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Autore: Cress Morlet    21/06/2018    27 recensioni
Post Avengers Infinity War
[Thor/Loki]
Le promesse erano il peggior veleno, quello a cui non si era mai abituato e a cui non era immune.
Si cade una volta, si cade un’altra volta, si cade senza toccare terra e non si smette mai di avere paura.
Anche dopo mille volte, avrà ancora paura del vuoto e di quello che era stato, di quello che è.
Morto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Thor
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Incest
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Alive, Alone Salve a tutti! Un immenso grazie a chiunque vorrà leggere questa mia mini-long a cui tengo molto e che mi è entrata nel cuore, momento dopo momento.
Avviso preventivamente che ci sono importanti Spoilers, infatti il mio testo si colloca idealmente dopo le vicende (traumatiche è dire poco) di Avengers Infinity War. Per chi ha visto il film sa benissimo cosa accade proprio nei primi dieci minuti.
Orbene la mia storia è completamente un'opera di fantasia e non vuole in alcun modo cercare di spiegare o immaginare eventi futuri del MCU e mi scuso se ci saranno delle imprecisioni. Io non ho mai letto i fumetti quindi ho sicuramente una visione personale e limitata del Mondo Marvel ma ho rivisto tutti i film prima di scrivere questa mini-long quindi spero, almeno su questo versante, di essere il più precisa possibile. I miei più sentiti ringraziamenti a Jill Butler, per avermi dato la forza di pubblicare. Sei un tesoro immenso.
Spero davvero possa piacervi!





                                                                                                        A MONSTER

There is no Thor without Loki
-Tom Hiddleston


Ever since I could remember,
Everything inside of me,
Just wanted to fit in
I was never one for pretenders,
Everything I tried to be,
Just wouldn't settle in
Monster, Imagine Dragons





“Loki. Loki, sono io. Torna a casa.”
No. No, sto bene.
Tra l’intricato velo nero e il buio più profondo dell’esistenza umana, nella disperazione più dolce dei sentimenti freddi.
Al ghiaccio, solo, con la pelle livida e tesa fino a non poter più tremare.
Morto.
Sto bene qui.
“Loki.”
Morto.
“Loki”
Si poteva morire con la neve negli occhi? Solo con un cielo squarciato e caduto a terra.
Allora sì. Allora si moriva con i fiocchi di neve tra i denti, cantando l’oscurità più indecente.
“Sono io, ti prego.”
Lasciami. Lasciami, vattene via, lasciami qui.
“Ti prego torna a casa.”
No.
“Ti scongiuro. Ti scongiuro.”
Abbandonami. Sto bene qui.
In eterno su una lastra di ghiaccio, in bilico su un precipizio, sotterrato da pezzi di stelle cadenti, con il collo ancora piegato in una maniera innaturale.
Non sento nulla.
“Loki, sono io e sono qui, non mi muovo. Sono qui. Sono qui, sono qui, sono qui... Ti prego.”
Non c’è odio. Alla fine ci sono solo i rimpianti e poi il nulla, l’assenza.
Lampi dissacranti sulle sue guance blu, dolore per i suoi occhi ancora aperti.
Sta nevicando. Ecco perché ho neve in bocca.
“Loki”
Ho freddo.
“Torna a casa.”
E dove è casa? Dove si trova?
“Ti sto aspettando, non mi allontanerò. Mai più.”
Le promesse erano il peggior veleno, quello a cui non si era mai abituato e a cui non era immune.
Si cade una volta, si cade un’altra volta, si cade senza toccare terra e non si smette mai di avere paura.
Anche dopo mille volte, avrà ancora paura del vuoto e di quello che era stato, di quello che è.
Morto.
“Loki... torna.”
Mi sento solo.
“Torna da me.”


