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Autore: Degonia    08/07/2009    6 recensioni
*Il mondo sarebbe potuto cadere, a me bastavi solo tu*
Presi la mano di Jared dicendogli: “Cosa vuoi mangiare oggi?”
ma Jared non mi ascoltava, il suo sguardo era rivolto lontano.
Distante, un padre prese in braccio il suo bambino facendolo volare e divertire.
Sempre lì vicino, altri padri baciavano i loro figli e li prendevano per mano.
Sembravano divertirsi molto.
Jared stringeva la mia mano sempre più forte, con lo sguardo fisso su di loro.
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Shannon Leto
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“INFANZIA” è una raccolta di fan fiction sui fratelli Leto.
Ogni capitolo ha una sua trama indipendente, anche se ci sarà sempre qualche dettaglio che li collegherà tutti.




Aprile 1980



La campanella sarebbe suonata tra pochi minuti.
Un ragazzo seduto negli ultimi posti di una quarta classe inferiore, nella sua aula: l’ultima di quel corridoio del secondo piano, continuava a guardare il suo vecchio orologio da polso in attesa della campanella, nell’altra mano tenera stretta una bretella del suo zaino; pronto a scattare appena sarebbe suonata. Non aveva neanche un minuto da perdere, tra i due edifici c’era circa un km e lui avrebbe dovuto percorrerlo nel minor tempo possibile!

Era così per i primi cinque giorni della settimana, non che ce ne fossero molti dopo, soprattutto scolastici. A volte odiavo questo ‘correre’, ma una volta che non l’avevo fatto, mia madre mi aveva sgridato; ma non era per quello che continuavo ogni giorno, più delle grida di mia madre, mi avevano fatto star male gli occhi di mio fratello che mi guardavano e che, innocentemente, mi avevano chiesto “Credevo che non saresti più tornato!”. Quello sguardo triste e solo m’aveva tenuto sveglio per notti intere, mentre lo guardavo dormire sereno.


“Allora, prendete il diario e scrivete questi esercizi per domani, forza...”

Un coro di “Sii” forzati inondò l’aula quando la campanella, puntuale e in tempestivo orario suonò.

Scattai in piedi, tra le file dei banchi e percorsi lo stretto corridoio tra i miei compagni che scrivevano, aprii la porta e corsi fuori.


“Leto! Leto!! Torna qui, avrai una nota per questo” l’insegnante di matematica urlava fuori dalla porta, era sempre così il lunedì, di risposta gli diedi solo un debole “Ok! Alla fine comporrò una canzone!” sghignazzai mentre veloce, scendevo le scale saltando alcuni gradini, sentendo su di me la collera della maestra. Non me ne curai, avevo ben altro da fare che star ad ascoltare una, a mio parere, bisbetica vecchiaccia.
Salutai il bidello mezzo addormentato che era seduto accanto al portone d’ingresso e sfrecciai fuori. Correvo come un matto cercando di evitare i passanti, le auto mentre attraversavo le strade e i ragazzi delle altre scuole. Lo zaino sulle mie spalle, saltellava assieme a me: i libri facevano festa e le penne ballavano al ritmo di una strana danza che andava sempre più veloce.

Un vigile mi urlò contro quando attraversai la corsia pedonale col rosso; ma ce l’aveva sempre fatta, le auto non mi avevano mai fermato, né l’avrebbero fatto quel giorno. Avevo sempre attraversato il parco, ma da una decina di giorni, esso era chiuso per lavori edili all’interno e quindi avrei dovuto fare un percorso più lungo per arrivare dal lato opposto. Correvo ancora, più veloce che potevo, non dovevo fare tardi, non l’avrei mai permesso e al solo pensiero di quel suo volto che mi cerca e non mi trova, mi viene un nodo in gola.


‘Assolutamente no!’ pensai ‘Non succederà mai più!!’

Ma era presto detto, mentre attraversavo l’ennesima strada di corsa, un auto che veniva dalla mia destra inchiodò: caddi a terra e per un attimo non capii cosa fosse successo.

