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Autore: Nina Ninetta    19/07/2018    5 recensioni
Nina Williams è a Volgograd, Russia, per portare a termine l'ennesima missione che Jin Kazama le ha affidato, ossia uccidere Lukin Novikov: uno dei magnati più influenti del mondo che gestisce un traffico illecito di armi con la Corea, facendo concorrenza alla Mishima Zaibatsu. Il compito sembrerebbe portato a termine dalla killer, quando Sergei Dragunov interferisce per difendere il suo cliente e Nina sarà quindi costretta a vedersela con lui, ma qualcosa va storto e un aiuto giungerà inaspettato.
Terza classificata al contest "Test your might" di _Akimi indetto sul forum di EFP.
Seconda classificata al contest La guerra del Raiting indetto da missredlights sul forum di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kazuya Mishima, Nina Williams, Sergei Dragunov
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che so fare meglio

 

Capitolo 1 “Volgograd”

 
La dicitura in caratteri cubitali in lingua cirillica citava Memorial – Historical Museum di Volgograd. Si trattava di una piccola costruzione in mattoni rossi con il tetto verde, di forma triangolare. Di fronte a essa il fiume che attraversa la città - ispirandone il nome - era immobile, quasi ghiacciato, dello stesso colore plumbeo del cielo dicembrino. La neve aveva smesso di cadere, ma il meteo non preannunciava nessuna tregua: l’inverno russo aveva stretto nella sua morsa l’intero Paese e la gente aveva già iniziato a fare scorte di viveri. Le luci natalizie si riflettevano nei vetri delle abitazioni, spiccando fra i rami rinsecchiti e carichi di neve delle piante lungo il bordo della strada.
Nina Williams chiuse anche l’ultimo bottone del lungo cappotto scuro quando una folata di vento improvvisa la fece rabbrividire; si acconciò il colbacco di pelliccia sui capelli biondi e tirò i guanti di velluto nero per farli aderire meglio alle dita sottili e affusolate.
Una vecchietta si scaldava le mani tremanti sul fuoco dove cuoceva caldarroste grosse quanto una ghianda. Accorgendosi dell’affascinante donna bionda passarle accanto, diretta all’entrata del museo, le allungò una castagna fumante. Nina notò le dita rosse e screpolate dal gelo, coperte fino alla seconda falange da logori guanti marroni di lana, i capelli sporchi e grigi erano coperti da un vecchio cappello dello stesso materiale. Gli sguardi si incontrarono a metà strada, ma Nina andò oltre, salendo i pochi gradini che la separavano dall’ingresso del museo come se si muovesse su una passerella di moda, piano e sinuosa. Estremamente elegante.
All’interno l’atmosfera si fece accogliente e tiepida. La donna si liberò del cappello e dei guanti, slacciando gli alamari del cappotto lanciò un’occhiata furtiva al gruppo di uomini che la precedeva per recarsi nella stanza alla fine del corridoio. Fumavano sigari e ridevano. Nina li seguì silenziosa, muovendosi come un felino sulla moquette blu cobalto, i passi ovattati e leggeri. Non le fu difficile individuare la sua nuova vittima: Lukin Novikov, 55 anni, uno dei magnati russi più influenti dell’ultimo lustro, con la recidiva abitudine di collezionare armi da vendere poi ai nord coreani. La Mishima Zaibatsu non poteva di certo permettersi una concorrenza così spietata in tempi di magra come quelli, gli affari con i cugini asiatici erano calati drasticamente e le finanze cominciavano a boccheggiare. Per questo motivo una mattina Eddy Gordo era entrato nella stanza di Nina, quando il sole stava appena sorgendo. Lei l’aveva afferrato per le spalle e puntatogli un coltello affilato sotto la gola. Il brasiliano aveva alzato le mani sulla testa:
«Ehi, ehi, ehi!» aveva esclamato avvertendo la pelle di Nina contro la propria, era umida e profumava di bagnoschiuma alla vaniglia. «Vengo in pace» aveva scherzato.
«Ti ho detto di bussare quando entri nella mia stanza» la morsa al collo era aumentata. «Prima o poi ti sgozzerò» aveva ringhiato dandogli una spinta per allontanarlo da sé, quindi gli aveva dato le spalle e si era diretta verso il letto, nuda. Aveva afferrato un asciugamano e lo aveva legato intorno al proprio corpo. Eddy non aveva perso tempo a studiarlo in ogni sua perfezione, quella pelle bianca e dannatamente perfetta avrebbe fatto uscire di senno qualunque uomo.
«Perché sei qui?» La voce cristallina ma rigida di Nina Williams lo aveva riportato sulla terra ferma.