                                                                                                   *****



Non amava l’oro.
Non gli era mai particolarmente piaciuto.
Forse un tempo, molto lontano, lo aveva tollerato e apprezzato, senza neppure volerlo.
Sì, non ricordava come e quando, doveva essere successo anche questo.
Ma poi, un anno dopo l’altro, aveva ripreso ad odiarlo.
Una follia, perché ad Asgard tutto era un susseguirsi di gioielli dorati, polvere magica e trionfi. Un tripudio di infelicità ornata di giallo, con venature attorcigliate alle colonne e ai mosaici del suo palazzo, di ogni casa, perfino delle strade più povere e disagiate.
Era stata una tortura, lunga e dolorosa, aprire ogni giorno gli occhi e trovare l’oro perfino sui suoi vestiti, sul suo capo, in tutte le ombre con bordature colorate.
Un male cieco inflitto a lui, per tutti i secondi della sua vita ingloriosa.
Gli era sempre parso uno scherzo di pessimo gusto comprendere come persino il trono non fosse niente di diverso, solo una sedia dorata.
Ma lui era il Re.
Quindi quello era, forse, un male necessario. Ottenere ciò che si brama con una tale disperazione doveva comportare necessariamente un sacrificio di felicità, fosse anche la sua.
Che tutti si inginocchiassero, si prostrassero alla sua grandezza, al suo potere.
Il Re di Asgard, seduto sul trono dorato, nella stanza più immensa, con l’oro che copriva anche le fughe tra le mattonelle del pavimento a mosaico.
Così sia, sia questa la volontà suprema.
Sofferenza nella grandezza e dolore nel momento più acuto del piacere, echi di disperazione in tutti i suoi sorrisi.
Convivere, nei secoli dei secoli, con il colore che gli avrebbe sempre ricordato lui, lo splendore onnipotente incapace di rendersi conto di che cosa si dimenticava negli angoli neri, nel buio creato da se stesso.
Più luce c’è, più oscurità tornerà.
Alla fine mi hai mai visto? Ero lì, mi hai visto?
L’aveva attraversata a piedi lui, l’ombra cieca, l’aveva vista e provata nelle vene, fin dentro le ossa piegate dal freddo e levigate dalle antenne degli insetti.
Lui era morto in quel posto.
Perché allora era su un letto?
“Loki.”
Una mano gli accarezzò il braccio per poi spostarsi sul volto e racchiudere la guancia in un modo calmo e misurato. Gli sfiorò lo zigomo e lui quasi non lo percepì, per quanto era gentile.
“È ora di svegliarsi.”
Lo vedeva già, quel colore maledetto, e dietro le sue palpebre abbassate percepiva la sua limpidezza, con un senso di fastidio estenuante.
C’era un indugiare nascosto in sentimenti che a lui non interessavano, che amava distruggere con un’azione spregevole e crudele. Doveva essere impazzito, ancora di più e sempre in maniera peggiore, altrimenti non c’era motivo per cui non muoversi e pensare solo a cose confuse, idee dimenticate un secondo dopo essere esplose nella sua mente.
“Anche quando eri un bambino facevi così. Stringevi le palpebre per non svegliarti e per far credere a tutti che dormivi profondamente. Io lo sapevo e non dicevo nulla a nostra madre.”
Vissuto da sempre come una bestia affamata alla ricerca di qualcosa, qualcosa di profondo mai trovato, in ginocchio nelle stanze dimenticate del suo palazzo, la fronte premuta sulle ginocchia per soffocare i singhiozzi.
Certi ricordi era meglio lasciarli in catene, erano lì solo per alimentare il suo odio, per darsi la forza di possedere quel sogno metà dorato e metà nero.
Non sapeva neppure lui cosa lo rendesse così smanioso e insoddisfatto, cosa fosse, cosa cercasse e sperasse di ottenere.
Era una bestia, un animale cresciuto in cattività, un orfano abbandonato.
Un buon Re, magnifico e venerato.
Morto.
“Ma ora è tardi. Il sole è già alto.”
L’oro avrebbe brillato come non mai e lui avrebbe ricominciato a provare un senso di nausea, veloce a percorrergli lo stomaco, capace di scorticarlo da dentro.
Tutta la sua intera esistenza era stata marchiata dal male e dal dolore, ogni secondo un chiodo su cui camminare a piedi scalzi.
Mai, non aveva mai conosciuto cosa fosse la pace.

