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Autore: michaelgosling    19/07/2018    1 recensioni
Delle creature geneticamente modificate capaci di mutare aspetto e di viaggiare nel tempo rischiano di alterare la storia dell'umanità.
Sei persone completamente diverse per età, carattere, mentalità e che vivono in diversi luoghi e in diverse epoche vengono scelte per fermarle.
Dal testo (secondo capitolo):
"Perché? Perché noi?"
"Perché siete anime spezzate."
Genere: Angst, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 8. SOGNI SPEZZATI

“L'ignoranza conduce alla paura, la paura conduce all'odio, l'odio conduce alla violenza.”

Averroè


Splendide, splendide notizie!” esclamò Henrich tutto gongolante, avvicinandosi al gruppo che se ne stava ad un tavolo intento a fare colazione.

“Possiamo finalmente lasciare questa topaia e andarcene?” fece con sufficienza Preston, accendendosi un sigaro.

“Meglio! Siete pronti per un primo ufficiale viaggio nel tempo. Da soli.”


Ma l'abbiamo già fatto.” disse timidamente Giovanna.

“Non proprio. Quello che avete fatto è stato teletrasportavi da soli in un altro luogo e tempo per poi ritornare qui nello stesso modo un istante dopo. Questa volta lo farete insieme. Andrete nello stesso luogo e tempo, e non tornerete subito indietro. Resterete lì per almeno un'ora. Il vostro corpo deve abituarsi alla vostra presenza nel passato o nel futuro e non può farlo se continuate con una toccata e fuga.”

“E' tutto molto interessante, ma non potevamo farlo oggi pomeriggio? Io ho sonno.” borbottò Kira, mangiando un biscotto mal volentieri.


Io non vedo l'ora. Insomma, lo so che siamo tutti stanchi e che vogliamo tornare alle nostre vite e al tempo a cui apparteniamo, ma possiamo esplorare un luogo e un tempo diverso dal nostro grazie ad una capacità che abbiamo solo noi. E' come scoprire qualcosa di inesplorato. Non è fantastico?” esclamò Giovanna, beccandosi un'occhiataccia da James.

“Sì, è davvero fantastico. Lasciamo un posto di merda per visitare un altro posto di merda per poi ritornare alle nostre vite di merda.” fece Kira in tono annoiato.

“Ma non sai neanche dove e quando andrete.” disse Henrich, confuso.

“Beh ho uno spoiler per te, caro professore. Ogni luogo e ogni tempo è una merda.” insistette Kira.
James si avvicinò a Colton.

“Mi sono perso. Perché usare gli escrementi come aggettivo? Qual'è il suo significato?”


Colton sghignazzò, ma gli rispose comunque.

“Schifo. Soggetto più la parola merda usato come aggettivo significa che il suddetto soggetto fa schifo.”


Schifo?”


“Sì, schifo. Orribile. Disgustoso. Il contrario di bello. Un po' come lei, del resto.”


Il poliziotto si aspettava di vedere uno sguardo ferito sula ragazza, ma non trovò altro che irritazione.

“Non mi sembri proprio nella posizione di giudicare l'aspetto fisico degli altri, Harrington. Soprattutto considerando la faccia di merda che ti ritrovi. Dio, persino Frank è più attraente di te ed è composto da pezzi di cadavere.”

Tutti si voltarono verso Frank che se ne stava in un angolo del grande salone quasi in stand by, e il quale ci mise un po' per capire cosa si stessero dicendo.

“Grazie, Kira. Apprezzo molto i tuoi complimenti, sono assai graditi.” fece Frank in tono metallico, facendo un piccolo inchino alla ragazza.

Calò un imbarazzante silenzio, fino a quando James non si sporse verso Kira.

“Vi piace davvero molto usare questo aggettivo. Interessante.”


Vuoi sapere cosa non è affatto interessante, sottospecie di ammiraglio o qualunque grado tu abbia? Questa sensazione di disagio che mi viene ogni volta che mi dai del voi. Dacci un taglio.”


Un taglio a che cosa?” chiese James, sempre più confuso.

“Avete finito di mangiare? Bene, perché nel frattempo ho deciso dove andrete. Madrid, 1970. Vi teletrasporterete nella Puerta del Sol. E' una delle più importanti, vedrete vi piacerà. Potrete passarvi l'ora come volete, passeggiando o stando in un bar a mangiare qualcos'altro se la colazione non vi è bastata. Nelle vostre stanze troverete un po' di soldi e un abito da indossare adatto all'epoca. Ricordate, l'importante è passare inosservati.” fece Henrich, tutto soddisfatto.


Tutti si alzarono per fare quello che aveva chiesto, ma Kira non si mosse.

“Andiamo, io ho ventiquattro anni, sono nata negli anni novanta, che è solo vent'anni dopo. Gli abiti che indosso vanno più che bene, direi.”


