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Autore: Water_wolf    19/07/2018    4 recensioni
{ Space!AU | Percy/Annabeth, Luke/Ethan }
È una verità universalmente riconosciuta, che non avere un copilota è meglio che averne uno incapace. Per questo, quando Percy diventa il suo nuovo compagno di volo, Annabeth è tutt'altro che contenta. Costretti a fare squadra, impareranno a fidarsi l'una dell'altro—e a non uccidersi a vicenda.
Nel frattempo, il Primo Pilota Luke è scomparso durante una missione. Tranne Annabeth, tutti lo danno per morto. E quando riceve un inquietante messaggio, non le rimane altro che partire insieme a Percy alla volta dello spazio.
Annabeth lo afferrò per un braccio, lo tirò vicino a sé e guardandolo negli occhi mormorò in tono di minaccia: «Se per colpa tua—perché sarà sicuramente colpa tua—oggi ci schiantiamo, sappi che non smetterò mai di cercare di liberarmi di te.»
Le labbra di Percy Jackson si arcuarono in un grande, sfrontato e deliberatamente provocatorio sorriso sarcastico. «Ricevuto.»

♣♣♣
Copilota. Si erano affibbiati l’un l’altro quella definizione, con sprezzo o affetto a seconda del caso, come una moneta che al posto di testa e croce oscilla tra maledizione e benedizione.
Genere: Azione, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Leo Valdez, Luke Castellan, Percy Jackson, Piper McLean
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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sei



Ad Annabeth piaceva fare colazione insieme a Piper. I loro orari di lezione non sempre coincidevano e la mattina risultava l’unico momento in cui riuscissero a vedersi. Chiacchierando di temi leggeri o rimanendo in un confortevole silenzio, si prendevano il loro tempo—spesso troppo, rischiando di fare tardi. Negli ultimi giorni, si erano aggiunte altre due presenze fisse, Percy e il suo amico Grover. Ad Annabeth piaceva fare colazione insieme a Piper, davvero, ma non quando era costretta a nasconderle qualcosa. Dirle che rischiava l’espulsione, e soprattutto perché la rischiava, non era un’opzione. Non era pronta a gestire la sua reazione, dopotutto a malapena controllava la propria.
«Cosa sono questi musi lunghi?» domandò Piper, posando il vassoio sul tavolo della mensa dove avevano deciso di sedersi. «Le lezioni non sono ancora iniziate, quindi non può essere un’esercitazione andata male» rifletté ad alta voce.

«Esatto, bro. Hai una faccia» rincarò Grover. «Problemi in paradiso?»
Annabeth intercettò un’occhiata di Percy e scosse la testa. Il ragazzo sospirò, prima di mentire: «Pulire pavimenti fino a mezzanotte non è esattamente la mia idea di paradiso, bro. Siamo solo stanchi.»
Attaccarono a parlare di quanto quella punizione fosse immeritata e facesse schifo, ma Annabeth smise di ascoltare. Si perse a fissare i cereali che navigavano nella ciotola di latte davanti a lei. Erano a forma di anello, come la base spaziale del Campo. Il Campo e i suoi segreti.
«Guarda che non li puoi mica assorbire per osmosi, quelli.»
La bionda si riscosse alla voce dell’amica. «Mh? Ah, già.» Immerse il cucchiaio nella tazza, provocando onde sulla superficie del latte che sommersero i cereali.
Piper le rivolse un sorriso compassionevole. «Mangia, altrimenti ti addormenterai sui comandi e non potrai dare la colpa a Percy.»
Annabeth rimase spiazzata per qualche secondo a quelle parole, poi scoppiò a ridere. «Questo è uno dei consigli migliori che tu mi abbia mai dato.»
«Lo so. Ormai sta diventando difficile tenere il conto» replicando, gettandosi indietro i capelli, facendo finta di tirarsela. Abbassò la voce e continuò: «Comunque il ragazzo deve stare seguendo i tuoi, di consigli, visto che non vi siete schiantati una sola volta da quando siete una coppia.»
La bionda era sul punto di rispondere che non sarebbero mai diventati quel tipo di coppia, quando Percy intervenne: «Non mi piace questo tono cospiratorio, Mc Lean. Cosa complotti alle mie spalle?»
Piper gli sorrise in modo malizioso. «Cosa ti piacerebbe che complottassi?»
Annabeth gli lesse la risposta in faccia. Avrebbe potuto stamparla su una fascia e legarsela in fronte, tanto era ovvio. Un modo per salvarla dall’espulsione e, allo stesso tempo, salvare il seme di qualcosa di buono: le chiacchierate, le battutine, i ritrovi sicuri, le risate, l’inizio di un’amicizia.
Ma Percy non disse nulla di tutto ciò. Sfoggiò uno dei suoi sorrisi alla Jackson e, modulando la voce in modo che risultasse più squillante, rispose: «Ovviamente un modo per eliminare queste occhiaie terribili, tesoro. E tu?»