Thor spostò la mano verso la sua mandibola, scese piano a toccargli il mento e poi le ossa della gola, indugiando al livello della giugulare.
Gli bruciarono i palmi e un pensiero solo si fece largo tra gli altri, una certezza che gli strinse la pancia talmente forte da dare un sapore acido alla saliva, un fastidio tra i denti e la lingua attaccata al palato.
Era vivo.
Cominciò a tossire e gli sembrò che i polmoni fossero contratti, fossero stretti in un pugno, in un modo tale da impedirgli di respirare. Aprì gli occhi e cercò confusamente un appiglio, scostò il lenzuolo ma non riuscì a sollevare il petto, pesante e duro.
Non riusciva a far niente che non fosse cercare aria, aria, un respiro.
Gli occhi diversi di suo fratello cercarono i suoi e poi le sue mani gli circondarono il volto, bloccandolo, mentre lo pregava per qualcosa di cui lui non riusciva a distinguere le parole.
Era solo un ronzio fastidioso, uno spillo nel timpano.
Aiutami.
Prese aria dalla bocca aperta ma vide dei lampi viola dinanzi alle sue pupille e percepì di nuovo quel sapore acido e nauseante risalirgli la gola.
Aria, aveva bisogno di aria.
Si aggrappò alle braccia di Thor e strattonò la manica del suo abito, tentò di rispondergli ma ricominciò a tossire e sputare, ispirò altra aria e ancora gli uscirono dei rantoli soffocati.
Aria.
“Loki, guardami. Concentrati e guarda me.”
Thor scosse le sue spalle e non lo lasciò andare, veloce gli allontanò i capelli dal viso e dalle labbra, posò un palmo sulla sua fronte e l’altro sul cuore, come a contare i battiti, per accettarsi fosse tutto vero.
Perché lui era un morto che aveva bisogno di aria.
“Respira. Respira pianissimo.”
Passò una mano fra i suoi capelli neri e poi la riportò sulla fronte, quasi massaggiandogli le tempie.
I morti non respirano.
“C-cosa...”
“Respira.”
Avvicinò il volto al suo, adagiato su un cuscino e distorto dagli sforzi di non vomitare, e lo costrinse a guardare solo la sua espressione preoccupata.
Perché erano a quel punto? Perché non poteva... aria, aveva bisogno di aria. Aria.
Loki inspirò dal naso e lentamente cominciò a lasciare dei respiri, fiato contro la barba bionda dell’altro Re, contro le sue labbra e il mento.
Continuò a stringere forte i gomiti di Thor, senza accorgersi delle mani che tremavano incontrollabili insieme al suo corpo.
“Respira insieme a me. Va tutto bene, andrà tutto benissimo.”
Bugiardo, da quando hai iniziato a mentire così sfacciatamente? E ancora così male, ti sei esercitato ben poco.
Stupido figlio di Odino, troppo nobile e giusto.
Stupido e basta. Stupido.
“Thor”, sussurrò, e socchiuse per un momento gli occhi, non comprendendo cosa ci fosse nello sguardo dell’uomo che aveva tanto odiato, se fosse sollievo o qualcosa di diverso, di estraneo a entrambi.
Perché i morti non possono parlare.
Inspirò ed espirò, alleviando il dolore al petto e la stretta allo stomaco.
“Thor, che cosa hai fatto?”, domandò, e lo sforzo gli strappò una smorfia e lo costrinse a rannicchiarsi contro l’ampio torace del fratello.
Stupido, perché sono qui? Dove sono?
“Sei tornato a casa. Questo è l’importante.”
A quale prezzo?
Meraviglioso e splendente oro della mia vita, adesso che cosa mi hai fatto?
L’odio più profondo io l’ho imparato da te.
“Thor”, mormorò, e il suo tono era urgente, agitato.
“Conserva le forze e riposa. Abbiamo tempo, fratello.”