«Il capo ha un lavoro per te.»
«Che genere di lavoro?»
«Quello che sai fare meglio…»
Dopo qualche ora la donna era già in aereo, su un volo privato diretto a Volgograd. Dicembre non era il mese ideale per decidere di fare un viaggio in Russia, nella ex città di Stalingrado, ma il lavoro è lavoro e in quel periodo Jin Kazama sembrava particolarmente irritabile, perciò era stato meglio non controbattere alla sua richiesta. Più che la sua guardia del corpo, a volte si sentiva come una vera e propria balia…
 
Lukin Novikov non si accorse della bellissima donna che lo seguiva fin quando lei non lasciò cadere uno dei due guanti. L’uomo, evidentemente in sovrappeso, si chinò a raccoglierlo con uno sforzo sovrumano, ma accidenti se ne valeva la pena! I capelli biondi, lunghi oltre le spalle, sembravano seta pura; la carnagione candida ricordava la neve di Volgograd posata sulla statua della Madre Russia; gli occhi le rive ghiacciate dei laghi siberiani.
Nina Williams finse di essere interessata alle diapositive appese alla parete, in una carrellata ripercorse la storia tormentata di quella città, eretta nel XVI secolo con il nome di Carycin. Lukin Novikov le si accostò, fra i denti ingialliti teneva il sigaro fumato per tre quarti.
«Si interessa di storia?» Domandò con voce gutturale.
«Studentessa e ricercatrice di storiografia russa alla Volgograd State University» rispose Nina sorridendogli, l’uomo spalancò gli occhi trovandola ancora più meravigliosa di quanto avesse immaginato. Le porse il guanto e lei ringraziò.
«Vediamo quanto è preparata allora, signorina…?»
«Veronika» si presentò mentendo.
«Bene, signorina Veronika, vediamo quanto sa sulla storia di questa città» parve sfidarla Lukin, inconsapevole che quando a Nina Williams veniva affidato un compito lo portava a termine in modo impeccabile.
«Carycin, teatro di una delle battaglie più sanguinose della guerra civile, venne liberata dai bolscevichi grazie all’azione delle cosiddette brigate d’acciaio guidate dal giovane Iosif Stalin, al quale venne poi intitolata la città: Stalingrado.» Nina si spostò di fronte alla foto di un vecchio mulino distrutto, di cui restava solo lo scheletro di mattoni. «Tuttavia, durante la Seconda Guerra Mondiale, venne rasa al suolo dai continui bombardamenti dell’aeronautica militare tedesca; dopo sei mesi e oltre di combattimenti l’Armata Rossa riuscì a sconfiggere i nazisti.» La donna fece una pausa e si accostò nuovamente all’uomo che non le aveva tolto gli occhi di dosso neanche per un momento. «E nel 1961 Stalingrado è diventata Volgograd, nome nato dalle acque dell’omonimo fiume che bagna le sue sponde.»
Lukin Novikov accennò un applauso, Nina finse di essere imbarazzata e ringraziò. Qualcuno chiamò a gran voce il magnate russo, era ora di pranzo gli fecero notare, quindi avrebbe fatto meglio a smetterla di importunare le ragazzine, prima o poi sarebbe finito nei guai per quella fissa. Risero incamminandosi verso l’uscita.
«Mi piacerebbe rivederla, signorina Veronika» disse l’uomo, estraendo dal portafogli un biglietto da visita. «L’aspetto questa sera alle venti nella hall, ceneremo insieme e parleremo ancora di Stalingrado e di sangue. Se vuole…» rise. Rise a crepapelle scatenando una fastidiosa tosse gracchiante.
Chissà se avesse riso ancora dopo aver scoperto che a scorrere sarebbe stato il suo di sangue…
Nina studiò il foglietto che l’uomo le aveva lasciato, era il biglietto di uno dei più importanti e lussuosi hotel della città, il Tsaritsinskaya Sloboda.
La ragazza si coprì come meglio poteva per affrontare nuovamente il gelido inverno russo. La vecchietta delle caldarroste era ancora lì, a chiunque passasse nei suoi paraggi porgeva una castagna che teneva al centro dei palmi uniti, ma nessuno si soffermava neanche a guardarla. Nina si arrestò al centro delle scale, le mani inguantate infilate nelle tasche del cappotto, il colbacco di pelliccia calato sul capo e gli occhi fissi su quella figura che pareva incartocciata su sé stessa.
