero».
«Lo sapevi» l’aveva accusata, puntandole il dito contro «Tu lo sapevi come mi sono sentita per tutti questi anni. Hai lasciato che io mi convincessi di essere inadeguata, fuori posto, strana, diversa. Tu sapevi del mio tormento e hai lasciato che mi logorasse! Perché hai dovuto farmi una cosa simile?».
«Volevo proteggerti! Nessun totem dovrebbe sapere quello che ti sto dicendo, men che meno tu! Theresa…se ti scoprissero sarebbe la guerra, non si tratta più solo di te. Giustizierebbero me, mia madre, mio padre, mio zio, tutta la mia famiglia – la nostra famiglia – se venissero a sapere che ti abbiamo tenuta in vita. Kasimir non aspetta altro che un pretesto per accusare mio padre, non lasciare che lo trovi. Ne siamo coinvolti tutti. E se dovesse accaderti qualcosa…Tess, io non posso vivere senza di te».
«E allora muori» aveva sibilato, spingendola via e uscendo da quella casa che si era trasformata improvvisamente in una prigione. «Muori, perché io me ne vado».
«Aspetta!» aveva provato inutilmente a trattenerla Daia, seguendola oltre il cortile e i campi di addestramento. Quando l’aveva vista correre verso le stalle la paura l’aveva sopraffatta: la conosceva troppo bene per non intuire le sue intenzioni e sapeva che se Theresa fosse montata su Argo non l’avrebbe più vista tornare.
«Ho aspettato a sufficienza! E tu quanto avresti aspettato ancora prima di dirmi la verità? Avevi la mia fiducia e l’hai tradita, tu mi hai ingannata!».
«Non potevo fare altro!».
«No, tu non hai voluto fare altro! Esiste sempre una scelta. Hai preso la tua decisione, ora pagane le conseguenze».
«Sei la persona più egoista e caparbia e…».
«E cosa? Continua se ne hai il coraggio».
«Se non vuoi capire allora vai! Scappa, ma non troverai là fuori la libertà che cerchi».
«Sei tu che mi hai portato via la mia libertà!».
«Ti ho dato tutta la libertà che potevo e tutto l’amore di cui ero capace. Perché sembra sempre che te ne importi così poco?».
«Se mi avessi amata anche solo la metà di quanto vai predicando, non mi avresti tenuta all’oscuro di una cosa simile! Era la mia vita! Non dovevano esserci segreti tra di noi, come hai fatto a mentirmi per tutti questi anni?».
«Perché è così che funziona l’amore! Ti ho protetta anche se sapevo che se mai avessi scoperto la verità mi avresti odiata!».
Theresa aveva scosso la testa, incredula di fronte ad una spiegazione che per lei non aveva fondamento alcuno. «Non me ne faccio nulla di un amore come questo».
Daia l’aveva superata, spalancando le braccia e bloccandole la strada, le gambe che tremavano come se stesse per essere schiacciata da un peso impossibile da reggere. «Tess…» aveva chiamato ancora una volta il suo nome, piangendo «Non farlo. Siamo molto più di questo. Non gettarci via così facilmente».
«Spostati».
«No».
«Ho detto spostati!».
«No!».
«Tu non puoi capire. Non potrai mai capire!» aveva urlato, cacciandola via con tutta la forza che aveva in corpo, sgombrando il passaggio. «Per me la libertà è amore».
«E io allora? Io cosa sono per te?».
«Per me sei morta» aveva concluso montando sul suo cavallo e facendolo partire al galoppo, sperando così di lasciarsi alle spalle – oltre a Daia – anche la sua rabbia.

 
♦♦♦
 
Si sparse in fretta la voce di un nuovo arrivo nel borgo del Legno, solitamente così restio a qualsivoglia contatto con gli stranieri. Ad Ennon e Tanaro si spettegolò a lungo sulla fuga – alquanto sospetta - della figlioccia di Zane, ipotizzando le ragioni più improbabili, e tutti si domandavano se al prossimo Torneo di Palazzo l’esule avrebbe parteggiato per il Borgo del Ferro o per quello di Nika.