E da quando i morti hanno il tempo dei vivi?
Alzò il viso e respirò male, troppo forte, quasi fosse una bestia ferita, e per sbaglio gli graffiò la pelle dell’avambraccio, nel tentativo di non cadere o scivolare.
Le gambe tremarono ancora e lui vide le sue coperte dorate fasciargli il corpo, il pavimento luminoso, le pareti brillanti.
Il suo incubo era ovunque, fino a sovrastarlo con carne e sangue.
Specchi sul fondo della sala e una finestra immensa, ogni cosa riflessa nell’altra, in un gioco studiato.
C’era davvero il sole alto nel cielo.
“Il Sole sta morendo”, disse, e una certezza lo piegò fino a spezzarlo e accartocciarlo.
Vogliono ucciderlo e un crimine del genere è perverso, crudele e inimmaginabile persino per un mostro come lui.
Fratello, vogliono uccidere il Sole.
La vista si appannò e si accorse tardi di alcune lacrime lungo le sue guance, di gocce cadute leggere tra loro due.
Un respiro fu più difficile, più graffiante, e poi il petto si rilassò insieme ai nervi delle sue dita bianche.
Spostò lo sguardo rapidamente per tutta la stanza e un pensiero si spezzò in più parti nella sua mente, disgregando la sua lucidità.
La finestra era troppo grande, gli specchi gli restituivano un’immagine sfalsata, impossibile, e poi il cielo... il cielo era bellissimo.
Ti darò tutto ma ti prego salva il Sole, salva il Sole, salva il Sole. Sta morendo.
Capì tardi che i singhiozzi erano suoi e il formicolio alla nuca un messaggio di avvertimento, un segnale da ricordare.
C’era il male vicino a loro, perché le stelle muoiono mangiandosi lentamente e qualcuno vuole ucciderle tutte, a qualsiasi costo.
Il Sole sta morendo.
I singhiozzi erano lamenti e le spalle sussultavano a scatti mentre un dolore alla fronte gli impediva di capire quale fosse la realtà, cosa esistesse davvero.
La luce lo accarezzò e a lui sembrò volesse donargli un ultimo sprazzo di vita.
Non era morto? Perché era vivo?
“Il Sole.”
Quale mostro?
“Loki, ascoltami.”
Quale mostro ucciderebbe il Sole?
“Il Sole sta morendo”, biascicò, mordendosi la lingua.
Thor gli fece posare la testa sulla sua spalla e lo abbracciò, lo rinchiuse tra il suo addome e il materasso senza permettergli di muoversi, di vedere la stanza sempre più luminosa con le ombre rannicchiate ai quattro angoli.
Fa troppo male. Salvalo, salva il Sole.
Era come essere fuori dal proprio corpo e allo stesso tempo troppo dentro. Sentiva tutto e all’improvviso non sentiva niente.
Non era abituato, non dopo la morte, a tutte quelle emozioni e sensazioni, a quell’equilibrio precario che era la vita di ogni uomo.
E aveva ancora paura di morire, dopotutto.
Quanto era patetico.
“Il Sole morirà.”
Singhiozzò contro il collo di suo fratello e il capo cominciò a ciondolare senza forze mentre lui ripeteva, come una cantilena, sempre le stesse parole.
Provò a nascondersi dalla luce ma l’oro sembrava volerlo seguire, vendicandosi e tormentandolo.
Con la voce pastosa continuò a parlare, gli disse cose che non comprendeva e non ricordava, prendeva poco fiato e muoveva le labbra così vicine al suo orecchio da poter trascinare ogni sillaba delle sue frasi folli.
Perché lui era lì? Perché era vivo?
Il Sole sta morendo, salva il Sole.
E chissà perché a lui interessava tanto della salvezza di una stella già morta e agonizzante.
È una stella dorata, salvala.

