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Autore: SusanTheGentle    12/07/2018    17 recensioni
Ricordo il periodo delle medie…
Nella mia scuola c’era un ragazzo che non parlava quasi con nessuno. Era diverso da tutti i miei compagni, privo di quell’aria anonima tipica degli studenti della Toho, la carnagione un po’ più scura di un comune giapponese, come se avesse passato tutta la vita sotto il sole. E, come il sole, brillava di luce propria. Fu per questo che attirò la mia attenzione.
Lui spiccava prepotente tra la folla, simile a un felino dentro un recinto di pecore tutte maledettamente uguali.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny Mellow/Takeshi Sawada, Ed Warner/Ken Wakashimazu, Kojiro Hyuga/Mark, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Di opportunità e un nuovo inizio

 

La primavera in cui inizia la nostra storia fu ricordata soprattutto per la straordinaria pioggia di petali che i ciliegi riversarono sulle strade di Tokyo. Gli abitanti della capitale furono costretti a rastrellarli e ammonticchiarli agli angoli di strade, case e negozi, quasi come fossero stati foglie d’autunno. 
Ma la stagione fredda non poteva essere più lontana dai ricordi della gente. 
In un clima di estate prematura, gli alberi esplosero in una fioritura rigogliosa, espandendo il loro profumo in ogni dove. Era il periodo dell’Hanami. (1)
La mattina del dodici aprile, Mark Lenders uscì di casa in una tempesta color confetto, pallone da calcio al piede.
Lo attendeva il suo primo giorno di scuola media, il primo giorno alla Toho School. (2)
Ricordava il suo grande stupore quando i talent scout di uno dei più rinomati istituti medio-superiori della regione del Kanto si erano presentati al campionato nazionale giovanile, per offrire una borsa di studio comprendente un ingaggio nel club calcistico della loro scuola. Mark e il suo eterno rivale, Oliver Hutton, erano stati i candidati in lista. Uno soltanto si sarebbe accaparrato l'ingaggio: colui che avesse sventolato la bandiera della vittoria, risultando così il migliore tra le giovani promesse. 
Spinta dall'indecisione iniziale, la presidente del club della Toho, Daisy Osburne, aveva soppesato l'idea di reclutare entrambi. Hutton e Lenders avrebbero formato una coppia di attaccanti formidabile, con il gioco tecnico del primo e la potenza del secondo. 
Al momento di prendere la decisione definitiva, però, Holly preferì rimanere alla vecchia scuola e nella vecchia squadra. Così, pur non avendo portato la Muppet alla vittoria, ad avere l’ingaggio fu soltanto Mark.
Non ci aveva pensato due volte prima di accettare. Quella borsa di studio era arrivata al momento giusto. Gli dei parevano aver deciso di sorridergli da lassù, per una volta.
I Lenders non erano ricchi e far studiare quattro figli, per una madre vedova, non rappresentava una sfida facile. Mark e famiglia abitavano in una tradizionale e modesta casa alla giapponese, in un quartiere ancor più modesto della prefettura di Saitama, la quale distava da Tokyo poco più di un’ora di treno. 
Nonostante fosse ancora un ragazzino, Mark
aveva sempre cercato di aiutare la sua famiglia in ogni modo. Da quando aveva nove anni si prodigava in vari lavoretti per aumentare le entrate famigliari, come consegnare i giornali o aiutare il signor Sugimoto al chiosco di oden. (3)
Dopo la sconfitta contro la New Team, Mark aveva creduto seriamente di aver compromesso ogni cosa. Non sarebbe mai andato alla Toho, non gli avrebbero mai dato quella borsa di studio, avrebbe continuato a lavorare dopo la scuola rinunciando all’opportunità di entrare in una squadra che gli avrebbe aperto le porte del calcio professionistico. Invece, con sua somma incredulità e gratitudine, la signorina Daisy tornò a rinnovare la sua proposta. Aveva creduto in lui. 