Per Theresa dimenticarsi della vita che aveva vissuto fino a quel momento non fu facile. Dimenticare Daianara, per quanto all’inizio le fosse sembrato arduo, col tempo si rivelò essere un desiderio irrealizzabile. Si era costretta a ignorarne il ricordo, ad eluderne il pensiero, finanche a costringersi a non pronunciarne mai il nome, e nella dimora di Hansel tutti sapevano di dover tacere in sua presenza le notizie che riguardavano la famiglia del Ministro di Ennon.
Passarono due anni in bilico tra la convinzione di aver fatto la scelta migliore e il timore che non le sarebbe bastata una vita – figurarsi qualche vecchio albero – per dimenticarsi della sua vera casa.
«Io credo di amarti» confessò a Savannah un giorno, forse nella convinzione di poter riempire con chiunque il vuoto che Daianara le aveva lasciato.
Il totem non diede segno di volerla prendere sul serio. «Sono convinta che tu lo creda» la assecondò «Ma non è così e in fondo lo sai anche tu. Noi non potremo mai amarci».
«Come? Perché?».
«Le nostre vite sono legate a quelle di altre persone».
«Io non voglio che sia così!».
«Non si tratta di volerlo, Tess. Tu hai Daia. E io ho Hansel. O forse sono loro ad avere noi. Non abbiamo amore da dare ad altri».
«Questo non è giusto!».
«Giusto o sbagliato, quanta importanza vuoi dare ad una cosa che non puoi cambiare? Prima accetterai la realtà per quella che è, prima tornerai a vivere».
Theresa scattò in piedi, più indignata che mai. «Non lo stai dicendo davvero».
«Dico quello che penso, non quello che vuoi sentire».
«Io non ho scelto Daia!».
«Tess, ti è mai venuto in mente che se anche fossi stata libera l’avresti comunque amata?».
«Non esiste una risposta a questa domanda».
«E nel dubbio aggiungi dolore a dolore?».
«Questo cosa diavolo vorrebbe dire?».
«Guardati. Scegliere di fare ciò che ti fa star male non è libertà, è idiozia. Far finta di essere quella che non sei non è libertà, è un suicidio. Sei libera di accendere un fuoco e gettartici dentro, ma il fatto che tu possa farlo non implica che tu debba farlo. La libertà è inutile se la usi per affliggerti. E a chi vuoi che importi se ami qualcuno perché puoi o perché devi, se poi quando non c’è ti senti morire?».
«A me, dannazione! Importa a me!».
«Lo vedo. Ti struggi per le cose che non hai e non gioisci delle cose che possiedi. Se davvero per te la cosa più importante che possa esistere in questo mondo è l’arbitrio, allora rifletti sul fatto che c’è stato chi ha deliberatamente scelto di mettere a rischio la sua vita per salvare la tua. E poi ti ha vista fuggire».
Quando la mancanza che sentiva si trasformò in opprimente ossessione, Theresa iniziò a sgattaiolare fuori dai boschi sacri di Nika, oltre il confine di Ennon, sulla strada alta che tante volte aveva battuto insieme a Daianara e dove sperava di scorgerla, sufficientemente vicina da trovare un po’ di sollievo, abbastanza lontana da non poter essere vista a sua volta. Nascosta dietro ai muriccioli, alle siepi o agli alberi, la notava aggirarsi nelle sue lunghe passeggiate e con gli occhi riusciva a seguirla fino a quado la sua sagoma si faceva troppo piccola e indistinta.
Si sorprendeva sempre un po’ a vedere come il tempo le stesse cambiando i lineamenti, quegli stessi lineamenti che Theresa pensava di aver scolpito nella memoria, ma che in sua assenza erano mutati senza che lei potesse farci l’abitudine. Gli zigomi si erano fatti più pronunciati, la vita più sottile, l’espressione severa; i capelli erano più lunghi e meno increspati, le lentiggini erano sparite, gli occhi vagavano sperduti, in cerca di qualcuno che non sarebbe mai tornato, e anche di fronte allo scherzo più divertente o alla battuta più irriverente la sua bocca non accennava nemmeno un sorriso.