Thor continuò a proteggerlo, con le braccia intorno alle sue spalle e le mani tra le scapole sporgenti, il mento tra i suoi capelli. Loki gli strattonò la maglia rossa, percorrendogli tutta la schiena.
Che sensazione strana.
“Il Sole morirà ancora”, disse, e assaggiò le sue lacrime.
Avrebbe dovuto odiarlo, quell’oro regale, avrebbe dovuto desiderare la sua morte.
Dove sono? Che cosa è successo?
Avrebbe dovuto fregarsene.
Sono vivo?
Ma gli ricordava qualcosa.
Morire non era il mio solo diritto?
Qualcosa di bello.
“Non permetterò a nessuno di far del male al Sole”, gli promise Thor, fronte contro fronte.
E il buio lo accolse come una benedizione.


                                                                                                   *****


Non... non capisco.
La luce soffice delle candele illuminava fiocamente la stanza e gli angoli avevano le sembianze di buchi neri, profondi, da cui sarebbero potuti sgusciare i suoi peggiori incubi, figure disumane con zanne e artigli macchiati di liquido scuro e denso.
Non gli piaceva, lo nauseava, quel nero poco chiaro, appena rischiarato da sottili lingue gialle, perché gli ricordava l’oscurità avvolgente delle tombe scavate nei sotterranei del palazzo.
Gli oggetti apparivano talmente impalpabili da avere la consistenza di un sogno, di un incubo lontano e distorto dalla febbre. L’aria stessa strisciava gonfia e lattiginosa, come graffiata da gusci di noci rovinate.
Un’atmosfera lugubre e decadente pesava sul suo capo, un odore di bruciato si alzava verso l’alto, stordendo i suoi pensieri e le sue palpebre stanche.
Ogni cosa assomigliava ad una veglia funebre antica e l’idea lo divertiva e disgustava al contempo.
Represse un sorriso storto, mangiucchiandosi le labbra, e deglutì piano pensando di poter acquietare la sua ansia.
I suoi respiri lenti seguivano il ritmo dettato dal dito indice che ticchettava contro l’unghia del pollice. Le braccia erano rigidamente stese lungo il corpo mentre le gambe, ferme e troppo pesanti, erano attraversate da un bruciore doloroso ai muscoli e ai tendini.
Non andava bene, no, non andava affatto bene.
Eppure qualsiasi male e fastidio sarebbero stati sempre preferibili all’assenza, al vuoto, al mero niente da cui era tornato.
Sano e salvo, finalmente a casa. No?
Agitato, una goccia fredda di sudore gli strinse la nuca, avvolgendogli il mento come una sciarpa di ghiaccio.
L’angoscia gli attanagliò lo stomaco con un violento calcio e una sensazione sgradevole camminò su tutto il suo corpo.
Certo, lui lo sapeva.
Lo aveva scoperto da bambino e aveva accettato il compromesso della vita, si era piegato al dazio ed era sceso a compromessi con la realtà dei fatti, come ogni dio e sovrano esistente.
Sei vivo solo se soffri.
E quindi lui aveva vissuto più di chiunque altro, non era così?
Almeno, in quel modo, la sofferenza avrebbe avuto un senso.
Tutto quello che aveva patito e le bugie in cui aveva vissuto rigirandosi tra esse come un corpo nudo tra le lenzuola, allora tutto avrebbe avuto un suo fine ultimo.
No?

Gettò lo sguardo verso destra e riuscì solo a intuire il buio oltre le finestre, la notte nera calata a togliere colore al cielo.
Del pulviscolo pioveva e danzava fra le pozze di ombre chiare, si depositava lento sulle superfici di legno intarsiato con linee decorative.
Le fiamme delle candele si prostravano sulla cera, in un inchino ironico alle sue pupille offese dalla luce, a causa della prolungata oscurità. Un cieco orrore da cui nessuno sarebbe dovuto tornare, se non più folle di prima.
Lui si era svegliato da poco o forse no, non era vero, forse osservava ogni angolo di quella stanza da ore, procrastinando il momento della lucidità, del capire perché aveva ricominciato a respirare e pensare.
Non si chiedeva da dove derivasse quella paura, il terrore morboso di alzarsi e parlare con qualcuno che, di grazia, avesse il buon senso di riferirgli la verità.
Quanti secondi esistono nella fine eterna? Ci sono i secondi?
La sedia posta vicino al suo letto era vuota e nessun rumore disturbava quella calma innaturale, anche i suoi respiri erano silenziosi, a volte trattenuti.
Non c’era nessuno oltre lui, non sotto quel soffitto decorato con le immagini trionfanti delle prime campagne militari di Asgard.
Suo fratello alla guida di un immenso esercito, le mani sporche di sangue e lo sguardo spietato in nome della pace.
Risplendeva tra i suoi fulmini, brillava da solo pur tra migliaia di altri uomini valorosi, aveva l’aspetto di un Sole risorto dopo centinaia di anni di prigionia.
Un’illusione appagante.
Ancora l’oro, di nuovo l’oro, sempre l’oro.
Cosa era successo prima? Quanto tempo era trascorso?
Le finestre erano chiuse e refoli di vento filtravano dalle fessure sottili, le tende verdi coprivano i vetri e strisciavano fino a toccare il pavimento.
Non vedeva altro se non pochi mobili, una specchiera in penombra, le immense porte di legno scuro con i battenti di ferro.
Vivo e solo.
Nulla di diverso dal solito, quindi.
Abbandonato, da quando aveva modo di ricordare, in un’estenuante solitudine di anni e anni, costretto a vedere solo se stesso nel riflesso di ogni specchio.
Un pugnale seghettato, piantato costantemente al centro della sua schiena, tra le vertebre, a imperitura memoria che i primi a tradire sono sempre i familiari più devoti.
Lui, solo, lo era stato dalla culla. Ad ogni pianto senza un abbraccio, ad ogni ferita senza cura, ad ogni desiderio espresso mai realizzato.
Ogni giorno aveva osservato se stesso in uno specchio, ore perdute della sua giovinezza, e tutte le volte aveva trovato solo i suoi lineamenti più induriti, affilati. Malvagi e cattivi nel momento esatto in cui aveva deciso di seppellire qualsiasi buon sentimento.
Solo, da sempre e per sempre.
Solo, con la sua rabbia di orfano non voluto e destinato alla morte.
Solo e basta.
Il figlio bastardo lasciato su una roccia di ghiaccio.
E nel suo tormentarsi aveva ignorato l’esistenza di alcuni istanti, brevi e quasi impossibili, in cui chiudendo gli occhi aveva visto il suo volto sorridergli.
Combatterò per sempre al tuo fianco, Loki.