Henrich la squadrò dall'alto in basso.

“Di certo non passeresti per pazza, ma neanche inosservata. Meglio andare sul sicuro.” fece Henrich, facendole pat pat sulle spalle.

Sbuffando, Kira ritornò in camera sua, dove trovò un abito intero color azzurro. Un abito molto più femminile di quelli che era abituata a portare.

“Ma che cazzo?!? Una gonna?? Questa sarà l'ora più lunga della mia vita.”


Esasperata, si accinse ad indossare quell'abito, che oltretutto stringeva pure ai fianchi.

“Che vita di merda.”




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La vita è meravigliosa.” sorrise una più giovane Kira, tenendo un peluche di Pikachu tra le braccia con orgoglio.

“Tutto per un peluche?” scherzò un ragazzo accanto a lei, un giovanotto alto e con la pelle più scura, incrociando le braccia.

“Sei solo invidioso perché avresti voluto vincerlo tu, ma ho vinto io e ora lui viene a casa con me. Lo chiamerò Nobby e io e lui passeremo tante belle serate insieme. E ci faremo delle maratone infinite di Friends.”


Ma.. ma Friends è una cosa nostra!” fece il ragazzo, fingendosi geloso.

“Non temere, se farai il bravo io e Nobby ti permetteremo di essere presente, ma solo se farai il bravo.”


I due scoppiarono a ridere, e poi il ragazzo mise una maso sulla testa del peluche, come per accarezzarlo.

“Sembra che non abbia scelta, non è vero Nobby?”


In quel momento arrivò una pimpante e allegra ragazza dai capelli rossi e lentiggini, che stava bevendo un succo alla frutta.

“Oddio ragazzi, Kamal sta per esibirsi. E questa bibita è fuori dal mondo! E... e tu hai un peluche di Pikachu? Com'è possibile?!? Dimmi dove l'hai preso!”


Chiedilo al tuo ragazzo. L'ho stracciato e grazie alla mia eccezionale bravura, ora sarà mio per sempre.”

La rossa guardò il ragazzo con finta delusione.

“Jozef!”


L'ho fatta vincere.” fece spallucce lui.

Kira lo colpì amichevolmente ad un braccio.

“Ok, non avevo chances.”

Sul serio Jozef, da quando il tuo quartiere è diventato così figo? Io non voglio più andare a casa!” fece Kira.

“Ehy, è sempre stato figo! Solo che non ve ne siete mai rese conto! Devo spiegarvi sempre tutto io?!? Ah, le donne.”


Stronzate. Siamo amici da quando avevamo sei anni. Ti assicuro che me lo ricorderei se fosse stato sempre così.” continuò Kira.

“Confermo.” aggiunse la rossa.

Lei e Jozef si avviarono nella piazza principale per assistere alla musica di Kamal, un albanese vicino di casa di Jozef che suonava magicamente la chitarra. Kira però non si mosse, così i due amici si voltarono verso di lei.

“Non vieni?”


Non.. non volete stare da soli?”

Kira amava passare del tempo con Jozef e Valeriya, erano i suoi migliori amici, li conosceva da sempre, erano le due persone più importanti della sua vita, ma ora loro erano una coppia. Kira era felice per loro, aveva fatto anche da cupido per aiutarli a mettersi insieme quando avevano iniziato a capire di provare qualcosa di più dell'amicizia l'uno per l'altra, ma a volte quando uscivano tutti insieme si sentiva come un terzo incomodo. Loro non l'avevano mai fatta sentire così, ma lei sotto sotto pensava che avrebbero voluto avere più privacy. E all'ennesimo tentativo da parte sua di dargliela, loro reagirono come tutte le altre volte.

“E ora chi è a dire stronzate?” fece Jozef, mentre Valerija le andò incontro, per trascinarla nella folla insieme a loro.

Camminarono una decina di minuti, e arrivarono in una piccola piazzetta dove Kamal aveva già iniziato a deliziare le persone con la sua musica allegra e spensierata.

Jozef prese Valeriya per una mano e si buttò con lei nella folla a ballare, ma non prima di sussurrare a Kira di non muoversi perché il prossimo ballo l'avrebbe fatto con lei.

Kira sorrise e guardò i suoi migliori amici ballare. Quando la musica si fece più lenta e romantica, smise di guardarli per dargli quella benedetta privacy che meritavano, e iniziò a guardarsi intorno, incuriosita. C'erano davvero tante persone quella sera, giovani, anziani, famiglie, bambini. Russi come lei e Valeriya e immigrati o comunque persone appartenenti ad altre entie, come Jozef. Poi vide due poliziotti che pattugliavano la zona. Se ne stavano negli angoli, e avevano gli occhi fissi sulla folla come se li stessero studiando. Ogni tanto guardavano l'orologio, e tenevano il manganello dietro la schiena. Entrambi erano pallidissimi, e biondi. Perché c'erano ben due poliziotti ad una normale festicciola in un piccolo quartiere di immigrati? Kira pensò che fossero lì per controllare che nessuno si facesse male, considerando quanta gente era presente, e smise di pensarci per tornare alla musica.





