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Autore: meiousetsuna    19/06/2018    3 recensioni
Partecipa al contest: “Di Lune, Torri ed Eremiti, di Laodamia94.
Vastra e Jenny hanno una relazione perfetta, eppure un avvenimento che si potrebbe considerare grave ― o forse no? ― minaccia la loro felicità.
“Credo che tu voglia che io vada via”.
“Al più presto possibile. Puoi trattenerti per la notte, è chiaro. Io resto qui a leggere, ti lascio la camera”.
“Ti propongo un patto, vuoi? Leggerò io per te, e se al mattino avrai cambiato idea rimarrò”.
“Ho confuso Salomè con Sherazade, vedo, un errore di valutazione piuttosto grave, anche se l’aspetto poteva ingannarmi. Sembra divertente, ma che vantaggio credi di ottenere?”
“Probabilmente nulla, ma cosa ti costa? Ho bisogno di un nostro rituale un’ultima volta, ti è sempre piaciuto ascoltare la mia voce. Forse ti suggerirà qualcosa. Oppure, se non ti va…”
Il velo giallo ondeggiò nell’aria, posandosi lieve sul viso strano e affascinante dell’investigatrice, per poi essere ritirato piano, come una rete da pesca fatata. Ma nulla vi era rimasto impigliato che fosse di qualche valore: le perle di Abdallah di mare, i diamanti della fata Pari-Banù, o un sorriso di sua moglie.
Pre-femslash, gender bender, bashing
[Fratelli Grimm/Disney + SherlockBBC (NO cross-over)
Genere: Fantasy, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Jenny, Madame Vastra, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per il contest: “Di Lune, Torri ed Eremiti di Laodamia94, sul forum di EFP”- Alcuni dettagli del contest si trovano nelle note in fondo.
Avvertimenti: pre-femslash, gender bender, bashing
Paring: Madame Vastra/Jenny Flint (+ un po’ tutti, Human!Dalek)
[altri fandom: Fratelli Grimm/Disney + SherlockBBC (NO cross-over)