Una rabbia improvvisa, un capriccio infantile, lo animò scorrendo nelle vene.
Lui poteva essere vivo ma il ragazzino infelice e desideroso di essere guardato, apprezzato, lo aveva ucciso e fatto a pezzi da tempo e con le sue mani.
Io e te insieme, non è meraviglioso?
Con le braccia si fece forza, strinse il materasso e il lenzuolo nei pugni, digrignò i denti soffocando diverse maledizioni ma sollevò il petto e si mise seduto, la schiena contro la testiera.
Non ho un desiderio più grande di questo, Loki.
Un coltello nel suo addome avrebbe fatto meno male, perché non gli avrebbe spezzato il fiato in quel modo, chiudendogli la gola secca e contraendogli i muscoli del viso.
Lo aveva sempre colpito a tradimento, una spirale infinita di ferite mai curate, aperte dal sale e dall’aria.
Non ci separeremo mai, Loki.
Vivo, solo e in difficoltà. Davvero nulla di nuovo, una replica amareggiante di tutta la sua vita.
Gettò le coperte di lato e scoprì i suoi abiti aderenti blu, i pantaloni fascianti che lo coprivano fino alle caviglie e le maniche larghe della maglia che rendevano goffi i suoi movimenti.
Voleva alzarsi e trovare un rifugio vicino, correre veloce e mettere tutta la distanza possibile tra lui e il suo ingestibile fardello.
Ovunque ma non lì, non più.
Perché sotto pelle, tra le macerie nascoste del passato, c’erano ancora le sue parole e le sue frasi capaci di tagliare via ogni superflua resistenza.
Mi fido solo di te, fratello.
Toccò le sue gambe e si rese conto che erano pesanti solo perché addormentate, un sottile pungere di spilli lungo tutta la sua carne.
Una nuova fitta al costato gli fece tremare i polsi, lo costrinse a serrare la mandibola mentre allontanava alcuni cuscini, quelli posti ai lati del letto affinché lui non cadesse.
Non era il momento di stracciare i veli patetici degli anni passati, di svelare alcuni segreti che aveva preferito mantenere anche con se stesso, pur di non impazzire del tutto.
Doveva agire e, se necessario, fuggire.
Doveva ritrovarsi distante da quella camera e poi dalla città, pianeta, qualsiasi cosa fosse quel mondo su cui lui ora aveva posato i piedi.

Si diede schiaffi alle cosce e premette i talloni contro il pavimento, imprecò contro le ginocchia che si rifiutavano di rimanere piegate e afferrò il bordo del materasso, arrossandosi i palmi nel tentativo di alzarsi e reggersi sulle sue gambe.
Provò una volta, un’altra, un’altra ancora ma ricadde sempre sul posto, con i capelli sudati che si attaccavano alle tempie.
“Maledizione.”
Un pugno contro il femore, poi di nuovo uno schiaffo.
“Maledizione. Maledizione!”
Neanche fosse una bambola di pezza scucita in tanti batuffoli di cotone.
Si passò rabbioso una mano tra i capelli e forzò i muscoli al limite, sentendo degli strappi al livello di ogni giuntura.
Si morse le labbra e deglutì sangue, respirò con affanno, stanco, e quando scivolò a terra rise perché, cercando di aggrapparsi al comodino, lo aveva trascinato a terra con sé e gli oggetti lì sopra si erano rotti, in piccole schegge di vetro riflettenti solo una parte del suo volto.
“Maledizione”, ripeté, e rise con la bocca chiusa, la lingua tra i denti.
Sono fiero di te, Loki.
Davvero, Thor? Sei sempre stato fiero di me? Sempre?
Accucciato sul pavimento, come una bestia, un mostro ferito a morte.
La vita nella sofferenza, l’unica realtà che aveva conosciuto meglio di qualsiasi altro derelitto nell’universo.
Nulla di nuovo per il Principe Bastardo, il mancato Re.
Tutto sempre uguale.
Quanti secondi esistono nella morte?