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Tutti pronti?” fece Henrich, non appena vide il gruppo in piedi e vicino pronti per il teletrasporto.

Tutti gettarono un'occhiata di disappunto a James.

“Cos'è quello?” chiese Henrich, indicando il parrucchino che James portava ancora in testa.

“E'.. è la mia parrucca.” fece l'ammiraglio, come se dovesse dire l'ovvio.

“E perché è sulla tua testa?”


E' sempre sulla mia testa.”

“Se ti fai vedere con quella specie di gelato in testa nella Spagna degli anni settanta, ti sbattono in manicomio prima che tu possa dire parrucca.” fece Kira.

“Quindi.. quindi devo rimuoverlo?”

“Direi di sì.” fece Henrich.


James lo fece, ma molto mal volentieri.

“Credo.. credo tu abbia anche la camicia al contrario.” fece Giovanna allungando la mano, ma James si allontanò da lei disgustato.

“Ho capito, ma non toccarmi.”


Giovanna non ci rimase benissimo, ma non aggiunse altro. James andò un momento in camera sua, poi ritornò subito con il gruppo, senza parrucchino e con la camicia a posto.

“Sembri più giovane senza quell'orribile parrucca.” fece Colton, indicando i capelli corti e scuri dell'ammiraglio, poi si rivolse a Kira “tu invece sembreresti quasi una donna con quell'abito, se solo non avessi quei disgustosi peli nelle gambe.”


Kira guardò il poliziotto con sufficienza come se quel commento non le facesse nessun effetto, ma non rispose.

“Ah e se ne approfittaste per socializzare e legare sarebbe fantastico, visto che dovete creare tra voi un legame emotivo oltre che fisico.” puntualizzò Henrich, beccandosi un paio di occhiatacce.

Si misero tutti in posizione, uno fianco all'altro, mentalmente focalizzarono la loro meta. Spagna. Madrid. Puerta del Sol, 1970. Spagna. Madrid. Puerta del Sol, 1970. Spag-

Kira iniziò a sentire il suo corpo come sovraccaricarsi di energia ed ebbe come la sensazione di muoversi, nonostante fosse ferma. Chiuse gli occhi. Percepì le stelle, lo spazio, la galassia. E poi percepì con i piedi la pietra. Aprì gli occhi, e si ritrovò nella maestosa Puerta del Sol, con il resto del gruppo.




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Allora?” esclamò Valeriya, buttandosi a pesce su Kira per abbracciarla da dietro.

“Allora cosa?” sorrise Kira, ricambiando l'abbraccio. Jozef camminava vicino a loro, e guardava le amiche sorridendo.

“Come cosa? Tra un mese è il tuo compleanno! Si compiono diciassette anni una volta sola. Hai già pensato a cosa fare?”


Penso che mi butterò su Star Trek. Non sarebbe male passare il giorno del mio compleanno con Spock.”


Sai che Spock e Star Trek è la Bibbia anche per noi, ma è il tuo compleanno! Dovresti organizzare anche una grande festa! Magari invitare i tuoi compagni di classe!”


Non mi piacciono. E io non piaccio a loro. Rimango con Spock.”


A te e a Spock dispiacerebbe avere un po' di compagnia?” fece Valeriya.

“E qualcuno deve pur badare a Nobby! Tu sarai troppo concentrata su Star Trek e lui si sentirebbe offeso. Non va bene.” aggiunse Jozef.

Kira sorrise dolcemente.

“Volete davvero venire? A me farebbe piacere, ma in questo momento casa mia è un casino.”


Non ci interessa di casa tua. Ci interessa di te. E ti sbagli se pensi che ti permetteremo di passare il giorno del tuo compleanno da sola.” fece la rossa, abbracciandola di nuovo.


Kira abbracciò i due amici forte, stringendoli a sé. Loro ricambiarono.


Che carina che sei Kira, la nostra principessa Disney.” fece Valeriya.

“Cosa? Principessa Disney?”


Oh andiamo, sotto sotto sai anche tu di esserlo. Sei sempre troppo buona. Troppo gentile. Vedi sempre del buono negli altri. Noi ti invidiamo un po' sai, vorremmo avere la tua fiducia nell'umanità.” continuò la rossa.

“Onestamente non credo di es..”


Ma Kira non riuscì a terminare la frase. Si sentì una grande botta, un rumore assordante, provenire da dietro di loro, più precisamente dalla piazzetta in cui si era esibito Kamal.


I tre si voltarono di scatto spaventati.