Annabeth si unì al coro di risate, ma non ci mise il cuore. Non ci riuscì.

 

Lei e Percy non parlarono molto durante la giornata. Ognuno aveva i propri rompicapi da risolvere, ognuno le proprie riflessioni da portare a termine. Eppure, Annabeth sospettava che se avesse condiviso i propri pensieri con il ragazzo, lui l’avrebbe ascoltata attentamente. Forse stava aspettando proprio quel momento e le stava lasciando spazio. Perché per quanto ci provasse, non riusciva a cancellare dalla memoria il suo ultimo messaggio.

thepercyjaxon: sei il mio copilota, dunque sono anche i miei problemi

L’aveva scritto prima di sentire tutta la storia, quindi era plausibile che dopo avesse cambiato idea e non volesse più stare dalla sua parte. Tuttavia, aveva visto il video. Aveva sentito parlare Luke, l’aveva guardato pregare che Olympus venisse abbandonata, e non era rimasto indifferente. Se il suo interesse era sincero, non poteva scomparire nell’arco di una notte.
Ciò che le premeva di più, però, era la questione Olympus. Annabeth aveva memorizzato tutto quanto riguardava l’ultima missione di Luke, nella speranza di scoprire la ragione per cui fosse scomparso, nome di azione compreso. Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma aveva ricontrollato: la sua missione non si chiamava Olympus, bensì Flora V. Aveva senso, considerato che il team di scienziati era volato su Gaia per raccogliere campioni di minerali.
Quando aveva cercato Olympus, aveva trovato un file così spoglio di informazioni che era chiaro fosse una copertura. Aveva provato ad hackerare il sistema, ma i livelli di protezione erano talmente complessi che non ci era riuscita. Tanta segretezza era già indice di qualcosa di losco, qualcosa che il Signor D. e i professori, ammesso che ne fossero al corrente, non desideravano venisse alla luce.

Mentre l’insegnante di Elettrofisica proseguiva la sua spiegazione, Annabeth sollevò lo sguardo dagli appunti che stava prendendo e rivolse l’attenzione su Percy. Era un altro rompicapo, forse persino il più complicato.
Il suo compagno di banco strizzava gli occhi, quasi lo aiutasse a comprendere meglio il disegno del circuito sulla lavagna. Molleggiava la gamba destra, distraendo la parte del suo cervello che, a causa dell’AHDH, voleva essere distratta. Osservò il profilo delle spalle muscolose appena accennato dalla divisa bianca e arancione del Campo, i tratti del viso simmetrici, così in contrasto con i ricci neri che si ribellavano a ogni parvenza di ordine.

Cosa sapeva di lui? Poteva fidarsi—confidarsi? Era un altro rompicapo, forse persino il più complicato.
Percy Jackson. Record di schianti. Campione di sarcasmo. Intelligente, solo non nel modo convenzionale. Idiota, nel modo convenzionale. Lo conosceva abbastanza perché fosse suo partner, ma non abbastanza perché fosse suo amico. Alla fine, si riduceva a questo: Percy Jackson. Copilota.
Si erano affibbiati l’un l’altro quella definizione, con sprezzo o affetto a seconda del caso, come una moneta che al posto di testa e croce oscilla tra maledizione e benedizione. L’avevano lanciata in aria e girava ancora e ancora, dal momento in cui Chirone li aveva accoppiati. Impossibile predire quale faccia avrebbe mostrato quando si sarebbe fermata. In ogni caso, il legame che ora li univa era innegabile.
La domanda era: sarebbe bastato?
Il piano che aveva in mente era rischioso e divulgarne i dettagli lo era ancora di più. Annabeth si morse l’interno della guancia e distolse lo sguardo. Non era ancora giunto il momento di darsi risposta.