arabian-nights

Le premesse c’erano state tutte. Nulla poteva rivelarsi più interessante per una donna di scienza ― almeno per una siluriana studiosa di chimica e di tecniche di investigazione ― di verificare le diverse regole comportamentali che governavano il complesso pianeta Terra. Certo, lei vi apparteneva come chiunque altro, ma avere del DNA di rettile non la rendeva la persona più facile da accettare, o da gestire; non per la maggior parte di quegli ottusi uomini sapiens. In cosa consistesse esattamente la loro superiorità rispetto alle altre scimmie era un curioso mistero ancora da sciogliere. Non aveva mai offerto spazio all’idea di concentrarsi su qualcun altro tanto quanto le era successo. Prima di incontrare il Dottore si era lasciata spesso andare a momenti di rabbia, lottando duramente per non cedere alla furia che la dominava tornando momentaneamente alla sua originaria forma di lucertola preistorica, per quanto di intelligenza incredibilmente evoluta. Era stato lui… certo, quel ragazzo strampalato era eccezionale, ma solo metà del merito era sua. Era un’altra la creatura speciale che era comparsa nella sua vita, cambiandola proprio perché non aveva tentato di farlo. All’inizio aveva preso in casa con sé Strax come maggiordomo e Jenny Flint come cameriera personale, per non dare nell’occhio all’impietoso e bigotto sistema sociale che era quello della Londra del loro tempo: l’anno 1888, esattamente. La città sul Tamigi, la nuova capitale del mondo industrializzato, sulla quale Vittoria regnava sovrana; il progresso avanzava sbuffando dalle macchine a vapore, le ingiustizie sociali permanevano e mostri come Jack lo squartatore gettavano la loro lunga ombra oscura sui lumi del prossimo Novecento. Proprio per quel motivo aveva accettato di collaborare con Scotland Yard; in fondo senza il suo prezioso aiuto la Regina sarebbe rimasta uccisa nell’attentato degli Zygon. La sua vita era un inconsueto mix di avventure pericolose nei mille vicoli e dedali della City e una situazione domestica, che, in confronto, era la più borghese che si potesse immaginare. L’abitazione al 13 di Paternoster Row era elegante ma non vistosa, almeno dall’esterno. La situazione però cambiava moltissimo una volta ammessi nella riservatezza della palazzina. Il ruolo principale lo svolgeva lo splendido e ampio salone dalle finestre pudicamente velate da un doppio tendaggio, che parevano conformarsi alla timidezza delle fanciulle che la moda e la decenza volevano così imbottite di sottovesti e crinoline da non mostrare un centimetro di caviglie neppure nel bel mezzo di un uragano. In realtà lo scopo di possedere un pesante panneggio di velluto vinaccia, oltre allo strato sottostante di mussola bianca, era quello di sincerarsi che né di giorno né di sera, col brutto tempo o con un raro sole che si fosse affacciato a benedire la città, sguardi indiscreti potessero penetrare nell’abitazione. Solo in piena notte si faceva eccezione. Il gusto degli arredi era squisito; una combinazione di classici mobili inglesi e pezzi dalle Indie e dal Giappone.
Proprio dietro il prezioso paravento di seta del Sol Levante, dipinto col più tradizionale dei motivi ― copiato agli artisti cinesi da più di mille anni ―, cioè tigri in agguato e aironi in procinto di spiccare il volo verso un cielo d’oro zecchino, madame Vastra poteva scorgere in trasparenza la sagoma di sua moglie. Era appena un’ombra, come quelle dei teatri orientali, e come tale pareva animare gli oggetti intorno a sé trasformandoli in attori del loro piccolo dramma privato.
Dopo una ventina di minuti Jenny uscì da dietro il paravento, inossando solo la biancheria intima. Non che ci fosse qualcosa di molto audace in un paio di mutandoni sotto il ginocchio con sbuffi di pizzo come quelli delle bambine, calze candide, la camicia di batista che spuntava dal corsetto soffocante stretto all’ultimo occhiello. Il punto era chi li stesse indossando. L’austerità della ragazza, che vestiva comunemente un completo degno di un moderno samurai, moriva lasciando spazio a una versione che Vastra riteneva fosse suo diritto riservare solo per sé. I lunghi capelli di un tono deciso di castano che, una volta sciolti, ricadevano in modo malizioso sullo scollo lambendo il seno che straripava dalla sua gabbia di stecche di balena. Gli occhi scuri che si accendevano di desiderio, e le movenze che si facevano languide e provocanti. Quella notte indossava qualcosa di nuovo, una specie di scialle giallo crema così sottile da sembrare quasi un velo da odalisca, che la giovane aveva drappeggiato intorno alle braccia.
“Lo so che l’hai capito”.
Vastra puntò le iridi blu in quelle di opale della sposa, senza degnarla di accompagnare la sua risposta col movimento di un singolo muscolo facciale.
“C’è un motivo se mi chiamano il Grande Detective. Stavo rileggendo la spiegazione priva di logica che hanno dato al caso dell’Orrore Cremisi. Forse non è stato necessario acquistare l’intera tiratura, Jenny. La prudenza avresti dovuto riservarla ad altri ambiti”.
La ragazza accarezzò con lo sguardo le duecento copie di “Un studio in verde”, tutte rilegate in marocchino della suddetta tinta, come se potessero esprimersi con parole di inchiostro e carta, come suoi avvocati difensori. ‘Non vedi quanto ti ama?’
“Non è successo nulla di irreparabile, lo sai. Un semplice esperimento, potresti considerarlo un sacrificio per la scienza. Ero curiosa”.
“Quindi hai dovuto baciarlo, vero?” Non c’era bisogno di spiegare di Chi si trattasse. “Credevo fossimo una famiglia, un nucleo che si basa su un presupposto, Jenny, che si chiama fiducia. Che il legame delle nostre anime fosse molto più importante di un suggerimento fisico. Sei l’unica sulla quale avrei scommesso, proprio perché ci siamo concesse piena libertà, senza stupide gelosie. Sposandoci abbiamo fatto una scelta spontanea, non per obbligo, credevo che fossimo una certezza. Ci siamo innamorate, rispettate e capite, e ― la siluriana indicò con un ampio gesto del braccio l’intera stanza, appena rischiarata da un raggio dell’astro pallido che si era scavato uno spazio tra i tendaggi ― come potevo pensare che fossi infelice in una vita piena di libri, raggi di luna e fiori?”
Jenny si avvicinò con passi lenti ma sicuri fino all’ottomana sulla quale la consorte era adagiata col capo e le spalle sollevate da tre grandi cuscini e un testo fresco di stampa tra le mani.
Salomè”. * Jenny non stava domandando, era sicura. Conoscevano il signor Wilde, quella doveva essere una preziosa edizione firmata dell’ultima opera teatrale dall’artista, che era stato anche il loro entusiasta testimone di nozze.
“Un regalo annunciato e una promessa mantenuta, come dovrebbe essere. Se non fosse inutile, stanotte ti dichiarerei il mio amore, sei bellissima così. Come queste illustrazioni di Aubrey Beardsley. Ma l’infedeltà non posso perdonarla, Jenny. Credo che dovremmo separarci, da persone più civili della norma quali siamo”.
“Sei convinta che basti tanto poco? Il mio cuore appartiene a te”. Se fosse stata tipo da arrossire Jenny l’avrebbe fatto, in quel momento; ma non era una scolaretta colta a marinare le lezioni, non faceva parte di lei ― di loro ― usare termini molto sdolcinati o rabbonire l’altra con un battito di ciglia. Che Vastra non aveva, per essere anatomicamente precisi.
“Con un uomo…”
“Un Signore del Tempo”.
“Mi prendi in giro?” Le pupille della scienziata si restrinsero in modo minaccioso.
“Usufruisco del tuo sottile senso ironico a mio vantaggio. Sai che non è piaggeria dirti quanto sei intelligente”.
La donna lucertola alzò un sopracciglio, acconsentendo all’ultima affermazione.
“Dimmi la verità, qual è il punto? Che sia dell’altro sesso, la qual cosa sarebbe molto banale, o la natura speciale del Dottore?”
“Non lo so, adesso”. Per un attimo la compostezza dell’assistente vacillò. “Ha significato così poco che non sono sicura. Invece credo che tu voglia che io vada via”.
“Al più presto possibile, anche se naturalmente gradirei che continuassi a collaborare con me. Puoi trattenerti per la notte, è chiaro. Io resto qui a leggere, ti lascio la camera”.
Aveva già rimosso il ‘nostra’, pronunciando quelle poche parole con un istante di esitazione quasi impercettibile, ma che non sfuggì alla sua compagna.
“Ti propongo un patto, vuoi? Leggerò io per te, e se al mattino avrai cambiato idea rimarrò”.
“Ho confuso Salomè con Sherazade, vedo, un errore di valutazione piuttosto grave, anche se l’aspetto poteva ingannarmi. Sembra divertente, ma che vantaggio credi di ottenere?”
“Probabilmente nulla, ma cosa ti costa? Ho bisogno di un nostro rituale un’ultima volta, ti è sempre piaciuto ascoltare la mia voce. Forse ti suggerirà qualcosa. Oppure, se non ti va…”
Il velo giallo ondeggiò nell’aria, posandosi lieve sul viso strano e affascinante dell’investigatrice, per poi essere ritirato piano, come una rete da pesca fatata. Ma nulla vi era rimasto impigliato che fosse di qualche valore: le perle di Abdallah di mare, i diamanti della fata Pari-Banù, o un sorriso di sua moglie.
“Ho altre proposte, se preferisci. Potresti cancellare quel bacio per sempre, se volessi”.
Qualcosa simile a un sospiro uscì dalle labbra verdi di Vastra, atteggiate a un sorrisino sarcastico.
Jenny infranse quel silenzio assordante andando di fronte alla grande libreria a parete, che vedeva sui suoi ripiani di mogano una collezione di volumi da fare invidia a una biblioteca pubblica. Senza esitazione prelevò un volume con la copertina blu pavone decorata in oro.
“‘Le più belle favole del mondo’. Vorrei questo, se ti sta bene”.
“Che preferenza bizzarra, mia cara. Piuttosto infantile, ne converrai. Ma sarà una novità, non ho mai nutrito interesse per delle storie che non mi fosse utile ricordare. C’è solo un racconto che ho ascoltato da bambina…”
“Lo so, siamo sposate. Ti conosco”, la voce di Jenny tremò appena “fa parte delle Mille e una notte; ci sono alcune di quelle fiabe, altre russe e le favole dei fratelli Grimm. Posso scegliere?”
Una mano coperta di squame fece il grazioso gesto di dare il consenso. La più piccola si sedette ai piedi dell’ottomana, drappeggiando il tessuto crema sulle spalle con fare plateale, immergendosi nel suo ruolo.