“Cos'era? Un petardo?” ipotizzò Kira.


I petardi non fanno quel rumore.” fece l'amica.

“Allora cos'era?” fece Jozef, che forse era il più preoccupato del trio.

Sentirono qualcuno parlare in lontananza in modo fiero. Era tedesco, non capirono quasi nulla. A Kira parse di sentir nominare Hitler. Poi qualcuno, anche se non sapeva se si trattava dello stesso che aveva parlato in tedesco, urlò “A Morte!”.


Si sentì un'altra botta. Più forte della precedente. La folla iniziò ad andare nel panico, e a correre avanti e indietro, in ogni direzione. Si sentirono grida, urla di terrore, disperazione e paura provenienti da persone di ogni età, come se ogni grido rappresentasse ogni persona che si trovava lì.

Kira cercò con lo sguardo uno dei due poliziotti che aveva visto prima. Erano poliziotti. Erano lì per proteggerli. Loro avrebbero saputo cosa fare. Riuscì a riconoscerne uno, il primo dei due che aveva visto, ma sentì il cuore fermarsi e il sangue nelle vene gelarsi quando vide che nelle mani teneva un grosso fucile. Un fucile che di certo non danno alla polizia. Un fucile con cui iniziò a sparare sulla folla terrorizzata.


La musica che si era sentita per tutta la serata tacque, per fare spazio all'unica colonna sonora di quel momento, le urla della folla, sempre più disperate, spaventate. E l'unico rumore che si sentiva diverso da quelle urla erano altri botti, altri spari. Che sapevano di morte.




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Nessuno aveva voglia di fare una passeggiata, così si ritrovarono in una tavola calda, e ordinarono qualcosa. Se ne stettero lì, seduti ad un tavolo, intorno a loro un silenzio imbarazzante, rotto solo dalle persone intorno a loro.

“Ancora mezzora.” fece Preston, dando un'occhiata all'orologio della tavola calda.

“E' molto accogliente questo posto. E Madrid. E' così maestosa. Non avevo mai visto una città così grande.” fece Giovanna, l'unica entusiasta a quanto pare.

“Lieto che tu ti diverta tanto, bellezza.” commentò Preston.


Colton accavallò le gambe, e facendolo fece cadere la sua pistola d'ordinanza. La raccolse prontamente e la tenne sotto il tavolo per nasconderla, intento su dove metterla con quei pantaloni blu strani e attillati che doveva portare, ma James se ne accorse.

“Henrich vi ha restituito la pistola?” chiese.

“Anche a te.” fece Colton, notando che sotto la giacca l'ammiraglio teneva una bella pistola d'epoca, ricca di particolari e molto maestosa “Posso vederla?”


James la prese per mostrargliela meglio, ma continuò a tenerla. Non si fidava abbastanza da dargliela, e Colton lo capì, lui avrebbe fatto lo stesso.


Kira gli gettò un'occhiata, e quando vide entrambe le pistole, i suoi occhi si infuocarono dalla rabbia. Pierre se ne accorse, e la guardò preoccupato.

“Cosa cazzo state facendo?” sbottò, con un tono talmente alto che alcuni dei presenti si voltarono verso il loro tavolo.


Il gruppo la guardò con gli occhi fuori dalle orbite, tutti tranne Pierre.

“Abbassa la voce.” fece Colton digrignando i detti, cercando inutilmente di reprimere la rabbia.


Sono delle pistole quelle?!?”


Fai silenzio o ci scambieranno per dei pregiudicati!”

“E per fare in modo che non accada, voi avete avuto la brillante idea di tirare fuori le vostre cazzo di pistole in un luogo pubblico!”


James mise la sua dentro la giacca immediatamente, spaventato sia dalla reazione della ragazza sia dagli sguardi sbigottiti degli spagnoli intorno a loro che stavano ascoltando tutto.

Colton invece era tutt'altro che spaventato. Era furioso. Con Kira. Più del solito.

“Ma si può sapere che razza di problema mentale hai?!?”


Metti subito via quella cazzo di pistola o giuro su Dio, te la infilo su per il culo.” sbottò Kira, ignorando totalmente il commento del poliziotto.


Per Colton fu la goccia che fece traboccare il vaso.

“Ti farò pentire amaramente di quel-”


La frase di Colton venne interrotta da un forte rumore provenire dalla strada, che agli altri clienti della tavola calda risultò indifferente. Doveva trattarsi di qualcosa a cui erano abituati.

Una botta? Un tonfo? Un rumore assordante ed insistente.

Kira iniziò ad agitarsi più di prima. Iniziò a tremare quasi involontariamente, le sue gambe si fecero rigide e le sue mani premettero sulle sue orecchie, tutto per interrompere quel rumore. Iniziò a dondolarsi nella sedia, facendo qualche verso con la bocca, un misto tra pianto e paura, ma il rumore non cessava e i suoi occhi erano ancora puntati su quella maledetta pistola, e gli sguardi allibiti del gruppo che la guardavano sconvolti.