 

Al suono dell’ultima campanella, Chirone si materializzò all’uscita dell’aula, il suo personale giudice infernale. Annabeth venne assalita da un attacco d’ansia improvviso. L’angoscia si era fatta strada nel suo corpo durante il corso della giornata, logorandole le ossa e la mente. Era giunta a credere che la decisione sul suo futuro fosse stata rimandata, vista la mancanza assoluta di notizie. Prima di quel momento, ovviamente. Da qui l’ondata di subitaneo terrore.
Annabeth si mosse con una calma che non aveva, cercando di posticipare il più possibile, anche di un solo secondo, quell’incontro. Alla fine, l’incertezza non era così male, giusto? L’ansia mischiata alla paura stringeva i suoi intestini più saldamente di un bulldog il proprio osso, facendola sentire vicino al vomito.
Una mano calò sulla sua spalla e la strizzò, attenuando il malessere. La ragazza si voltò, incontrando lo sguardo di Percy.
«Andrà tutto bene» le disse, ma i suoi occhi verdi non splendevano come al solito, forse perché entrambi sapevano che probabilmente non sarebbe stato così. Ad ogni modo, apprezzò lo sforzo.
Chirone si avvicinò solo quando tutti gli studenti furono ben avviati lungo il corridoio. Gli bastò un cenno del capo per liquidare l’insegnante. La sua espressione era illeggibile, per quanto cercasse di mostrare il suo solito atteggiamento di quieta cordialità.
«Percy, Annabeth» li salutò. «Il consiglio è terminato. Sono qui per portarvi nell’ufficio del direttore.»
Quindi era più il suo speciale Caronte, che giudice infernale, rifletté la bionda. Si limitò ad annuire e seguire i suoi passi, preferendo concentrarsi sul tenere a bada l’ansia che sulle parole da usare.
Mentre percorrevano all’incirca lo stesso percorso della sera prima, Annabeth si scoprì a combattere un inaspettato fastidio. Perché era così nervosa? Quando si era inserita nel sistema di comunicazione del Campo per mandare un messaggio a Luke, sapeva che sarebbe potuto succedere. Sapeva perfino che avrebbero potuto scoprirla senza che il Primo Pilota rispondesse, rendendo la sua ricerca e, di conseguenza la sua punizione, inutile. Conosceva le regole e aveva deciso di infrangerle comunque. Luke era più importante.
Se venire sbattuta fuori la spaventava tanto, significava che si pentiva delle sue scelte? Che si pentiva di aver cercato una delle persone più importanti nella sua vita?