Una volta suo padre le aveva raccontato che durante l’ultimo viaggio in Russia aveva incontrato una signorina bella come lei. No, non come lei, l’aveva rassicurata carezzandole la testa, nessuna al mondo poteva essere bella come la sua Nina. In ogni caso, questa piccola donnina russa viveva nella periferia di Stalingrado, vendeva caldarroste porgendole ai passanti con mani tremanti e le nocche spaccate a causa del freddo. Lui allora si era avvicinato e le aveva donato il paio di guanti di cashmere che aveva comprato in onore della sua bella bambina, che sapeva al caldo e al riparo nella propria casa in Irlanda. Nina aveva a stento trattenuto le lacrime, niente regalo dalla Russia da mostrare con orgoglio alle sue amiche e soprattutto per far ingelosire sua sorella Anna (perché entrambe sapevano chi fosse la preferita di papà).
Il signor Richard Williams l’aveva abbracciata forte, stampandole un bacio sulla fronte, aveva avuto le labbra calde e rassicuranti.
«Quei guanti non ti avrebbero cambiato la vita» le aveva detto in un sussurro. «Ma probabilmente hanno salvato una ragazzina meno fortunata di te.»
«Si» aveva risposto lei, stringendosi ancora un po’ al suo adorato padre e ricacciando indietro il pianto. Lui non sarebbe stato contento di vederla così debole e inerme.
Che quell’anziana signora fosse la stessa ragazza alla quale suo padre aveva regalato dei guanti di lana – i suoi guanti di lana – anni addietro era una possibilità alquanto remota, ma nel profondo tale eventualità le era più che gradita.
Un pensiero romantico, pensò. Sua sorella Anna ne avrebbe riso per settimane intere se lo avesse saputo.
Si avvicinò alla donna delle castagne e di nuovo si guardarono negli occhi, erano della stessa sfumatura di azzurro. Nina si tolse i guanti di velluto e glieli porse, accettando volentieri la caldarrosta che le veniva offerta, il suo tepore le pervase ogni angolo del corpo. Chiuse gli occhi e provò a immaginare l’abbraccio protettivo di suo padre intorno alle proprie spalle minute, improvvisamente era tornata la bambina felice e spensierata degli anni in Irlanda, prima che tutto cambiasse. Prima che il suo mondo perfetto le crollasse addosso. Prima che suo padre morisse nella steppa desolata e innevata in una zona imprecisata della Siberia. Prima che Anna, la sua sorellina più forte e coraggiosa di lei, le porgesse una mano per aiutarla a mettersi in piedi e a dire addio al corpo esamine di Richard Williams.
 

*****

 
Lukin Novikov l’attendeva nella hall del Tsaritsinskaya Sloboda proprio come le aveva detto. Quando la vide attraversare le porte girevoli provò un certo desiderio spingere nella patta dei calzoni dal taglio classico. Le puttanelle che quel russo gli reperiva erano lontane anni luce dall’eleganza di quella sconosciuta incontrata al Memorial – Historical Museum, perciò pensò di fargli capire una volta per tutte il tipo di femmina che avrebbe dovuto ingaggiare da quel momento in poi. Novikov fece scoccare le dita e l’uomo dietro di sé si avvicinò, sporgendosi in avanti.
«Vedi quella?» Gli chiese senza aspettare la risposta. «Da oggi le voglio tutte così o puoi anche tenertele per te.» Lukin si alzò dalla poltrona e si acconciò la giacca, dando un paio di buffetti sul viso della sua guardia del corpo. «Capito Sergei?» Il magnate rabbrividì dinnanzi all’espressione di ghiaccio dell’uomo. Sembrava un automa senza sentimenti, senza emozione alcuna. Sergei Dragunov era uno dei tanti militari caduti in rovina che guadagnava da vivere facendo da cane da guardia ai milionari dell’ex Unione Sovietica, e a volte (anzi molto spesso) dava l’impressione di essere uscito da dentro un laboratorio sperimentale.