“Rilassati, è solo l'orologio.” fece Preston, mantenendo il suo solito tono annoiato.


Orologio? Pistola d'ordinanza? Orologio? No, botta. Pistola d'ordinanza? No, arma. Botta e arma. Arma e botta. Spari e botte. Botte e spari. Percepì quasi un urlo in lontananza, ma nel suo inconscio sapeva che non era reale. Che se lo stava immaginando lei.

E poi il tempo intorno a loro si fermò. L'orologio non suonava più, il resto delle persone ferme come statue di cera, tutto era come bloccato tranne loro. In pausa.

“Che diavolo succede adesso?” fece Preston.

“Sono stato io.” fece Pierre riferendosi chiaramente al tempo che si era fermato. Si incamminò verso Kira dandole una rapida occhiata “Andiamo via. Adesso.”

Ogni membro del gruppo annuì e, uno ad uno, sparì dalla tavola calda, teletrasportandosi altrove. Rimasero solo Kira e Pierre.


Ehy.. va tutto bene.” fece Pierre cercando di sembrare il più empatico possibile, fallendo miseramente “adesso ce ne andiamo da qui” aggiunse.


Si preparò per il teletrasporto, e all'ultimo momento mise delicatamente una mano sul braccio sinistro della ragazza, per teletrasportare anche lei con lui. Date le sue condizioni, optò che non era il caso che si teletrasportasse da sola, sempre se ci fosse riuscita, e non poteva neanche afferrarla con forza, perché qualunque trauma del suo passato stesse affrontando, doveva avere a che fare con la violenza, così la toccò il più delicatamente possibile, quanto bastava per portarla via con lui. Lontana da quel luogo, e da qualunque incubo o demone del suo passato stesse affrontando.


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E' più difficile di quanto si creda descrivere a parole una situazione in cui sai di poter morire da un momento all'altro, soprattutto quando è inaspettato. Soprattutto quando esci per divertirti, per passare una serata spensierata con amici per dimenticare i problemi di tutti i giorni, problemi che ad un tratto diventano così piccoli, così insignificanti. E poi arriva quel momento, quell'esatto momento in cui realizzi che sono più alte le possibilità che tu muoia, quel momento in cui la tua sopravvivenza è legata esclusivamente alla fortuna e mentre cerchi disperatamente un modo per salvarti, ti ritrovi circondato da persone come te, persone che urlano, dalla paura e dal terrore, tutte con la stessa consapevolezza, tutte con quegli sguardi disperati consapevoli di essere finiti nel posto sbagliato al momento sbagliato, consapevoli che la maggior parte di loro non avranno la possibilità di tornare nelle loro case ad abbracciare le loro famiglie, consapevoli che molti di loro quel luogo e quelle urla di dolore e disperazione, saranno le ultime cose che vedranno e sentiranno, e che le stesse strade in cui avevano ballato felicemente quella sera si sporcheranno del loro sangue.

Gli spari erano iniziati, il terrore si stava diffondendo e le prime vittime caddero inermi per terra prive di vita e grondanti di sangue, ed erano passati solo pochi secondi dai primi spari, eppure a Kira sembrava essere passata un'eternità.


Faceva ancora fatica a credere a quello che stava succedendo, al fatto che fosse reale, l'unica cosa di cui era consapevole era che non voleva morire, e che aveva paura. Sentiva una fitta allo stomaco e il suo sangue pulsare sotto la pelle. Lei, Jozef e Valeriya iniziarono a correre, ma quando sentirono degli spari anche nella direzione in cui stavano andando, si bloccarono e si guardarono disperatamente intorno alla ricerca di un nascondiglio, ma trovarono solo cadaveri.

“Sono morti. Oddio, sono morti! Sono morti davvero!” iniziò ad urlare Valeriya, da sempre la più emotiva.


Kira scosse l'amica per farla riprendere. Avrebbe voluto dire qualcosa ad esempio “noi non siamo ancora morti” e “mi servi tu se vogliamo sopravvivere”, ma si limitò a scuoterla. Non riuscì ad aggiungere altro, perché nonostante cercasse di negarlo, Kira stava urlando esattamente come Valeriya, ma internamente. Urla di terrore.

Jozef afferrò le due ragazze per le braccia e le spinse in un vicolo lì vicino, per poi prepararsi a correre nella stessa direzione in cui stavano correndo prima, ma questa volta fu Kira ad afferrarlo per un braccio.


Dove diavolo vai?!? Sei impazzito?!?”


Jozef indicò con la testa un edificio lì vicino, dall'altra parte della strada.

“C'è mio fratello lì dentro.. Ha solo sette anni.. Io non-” fece una pausa, poi aggiunse “devo andare da lui.”