«Adesso è venuto il momento di pensare a te», aveva detto sua madre il giorno in cui Daisy si era presentata a casa loro, informando la signora Lenders che suo figlio maggiore sarebbe diventato, senza alcun dubbio, uno dei più promettenti giocatori di calcio dell’intero Giappone.
E incontrando lo sguardo fiero di sua madre mentre venivano pronunciate quelle parole, come a significare che presto le sue giovani spalle sarebbero state libere dal peso di responsabilità giunte troppo presto, Mark aveva deciso di dedicarsi anima e corpo al calcio ancor più di prima, per assicurare un futuro migliore alla sua famiglia. Anche loro credevano in lui. Non poteva e non voleva deluderli.
Giocare alla Toho non era il suo fine ultimo, aveva delle ambizioni ben più grandi per l’avvenire. Ma era meglio fare un passo per volta. Prima doveva assolutamente battere Oliver Hutton ai prossimi campionati nazionali, solo così avrebbe dimostrato a quelli della Toho che non si erano sbagliati sul suo conto. 
Passò l’ultima mezz’ora di treno a riflettere su questo obiettivo, una specie di chiodo fisso. Non vedeva l’ora di incontrare Hutton sul campo con i colori della nuova squadra.
«Sei nervoso?» gli chiese sua madre, seduta accanto a lui. 
Mark distolse lo sguardo da un paesaggio che non stava realmente osservando, mentre Tokyo scorreva davanti a loro.
«No, sto bene».
Sua madre lo guardava e sorrideva, sapendo quali pensieri occupavano un posto di riguardo nella sua mente. Suo figlio non s’innervosiva per un normalissimo primo giorno di scuola. Scostò una mano dalla borsetta che teneva in grembo, posandola su quella del ragazzo.
«Andrà benissimo»
«Certo, lo so. Non preoccuparti»
«Non lo sono. So che sai cavartela in qualsiasi situazione, ma lascia che ti incoraggi un po’» gli sorrise.
Lui le sorrise di rimando. Quel giorno, la mamma non indossava il solito grembiule o la divisa da lavoro del supermercato, ma un bel completo rosa pastello, con una borsetta in tinta che lui e i suoi fratelli le avevano regalato un paio d’anni prima per il compleanno, dando fondo al contenuto dei loro salvadanai. Il suo viso portava i segni di un invecchiamento precoce, del quale dispiaceri e fatiche erano colpevoli. Ma se fosse riuscito a mettere insieme le parole giuste, Mark le avrebbe detto che non era mai stata più bella. Forse si vergognava troppo per farlo, tutto qui, però non provava vergogna nel pensarlo, perché era sua madre ed era lì per lui, per accompagnarlo alla cerimonia d’apertura nella nuova scuola. 
La fermata della metro distava due isolati soltanto dalla Toho School, isolati che Mark percorse – e avrebbe sempre percorso – con il pallone da calcio incollato alle scarpe… non di certo le più adatte per calciare. Troppo lucide, troppo nuove, come la divisa così scura e seriosa: la cravatta che gli segava il collo, i bottoni della giacca troppo stretti, le maniche della giacca ingombranti. Detestava le divise scolastiche, alle elementari non si portavano. Se fosse stato permesso dal regolamento ne avrebbe fatto volentieri a meno. L’unica divisa che riusciva a tollerare era quella che indossava in campo.
Resistette fino alla fine della cerimonia d’ammissione, dopo il noiosissimo discorso del preside e gli inchini, gli applausi, la finta compostezza dei suo coetanei, i quali si scatenarono in chiacchiere e saluti non appena il direttore pronunciò le parole finali: 
«Vi auguro un piacevole e produttivo anno scolastico!»
Mark slacciò i bottoni della giacca che si aprì sulla camicia bianca, allentando il nodo della cravatta quel minimo da non dar modo ai professori di riprenderlo.