Mentre Lukin salutava la bella bionda all’ingresso dell’hotel, chinandosi per accennare al baciamano, Dragunov riconobbe all’istante la pericolosa assassina alle dipendenze della Mishima Zaibatsu. Alle dipendenze di Jin Kazama. Aveva sentito dire che i due fossero amanti, ma Sergei aveva troppa esperienza per sapere che le donne come Nina Williams non passano il loro tempo a fare da babysitter o a tenere la mano ai mocciosi…
Per tutta la cena Veronika sorseggiò appena il bicchiere di vino francese che il sommelier aveva versato nel calice, intanto che Lukin Novikov, uno degli uomini più influenti nel panorama mondiale di traffico illecito di armi da fuoco, si era sgolato già due bottiglie alla fine della seconda portata. Quando fece per mettersi in piedi le gambe a malapena lo ressero, nel tentativo di non ruzzolare sul pavimento immacolato si aggrappò alla tovaglia, trascinando su di sé tutto ciò che riempiva la superficie del tavolo: piattini da dessert, calici per il vino, per l’acqua e lo champagne, un paio di bottiglie ormai vuote, tovaglioli e posate. Nina si alzò, con estrema calma, chinandosi al suo fianco per aiutarlo a rimettersi in piedi. Se Lukin Novikov si fosse reso conto di quanta forza avesse nelle braccia quella donna all’apparenza così esile, forse si sarebbe posto qualche domanda, ma l’alcool che la stessa gli aveva incitato a bere aveva offuscato completamente la sua mente. Ciò che desiderava in quel momento era solo perdersi in lei e ammirare il fisico perfetto di quella giovane studentessa universitaria, alla quale aveva pensato per tutto il giorno e durante la cena.
Nina Williams lo accompagnò sotto braccio fino nella suite presidenziale del Tsaritsinskaya Sloboda. Per l’intero tragitto, dalla sala da pranzo alla camera, l’uomo non aveva fatto altro che complimentarsi di quanto fosse bella e di come la desiderasse, provando a ogni passo a toccarle i seni messi in risalto dalla profonda scollatura dell’abito da sera, lungo fino alle caviglie, di un viola talmente intenso da sembrare nero.
L’assassina lo lasciò cadere pesantemente sul letto, puzzava di alcool e sudore stantio. Si accomodò sul materasso per riprendere fiato, raccomandandosi di non far mangiare più così tanto la sua prossima vittima o trascinarla sarebbe stato sempre un grosso problema, senza contare il fatto che si sprecava tanto tempo inutile.
Lukin tentò di puntellarsi sul gomito sinistro, mentre allungava la mano libera nella speranza di afferrare il codino biondo di Veronika. Ci riuscì – solo perché gli concesse un ultimo barlume di umanità – e la trascinò giù su di sé: le bocche si sfioravano, dalla sua uscivano rantoli cavernosi, di fumo e vino rancido. In un attimo l’assassina gli fu addosso cavalcioni, sembrava di guardare il mondo in groppa a un maiale, pensò. Novikov non perse tempo e subito fece scivolare le mani grassocce e sudaticce lungo il morbido velluto dell’abito, infilandole al di sotto dell’orlo, fino a risalire per le cosce sode e lisce della bella studentessa. Qualcosa però arrestò la sua corsa quando era quasi giunto all’inguine, eppure avrebbe riconosciuto quella forma anche a occhi chiusi e senza luce.
Possibile che…?
Alzò gli occhietti sbalorditi per la sorpresa e la sbronza in quelli di Veronika, trovandoli improvvisamente spaventosi. Minacciosi. Accesi.
«Ops…» la sentì dire, mentre gli teneva le braccia sopra la testa trattenendole per i polsi in una morsa che non lasciava scampo. Con la mano mancina estrasse il pugnale da sotto l’abito, quasi come si fosse trattato di un gioco di prestigio. Lukin Novikov cominciò a pregare per la sua vita, a supplicarla di non ucciderlo, le avrebbe dato tutto, tutto quello che desiderava: fama, soldi, una villa, una macchina di lusso, un’intera isola. Peccato che Nina Williams avesse sempre trovato alquanto futili i beni materiali, ciò a cui lei ambiva era qualcosa che andava oltre l’apparenza, in un certo senso più spirituale.
Non come quella scellerata di sua sorella, si disse.
L’uomo sotto di sé continuava a lagnarsi di lasciarlo vivere, l’aveva stancata sul serio, era meglio farla finita e tornare al quartier generale della Mishima Zaibatsu il prima possibile. Impugnò al meglio l’arma e la portò alla gola del milionario russo, appena sotto la giugulare; distese le labbra dipinte di rosso in un sorriso e premette fino a far sgorgare un rivolo di sangue. I gemiti dell’uomo raggiunsero acuti disumani, simili a quelli di un lattante affamato, di un maiale che sta per essere sgozzato, poi Lukin avvertì la pressione diminuire d’un tratto, mentre la bella studentessa – che evidentemente gli aveva mentito per tutto il tempo – lasciò cadere il pugnale portandosi il polso contro il petto.