Jozef, no! E' un centro sportivo quello! Un edificio pubblico. Uno di loro potrebbe entrare e..” balbettò Kira.

Jozef scoppiò in lacrime, nonostante facesse di tutto per cercare di impedirlo.

“Lo so.” ammise, lasciando che le lacrime gli attraversassero le guance “ma non lascerò che muoia da solo.”


Jozef..” lo chiamò Valeriya, singhiozzando “se mi ami davvero, ti prego, ti scongiuro, non andare.” disse, cercando di trascinarlo nel vicolo.


Jozef si chinò sulla ragazza e la baciò rapidamente, sapendo che con ogni probabilità quello sarebbe stato l'ultimo bacio che sarebbe stato in grado di darle “ti amo.” le sussurrò non appena si staccò, poi pianse di nuovo “ma devo farlo”aggiunse, staccandosi definitivamente da entrambe le ragazze e correndo verso l'edificio per poi entrarci.

Valeriya fece per inseguirlo, ma Kira la bloccò e la spinse nel vicolo.

“Lasciami! Lasciami io devo..” fece Valeriya, divincolandosi, per poi calmarsi poco a poco.

Quando si calmò definitivamente, Valeriya si accasciò al muro, senza smettere di guardare l'edificio. Kira le prese la mano.

Poi, la cosa peggiore che potesse capitare, è successa.

BOOOOOM

L'edificio andò in mille pezzi, a causa di una bomba all'interno probabilmente causata da un kamikaze che si era fatto esplodere per distruggere la struttura e far saltare in aria tutte le persone nell'edificio, incluso Jozef.

Non c'era la minima possibilità che si fosse salvato, ed entrambe le ragazze lo sapevano.

Kira urlò internamente, così forte che se lo avesse fatto con la bocca avrebbe perso la voce, probabilmente. Delle lacrime silenziose iniziarono a bagnarle il viso, viso che rimase impassibile, serio, rendendole impossibile manifestare l'immenso dolore che si sentiva dentro.

Valeriya invece il suo dolore lo fece uscire come un vulcano che erutta. Iniziò a correre verso l'edificio lasciando il nascondiglio, e giunta esattamente a metà strada, dove alcuni pezzi dell'edificio erano arrivati a causa dell'esplosione si inginocchiò quasi cadendo e urlò disperata. Urlò forte, così forte che quell'urlo sembrava sentirlo tutto il pianeta. Urlò il suo nome, e un lungo e doloroso “NO” che raccontava tutto quello che provava per lui.


Kira corse verso l'amica, ricorrendo a tutte le sue energie per alzarla e riportarla nel nascondiglio, per toglierla dalla strada. L'amica si ribellò, ma Kira non volle sentire ragioni. Aveva appena perso il suo migliore amico, non avrebbe perso anche la sua migliore amica.


Giunte quasi al marciapiede, Valeriya si buttò sull'amica, l'abbracciò forte, un po' per supporto e un po' per ringraziarla di essere uscita dal nascondiglio per andarla a riprendere, consapevole che lei da sola non ce l'avrebbe fatta.

Socchiuse gli occhi, e vide dall'altra parte della strada, vicino all'edificio ormai distrutto, uno degli attentatori. Ripeté di nuovo qualcosa in tedesco, e iniziò a sparare a delle persone lì vicino. Senza neanche pensarci due volte, Valeriya strinse forte l'amica, forzando entrambe a spostarsi di centottanta gradi. Così facendo, Valeriya si ritrovò tra l'amica e il terrorista, facendole da scudo. Quando Kira se ne accorse, era troppo tardi.


Quattro, cinque, sei proiettili raggiunsero il corpo di Valeriya. L'ultimo, quello fatale, alla testa, facendo schizzare il sangue sugli occhiali di Kira, che vide l'amica morire tra le sue braccia per salvarla.

Questa volta urlare solo internamente non era neanche lontanamente sufficiente. Kira urlò, tanto da avere male alla gola, mentre poggiava delicatamente il corpo sanguinante e senza vita della persona che era morta per lei.


Anche se al solo pensiero di abbandonarla lì per strada come spazzatura le provocava disgusto, Kira lo fece. Lo fece perché la sua Val era morta per salvarla, e non avrebbe reso vano quel sacrificio. Sarebbe sopravvissuta. Per lei. E per Jozef.

Iniziò a correre alla cieca, non sapendo bene dove andare. Sentiva ancora degli spari, e tutto quello che vedeva era il sangue della sua amica, che era rimasto sui suoi occhiali e le copriva totalmente la vista, e senza occhiali non avrebbe visto niente comunque. E non aveva tempo di fare altro. Poteva solo correre.

Inciampò un paio di volte, e con le mani capì che si trattava di cadaveri. Con la poca energia che le rimase, si rialzò ogni volta e continuò a correre.