«Scuola privata, regolamento inflessibile» disse una voce conosciuta, il cui proprietario era un po’ più alto e un po’ più magro di Mark, i capelli neri e lunghi sulle spalle. «Ciao, capitano»
«Allora ce l’hai fatta» rispose Mark, voltandosi con un sorriso; uno dei suoi, non troppo aperti, sempre accompagnati da un non so che di sarcastico.
Ed Warner gli rispose con un’alzata di spalle. «I miei non hanno fatto troppe storie, purché porti a casa i voti di sempre»
«Avranno sborsato una bella cifra per iscriverti a questa scuola»
«Se lo possono permettere con la scuola di karate». Ed vagò automaticamente con lo sguardo tra la folla di genitori venuti ad assistere alla cerimonia d’inizio anno, in cerca di suo padre e di sua madre. Li individuò qualche metro più in là chiacchierare con la madre di Mark.
«Lo studio per loro è molto importante, perciò sono rimasti piuttosto compiaciuti della mia scelta: la Toho è un ottimo istituto. Comunque, non ho nascosto la vera ragione per cui ho voluto iscrivermi qui». Ed tornò a guardare l’amico e allargò le braccia. «Non potevo lasciarti senza un portiere, ti pare?»
«Chiaramente no».
Perché era indubbio: Mark sarebbe diventato capitano e Ed portiere titolare della nuova squadra. Pochi potevano eguagliare il loro livello di fuoriclasse e...diciamolo, i portieri come Warner erano una rarità.
Modestie a parte, non era nemmeno quella la vera ragione, ma nessuno dei due avrebbe mai ammesso apertamente che a spingere Ed a seguire Mark alla Toho era stato l’affetto e la stima che li legava da anni. L’intesa tra loro andava oltre il campo da calcio. Si equivalevano come il giorno e la notte. Da quando si erano incontrati parevano quasi aver stretto un patto silenzioso dove l’uno sarebbe sempre stato vicino all’altro. Era un giuramento d’amicizia profonda e sincera che nessuno dei due avrebbe mai infranto.
Per questo Mark non si era stupito nel conoscere la decisione di Ed alla fine delle vacanze primaverili; e non era nemmeno impossibile che di lì a due anni anche l’altro suo migliore amico, Denny Mellow, sarebbe approdato alla Toho School una volta terminate le elementari.
Avere degli amici al proprio fianco in un ambiente del tutto estraneo poteva essere la cosa migliore. Mark temeva in cuor suo di non riuscire ad ambientarsi completamente. La Toho era una scuola per borghesi, una buona fetta dei ragazzi iscritti proveniva da famiglie benestanti, per non dire ricche. Lui sarebbe stato una mosca bianca in mezzo a loro.
Poco dopo, i due ragazzi furono raggiunti dai rispettivi genitori. Ed salutò il padre e baciò la madre sulla guancia, mentre la signora Lenders aggiustava la cravatta di Mark.
Il portiere scoccò un’occhiata divertita al suo capitano, il quale gliela restituì con l’aggiunta di una sfumatura che sembrava tanto dire: ‘se ridi ti ammazzo’.
«Grazie per essere venuta» disse Mark alla madre. «Spero tu non abbia avuto problemi con il lavoro»
«Non preoccuparti, ho chiesto un permesso speciale. Non sarei mancata questa cerimonia per niente al mondo. Sono fiera di te».
Mark si chinò leggermente per permettere alla madre di appoggiare appena le labbra sulla sua guancia.
Un gesto più unico che raro.
Lui non amava le smancerie, gli bastavano le parole; lei non era una donna che aveva potuto permettersi il lusso di coccolare i suoi figli quanto avrebbe desiderato. Ormai Mark stava crescendo, e lei comprendeva il rischio di creargli imbarazzo davanti ai nuovi compagni se avesse osato chiedere un abbraccio.
I signori Warner si offrirono gentilmente di riaccompagnare a casa la signora Lenders con la loro auto. Mark la guardò allontanarsi, promettendosi ancora una volta di fare del suo meglio per non deluderla.
«Non pensavo che tua madre venisse alla cerimonia d’apertura» commentò Ed. «Alle elementari non è mai venuta»