Diamine, no.
Avrebbe rifatto tutto daccapo, al diavolo dove quella decisione l’avrebbe portata. Quindi smettila di piagnucolare come una ragazzina e inizia ad assumerti la responsabilità delle tue scelte, Chase, si sgridò da sola. Spalle dritte, testa alta.
La sicurezza appena acquisita evaporò giusto un poco nel varcare la soglia dell’ufficio del Direttore. In ogni caso, ormai non aveva più senso dubitare. Era una questione di minuti e avrebbe scoperto se fosse giunto il momento di preparare le valigie. Oltre che fare la cosa più rischiosa della sua vita, ancora più rischiosa dell’hackeraggio. Parte dell’agitazione era dovuta anche a quello.
Il Signor D. sedeva alla scrivania. La giacca era la stessa, ma la camicia era diversa, con una fantasia maculata ancora più esuberante. «Avanti, avanti» li invitò sia con la voce sia con i gesti.
Chirone si andò a sistemare accanto al superiore, scambiando con lui uno sguardo che Annabeth non riuscì a interpretare. Il Direttore si schiarì la voce e appoggiò i gomiti sulla superficie liscia della scrivania, scrutando i due ragazzi di fronte a lui.«Sono certo che il mio qui presente collega preferirebbe una lunga introduzione e un elenco dei punti focali della discussione ci ha impegnato quest’oggi» iniziò, senza preoccuparsi di non lasciar trasparire la sua noia, «ma io non sono un amante delle chiacchiere e ho già dovuto sorbirne parecchie in un lasso di tempo decisamente ridotto. D’altra parte, non vedo l’ora di versarmi un bicchiere di Chardonnay per calmare il mio mal di testa.» Per un attimo, il suo sguardo si perse in lontananza, come se stesse già assaporando il momento. Dopo qualche secondo, tornò in sé e riprese: «Dunque, in seguito alle gravi infrazioni al nostro codice di sicurezza eccetera eccetera, Annabeth Chase, lei è tenuta a lasciare questa scuola.»
Annabeth sentì il fiato abbandonare i suoi polmoni. Accanto a lei, Percy divenne improvvisamente immobile. La ragazza se lo aspettava, ma la consapevolezza non rendeva il colpo meno duro. Fece appello alla propria forza e, in un sussurro, chiese: «Quando?»
«Domani» rispose il Signor D. con leggerezza.
Alche, Chirone intervenne, non prima di aver lanciato un’occhiata carica di significati all’altro. «Hai fino a domani mattina per fare i bagagli e salutare i tuoi amici. Qualunque spiegazione deciderai di dare, noi ti supporteremo. Capirai però che, per ragioni di sicurezza, non ti è permesso informarli del video. Per quanto riguarda i tuoi genitori, abbiamo già provveduto a metterli al corrente di tutto. Tuo padre ti aspetterà alla pista di atterraggio sulla Terra.» Sospirò, massaggiandosi la radice del naso. «Mi dispiace molto, figliola. Vorrei che tu mi credessi quando dico che ho fatto il possibile.»
Le sue parole la toccarono più di quello che si immaginava. Chirone era sempre stato gentile con lei, l’aveva tenuta d’occhio fin dal primo giorno. Nascose la mani sotto le cosce per non far vedere quanto tremassero. «Le credo» mormorò.
Percy non sembrava altrettanto convinto, perché borbottò qualcosa di incomprensibile e cambiò posizione sulla sedia, incrociando le braccia sul petto.
Il suo movimento catturò l’attenzione del Direttore. «Johnson, mi stavo quasi dimenticando di lei.»
«Non ne dubito, visto che si è già dimenticato il mio cognome» brontolò sottovoce, in modo che solo Annabeth riuscisse a sentirlo.
Nel frattempo, il Signor D. era andato avanti senza farci caso. «Non vogliamo che rimanga senza copilota per troppo tempo. Per velocizzare il processo, è libero di suggerirci dei candidati. Chirone prenderà nota.»
«Avremo modo di parlarne a fondo in seguito, ragazzo» aggiunse il centauro. «Adesso non è proprio il momento adatto.»
Percy annuì. «Già.»
Annabeth non avrebbe potuto aggiungere altro anche se avesse voluto, perché il Direttore premette un tasto per far aprire le porte dietro di loro e li congedò senza tanti giri di parole. Avrebbe giurato di averlo sentito discutere tra sé su quale annata scegliere.