Aiutandosi con il tatto, e con un enorme fortuna che non credeva di avere soprattutto dopo quanto era successo, riuscì ad infilarsi in un vicolo, diverso da quello in cui le aveva trascinate Jozef.

Sempre con le mani, riuscì a percepire quello che sembrava essere un bidone della spazzatura pubblico. Senza neanche pensarci, lo aprì e ci si buttò dentro a pesce, e fu un grosso errore.

Insieme a qualche sacchetto della spazzatura, sul lato destro poggiato verticalmente su un lato, c'era un coltello affilato rivolto verso l'alto. Quando Kira entrò nel bidone, il suo viso finì proprio dove stava quel coltello, che le provocò, oltre ad un notevole dolore fisico, un enorme e permanente taglio sulle labbra, che iniziarono a sanguinare.

Nonostante il dolore, Kira non emise un suono. Non poteva. Non ci riusciva. Se ne stette lì, immobile, con ancora quel coltello conficcato nelle labbra, rannicchiata come un bambino piccolo, senza muoversi tenendo le mani sulle orecchie per cercare di coprire quanto poteva i rumori, mentre fuori udiva ancora le urla, gli spari e la morte che avevano alimentato quella sera e trasformato un bel momento nel peggiore degli incubi.


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Quando Kira e Pierre tornarono nel loro consueto salotto con il teletrasporto, il resto del gruppo se ne stava lì, seduto nei divani, ad aspettarli. Alcuni di loro avevano lo sguardo fisso su Kira, uno sguardo colmo di rabbia, di irritazione, altri evitavano lo sguardo della ragazza, un po' delusi e un po' timorosi di averla intorno.

Kira, per la prima volta davanti al gruppo, si mostrò imbarazzata.. e dispiaciuta, per quanto era successo.

Gli animi erano davvero troppo tesi, così intervenne Pierre.

“Poteva.. poteva andar peggio.”


Colton scoppiò in una finta risata.

“No. Non poteva andare peggio. Non poteva proprio.”


Siamo qui. Siamo tornati. E nessuno di noi ha avuto ripercussioni per quanto è successo.” insistette Pierre.

“Sì, ma ci mancava davvero poco.” fece Preston.

Colton si alzò e si avvicinò a Kira. La guardò dritto negli occhi.

Vattene.”


Cosa?”


Ho detto. Vattene. Sei fuori.” disse in tono risoluto Colton.

“Non sei tu a decidere chi se ne va e chi resta.” fece Pierre.

“Vuoi che facciamo a votazioni, pazzoide? Ottimo.” fece Colton, avvicinandosi al resto del gruppo “Quanti di voi vogliono che la svitata dalle labbra storpie continui a venire in missione con noi rischiando di mandare a puttane non solo la missione, ma anche le nostre vite?”


Nessuno parlò. Preston, Giovanna e James guardarono ovunque tranne Kira, dando chiaramente una risposta. Provavano pena per lei, per qualunque problema mentale avesse, dato che ormai erano tutti convinti che fosse mentalmente instabile, ma non la volevano intorno. Nessuno la voleva. Tranne Pierre, che la difendeva a spada tratta.

“Tutto questo perché ha avuto un attacco di ansia?” fece Pierre, quasi sbigottito da quelle reazioni.

“Quella non era ansia! Quello è essere mentalmente pazzi e avere chiari squilibri alterati nel cervello. Dio, ho arrestato assassini con meno problemi mentali.” continuò Colton.

“E se ricapitasse? Magari durante una missione pericolosa? Se per un suo errore ci rimettiamo tutti?” aggiunse Preston, poi guardò Kira “mi dispiace per te tesoro, mi dispiace davvero, ma non posso rischiare di morire per farti da babysitter”.

“La verità è che qui tutti abbiamo un'utilità, qualcosa con cui riuscire a vincere. Io so sparare e ho buon intuito dato che sono un detective, James e Preston sanno combattere. Giovanna ha un ottimo senso dell'orientamento” fece Colton “e persino il nostro mostro personale ha dimostrato di avere qualche utilità grazie al suo quoziente intellettivo alto.” aggiunse, indicando Pierre.

Poi si mise davanti a Kira.

“Tu, invece, sei solo un enorme palla al piede. Gli unici ad accorgersi di una tua eventuale morte saremmo noi a causa di questo cazzo di legame. Scommetto che non mancheresti a nessun altro.”


Kira continuò a guardare Colton, ferita, distrutta per la prima volta da qualcosa che lui le aveva detto. Sentì le guance bagnarsi di lacrime.

Pierre stava per ribattere, e anche James sembrò voler dire qualcosa per farla sentire meglio dopo le parole di Colton, ma lei non lo permise a nessuno di loro.

Si focalizzò su qualcosa. E poi sparì, teletrasportandosi chissà dove, e quando.