“C’era una volta, in un regno lontano, un principe molto triste. Suo padre il Re voleva che al compimento dei ventuno anni l’erede si sposasse, generando molti figli. Ma lui non amava nessuna nobile, così accettò che fosse organizzato un ballo per cercargli una sposa bellissima e virtuosa. Tutte le fanciulle in età da marito potevano prendervi parte, anche popolane, poiché i suoi regali genitori erano disperati. E malgrado i sospiri e le grigie aspettative, il miracolo si avverò. Lei era lì, splendida in un abito di candido tulle, i capelli fiammeggianti che illuminavano il salone così come il cuore del principe Lance. Ballarono tutta la sera tra l’invidia delle altre invitate, quando accadde l’impensabile. Al primo rintocco della mezzanotte, la leggiadra giovine corse via, scendendo con tale velocità la scala del palazzo da perdere una fragile scarpetta di cristallo. Ma non poteva attardarsi, così si precipitò verso il sontuoso tiro a quattro che l’aspettava, trovando…
“Hey, e tu chi saresti? E dov’è la mia carrozza?” L’atteggiamento aggraziato aveva lasciato il posto a due piedi piantati ben distanti e mani sui fianchi.
“Madamigella, mi dispiace dirle che il suo veicolo ha subito un insignificante cambiamento, cosa assolutamente non voluta! Ma può salire con me sul mio… hum.. cocchio di ultimo modello, è completamente sicuro! Allons-y!
“Cosa!? E io dovrei entrare in quell’armadio azzurro con un possibile violentatore e assassino? Anche se a guardarti bene sei un ragno secco che non fa paura a nessuno”.
La bocca del cocchiere, che già aveva una piega particolare, si spalancò per l’indignazione, mentre strabuzzando gli occhi si passava le mani tra i capelli più spettinati che la ragazza avesse mai veduto.
“Porti uno strano vestito con le righe, sei un galeotto?”
“La prego non perda tempo con dettagli inutili, dobbiamo scappare, conosco il racconto, non vorrà trovarsi ancora qui al dodicesimo rintocco. Stravolgerebbe gli avvenimenti futuri, è una storia già scritta!”
Detto fatto, lo stravagante personaggio aprì quello che era difficile definire sportello, mostrando che il mezzo di trasporto…
“È più grande all’interno che all’esterno”.
“È più grande all’interno che all’esterno!”