«Nemmeno io ci credo» rispose Mark. Ma era felice, tanto.
Quando la campanella richiamò gli alunni nelle rispettive classi, i genitori se ne andarono. Lo sciame di divise bianche e nere si divise in gruppi: studenti delle medie a sinistra, studenti delle superiori a destra, in due differenti edifici.
«In che classe sei?» domandò Ed, ricordandosi all’improvviso di non averlo ancora chiesto.
«1B» rispose Mark, osservando l’espressione soddisfatta del portiere.
«Allora siamo in classe insieme».
Mark annuì in silenzio, voltandogli le spalle.
Ed sorrise di nuovo. Sapeva che non avrebbe mai ammesso di essere contento per una cosa del genere, non era da Mark Lenders...
Tutti i ragazzi e le ragazze di prima esibivano un’aria un po’ persa ma eccitata: nuova scuola, nuova classe, nuovi compagni e insegnanti. Mark non aveva mai capito tutta quell’ansia, la preoccupazione del come comportarsi, come vestirsi, fare una buona prima impressione. Di sicuro, con il carattere che si ritrovava, si sarebbe inimicato metà della classe nel giro di dieci minuti.
Fu quasi come se i suoi pensieri si riflettessero sul suo volto. Quando un gruppetto di compagni si avvicinò per scambiare due chiacchiere, Mark e Ed si presentarono educatamente. Ma oltre al nome, Lenders non aggiunse altro, e il suo mutismo e disinteresse per la conversazione spinse gli altri ragazzi ad allontanarsi in fretta.
«Ti troverai molto meglio di me in questa scuola, Warner»
«Perché dici così?»
«Eri il secchione della classe» ribadì Mark.
«Temo non sarà la stessa cosa, qui» lo corresse Ed. «La Toho ha la reputazione di avere degli insegnanti molto severi. Basta pensare che all’esame d’ammissione non accettavano una percentuale inferiore all’ottantacinque»
Mark lo fissò mentre prendevano posto nella penultima fila di banchi. «E com’è andato il tuo esame?»
«Piuttosto bene» si schermò Ed, messo spalle al muro.
«In sostanza?»
«Ho preso novanta su cento… »
«Appunto». Mark gli diede una pacca sulla spalla.
«Il tuo invece com’è andato? Non mi hai detto niente»
«Da schifo. Ma a quelli della Toho non importa molto, purché giochi bene a calcio. La borsa di studio serve a questo, e finché mi daranno la garanzia di pagarmi gli studi me ne frego dei voti che prendo».
La bocca di Ed si piegò in un sorrisetto. «La fortuna sfacciata di essere il miglior cannoniere del campionato nazionale giovanile».
«Non sfottere»
«Bè, non è forse vero?».
Ed non mentiva. Mark aveva sudato sangue per arrivare a quella finale, purtroppo perduta. Non si era trattato solo di fortuna, quella borsa di studio era il risultato di duri allenamenti e corse sul campo fino allo sfinimento.
Il primo giorno, i nuovi studenti conobbero diversi professori. La professoressa di giapponese li costrinse ad alzarsi in piedi uno alla volta e presentarsi davanti alla classe.
Mark detestava quel genere di cose, era uno strazio dover centellinare informazioni completamente inutili da dei perfetti estranei, e lo fu il doppio quando toccò a lui doverle elargire.
«Mi chiamo Mark Lenders, vengo dal distretto di Saitama. Frequentavo la Muppet e giocavo nella squadra di calcio della scuola».
E basta.
Silenzio…
«Cosa ti piace fare nel tempo libero?» provò a venirgli in aiuto l’insegnante.
«Gioco a calcio».
Faceva quello, nient’altro. Non aveva hobby particolari, non ascoltava musica (a casa non avevano lo stereo), non andava al cinema né a Shinjuku a divertirsi. La sua vita era fatta di scuola, lavoro, allenamenti, casa. Ma come glielo spiegava ai compagni che la sua infanzia era praticamente finita a nove anni?
«Va bene, Lenders, puoi sederti».
Grazie al Budda e a tutti i kami dell’universo.
Mark r
iprese posto pesantemente sulla sedia. Ed, accanto a lui, sbuffò ironico il suo disappunto.
«Pessima presentazione»
«Odio queste cose»
« Sì,sì, lo so, ma potevi almeno fare uno sforzo»
«Non avevo niente da dire». Mark incrociò le braccia sopra il banco. «Lo ripeto: ti troverai meglio di me qui in mezzo. A me stanno già parecchio sulle palle. Tutti».
Ed rise di gusto. «Non sono ancora iniziate le lezioni, capitano, datti una calmata!».