Theresa rischiò di essere scoperta un’unica volta e subito si maledisse per essersi spinta così vicino alla casa di Zane. Si accucciò dietro ad un tronco, immobile e con il fiato sospeso.
«Daia?» sentì chiamare una voce che riconobbe essere quella di Vidia «Cosa fai lì impalata?».
«Io…» la udì balbettare e alcuni passi nella sua direzione le fecero temere di essere infine arrivata alla resa dei conti. E non sapeva se esserne sollevata o terrorizzata. «Ecco, io ho visto…mi è sembrato…».
«Cosa? Un animale?».
Un lungo sospiro. «No… Nulla. Non era nulla».
«Daia, cara, perché piangi? Ti sei forse spaventata?».
«No, no. Solo…voglio tornare dentro».
«Ma siamo appena uscite» provò ad obiettare la donna, senza risultati.
«Vidia, per favore. Si è alzata troppa afa, mi sento soffocare».
Dall’affanno che la prese all’altezza del petto, Theresa capì che era giunto il momento di tornare a casa. Si prese il tempo che le serviva e quando insieme ad Argo passò il pesante cancello in ferro trovò già chi la stava aspettando.
 
♦♦♦

Daianara non ebbe bisogno di scostare le tende e affacciarsi alla finestra per capire le ragioni di tutto quel trambusto e le fu subito chiaro perché quella sera non riusciva a trovare il modo di prendere sonno. Udiva chiaramente i nitriti di un cavallo, il pianto di sua madre, la voce di suo padre, i domestici che salutavano e ripetevano «Bentornata!».
Si sentì pervadere da una inquietudine senza fine, una sensazione molto diversa da quella che si era immaginata di provare quando si perdeva a fantasticare sul ritorno di Theresa, prima di addormentarsi e trovare finalmente un po’ di pace. E adesso che sapeva esserle vicina, che la sentiva salire le scale e avvicinarsi alla porta della sua camera – della loro camera -, non sapeva come comportarsi.
Spalancò la finestra nella speranza di rinfrescarsi le idee, ma l’aria era calda e pesante e non trovò il sollievo che cercava. La porta lentamente si aprì e Daianara riuscì appena ad intravvedere una figura sgusciare all’interno della stanza. Il buio non le permetteva di scorgerne il volto, né di definirne la sagoma, ma non ne aveva bisogno.
«Daia…» bisbigliò Theresa immobile, senza avere l’intenzione di avvicinarsi. Dovette aspettare qualche secondo prima di ottenere una risposta.
«Theresa» ricambiò con tono piatto, incrociando le braccia al petto.
Nessuna delle due pareva intenzionata a continuare la conversazione.
«Ecco, io…» azzardò la rossa dopo un lungo e imbarazzate silenzio, ma venne prontamente interrotta.
«Mi dispiace per non essere riuscita ad accontentarti: come vedi, non sono ancora morta».
«É…è passato tanto tempo, Daia».
«Non serve che me lo ricordi».
«Forse sarebbe il caso di andare avanti».
«Allora dimmi che cosa vuoi e vattene».
Tess titubò per un istante, poi si decise a muovere qualche passo verso di lei e la tenue luce che proveniva dalla finestra bastò per rischiararla. «Sentivo di doverti un ritorno».
Daianara resistette alla voglia di indietreggiare. «Mi dovevi un ritorno molto, molto tempo fa. Adesso non mi devi più niente».
«Lo so che sei ancora arrabbiata. Lo sono anche io».
«Due anni» chiarì «Sei riuscita a starmi lontana tutto questo tempo senza mai guardarti indietro, senza mai avere un ripensamento, senza mai avvertire il bisogno di vedermi o di sentirmi».
«Se questo fosse vero io non sarei qui adesso».
«Risparmiamelo. Mi hai lasciata indietro ad aspettarti inutilmente, senza prenderti la briga di farmi sapere se stessi bene o se qualcuno ti avesse fatto del male. Dimmi come hai fatto a dimenticarti così facilmente della tua famiglia, come hai fatto a cancellarmi così in fretta dalla tua vita e insegnami come si fa, perché da quando sei andata via nessuno di noi è riuscito a trovare un attimo di pace».
«Nemmeno io».
«Lo hai nascosto bene».