Pronunciarono contemporaneamente i due.
“Dite sempre la stessa cosa. Adesso mi crede? La porterò a casa in pochi secondi, e tutto filerà liscio. Il principe Lance verrà a cercarla, le farà misurare la scarpa ― l’occhio attento dell’improbabile soccorritore aveva bilanciato il termine valutando la misura quarantadue del piede scalzo ― convolerete a nozze, eccetera eccetera. Mai ritardare, presto!”
Improvvisamente l’aria baldanzosa della futura principessa si trasformò in una di comica disperazione.**
“Forse non voglio sposarmi, avere la responsabilità di regnare e fare un sacco di marmocchi! Guardami, sono qui, con questo enorme vestito di seta bianca e non mangio da un mese per allacciarlo, e quelle dannate scarpette mi hanno fatto venire le vesciche, e possibile che una ragazza non possa fare altro che cercare marito? Eh?”
“Sono le regole di questo tempo, non possiamo alterarlo, ci sarebbero ripercussioni in centinaia di galassie, signorina…”
“Donnarentola”.
“Posso chiamarla Donna? Si fida di me?” Era un quesito invero strano, posto da uno sconosciuto, ma qualcosa scattò nella mente della rossa. Leccandosi le labbra, afferrò l’orlo dell’ampia gonna strappandola con la forza delle nude mani fino alla vita.
“Sai che ti dico? Vengo con te, anzi voglio proprio godermela, forse non sei soltanto ossa, lì sotto”.
“Ma questo è impossibile!” L’uomo era balzato all’indietro con uno sguardo terrorizzato.
“Vuoi un pugno sul muso e che le tue teorie da pazzo si avverino, o ce la spassiamo? Al diavolo il principe!”
E fu così che i due partirono per cento avventure, e a Lance non restò che sposare una sorellastra di Donnarentola. Fine”.