 

Durante l'ora di pranzo, gli studenti del primo anno vennero scortati da alcuni senpai (4) a visitare l’intero complesso scolastico. L’edificio più grande era diviso in ala ovest e ala est, occupate rispettivamente dalle classi medie e da quelle superiori. Più in là, in una seconda struttura adiacente, vi era l’edificio universitario. Il dormitorio, utilizzato dagli studenti che venivano da lontano, si trovava dietro la scuola, nella zona sud. Accanto all'istituto ovest sorgevano i campi sportivi, poco lontano c’erano la piscina, il palazzetto del ghiaccio e le palestre. Visitarono i laboratori di chimica, la biblioteca, l’aula di arte, di musica e le aule dei club pomeridiani (ce n'era per tutti i gusti). La scuola aveva persino un teatro, dove il club omonimo si esibiva durante i festival scolastici.
Terminato il giro della scuola rimasero pochi minuti prima che suonasse la campanella delle ore pomeridiane. Le prime classi si divisero in gruppetti per dare un'occhiata alle varie attività extrascolastiche e decidere a quale club iscriversi. La 1 A si riunì tutta al campo da calcio, dove Mark, Ed e un altro paio di compagni avrebbero fatto il provino per entrare in squadra.
Girarono un angolo del cortile e finalmente avvistarono il campo delle scuole medie. L'allenatore stava parlando con alcuni ragazzi in pedi vicino a lui, altri erano seduti in panchina a chiacchierare. Indossavano tutti pantaloncini neri e maglia nera a maniche bianche, con una T rossa ricamata sulla parte sinistra del petto.
Vedendo arrivare un'intera classe, uno dei ragazzi si fece loro incontro.
«Quelli di voi che vogliono fare il provino possono rimanere in campo, gli altri devono uscire, per favore»
«Possiamo guardare?» chiese una ragazza di nome Yumi.
«Sì,ma dagli spalti».
Mark, Ed e due loro compagni di classe, Ian Mellin e Nicholas Loson, non si mossero; tutti gli altri presero posto sulle tribune al di là della rete divisoria.
«Ciao, sono Eddie Bright» si presentò il ragazzo che li aveva accolti. «Venite, vi porto negli spogliatoi, così potete cambiarvi»
Mark seguì in silenzio insieme agli altri il suo futuro compagno di squadra. Si cambiò in fretta, ansioso, eccitato, determinato. Tutti lo erano, e allo stesso modo ognuno sperava di ottenere un posto da titolare.
Una volta tornati fuori sul campo, l'allenatore li richiamò all'appello. Il chiacchiericcio formatosi si spense all'istante. Il mister aveva un aspetto severo, un volto per nulla incline al sorriso, lo sguardo attento scrutava la trentina di ragazzi tra prima, seconda e terza media, venuti a sostenere il provino.
«Nervoso?» chiese Ed a Mark.
«Non più di tanto» mentì lui, lo stomaco stranamente attorcigliato.
Perché tutti gli chiedevano se era nervoso quel giorno? Sì, lo era, non c'era bisogno di indagare e farlo innervosire di più.
«Andrà bene». Ed gli diede una pacca solidale sulla schiena, prima di mettersi in fila con gli altri davanti all'allenatore. 
Come al solito si capivano senza parlare. Ed raggiungeva il suo livello di nervosismo e questo servì a far sentire Mark un po' meglio.
«Il mio nome è Makoto Kitazume» si presentò il mister, «sarò il vostro allenatore per i prossimi tre anni. Vi siete presentati in molti, ma sappiate che solo i migliori sedici formeranno la nuova rosa. Tutti i giocatori che hanno fatto parte della vecchia squadra negli scorsi tre anni ormai sono passati alle superiori, perciò siete tutti nuove leve, tutti allo stesso livello, e nessuno sarà privilegiato in qualche modo».
Il mister fece una pausa ad effetto. Per una frazione di secondo e qualche millesimo in più, lo sguardo dell'uomo incontrò quello di Mark.
Forse fu un'impressione del ragazzo, forse no, ma il giovane attaccante non poté fare a meno di chiedersi se Kitazume già sapesse chi lui fosse e il modo in cui gli era stato permesso di essere lì.