«Non è stato facile nemmeno per me stare lontano da casa tutto questo tempo».
«É Nika la tua casa ora».
«Non riesco a sentirmi a casa in nessun posto se tu non ci sei. Mi ci è voluto più tempo del previsto per accettarlo» storse il naso e si corresse «Vorrei non fosse così, ma devo fare i conti con te. Dovrò fare i conti con te per il resto della mia vita. Ho resistito quanto ho potuto. E ancora non mi sta bene, non mi sta bene sapere di essere legata così fortemente a te e non poterci fare nulla, non poter decidere di starti lontana senza morire dentro. Non so se sia giusto o sbagliato amarti e odiarti così tanto. Forse ti avrei amata ugualmente anche se avessi avuto la possibilità di fare diversamente. Io tutte queste cose non le so e il dubbio mi uccide, ma esserti stata lontana mi ha fatto più male. Perché ridi? Lo trovi divertente?».
«Oh, sì. Nulla di quello che dirai potrà restituirmi tutto quello che ti sei portata via di me. Nulla di quello che dirai mi farà dimenticare che non ci sei stata. Hai agito con coscienza, Theresa, non lo puoi negare. Sapevi del dolore che ti stavi lasciando alle spalle e non ti è importato. E ora che sei qui, davanti a me, parli dando per scontato che io ti ami ancora».
«Ed è così? Mi vuoi ancora?».
«Va’ all’inferno» imprecò a denti stretti prima di darle le spalle.
Theresa serrò i pugni. «Ci sono già stata. Mi ci hai mandata tu, ricordi?».
«Ci siamo stati tutti. Non sei la sola vittima di questa storia».
«Eppure sono l’unica che ci ha rimesso qualcosa. La vita, l’arbitrio, la morale, i ricordi, il mio folle sogno di diventare un giorno Maestro di Palazzo».
«Io ho perso te» le rinfacciò «E insieme a te anche me. Come se non fosse stato sufficiente amarti per tutta una vita e vederti comunque infelice. Spero che con Savannah tu abbia trovato quello che stavi cercando. Almeno lei, forse, ti sarà bastata».
«Sarai anche cresciuta, ma continui a rimanere una stupida».
«E tu una meschina».
«Che cos’è che non capisci, Daia? Guardami!».
«Non voglio guardarti!».
«Non è ovvio, non è abbastanza chiaro? Provo ancora così tanta rabbia che non sono certa ci sia spazio per altro dentro al mio corpo. E sono furiosa perché ti amo e odio doverti amare in questo modo. Prova a capirmi! Non è la stessa cosa amarti se sono obbligata a farlo!».
«Per te siamo sempre state soltanto questo: un obbligo. Se solo potesse servire a qualcosa, ti ordinerei di dimenticarmi».
«Non basterebbe e lo sai anche tu».
«Ma è quello che vorresti».
«Questo mai. Mai».
«Puoi dire quello che vuoi Tess, ma sei quello che fai».
«L’ho fatto. Sono tornata».
«Sei tornata troppo tardi».
«Non mi sono mai veramente staccata del tutto da te. Quando potevo ti seguivo da lontano e mi sentivo una stupida ogni volta che ti vedevo passare. Arriverà un momento in cui tu non ci sarai più e io dovrò passare quello che resta di una vita senza fine a soffrire per il tuo ricordo. Temo quel giorno da sempre e so che quando arriverà mi maledirò per ogni istante che non abbiamo passato insieme. Mi hai condannata anche a questo, Daia».
«Ho condannato entrambe. E ora vai via. È la cosa che sai fare meglio».
«Zane ed Isolde mi hanno perdonata, perché non riesci a fare altrettanto?».
«Io non ho nulla da perdonarti. È come hai detto tu, ricordi? Hai fatto una scelta e devi accettarne le conseguenze».
«Ne ho già subito le conseguenze, per quanto vuoi torturarmi ancora?».
«E tu?».
«Non sono tornata per farti star male».
«Allora non saresti dovuta tornare affatto».
«Sono qui per te!» chiarì Theresa con voce indignata, raggiungendola e obbligandola a voltarsi.