Solo quando la porta si richiuse definitamente dietro di lei si concesse un lungo respiro. Era così concentrata sul riprendere fiato dopo un incontro che aveva vissuto praticamente in apnea, che le ci volle qualche momento per registrare la presenza di Percy.
«Cosa ci fai ancora qui?» domandò, stringendosi nelle spalle. «Hai sentito quello che hanno detto. Sei libero.» Un angolo della sua bocca scattò verso l’alto. «Pensare che una settimana fa ero io a volermi liberare di te…»
Credeva che il commento l’avrebbe fatto ridere, per cui rimase sorpresa nel non vederlo sorridere. Inclinò la testa di lato, osservandolo meglio. «C’è qualcosa che non va?»
«In realtà, sì» ribatté lui, il tono basso e vicino alla rabbia. «Dovrei essere io a farti questa domanda. Perché sei così tranquilla? Perché non hai cercato di ribellarti alla loro decisione? Perché non hai detto niente?»
Annabeth fece un passo indietro. «Avrei dovuto mettermi a urlare? Aggrapparmi con le unghie al pavimento mentre mi trascinavano via per dimostrare che ci tengo a restare al Campo?» Scosse la testa. «Non avrebbe cambiato nulla. È più sensato accettare il verdetto senza fare storie, mantenendo la dignità intatta.»
«Questo non spiega perché adesso, lontano dai loro sguardi, non stai dando sfogo alle tue emozioni» obbiettò il ragazzo, corrugando la fronte nello sforzo di comprendere ciò a cui ancora non arrivava.
La bionda sbuffò. «Semplicemente non sono il tipo emotivo.»
«No, non è questo.» Percy stava praticamente riflettendo ad alta voce. «Sei troppo calma. Non ti lasci andare a sfoghi passionali, è vero, ma sei polemica. Non accetti le decisioni e basta. Se non sei d’accordo, le contesti, non importa cosa ne potrebbero pensare gli altri. È quello che hai fatto quando mi hai visto davanti al simulatore di volo il primo giorno. È quello che hai fatto quando ti hanno detto che Luke era morto. Adesso non hai nemmeno aperto un dibattito. L’unica ragione che spiega perché ti comporti in modo strano, è che hai qualcosa in mente, un modo più intelligente per opporti.»
Annabeth si sentì improvvisamente esposta. Da quando il moro prestava tanta attenzione al suo comportamento? Fece un altro passo indietro, rendendosi conto troppo tardi che la sua assomigliava parecchio a una ritirata.
Si obbligò a guardare Percy dritto negli occhi e, le braccia incrociate sotto il seno, replicò: «Okay, è vero. Se non sono d’accordo con qualcosa o qualcuno, li contesto. Quindi forse sbagli a credere che non sia d’accordo con Chirone e il Signor D. Lanciando quel segnale ho messo in pericolo tutti quanti qui al Campo, te incluso. Forse è giusto che mi espellano per non aver usato la testa. Forse ti dovresti preoccupare meno di un mio fantomatico piano di ribellione e più a trovarmi un rimpiazzo.»

Percy le si avvicinò, annullando lo spazio che si era creato fra loro. La superava di diversi centimetri in altezza, ma Annabeth si rifiutava di essere intimidita dalla sua statura. Non ruppe il contatto visivo, osservando le sue labbra mentre formavano le parole seguenti. «Ma non mi sbaglio, non è così?» sussurrò il moro. «E il fantomatico piano di ribellione esiste, giusto?»
La pelle le prudeva, sempre più esposta, proprio come se Percy la stesse tirando fuori a forza dal suo guscio, mettendola di fronte alla verità. Era difficile mentire, quando lui sembrava averla capita così bene. Era difficile mentire, quando li separava meno di un capello.
«Sbagliato» rispose piano, sperando che la voce non la tradisse.
Dopodiché gli diede le spalle e si avviò lungo il corridoio.

 