«La Toho è una scuola da cui sono usciti i migliori atleti del paese» continuò Kitazume, «non solo nel calcio ma anche in molte altre discipline sportive. Attualmente, la migliore squadra di calcio che abbiamo è quella universitaria. Perciò mi aspetto molto da voi»
«Sì, mister!» rispose un coro di voci.
«Molto bene. Ora ditemi i vostri nomi, in quale squadra giocavate e il ruolo da voi ricoperto».
Mister Kitazume si fermò di fronte a ognuno dei ragazzi, annotando mentalmente le informazioni.
Un'altra volta... , pensò Mark, ricordando la presentazione in classe di quella mattina. Bè, non poteva essere così male visto che si trattava di calcio.
«Mi chiamo Mark Lenders e vengo dalla Muppet, dove giocavo come centravanti».
Kitazume rimase su di lui un attimo di più.
Così era quello il ragazzo tanto favorito da Daisy. Forse si aspettava un trattamento particolare solo per essere stato praticamente già scelto, ma Kitazume non l'avrebbe favorito, lo avrebbe sottoposto al provino come tutti gli altri.

Il mister passò oltre senza aggiungere nulla, né tanto meno prodigarsi in congratulazioni a Lenders per aver vinto una borsa di studio o lodare il suo talento. Dopotutto, Kitazume quel talento doveva ancora appurarlo.
Iniziarono con una serie di palleggi per riscaldarsi, poi passarono ai tiri in porta.
Già dal principio fu chiaro a tutti che Ed Warner sarebbe diventato il portiere titolare. Era di una bravura fuori del comune. Non lasciò passare una palla, e il mister non si congratulò con lui dopo una parata particolarmente acrobatica solo perché era obbligato a mantenere una certa fermezza e imparzialità con tutti. Ma, dalla sua espressione, Ed doveva aver già superato l'esame con larga aspettativa.
Ma la vera sorpresa, dopo Warner, fu senza alcun dubbio Mark Lenders.
Kitazume li divise in due squadre per una partita di prova. 
Era quello che tutti aspettavano.

Ed sorvegliava una rete, ritrovandosi Mark come avversario e riuscendo a parare tre quarti dei suoi tiri; l'altra porta toccò a un ragazzo mingherlino che di fare il portiere non sembrava proprio capace. Ian Mellin giocò sull'ala destra, ma fu spostato indietro come difensore, ruolo che pareva adattarglisi maggiormente. Nicholas Loson venne schierato in attacco insieme a Eddie Bright, e quando Mark riuscì a segnare il gol partita su assist di quest'ultimo, gli parve di giocare con il suo vecchio compagno Denny Mellow.
Non appena toccò palla, Mark partì dalla metà campo avversaria senza fermarsi mai, dribblò tutti gli avversari e in un lampo fu in area di rigore. Pareva avere il pallone incollato ai piedi. Saltò due giocatori e riprese la sua corsa, per poi tirare un destro micidiale da vero fuoriclasse.
Tutti i presenti restarono ammutoliti per qualche secondo.
«Ottimo assist, Bright» disse Mark.
«Grazie. Tu sei veramente incredibile. Dove hai detto che giocavi?»
«Nella Muppet».
Eddie Bright unì le sopracciglia, fissandolo. «Non è la squadra che è arrivata seconda l'anno scorso al campionato nazionale?»
«Sì, lei».
Il viso di Eddie si illuminò. «Allora avevo visto giusto! Tu sei quel Lenders!»
«Ragazzi, basta chiacchiere, ricominciamo!» li richiamò il mister.