«No, sei qui per te! Tutto quello che fai lo fai per te. Il tuo mondo è così piccolo che non c’è spazio per nessun altro».
«Il mio mondo è piccolo perché tu sei troppo ingombrante! E io ti detesto per questo e per quello che mi hai fatto!».
«Anche io ti detesto per quello che mi hai fatto!» le urlò addosso, divincolandosi «Non lo sai e non lo potrai mai sapere quello che si prova a vederti andar via!».
«Io so solo che non posso più stare senza di te».
Dainara abbassò lo sguardo. «Non è abbastanza».
«Se questo non è abbastanza, che cosa lo sarà mai?».
«Io non lo so!».
«Dammi una possibilità». Fece scivolare le mani lungo le sue spalle e sui polsi, cercandole le dita. «Ascolta, dobbiamo…».
La ragazza ritirò le mani, soffocando un singhiozzo ma obbligandosi a rimanere ferma nei suoi propositi. «No».
«Se tu mi…».
«Ho detto di no».
«Almeno riesci a dirlo senza piangere?».
«Piango perché mi fai rabbia!».
«Mi sta bene! Puoi odiarmi, respingermi, urlare, cacciarmi, fai quello che vuoi, ma dopo che l’hai fatto troviamo una soluzione».
«Non si risolve una cosa simile, Tess. Per noi non ci sarà mai una soluzione».
«Bene. Allora la creeremo».
«La devi smettere! Guarda in faccia la realtà: non c’è più nulla. È troppo tardi adesso, siamo finite molto tempo fa».
«Vorrei fosse così, sarebbe tutto molto più facile. Ma ho scoperto che la strada più facile non porta mai da nessuna parte. Abbiamo perso davvero troppo tempo Daia, non sarei in grado di sopportare altri rimpianti. Non mi metterò a pregarti se è questo che ti aspetti da me. Ma voglio dirti che non ho mai, mai voluto farti del male. E nonostante questo ce ne siamo fatte talmente tanto che ora non so come rimediare. Ma dobbiamo, dobbiamo trovare un modo. Credimi. Sarebbe impensabile vivere fingendo di non appartenerci. L’amore non può essere solo questo» aprì le braccia per indicare tutto quello che la circondava «Una stanza buia e due persone che si comportano come se non si conoscessero, come se non si volessero. E se l’amore è davvero solo questo, allora noi siamo qualcosa di diverso, qualcosa di più. Per favore…devi dirmi di sì».
«Non posso. Vorrei, ma non posso. Non ne ho più la forza».
«Allora la mia dovrà bastare per entrambe» concluse e, senza darle il tempo di replicare, la tirò a sé, stringendola tra le braccia, una mano posata sulla schiena e una tra i capelli. Inalò il suo profumo e le sembrò di essere stata lontana da quel calore per una vita e distrattamente si domandò come fosse riuscita a resistere per tutto quel tempo alla voglia di riabbracciarla.
Daianara rimase inerme contro di lei. Non ricambiò il suo gesto, nè accennò ad andarsene, e questo a Theresa, per il momento, sembrò bastare.
«Mi sei mancata» le sussurrò la rossa, stringendola ancora più forte e sfiorandole la fronte con le labbra  «Non importa se adesso non mi credi. Ho tutta una vita per farti cambiare idea».
«Non avrai un’altra possibilità» la ammonì a bassa voce la ragazza.
«Nemmeno tu».

 
♦♦♦
 
La terra possiede una memoria più lunga di quella degli uomini e ricorda distintamente le battaglie, le cicatrici e il sangue che l’hanno deturpata. Così, quando la guerra tornò infine a bussare alle porte della Sacra Cittadella, nessuno si stupì nello scoprire che fosse iniziata proprio nelle rovine di Ish-kalei, la città senz’anima.
Raven riferì ai Ministri di un esercito che procedeva lento ma inesorabile, che non provava né stanchezza né dolore, che ingrossava le proprie fila al termine di ogni nuovo scontro; riferì di un comandante sfigurato dal fuoco, di bambole che si ribellavano ai loro padroni pur di seguirlo, di città che cadevano una dopo l’altra al loro passaggio e fu a tutti tragicamente chiaro perchè la Capitale non fosse stata ancora cinta d’assedio.