Più tardi, Annabeth voleva colpirsi da sola. Era stata a tanto così da vuotare il sacco con Percy, dal raccontargli tutto quanto, eppure si era tirata indietro.
«Perché?» interrogò il soffione della doccia. «Perché?»
L’oggetto, però, rimase ostinatamente muto.
La ragazza sbuffò, frustrata. Percy aveva dimostrato di saperla capire—o almeno, capire la logica secondo cui agiva. Si era guadagnato la sua fiducia. E lei cos’aveva fatto? Gli aveva mentito. Aveva allontanato il suo unico possibile alleato, il solo che avrebbe potuto darle una mano.
Con un comando vocale, ordinò alla doccia di aprire l’acqua e poi si posizionò sotto il suo getto. Presto i suoi capelli biondi si appiattirono, rivelando la vera lunghezza dei ricci. Lasciò che le gocce scivolassero lungo il suo corpo, distendendo i muscoli in tensione e rischiarandole i pensieri.
Nonostante fosse completamente sola di fronte al destino che si era scelta, forse non coinvolgere Percy era stato meglio. È vero, il piano le dava conforto, ma non per questo l’espulsione faceva meno male.
Era costretta a dire addio a un luogo che amava e a un futuro da pilota che sognava da sempre. Era obbligata a separarsi da Piper, senza nemmeno poterle dire la verità. Molto probabilmente aveva deluso i suoi genitori. Non erano una famiglia molto legata—dopo la separazione tra Atena e Frederick, poco dopo la sua nascita, suo padre si era sposato con una donna che la disprezzava ed era riuscita nel distanziarla dal nucleo affettivo—ma, anche se deboli, quei legami esistevano e si facevano sentire. Considerando l’alta stima che entrambi avevano dello studio, vedere la propria figlia sbattuta fuori dalla migliore scuola del pianeta doveva assomigliare a un tradimento.
Annabeth era la prima a non voler percorrere quella strada, ma non aveva avuto scelta. Non avrebbe mai costretto nessuno a farlo, nemmeno Percy Jackson.
Uscì dalla doccia con la mente più tranquilla. Poi, diede inizio ai preparativi.
Riempì uno zaino di vestiti, evitando quelli che riportavano il logo del Campo e prediligendo capi tecnici e pratici. Per ultimo, infilò il cappellino degli Yankees che le aveva regalato sua madre anni prima. Controllò quanti contanti avesse con sé—quarantatré dollari e venticinque centesimi—e si morse le labbra, constatando che non erano molti. Avrebbe dovuto pensare al più presto a come procurarsene altri, se non voleva che la sua avventura si fermasse non appena il serbatoio si fosse svuotato. Si buttò lo zaino in spalla e, dopo aver osservato la stanza in cui aveva dormito negli ultimi mesi, uscì.

La prima tappa consisteva nelle cucine. Era più o meno sicura che nessuno si sarebbe aggirato nei dintorni nel mezzo della notte, per cui era più preoccupata che qualche nottambulo la notasse gironzolare nei corridoi con aria sospetta e pensasse di fermarla. Si mosse veloce e silenziosa, le suole delle sneakers a malapena toccavano terra. Ma non poteva nascondersi dalle luci che illuminavano la base ventiquattr’ore su ventiquattro, l’unica fonte di visibilità in un mondo altrimenti immerso nell’oscurità.
Tirò un sospiro di sollievo quando arrivò in vista della mensa. L’ambiente appariva ancora più grande del solito, i lunghi tavoli vuoti e le sedie libere invece che occupate dai ragazzi e i loro pasti. Annabeth si diresse verso il bancone dove di solito veniva disposto il buffet e lo scavalcò senza difficoltà.
Sapeva che le telecamere avrebbero ripreso ogni sua mossa, ma per lei non faceva alcuna differenza. Aveva già un piedi fuori del Campo. Il trucco era essere abbastanza veloce da prendere ciò che le serviva e andarsene prima che la beccassero. Non sapeva ogni quanto fossero analizzati i filmati e sperava vivamente che non ci fosse qualcuno a guardarla e dare l’allarme in quell’esatto momento.
Oltre il bancone, si trovava l’ingresso alle cucine, due porte da cui le arpie entravano e uscivano con il cibo pronto. Naturalmente era necessaria una chiave d’accesso per aprirle. Ma Annabeth era riuscita ad entrare nel sistema di comunicazione del Campo Mezzosangue; recuperare quella password era decisamente più semplice. Prese in mano il cellulare e iniziò a digitare sulla tastiera. Cinque minuti dopo, aveva trovato il codice in uso e lo stava inserendo nel pannello accanto alla porta. Era progettato per chiudersi automaticamente dopo dieci minuti, per cui impostò un timer e varcò la soglia.
Evitò le sagome scure di forni e fornelli, addentrandosi nelle cucine. Sentì un rumore simile a un risucchio vicino a lei, ma quando si fermò a controllare non vide nessuno. Non aveva tempo da sprecare, per cui liquidò la faccenda con una scrollata di spalle e si affrettò a raggiungere il retro del locale. Finalmente trovò armadietti e scaffali dove erano stipati scatolette e ogni tipo di verdura cresciuta nella serra artificiale del Campo. C’erano persino delle fragole, peccato che non fossero adatte a un lungo viaggio nello spazio.
Annabeth aprì lo zaino e vi infilò diverse razioni di cibo liofilizzato, barattoli e bevande energetiche. Non aveva idea di quanto sarebbe stata lontana, quindi prese il più possibile. Rubò il più possibile. Scacciò il senso di colpa prima che potesse fare presa su di lei.

