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Autore: TheWalkingNerd    25/06/2018    6 recensioni
Zio Augusto raccontava spesso di quella volta in cui il mostro nell'armadio gli aveva mangiato due dita della mano.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zio Augusto raccontava spesso di quella volta in cui il mostro nell'armadio gli aveva mangiato due dita della mano.
La prima volta che me lo disse ero seduto in cucina, a spalmare marmellata su una fetta di pane. Mentre ripulivo le dita appiccicose su un tovagliolo, zio Augusto indicò l'armadio in legno della sua stanza.
Lì dentro ci vive un mostro. 
Che mostro?
Dondolavo le gambe sotto al tavolo e mi sporgevo oltre la parete bianca del corridoio. Ne vedevo solo un lato, nella penombra. 
Zio Augusto serrò le labbra. Il mostro che mi ha mangiato due dita della mano.
Ho abbassato gli occhi. Oltre la giacca verde scuro, la carne dell'indice e del medio era biancastra e rattrappita. 
Ho allontanato la fetta di pane.
Non devi avvicinarti a quell'armadio.
L'ho fissato così a lungo che ad un certo punto ho sentito davvero uno scricchiolio e ho visto un'ombra allungarsi sul pavimento. 
E se esce? (1)
Non esce. Tu non aprire l'armadio.
 
 
Una volta, zia Rosa mi chiese di andare a prenderle il grembiule nella sua stanza. La stanza di zia Rosa e zio Augusto era sempre avvolta nella penombra, con quel vago odore di stantio delle case vecchie. Anche a quella distanza, l'armadio era dieci volte più grosso di me, pronto a inghiottirmi.
Il cuore martellava nel petto come le ali del mio colibrì contro la gabbietta. Io, da solo, nella stanza?
Zia Rosa aveva le mani già sporche di farina. Ma sì. Che sarà mai? E poi, con un sorrisetto, Niente grembiule, niente torta.
Mi sono avvicinato alla soglia, sempre fissando l'armadio. Se avessi distolto lo sguardo, il mostro sarebbe uscito e mi avrebbe mangiato le dita, come era successo a zio Augusto.
Non avvicinarti all'armadio.
Valeva la pena rischiare la mano per una torta?
Ho fatto un passo dentro, con le gambe di gelatina. Ho appoggiato la schiena al muro e mi sono spostato sulla sinistra, strisciando contro la parete. Sempre con le viscere annodate. 
Ho sbattuto la spalla sul cassettone e la ballerina di vetro poggiata sopra ha iniziato a oscillare. Il tonfo mi svuotò i polmoni come un pugno in pieno stomaco. Ma nel cassettone non c'erano mostri, giusto?
Uno scricchiolio rimbombò nella stanza.
Ho afferrato il grembiule dalla sedia e sono tornato in cucina. Non ho mai corso così veloce, nemmeno durante le semifinali di atletica.
 
 
Non ho mai aperto quell'armadio in trentadue anni. Non sono nemmeno entrato nella stanza, dopo quella volta. Per rispetto, mi dicevo: in verità, ogni volta che attraversavo il corridoio, non perdevo mai di vista l'armadio e lo strato di polvere che gli volteggiava attorno, illuminato da un raggio biancastro di luce.
Adesso lo sto fissando con lo stomaco aggrovigliato e le labbra serrate. Quella di zio Augusto doveva essere solo una storia per spaventarmi, eppure il sangue mi rimbomba nelle orecchie.
Afferro i pomelli e spalanco le ante.
La naftalina è un pugno alle narici. Dentro, solo i pantaloni grigi e neri di zio Augusto, le camicie bianche e un fucile da caccia con il calcio scheggiato. 
Svuoto i polmoni. Che ti aspettavi?
«Finito, lì dentro?» 
Marina si affaccia sulla soglia. Ha Gioele in braccio, il vestito nero stringe la pancia.
Annuisco. «Arrivo.» 
Chiudo le ante. I passi di Marina rimbombano nel corridoio. Stanno aspettando tutti me, di là. Mi mancherà questa casa, il suo odore di chiuso, il legno rosicchiato dalle tarme, le torte di zia Rosa e persino le storie di zio Augusto sul mostro nell'armadio.
Stropiccio gli occhi. Non voglio piangere.
Nascondo il viso nelle mani e respiro piano. Dentro, fuori. L'aria arroventa i palmi e il viso. Sto bene. Ma non ho voglia di sentire le solite stronzate sulla vita che va avanti e i posti migliori. Non oggi.
Passo le dita sotto gli occhi e tiro su con il naso. Va tutto bene.
Uno scricchiolio riecheggia nella stanza.
Apro gli occhi. L'anta dell'armadio è aperta. Aggrotto la fronte. Ero sicuro di averla chiusa. 
Scuoto la testa e afferro il pomello.
Una fitta saetta lungo le dita della mano, strappandomi un urlo.



 E se esce? Ho preferito scrivere la frase in questo modo per mantenere il linguaggio semplice di un bambino.

Questa storia nasce quasi come un esercizio di stile: in un articolo che stavo leggendo, si parlava del fatto che Stephen King riesce a incutere terrore nel lettore con qualsiasi cosa, da una scimmietta a batterie ad un dito. Ovviamente, non ho mai preteso di arrivare al livello di King, però, nella mia testa bacata, partire da un qualcosa di banale come un armadio poteva essere una preparazione per un horror più "serio". Sì, non fa una piega.
Scemenze a parte, spero che questa cosetta (651 parole) vi abbia intrattenuto quei due minuti che servono per leggerla e, perché no, vi abbia dato un brividino.
Curiosità random: nella mia testa, il protagonista si chiama Valerio.
Un armadio di cuori a chiunque sia arrivato fin qui!
   
 
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