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Kira non ebbe idea di quanto tempo passò in quel bidone. Il tempo era una di quelle cose difficili da calcolare, dopo quanto successo, e quando sentì qualcuno aprirlo, sussultò dalla paura e dal terrore, ancora vividi nella sua mente e nei suoi ricordi.

“Ehy, ehy tranquilla. Va tutto bene, siamo qui per aiutarti. E' tutto finito.”

Due soccorritori entrarono nel bidone per assicurarsi che stesse bene. Uno di loro le tolse delicatamente quel coltello che ancora premeva sulle sue labbra, mentre l'altro la prese in braccio.

“Sei stata molto fortunata. Se quel coltello fosse stato pochi centimetri più a destra, ti avrebbe trapassato un occhio.”


Già.. Fortunata. E' proprio ciò che sono.

Quando uscì dal bidone, sempre tra le braccia di uno dei soccorritori, sentì la sirena dell'ambulanza e dei vigili del fuoco. Quello che le aveva tolto il coltello le coprì gli occhi, per impedirle di vedere alcuni dei cadaveri che erano ancora a terra.

Come se facesse la differenza, dopo quello che è successo.

La portarono dentro un'ambulanza, e la visitarono brevemente, considerando i tanti feriti presenti. Dopo un po' di tempo, vide in lontananza arrivare i suoi genitori. Avevano gli occhi rossi da quanto piangevano, e corsero verso di lei abbracciandola forte. Le dissero qualcosa.

“Grazie al Cielo stai bene.”


La mia bambina.”


Sei stata così coraggiosa.”


Kira non disse niente. Si limitò a lasciarsi abbracciare, il suo sguardo perso nel vuoto, come se la sua anima non ci fosse più. Come se fosse morta quel giorno, insieme ai suoi sogni.

Arrivarono i primi giornalisti, prontamente cacciati dai vigili del fuoco. Iniziarono ad elencare il numero dei morti e dei feriti, come se non fossero altro che numeri.

Poi, vide arrivare la madre di Valeriya. Vide che parlava con un vigile del fuoco. Poi la donna scoppiò in lacrime urlando il nome della figlia, mentre l'uomo cercava di darle un sostegno morale aiutandola ad alzarsi.

Tutto apparve sfuocato, lontano, come un sogno antico, come i giorni che Kira passò in ospedale per alcuni accertamenti.

Quando tornò a casa, vide sul suo comodino una foto. Una foto che teneva lì da sempre, e che quando la vedeva il mattino quando si alzava e la sera quando andava a letto la faceva sorridere. Una foto di lei, Jozef e Valeriya da bambini, che giocavano e ridevano, ma questa volta, quando la guardò, non rise.


La prese, la guardò un'ultima volta con quello sguardo perso e vuoto che non l'avrebbe mai lasciata, e la strappò, buttando ciò che ne restava nella spazzatura.



“I terroristi, i kamikaze, non ci ammazzano soltanto per il gusto di ammazzarci. Ci ammazzano per piegarci. Per intimidirci, stancarci, ricattarci. Il loro scopo non è riempire i cimiteri. Non è distruggere i nostri grattacieli, le nostri Torri di Pisa, le nostre Tour Eiffel, le nostre cattedrali. I nostri David di Michelangelo. E' distruggere la nostra anima, le nostri idee, i nostri sentimenti, i nostri sogni.”


Oriana Fallaci





Note:


Ciao! Sì, non sono morta -.-' Lo so, il mio ritardo per questo capitolo è vergognoso, ma ho avuto problemi di tempo e anche al Computer. Inoltre, questo capitolo è stato modificato tantissime volte. All'inizio doveva essere ambientato a Parigi e doveva essere molto comico e ironico, giusto per darvi un'idea di quante modifiche ha ricevuto. Una ventina, minimo.
Anche perchè questo capitolo è strettamente legato a ciò che avverrà d'ora in avanti fino alla fine del primo e quindi dovevo pensare bene anche ai capitoli successivi prima di scriverlo. E per scusarmi dell'eccessivo ritardo, è anche più lungo del solito.


Spero che vi sia piaciuto, nonostante sia tutto tranne allegro. Per prepararmi a scriverlo, mi sono ascoltata alla nausea "Non mi avete fatto niente", ma vi prego, siate clementi, non so molto di attentati terroristici ed è la prima volta che ne scrivo uno in un racconto. Ho fatto del mio meglio e spero che sia venuto decente.


PS: i personaggi di Jozef e Valeriya sono ispirati a due miei amici, che fortunatamente stanno benissimo e godono di ottima salute :)



Grazie a tutti quelli che leggeranno il capitolo e soprattutto per quelli che lasceranno una recensione, nonostante l'enorme ritardo. Spero che il prossimo capitolo arrivi prima! Un bacio.

  
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