Eddie seguì Mark a centrocampo, un'espressione ammirata sul volto.
Nel secondo tempo della partita, Kitazume scambiò la formazione dei ragazzi per testare le potenzialità di tutti anche in ruoli diversi. Ma ben presto gli fu chiaro che la squadra in cui Lenders giocava aveva sempre la meglio sull'altra. Si erano dimostrati tutti quanti dei ragazzi volenterosi e appassionati, ma nessuno, nessuno era come lui. Il gioco di Mark era ciò di cui la Toho aveva bisogno.
Alla termine della prova, il mister fischiò per decretare la fine dell'incontro e li fece rimettere in fila come all'inizio.
«Ottimo ragazzi, siete stati tutti molto bravi. Purtroppo, come vi ho detto, solo alcuni di voi faranno parte della squadra. Fate un passo avanti quando chiamo il vostro nome». Dispiegò meglio il foglio su cui aveva scritto i nomi dei sedici scelti ed iniziò a declamarli.
« Ed Warner, Eddie Bright, Nicholas Loson, Harry Sail, Steven Newton, Michael Spencer, Ian Mellin, Justin Filler, Lucas Milton, Mark Lenders... »
Era fatta!
Mark non li udì neppure gli altri nomi. Ce l'aveva fatta veramente, anche se aveva sempre saputo che sarebbe andata così, borsa di studio o meno.
Inghiottì un'esclamazione di trionfo, un brivido di euforia lo percorse. Incontrò lo sguardo di Ed e un sorriso nacque spontaneo.
Compagni ancora una volta.
D'ora in avanti li attendevano giorni di prove e di battaglie.
Mark sentiva le mani prudere per la voglia di giocare su quel nuovo campo, la sensazione di essere ancora una volta nel posto che gli apparteneva.

Il calcio era la sua unica certezza.
Aveva invidiato chi poteva giocare solo per il gusto di farlo, perché lui non aveva più potuto. Trasformarsi in un surrogato di padre per i suoi tre fratellini era stata una scelta personale e non se n'era mai pentito. Tuttavia, un tempo giocare a calcio era stato un divertimento oltre che un appiglio alla volta di un futuro migliore. Giocare non gli aveva più dato la stessa soddisfazione, ma quel pomeriggio aveva riscoperto il piacere di tirare a calci un pallone. Era un modo per dirsi 'me lo merito' .
A quanto pareva, le parole della mamma si erano rivelate autentiche: era realmente arrivato il momento di lasciare indietro le troppe responsabilità e pensare a sé stessi.





*** *** *** *** ***
Note:

1. Hanami: Letteralmente significa “ammirare i fiori”. Il periodo dell’anno in cui i giapponesi organizzano picnic e feste nei loro parchi per ammirare la fioritura dei ciliegi.

2. In Giappone, l’anno scolastico inizia ad aprile e finisce a marzo dell’anno seguente.

3. Oden: un tipo di spaghetti giapponesi.

4. I senpai sono gli studenti più grandi, anche solo di un anno. I giapponesi hanno una vera ammirazione per i loro senpai, sia a scuola che sul lavoro, a volte li vedono come degli esempi da seguire e ammirare. Il compagno più giovane è invece chiamato kohai.

*** *** *** *** ***

-Spazio autrice-

Inizio quest'avventura in punta di piedi, con tanta ansia e tanta voglia di immergermi in questo nuovo fandom. A dirla tutta non è affatto nuovo, visto che seguivo Holly e Benji da bambina quando ancora esisteva Bim Bum Bam. Su Efp sono sempre stata una lettrice silenziosa e basta. Ultimamente, vuoi per i mondiali, vuoi perché è uscito il remake dell'anime in Giappone, vuoi perché mi sono riletta il manga, ho sentito il bisogno di creare qualcosa a riguardo. In più era da moltissimo che non mettevo mano alla tastiera e volevo riprendere a scrivere presentando una storia dai toni diversi dal mio solito.

Spero che il capitolo non vi abbia annoiato. So che su Mark sappiamo già tutto e forse sono stata ripetitiva, ma quando scrivo mi metto sempre nei panni di chi in un fandom ci viene per la prima volta, e forse sa poco o niente dei personaggi e delle loro vite.

Vi ho lasciato delle piccole note in fondo al capitolo. Qualche piccola nozione sulla cultura nipponica che magari non tutti conoscono.
Se vi ho incuriosito almeno un po', vi sarei grata se lasciaste un commento.
 Alla prossima!

Susan♥

 

 

   
 
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