Il suo sguardo freddo si fece improvvisamente inquieto e vigile, passò in rassegna l’intera suite celata dalla penombra dell’abat-jour che tingeva le pareti di una profonda sfocatura rossa. Dall’angolo in alto a destra avanzò una figura curva su sé stessa, nonostante la sua altezza sfiorasse il metro e novanta Sergei Dragunov pareva sempre più basso di quel che era a causa della caratteristica postura, con l’aria di uno pronto ad attaccare in qualsiasi momento. Lukin Novikov non era mai stato completamente a proprio agio in sua presenza, ma in quel momento dovette ammettere di essere più che felice di vederlo.
Nina Williams fece appena in tempo a scendere dal letto con una capriola all’indietro che un coltello si conficcò nel materasso, inchiodandone l’orlo del vestito che si strappò mostrando lunghe gambe snelle ma muscolose, forti.
«Sergei, prendila! Ammazzala! Falla a pezzettini! Voleva uccidermi quella puttana, voleva…» un coltello gli si conficco dritto nel cuore. Lukin Novikov abbassò lo sguardo e con mani tremanti tentò di strapparsi via dal petto l’arma che lo aveva trafitto, poi guardò la sua assassina negli occhi, non aveva mai visto in vita sua uno sguardo più soddisfatto e insieme terrificante. Non aveva mai incontrato una donna bellissima e pericolosa come Veronika.

Dragunov si lanciò contro Nina che riuscì a parare il colpo un attimo prima che la scaraventasse contro la parete.
«Il mio lavoro è finito» disse lei, escogitando velocemente un modo per togliere il disturbo. Non le andava di mettersi a giocare a chi picchia più forte con il militare, ciò che desiderava era solo farsi una doccia e dormire fino al mattino seguente, quando Jin le avrebbe inviato un jet privato per tornare in Giappone.
«Il mio è appena iniziato, irlandese» rispose Sergei. Se avesse offerto su un piatto d’argento la testa del killer di Lukin Novikov, di sicuro quell’esaltato di un nord coreano lo avrebbe ricompensato fino a permettergli di vivere di rendita per il resto dei suoi giorni. Provò a stordire Nina con una serie ripetuta di pugni, ma lei fu lesta ad alzare le braccia per pararsi al meglio, ciò nonostante l’intento di Dragunov non era quello di colpirla, bensì di metterla con le spalle al muro. La ragazza lo capì all’istante - lei avrebbe fatto la medesima cosa - perciò fece per colpirlo con un calcio, ma di nuovo Sergei prese il sopravvento immobilizzandola contro il muro, un gomito premuto sotto il mento e una pistola nell’altra mano. Nina Williams si aggrappò al suo braccio, cercando di tirarlo via, cominciava a mancarle l’aria. Lui si passò la lingua su labbra esangui. Labbra di un cadavere. Piano, come in un sogno, vide la canna della pistola avvicinarsi alla propria fronte.
«Ti concedo un ultimo desiderio, irlandese» il soldato russo accostò la bocca all’orecchio di lei. «Che so, potrei farti divertire un po’ prima di ammazzarti» sussurrò, mordendole il lobo fino a farlo sanguinare.

Nina Williams socchiuse gli occhi.
Di fronte al corpo ormai senza vita di suo padre si era fatta una promessa: qualunque fosse stato il suo destino, non sarebbe morta in Russia. Il volto dell’unico uomo che avesse mai amato riaffiorò come un relitto dal mare. Lo rivide mentre le diceva che adesso si sarebbe dovuta occupare di Anna, era rammaricato, ma lui non poteva più farlo. Il sangue sotto di lui cominciava a espandersi a macchia d’olio, tingendo di un bel rosso carminio la neve candida della Siberia. Ricordò le mani un tantino grassocce di sua sorella che la invitavano a mettersi in piedi, a reagire, mentre intorno a loro imperversava una tempesta di neve. Il sorriso dolce di Richard Williams si fuse con quello che Anna – la piccola Anna – le aveva rivolto.
Avevano lo stesso sorriso, papà e Anna, pensò. Lo stesso sorriso.
Con un calciò all’altezza del pube riuscì a scrollarsi di dosso Sergei Dragunov che colto alla sprovvista cadde all’indietro, qualche metro più in là. La vide arrampicarsi sul bordo della finestra e spalancarne le ante, un vento gelido entrò nella stanza portando con sé una folata di nevischio.
«Sai a che piano siamo, irlandese?» Le chiese Sergei, ma lei si piegò sulle ginocchia e spiccò un balzo in avanti. Dragunov corse alla finestra e si affacciò, notando la figura esile di Nina discendere lungo il tronco di un albero. Sparò un paio di colpi alla cieca, tuttavia i proiettili finirono solo per scheggiare la corteccia spessa e millenaria della pianta. Il militare maledisse la donna nella sua lingua e si fiondò all’inseguimento.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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