Vastra non poté trattenere una breve risata fredda.
“La versione di Gallifrey. Sei sfacciata in un modo inaccettabile”.
Jenny ricambiò, voltando le pagine perché si potesse leggere sulla terza copertina: “stampato in Gallifrey, anno 1.657.495.345”.
“Quindi conosci quella terrestre. Andiamo fino in fondo, coraggio. Sei pronta per un’altra favola?”
La scienziata si sarebbe opposta, ma esseri fatta smascherare come una sciocca la faceva sentire in forte difficoltà.
“Ho già approvato la tua proposta”.

“Bene. Molti secoli fa, nel cuore di una foresta, vivevano due gemellini molto speciali. I genitori li avevano chiamati con lo stesso nome, talmente era impossibile distinguerli. L’unico modo l’aveva trovato la loro mamma confezionando per ciascuno un abitino di colore differente; uno era rosso e l’altro marrone dorato. Un malaugurato giorno la povertà si abbatté sulla famiglia e i bimbi vennero abbandonati a loro stessi nel folto degli alberi. Dopo aver vagato disperati e affamati stavano per crollare sfiniti, quando davanti ai loro occhi si parò una visione celestiale. C’era una casetta che sembrava proprio fatta di tutte le cose più buone che i piccini avessero mai desiderato: lo steccato era di bastoncini di zucchero rosa, il tetto di biscotti al burro, le pareti di marzapane. Le finestre erano intagliate nel cioccolato, la porta era fatta di torrone e invece di fiori nel giardino crescevano dei canditi giganti. I fratellini non erano ladri, ma non poterono resistere e si gettarono su quel banchetto inatteso. In quel mentre l’uscio si schiuse, e una donna attempata ma ben vestita e pettinata palesò la sua presenza. Era alta, con un che di militaresco nel portamento, ma nello stesso tempo molto femminile col suo abito rosa e dell’abbondante belletto sulle gote e le labbra, sempre dello stesso colore.
“Benvenuti, bambini, io sono nonna Jackie, mangiate pure a volontà”.
I piccoli erano frastornati dall’aspetto ambiguo della signora.
“Senti, vecchia, hai fatto la plastica? Hai la bocca gonfia e gli occhi tutti all’insù”.
“I tuoi capelli mi sembrano tinti”. Replicò il secondo.
Come? Schifosi mocciosi… dicevo, cari orfanelli, non si parla così a un’anziana indifesa. Come vi chiamate?”
“Dalek e Dalek”.
“Uh… che bel nome. È di famiglia?”
“No. Guarda, Dalek, ha la pelle così stirata che a un certo punto rimarrà solo la faccia come un lenzuolo di cuoio, te lo immagini?”
“Sì, Dalek. Questa casa sarebbe una buona base, non trovi?”
“Ah sì? Ingrati e stupidi ragazzini! Invece vi metterò all’ingrasso e poi vi farò al forno con le patate e il rosmarino, siete in mio potere!”
I bambini si girano meccanicamente verso la strega ― perché non si trattava di altri ― senza mostrare il minimo timore.
“Accendere il fuoco”. La voce di Dalek uno era inquietantemente metallica.
“Spingere la stregaccia tra le fiamme”. Rispose Dalek due, che non sembrava neppure umano.
“Troviamo un accordo! Starete qui senza pagare la pigione, vi adotterò, vi nutrirò!”
“Cucinare!”
“Arrostire!”
“Non siete ragionevoli, orsù!”
“STERMINARE!”
Jackie la strega antropofaga arse nel suo stesso forno, i Dalek occuparono la sua dimora e vi prosperarono per lunghissimo tempo, trasformandola in una base di guerra. Fine”.

Jenny fissò Vastra con aria di trionfo.
“Questo aggiornamento non l’avevi mai saputo, vero? Girano tante chiacchiere sul capitano Harkness, ma usarlo come strega cattiva è troppo, non credi?”
“E questo perché lavora nella Torchwood ed è amico del Dottore, anzi gli piacerebbe essere qualcosa di più. Jenny, dove vuoi arrivare? Tutti questi racconti ridicoli per tornare allo stesso punto di partenza”.
La ragazza si spostò di pochi centimetri verso il centro del mobile, mettendo il suo corpo caldo a contatto con quello freddo della siluriana, curvandosi appena verso di lei.
“Vorrei che notassi quanto le sue leggende siano popolari, e il suo fascino indiscutibile; ne convieni?”
Non ricevendo risposta, Jenny sfogliò il libro più avanti, sospirando forte e con fare languido.