In quel momento, udì di nuovo lo strano risucchio e si immobilizzò. Davanti a lei c’era una casa zeppa di patate. Lentamente, ne afferrò una e disse ad alta voce: «So che ci sei. Smettila di nasconderti.»
Questa volta, il risucchio fu seguito da un sospiro. Annabeth corrugò la fronte, mentre un terribile sospetto si faceva strada dentro di lei. Il tubero ancora in mano, si voltò.
Le sue prime parole furono uno sbuffo esasperato. «Oh, no. Non tu.»
Percy Jackson abbandonò la protezione che gli offriva uno scaffale carico di manzo in scatola e uscì allo scoperto. Le sue scarpe produssero quello strano rumore a contatto col pavimento piastrellato. «Vorrei poter dire che mi aspettavo un’accoglienza migliore» esordì, «ma in realtà temevo di peggio.»
Annabeth fu tentata di scagliargli addosso la patata che stringeva tra le dita per dimostrargli che il peggio doveva ancora arrivare. Andò dritta al punto. «Mi stavi seguendo?»
Il moro non si prese nemmeno la briga di fingere. «Già.» Al suo sopracciglio inarcato, articolò: «Siamo nel 2078, Sapientona. Localizzare un cellulare è un gioco da ragazzi.»
Diavolo, se aveva voglia di colpirlo in fronte con la verdura. Tuttavia, una piccola parte di lei era contenta che fosse lì. «Finiamo questa conversazione fuori da qui» ordinò, mettendosi lo zaino in spalla e ritornando sui suoi passi.
Percy fu subito dietro di lei e, insieme, misero quanta più distanza possibile tra loro e il misfatto prima di procedere nella discussione. Quando si fermarono, le luci sopra di loro erano gialle a indicare la vicinanza alle palestre.
«Non mi hai creduto» disse Annabeth, dopo essersi assicurata che non ci fosse nessuno.
Il ragazzo ghignò. «Sei una brava bugiarda, te lo concedo. Solo uno migliore di te ti avrebbe scoperto. Per tua sfortuna, io sono un bugiardo fenomenale.»
«E modesto» borbottò la bionda. «Va bene, sei qui. Ora cosa pensi di fare?»
«Voglio sentire il piano da te» rispose. «Poi, voglio farne parte.»
Solo allora Annabeth notò che anche il suo compagno aveva uno zaino con sé, e il sospetto si concretizzò in un malessere. Iniziò a scuotere la testa e muoversi a scatti, agitata. «Ti racconterò tutto, ma non posso coinvolgerti» ribatté. «Non posso.»
«È una mia decisione» replicò Percy serio. Le mise una mano sulla spalla, bloccando i suoi movimenti. «E voglio conoscere i dettagli prima di prenderla.»
Annabeth sospirò, ma smise di opporre resistenza. «Luke Castellan è da qualche parte ed è vivo, Percy. Non posso ignorarlo, neanche se volessi, neanche dopo la lezione di storia di Chirone. In più, ci sono molte cose che non tornano.»
Prese fiato e continuò: «La possibilità che Luke fosse vivo è sempre esistita, il problema è un altro. Il nome della missione di cui faceva parte è Flora V, invece lui ha parlato di Olympus. Ho controllato, e il file Olympus è palesemente una copertura. Stando a quei dati, non avrebbe senso temere per la nostra sicurezza. Hai sentito cosa mi ha risposto il Signor D. quando gli ho chiesto di cosa si trattasse. Informazioni riservate, o sarebbe meglio dire segrete. Così segrete che Chirone non vuole che nessuno al di fuori di noi due le conosca.»
Alzò lo sguardo, incontrando quello del ragazzo. Vide che le credeva e proseguì. «Mi sono messa a cercare Luke perché non potevo accettare che fosse morto. Ma adesso non si tratta più solo di lui. Voglio ritrovarlo, certo. Non sono riuscita a dimenticarlo prima e sicuramente non ce la farò ora, quando so che è vivo. Ma voglio, anzi, ho bisogno di scoprire la verità. Il Direttore e Chirone ci stanno tenendo nascosto qualcosa di grosso. Solo Luke può dirci cosa. Se Olympus è davvero pericoloso come credono, solo in quel caso, mi tirerò indietro e comunque non prima di aver detto addio come si deve al mio migliore amico.»
«Dunque hai intenzione di fare provviste, rubare un’astronave e andare a cercarlo?» completò Percy.
«Avevo anche intenzione di procurarmi un’arma, ma… essenzialmente, sì, è così.»
Il moro si umettò le labbra e sorrise. «Pensa a tutto il divertimento che mi sarei perso se ti avessi creduto» commentò con ironia. «Ci sto. Sarò il tuo complice.»
«No» ribatté Annabeth, in un tono che sperava suonasse perentorio. «Io sono stata espulsa. Non ho niente da perdere. Tu, al contrario, hai tutto. Non posso permetterti di stravolgere la tua vita per una missione in cui non credi e che probabilmente non avrà neanche successo.»