Si mosse a tentoni e si ferì i palmi per sbaglio ma all’ultimo trattenne un lamento, sentendo dei rumori provenire dal corridoio adiacente alla sua stanza: un ordine imperioso e delle chiavi girate nella toppa, ingranaggi scattati in uno schiocco di dita.
Mai, fratello, mai.
La porta si aprì e dei passi lo raggiunsero velocemente, il rimbombo delle scarpe sul pavimento fu come il rintocco di una campana lanciata contro le pareti di un campanile. Il passo militare di un soldato tornato dal fronte, di nuovo a casa.
Lui conosceva quei passi.
Non ti abbandonerò mai, fratello.
Loki guardò tra le fughe delle mattonelle e sorrise aspirando la polvere, gli stivali del Re sotto il suo naso.
Tossì, trattenendo dei rantoli sottili, e poggiò le rotule a terra, spostandosi con i gomiti.
“Sono in ginocchio ai vostri piedi. Altezza.”
Sollevò gli occhi e non abbassò lo sguardo, nonostante Thor lo osservasse incredulo.
Non era poi cambiato molto, no.
Era solo più stanco, con le occhiaie viola a contornare i suoi tratti e le rughe vicino agli angoli delle labbra.
“Vostra Grazia, desidera altro?”
Parlò aspro e l’amarezza delle sue parole la gustò sotto la lingua e sul palato, infischiandosene del sapore pungente.
Lo guardò e non poté trattenersi dal sorridergli più sfacciatamente.
Oh, l’aveva promesso.
Ed era suo fratello quello che manteneva ogni giuramento, a qualsiasi costo, anche massacrando parti del suo onore e di amor proprio, l’eroe disposto a morire in nome della parola data.
Lui era lo spergiuro, il menzognere, l’uomo che faceva promesse solo per non mantenerne nessuna, con il gusto sadico di vedere la tristezza negli occhi della persona tradita.
Era la loro natura ciò che li aveva fatti arrivare a quel punto, fermi lì a fissarsi.
L’uno in piedi e l’altro steso sul pavimento, a vedere chi per primo avrebbe abbassato le armi.

“Vostra Grazia, desidera di più? Per esempio la mia imperitura... fedeltà?”
E alla fine suo fratello aveva davvero attraversato l’Inferno pur di salvarlo.

Strisciò sulle ginocchia e premette di nuovo le mani sui cocci di vetro, la pelle livida e un pizzicore pungolante sotto le unghie.
Ogni promessa è un debito da pagare con gocce di sangue, lacrime, sudore sporco.
Loki schiuse le labbra per dire qualcosa di dissacrante ma Thor cadde pesantemente dinanzi a lui e si chinò a stringerlo fra le braccia, piegate intorno alla sua schiena in una presa ferrea, disperata.
Non li voleva i suoi abbracci, non se ne faceva niente, ora non servivano più.
Cercò di allontanarsi, colpendo le sue spalle e il petto, scostandosi dalle sue carezze -invadenti, attente.
Con il naso affondato nella curva del suo collo sentì Thor respirargli nell’orecchio, a fatica.
Una strana consapevolezza gli ruppe le costole, gli sciolse la lingua in una domanda.
“Hai pianto?”
Trasalì quando il fratello gli afferrò il mento e lì si accostò con le labbra, silenzioso.
“Hai pianto?” ripeté.
Un gelo fin dentro le sue ossa lo costrinse a poggiare un fianco quasi per terra, scivolando all’indietro sulle mattonelle a mosaico. Tirò la sua maglietta e poi anche la pelle e la barba mentre la tensione del suo corpo vicino gli fece piegare il volto, arrossato per lo sforzo.
“Ho pianto. Come tutte le altre volte”, gli rispose Thor, a bassa voce.
Una bellissima disperazione sulle sue labbra.
“Quale onore” lo schernì, girando il viso verso la specchiera.
I dolori più dolci li aveva sempre provati contro il suo petto.
L’equilibrio perfetto sul ciglio di un abisso infinito, l’essenza del suo cuore maledetto.
Aveva vissuto così, ogni momento di ogni giorno di tutta la sua vita.
Il mostro solo e disperato, cresciuto a pane senza sale e illusioni magnifiche.