“In un ridente villaggio dove le case erano circondate da roseti, nacque una bambina così bella, coi  capelli di grano e l’incarnato come i petali di quei fiori, da essere chiamata Rose. Fin da piccola aveva sviluppato un attaccamento speciale alla nonna, e quando questa cadde malata, fu sempre lei a offrirsi di attraversare il bosco e portarle provviste e conforto. Rose ormai si era fatta un’adolescente intraprendente e quando indossava la mantella rossa col cappuccio che la donna aveva sferruzzato per lei, si sentiva speciale e protetta. Un bel giorno sua madre le chiese di portare un cestino con del vino e delle focacce alla povera vecchina. Rose si avviò tranquilla lungo il sentiero, il volto parzialmente coperto dal cappuccio, distraendosi a osservare il volo di una magnifica farfalla.
“Buongiorno, cara ragazza. Tutta sola?”
Da dietro una grande quercia spuntò un uomo con un sorriso solare, i capelli biondo cenere e una stranissima casacca con una scritta: ‘Bad Wolf’.
“Non ho mai visto dei vestiti così… come ti chiami? Anche tu sei solo?”
Il giovane si avvicinò alla ragazza, giocherellando con le nappe dal laccetto della mantella.
“Mi chiamo Nono”.
“Io sono Rose, sto andando a casa della mia nonnina per portarle da mangiare, vorresti accompagnarmi? Non lo raccontare a nessuno… qualche volta ho un po’ paura di fare brutti incontri”.
Nono le mise una mano intorno alla vita, chiacchierando del più e del meno cercando nel frattempo di carpire informazioni alla biondina.
“Quindi è da tanto che fai queste commissioni?”
Lei lo guardò dall’ombra delle ciglia lunghissime, socchiudendo le labbra carnose in modo invitante.
“Da parecchi mesi, sì”. Arrivati alla casetta di legno, Rose sollevò il chiavistello facendo cenno al suo accompagnatore di entrare. C’era qualcosa di anomalo all’interno dell’unica stanza. La finestra era stata sbarrata alla bell’e meglio, e il buio era spezzato solo da un sottile raggio di sole vespertino.
“Che odore penetrante che c’è qui”.
“Nessuno fa le pulizie durante la settimana”.
“Che strano mucchio di ossa c’è per terra”.
“Sono gli avanzi del pollo che porto ogni domenica”.
“Che curioso aspetto ha la tua nonna, Rose. Sembra un cadavere in decomposizione”.
Rose fece scivolare a terra la mantella, poi si tolse gli altri vestiti, sorridendo allusiva.
“Non mi pare il momento…”
“Non voglio strappare gli abiti, non saprei come spiegarlo”.
Emettendo un urlo straziante, Rose sentì la mascella che si spezzava per lasciare posto al muso appuntito e irto di denti che le stava spuntando, mentre dalle dita martoriate fuoriuscivano delle lunghissime unghie. La sua voce adesso era gutturale e spaventosa.
“Il vero lupo cattivo sono io, temo. Non avresti dovuto seguire una sconosciuta perdendo la tua strada”.

Vastra batté le mani con ironia.
“Questa è già preferibile. Parla dell’idiozia degli umani, non mi dispiace. E quel personaggio maschile è morto, una ragazza l’ha rovinato. Non guardarmi così, sai che questo tipo di stupida vendetta non mi appartiene”.
“Non potresti, vero?”
Jenny sembrava scavarle dentro, cercando qualcosa che sapeva di poter trovare.
“L’ultima, quella delle Mille e una notte; il dolce alla fine, giusto?”
“Giustissimo”.