«È qui che ti sbagli.»
Percy alzò una mano per prevenire una replica.
«In questa missione ci credo, perché ho guardato il video. Ho visto un ragazzo poco più grande di me, un ragazzo che ammiravo, risorgere dalla tomba e ho visto un uomo di cui mi sono sempre fidato dirmi che non l’avrebbe aiutato. Vorrei poter credere ciecamente alle sue parole riguardo la protezione del Campo e della Terra, ma la verità è che non ci riesco, ancora di più dopo le ragioni che hai appena elencato. Non sono capace di non fare niente, se so che c’è la possibilità di salvare una vita. Poi te l’ho già detto» la guardò, inchiodandola al posto col suo sguardo penetrante, «i tuoi problemi sono i miei problemi, copilota. Non ti lascerò volare da sola.»

Annabeth deglutì, colpita. «Cosa dirà tua madre?» domandò soltanto, ricordando le conversazioni che avevano avuto in passato sulle rispettive famiglie.
Percy non lasciò che la domanda scalfisse la sua determinazione. «Mamma capirà perché l’ho fatto. Sa che ciò che sembra impossibile raramente lo è» ribatté. «Ma sarebbe comunque meglio se riuscissimo a trovare Luke.»
Il commento le strappò una risata. «Okay.»
«Okay» le fece eco il ragazzo, sorridendo. «Qual è il prossimo passo, copilota?»
«Il prossimo passo, copilota» rispose Annabeth, sentendo un sorriso aprirsi sul suo viso, «credo ti piacerà.» Fece una pausa ad effetto, prima di aggiungere: «Andiamo a rubare una pistola laser.»




Angolo dell'autrice:
Questa volta è importante, quindi dedicami altri due minuti del tuo tempo, lettore, e risparmiati numerose domande in seguito.
Le vacanze sono arrivate anche per me. Questo significa che 1) avrò meno tempo per scrivere e 2) connessione a internet orribile, che equivale a rallentamenti nell'aggiornamento. Farò comunque del mio meglio, ma lettore avvisato, mezzo salvato.

Avrei voluto arrivare fino alla vera e propria partenza, però il capitolo si stava facendo lungo e non l'avresti visto nascere prima di mooolto tempo, quindi la Svolta verrà rimandata.
Fatemi sapere cosa ne pensate (ehi, non avrete a che fare con me per un po', accontentatemi) un bacio a tutti e buone vacanze!
  
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