Scalciò e tentò di sgusciare via dal suo tocco, di aggrapparsi al tessuto del tappeto verde poco distante da lui, di nascondersi perché era troppo debole.
Aveva poche forze e nessuna volontà di resistere a lungo, non con quella sensazione di dite congelate avvolte intorno alla sua nuca.
“Sei solo stanco e sei confuso.”
“Smettila di toccarmi!”
Sbatté i pugni e le ossa scricchiolarono dopo aver colpito il terreno duro mentre i capelli gli coprivano le guance incavate, rosse nello sforzo di non balbettare.
“Non toccarmi e dimmi cosa hai fatto al mio viso. Cosa hai fatto a me.”
Non esiste fine al male che sei capace di infliggermi. Puoi solo continuare, vero?
Thor non si scompose e rafforzò la presa nell’incavo morbido tra le sue braccia e il petto, lo aiutò a sollevarsi da terra nonostante lui continuasse a dimenarsi e a maledirlo.
Si ritrovò seduto tra le lenzuola arrotolate, le ginocchia scontratesi contro l’angolo del materasso, i polpacci rigidi e i muscoli esausti.
Loki gli lanciò contro tutti i cuscini, quei guanciali sgualciti gettati prima ai piedi del letto, e con rabbia gli fermò i polsi, affondando le unghie nella pelle calda.
“Come hai fatto? Questa è l’opera di un disperato e, fidati, io so riconoscere la disperazione. A chi ti sei venduto?”
Lo guardò negli occhi e vide che il grande Re lo stava osservando in una maniera infinitamente triste.
Aveva gli occhi ancora rossi per il pianto.
“A chi mi hai venduto?”, insistette, adirato.
Ma suo fratello continuò a guardarlo e dietro il suo sguardo c’era qualcos’altro, qualcosa di più pericoloso.
Un mostro lo stava divorando dall’interno, consumandolo un pezzo alla volta, lentamente.
Simile a una stella senza punte, simile a un pensiero abbracciato al suo tallone destro.
Cosa ti ha ferito più di me?

Thor si avvicinò, attento a non toccargli il viso, ma dei fili invisibili li incatenavano, li univano ancora. Come era sempre stato.
Che cosa mi hai fatto?
“Mi sei mancato, Loki.”
Con un pollice il Re sfiorò da lontano la sua guancia e lui si ritrasse, mordendo le labbra fino a spaccarle.
“Cosa è successo?”
“Lo rifarei, lo rifarei mille volte.”
E diceva il vero: lui non era pentito.
Fu un ennesimo schiaffo contro un volto già offeso, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato da un uomo tanto buono e giusto.
Un pugnale più affilato che riapriva ferite di cui erano rimaste solo cicatrici bianche.
“Vostra Altezza allora dimostra un desiderio di vendetta mai appagato. Un odio profondo, un appetito mostruoso.”
Gli lasciò il polso e un senso di oppressione gli avvolse la testa, inducendolo a chiudere gli occhi.
Ma vedeva il suo volto, ancora, anche con le ciglia abbassate.
“Ora dovrei ringraziarti, dunque? Pretende questo l’etichetta?”
“Devi calmarti, Loki.”
“Io ero morto”, sibilò, a denti stretti.
Sentì la sua mano accarezzargli l’orecchio e lì rimanere, immersa tra i suoi capelli.
Come una nuova prigione, un luogo di disperazione da cui sarebbe stato difficile fuggire.
Il pollice sulla sua guancia era un piacere sottile di cui non aveva mai dimenticato il sapore, una morte oscura che aveva ripudiato strappandosi il cuore dal petto, scavando a mani nude.
Neppure le ceneri erano rimaste di quel bambino sofferente, non c’era più niente.
“Te lo prometto, fratello. Andrà tutto bene.”
Le sue dita, di nuovo, si spostarono a sfiorare le ossa della sua gola, nel punto esatto in cui avrebbe dovuto esserci qualcosa di rotto.
Lui manteneva sempre le promesse.
“Sei un folle, Thor. Sei un folle.”





   
 
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