“Molti, molti secoli fa, nella fantastica città di Baghdad, viveva un ricco mercante. Malgrado fosse persiano, degli splendidi occhi azzurri brillavano sul suo viso dorato e tra i lunghi boccoli corvini, che parevano fatti di seta. Ogni fanciulla lo guardava di nascosto dalle finestre con le tende socchiuse, col cuore a pezzi, sognando di diventare la sua sposa felice. Ma il giovane non era interessato a nessuna di loro, voleva vivere solo e libero, viaggiando e scoprendo il mondo come più gli aggradava. L’unico a cui a volte prestava ascolto era il fratello maggiore, un uomo potente e rispettato da tutti.
“Stai attento, fratello mio, la curiosità può essere una debolezza”.
Ma il mercante rideva e lo rassicurava con mille giochi di parole. Venne però una notte nella quale il bel giovane partecipò a una festa dove si faceva musica, si beveva e tutti gli uomini osservavano con cupidigia le danzatrici coperte di veli e piastrine tintinnanti. Ma un unico volto catturò la sua attenzione. Di fronte a lui c’era una donna dallo sguardo folle, vestita di bianco, con lunghi capelli scuri che lo fissò e gli disse mimando le lettere tra le labbra: ‘Il tuo tempo sta per scadere’.
Perché era la Morte e il mercante non ne dubitò per un istante. Prese il suo migliore cavallo e corse disperato, perché pensava che arrivato a Samarcanda sarebbe stato salvo. Passò tutta la notte a scappare, quasi volando. Ma quando scese, facendo riposare l’animale esausto, l’essere terrificante era lì che lo attendeva.
“Mi hai fatta preoccupare, ti aspettavo qui a quest’ora per cogliere la tua vita, ma ieri sera eri così lontano…”
Il mercante si arrese, e si avvicinò per ricevere il bacio della Morte…”

“Non c’è il Dottore in questa favola. Ma c’è un bacio traditore. Ne hai preparate altre, nel tuo piano?”
“Continuerò fino all’alba, era il privilegio di Sherazade”.
“Puoi fermarti, adesso”.
“Perché anche io avevo capito: ho imparato dalla migliore”.
Vastra fece per mettersi in piedi, ma Jenny la bloccò premendo la punta delle dita sul suo petto.
“L’hai baciato anche tu. Anzi, stavi per farlo, ma ti sei fermata. Per questo ti senti insieme in colpa ma in grado di giudicarmi, non è vero?”
“Sì. Non ti avrei mandata via, volevo tenerti sulle spine. Sono stata davvero inappropriata”.
“Offensiva”.
“Indegna del tuo amore. Ma l’avrei fatto per la scienza. Mi perdonerai?”
“L’ho già fatto. Dimentichiamo il Dottore e il suo buffo papillon?”
“Già fatto anch’io, Flint”.
“Bene”. Jenny si mise a cavalcioni dell’investigatrice, sedendosi sul suo stomaco, mentre faceva scivolare le mani sul suo seno, il collo, prendendole poi il viso tra le mani. Quando si chinò a baciarla con passione, sentì che era l’unica cosa che desiderasse davvero, anche se non le serviva alcuna prova. Prese la lingua di Vastra tra le labbra, tirandola con delicatezza fuori dalla sua bocca in tutta la sua lunghezza da rettile, lasciandola andare lentamente.
“Coraggio, moglie. Fammi vedere cosa sai fare”.


FINE
N.d.A.= si tenga presente che Steven Moffat è lo sceneggiatore di Sherlock, e che Vastra e Jenny sono chiaramente “personaggi specchio” di Holmes e Watson. Tutta la fiction pone in risalto la sovrapposizione di Vastra e Sherlock. Da Wikia:
"The reference book 'The secret life of monsters' includes an excerpt form a book called "A study in green", in witch Vastra, Jenny and Strax encounter Sherlock Holmes and John Watson. Jenny bought all 200 copies of the book to keep it off the scelves".
* L’arco temporale (noto) della storia di Vastra e Jenny va dal 1888 al 1895: il testo di Oscar Wilde è del 1891
** Immaginate da qui la scena di “In&Out” con la battuta: “Ma sono tutti gay?” Stessa espressione ^-^ Scena

Elementi: Desiderio, affinità, famiglia; Separazione, infedeltà/Libertà, spontaneità; Follia, disordine, menzogna
Ripresa di elementi delle classiche fiabe, ma stravolti
Citazione: «With freedom, books, flowers and the moon, who could not be happy?»



 

  
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