«Ci stanno rubando gli uomini!» sbraitò nella sala del consiglio Kasimir «Città dopo città, paese dopo paese, quanto ci metteranno prima di arruolare tutti i totem dei borghi?».
«Solo il Maestro di Palazzo può chiamarli alle armi» ribattè Aaron.
«Non abbiamo un Maestro di Palazzo, Jheorg è morto!».
«Non ho bisogno di te per ricordarlo!».
Il Ministro di Nika li interruppe prima di esser costretto ad assistere all’ennesima, inutile lite. «La Cittadella è sguarnita, i gargoyle non basteranno a difenderla contro un esercito di queste dimensioni. E se davvero non possiamo fare affidamento sulle nostre bambole…chi combatterà con noi?».
Botte di Ferro, chino sull’immensa tavola al centro della stanza, diede voce al pensiero che nessuno dei presenti osava pronunciare. «Dovremo cavarcela da soli».
Kasimir serrò la mandibola «E come? Se i guerrieri di Tanaro non potranno fare affidamento sulla forza dei loro soldati, se quelli di Nika non potranno contare sui loro arcieri, se la cavalleria di Ennon sarà ridotta a un’accozzaglia di fantini malfermi sulle loro stesse gambe, come potremo mai vincere?».
«Non dobbiamo vincere» gracchiò l’unica donna presente. Ophelia si rigirava tra le mani il pesante cimelio di Kalendor, quasi sperasse di vedere riflesso nello specchio la soluzione a tutti i suoi mali «Dobbiamo guadagnare tempo».
«Tempo per cosa?».
«Per indire un nuovo Torneo. Ci serve un Burattinaio che possa riprendere il controllo dei suoi totem. Se non ubbidiscono ai loro padroni, a qualcuno dovranno pur dar retta».
«Come pensate di fermare un esercito colossale se gli uomini migliori sono impegnati a battersi tra di loro per ricevere la nomina?».
«Non serve che restino i migliori» riflettè il nuovo Ministro di Morèa, ma subito incontrò la resistenza di Kasimir.
«Un Maestro di Palazzo incompetente?! È questa la tua soluzione?».
«Allora ci divideremo. Le truppe avranno bisogno dei loro Ministri, non ci nasconderemo dietro queste mura mandando a morire i nostri uomini».
«Io non voglio nascondermi!».
«No, tu vuoi rimanere perché brami la nomina!».
«Se pensassi di avere a che fare con un uomo degno di questo nome, lascerei volentieri il titolo a te!».
«Adesso basta!» li riprese spazientito Zane e il tono perentorio mise a tacere i due rivali «Nessuno dei due merita di diventare Maestro di Palazzo se persino in una condizione drammatica come questa non è in grado di zittire il proprio ego! E le vostre puerili discussioni mi fanno mettere in dubbio che abbiate capito davvero a quale pericolo andiamo incontro. Che mi dici della tua famiglia, Kasimir? E della tua, Aaron? E che mi dite delle famiglie che stiamo perdendo mentre voi vi azzannate come due cani affamati? A chi servirà un Maestro di Palazzo quando non ci sarà più un Palazzo da difendere? Se non siete in grado di proporre soluzioni sensate, allora lasciate decidere noialtri sul da farsi. A causa delle nostre mancanze Kalendor e Tanaro sono già state attaccate e gli abitanti di Nika e di Ennon sono stati costretti a lasciare le loro case. Siamo in guerra e la stiamo perdendo. Hansel» chiamò il compagno «Non possiamo perdere Morèa».
«Non abbiamo abbastanza uomini».
«Dovranno bastare».
«Non basteranno».
«Allora dovremo ritirare le nostre legioni e occupare i confini tra Morèa e Nika».
Aaron scosse la testa «Per farlo…» sussurrò «Saremo costretti a lasciare sguarnita Ennon».
