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Autore: Laitalee    10/07/2018    0 recensioni
I ricordi di Thorin dopo la battaglia di Azanulbizar, durante la quale ha conquistato il soprannome con cui è diventato famoso in tutta la terra di mezzo.
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Azog, Dáin Piediferro, Thorin Scudodiquercia, Thrór
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vecchi ricordi...

La notte dopo la battaglia di Azanulbizar, eravamo nelle tende attorno al campo, distrutti dalla stanchezza e dal dolore. L'odore di sangue, di morte provenire dai caduti era talmente soverchiante che non potevi respirare, ed il silenzio... era irreale. Solo ogni tanto sentivi un corvo gracchiare, ma il silenzio era totale, come se per miglia tutto intorno ogni animale, tranne noi, fosse fuggito da quel luogo.

Forse dovevamo farlo anche noi, invece di insistere contro gli orchi, fino a farci uccidere quasi tutti, pur di sconfiggerli. Ricordo che non riuscivo più a pensare a nulla. Ero come svuotato, avevo cercato finché avevo potuto il corpo di Thrain, mio padre, senza trovarlo. Avevo preso i resti di Thror, mio nonno, il suo corpo e la sua testa, con lui avevo deposto Frerin, mio fratello, caduto mentre cercava di difenderlo, e avevo preparato personalmente la loro pira funeraria, come avremmo fatto nei giorni successivi per tutti i nostri caduti, visto che non potevamo seppellirli tutti, secondo le nostre usanze, e mentre cantavo gli inni funebri, il canto mi aveva svuotato di ogni pensiero. La lunga preghiera ad Aule di prendersi cura dei caduti, cantata in coro da tutti i nani, si era insinuata dentro di me, cancellando ogni altro pensiero, lasciandomi freddo e calmo, alla fine.

Ricordo che mi sedetti nella mia tenda, che avrei dovuto condividere con i miei familiari, e dove ero solo, per la prima volta da quanto eravamo fuggiti da Erebor, con poggiato in grembo il ramo di quercia che avevo usato per difendermi, quando Azog aveva spaccato il mio scudo, e lo tenevo stretto, come se fosse una specie di talismano. Avevo pensato di buttarlo nel fuoco, a bruciare con mio nonno, ma non ci ero riuscito. Lo avevo tenuto, come una specie di portafortuna, perché era a quel ramo che dovevo la mia vita. Il primo a darmi il nome con cui sono diventato famoso fu Dain. Mi vide il giorno dopo, e mi strinse tra le braccia, chiamandomi così.

Scudodiquercia.

Non mi si è più staccato, quel nome, eppure fu solo paura e istinto di sopravvivenza a farmi raccogliere quel ramo per difendermi. Lo tenni nella tenda, e nei giorni successivi, mi impegnai a trasformarlo in un vero scudo, anche se rozzo e abbozzato. ma mi aiutò ad ancorarmi a qualcosa di reale, in mezzo a tutta quella morte. Insieme con gli altri capi degli altri eserciti dei nani, che si erano riuniti al nostro per riconquistare Moria, decidemmo che non avevamo abbastanza forze per entrare nella miniera e provare a sconfiggere gli ultimi orchi, visto che oltre a loro ci aspettava il Flagello di Durin, ancora nascosto là sotto. Per cui pian piano bruciammo i nostri morti, li spogliammo delle armi, per non lasciarle ai nostri nemici, e ciascuno tornò a casa. Coloro che l'avevano ancora.

Non so, non ho mai capito per quale ragione sono sopravvissuto ai due eventi più spaventosi capitati ai nani nella terra di mezzo, la venuta di Smaug e la battaglia di Azanulbizar. Probabilmente i Valar hanno qualche progetto per me, e non so ancora quale sia, né so se io sia all'altezza di quel piano, ma una cosa ho realizzato quella notte, da solo, incapace di dormire, malgrado il dolore e la stanchezza. In mezzo a tutta quella morte, nella mia irreale calma, per quanto fosse solo momentanea, realizzai una cosa che mi porto ancora dentro.

Volevo la pace.

Non ne potevo più di battaglie e di morte, volevo la pace, la serenità, un posto dove poter finalmente costruire davvero qualcosa.

Noi, ultimi superstiti di Erebor e sopravvissuti alla più sanguinosa battaglia dei nani della terza era, tornammo sui monti del Dunland, dove restammo per cinque anni, prima che io decidessi di tentare la fortuna sui Monti Azzurri con i pochi che furono così coraggiosi o così folli da seguirmi, qua a Lordalen, dove siamo ora. E qui, spero di trovare ciò che quella notte mi apparve come la sola cosa desiderabile.

Un po' di pace, finalmente.

Che Smaug si tenga pure tutto quell'oro, ormai maledetto. Io voglio solo un posto dove stare e smettere di combattere.
Non so se ci riuscirò mai... ma a quanto pare, ci stiamo provando tutti insieme, io e i duecentoquarantacinque matti che hanno osato seguirmi, ancora una volta.
   
 
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