Botte di Ferro abbassò lo sguardo, fissando la mappa che aveva sotto gli occhi. «Così sia» concluse con la morte nel cuore «Ennon è dove si trova la sua gente. Ho giurato di difendere delle persone, non un cumulo di macerie. La nostra offensiva dovrà essere organizzata altrove. Aaron…guiderai tu il nostro esercito. Kasimir, mi servi a Palazzo: se anche Morèa dovesse fallire, avremo bisogno di qualcuno in grado di trasformare la Cittadella in una fortezza inespugnabile. Io e Hansel ci occuperemo degli sfollati. Nessuno verrà lasciato indietro. Nessuno. Non finchè ci sarò io».
Il Torneo di Palazzo venne allestito con urgenza e i suoi preparativi procedettero senza sosta, ma non abbastanza velocemente, e presto il Borgo della Ceramica si trovò ad essere l’ultimo baluardo di una resistenza ormai senza speranza.
Di fronte ad un esercito che sembrava instancabile, Zane radunò gli uomini di Ennon e gli arcieri di Nika in un disperato tentativo di difesa. Eppure quello non sembrava l’unico problema da dover affrontare.
«Non me ne starò qui senza far niente» dichiarò Theresa, ammassando sul pavimento il suo equipaggiamento, pronta a partire la mattina seguente alla volta di Morèa.
«E invece è esattamente quello che mi aspetto da te» la contraddisse Zane, la mano posata sulla spalla di Isolde e, di fronte a lui, una Daianara senza più parole.
«Tess, per favore…» la implorò ancora una volta la ragazza, spossata da una discussione durata tutto il giorno.
«Non farmi sentire più inutile di quanto io già non mi senta».
La voce del Ministro di Ennon si fece più profonda «Non è un gioco, ragazzina».
«Lo so! Ed è per questo che dovresti smetterla di trattarmi come se non comprendessi la gravità della situazione».
«Non la comprendi affatto! Nessun totem potrà esserci di aiuto in questo scontro e coinvolgervi equivarrebbe ad una resa».
«Ma se riuscissi…».
«Ho già preso la mia decisione» la interruppe bruscamente «Non fingere di non averla sentita. Non ammetterò discussioni a riguardo e sarebbe bene che tu te ne facessi una ragione. Non ti sto parlando come padre, ma come Ministro» e aggiunse brontolando «Nemmeno con Dedalo ho dovuto sprecare tanto fiato».
«E’ un cavallo!».
«E riesce ad essere più maturo di te!».
La rossa dovette mordersi la lingua prima di parlare e dopo aver soppesato con attenzione le sue parole disse: «Io non sono una bambola come tutte le altre. Almeno questa volta la mia disgrazia potrebbe giocare a nostro favore. A cosa servo altrimenti, se non posso neanche difendere le persone che amo? A cosa serve tutto questo dolore se non mi permettete di combattere per una causa che reputo giusta?».
«Non illuderti Theresa, non sei speciale come credi» bofonchiò l’uomo, mantenendo il suo sguardo, e in risposta lei cercò con gli occhi il sostegno di Daia.
«Tu dovresti essere dalla mia parte».
«Io sono dalla tua parte. Sempre».
«Ma?».
«Ma non così. Non sappiamo quale male stiamo combattendo, né sappiamo perché i totem si siano rivoltati contro di noi. Riesci ad immaginare la portata di un simile ordine?».
«Non me ne importa un accidente degli ordini! Non ne ho mai seguiti in vita mia».
«Adesso ne seguirai uno» concluse Zane «Non ti muoverai da qua, anche a costo di metterti alle calcagna tutte le guardie di Palazzo. Sai combattere, te lo concedo, ma non ti servirà a nulla fino a quando non combatterai anche con questa» si indicò la testa. «Una morte inutile aiuta soltanto il nemico».
Theresa fremette. Afferrò il fodero della sua spada, se lo legò in vita e dopo aver finto un inchino uscì dalla stanza, sbattendo violentemente la porta.
Botte di Ferro si lasciò scappare un sospiro di sollievo e accennando un sorriso rassicurò sua figlia: «Andrà tutto per il meglio, vedrai».
«Oh, papà» scosse la testa Daia, coprendosi gli occhi con le mani «La conosci così poco…».

 

Nota dell'autrice: Abbiate pietà del mio ritardo perchè la sessione estiva non ne sta avendo.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Damnatio_memoriae