“Ehi ragazzino, se vuoi morire trovati un’altra macchina!!” aveva urlato, adirato, l’uomo sceso dalla sua decappottabile nera.

Ero rimasto per terra, immobile, una bretella dello zaino mi scendeva da un lato; i capelli scompigliati. Le mani sporche di asfalto; stavo perdendo del tempo prezioso! Non poteva esser successo! Minuti preziosi passarono come attimi, quando mi ricomposi, dopo essermi scusato con quell’uomo calvo e in perfetto tweed inglese, scappai via.

Le gambe mi tremavano un po’ mentre correvo, avevo avuto una fottuta paura, ma non avevo tempo di pensare a questo; e soprattutto non avevo avuto tanta paura di morire quanto quella di vederlo lì da solo ad aspettare qualcuno che non sarebbe mai arrivato. Ma io, suo fratello c’ero e sarei stato lì ad ogni costo!

Correvo.

Correvo.

Sapevo che avevo perso dei minuti importanti e da lontano sentivo già la campanella delle elementari che suonava; fortuna vuole che l’orologio di quella sede fosse messo un paio di minuti in avanti.

Correvo. Dovevo farcela, dovevo arrivare!


‘Maledetto parco’ pensai ‘Perché non hanno aspettato ancora qualche altro mese per quei lavori?’

‘Dopo saremo insieme fratellino e ti proteggerò sempre, ma adesso aspettami! Aspettami!!’


Mi ricordai una volta che mentre correvo, ero inciampato e caduto, e il mio ingenuo fratellino mi aveva detto che era un bel gioco e mi aveva imitato. Quando nostra madre ci vide per terra, le venne un colpo! Con il piccoletto che diceva “mamma, perché non vieni ad inciampare con noi!?”. Era davvero fuori di testa, avevo pensato, chissà come sarebbe stato una volta diventato adulto. Non me lo immaginavo minimamente.


La folla dei genitori ansiosi di prendere i propri figli era terribile, ogni giorno era sempre peggio, soprattutto quando pioveva. Sembrava di stare in fila la domenica ai grandi magazzini. Dovevo passare! Se non mi avrebbe visto si sarebbe preoccupato. Profumi d’ogni dove salivano nell’aria: la grassa signora Smith prendeva il suo bambino che pareva più una piccola botte, l’avvocato amico della mamma aspettava suo figlio in auto; conoscevo molte persone, di alcune ricordavo il nome, di altri solo i volti, quelli rimasti erano solo ombre per me. Lo cercavo...dov’era andato? Possibile che se n’era andato a casa da solo? Possibile che non mi aveva aspettato? E se la sua classe non era ancora uscita? Non lo vedevo, avevo paura. Mi guardai intorno con gli occhi sgranati.
Il piccoletto dagli scuri capelli e gli occhi curiosi e attenti l’aveva visto... lo vedeva tra la folla che cercava qualcuno. Cominciò a farsi strada tra gli altri bambini e i loro genitori, urlò il suo nome, ma questi non lo sentì fino a quando si voltò e lo trovò: quegli occhi, quel faccino da furbetto, era lui! Non potevo sbagliare.

“Shan!” urlò ... “SHAN!!!” esplose quando mi si buttò tra le braccia sorridente.

“Jared!” pronunciai abbracciandolo forte.

Un caloroso abbraccio era dovuto, dopo ben 6 ore!!

A Jared piaceva andare a scuola, gli era piaciuto fino alla seconda elementare; adesso non più. Non che non gli piacesse studiare, anzi, adorava quando scopriva cose nuove, come è fatta questa cosa, perché quella cosa è così,ecc... ma stare lontano da me lo rattristava più di tutto il resto. Frequentavamo lo stesso istituto ma quest’anno, a Settembre, il preside aveva deciso di affittare un’altra sede per gli studenti delle ultime classi; per questo motivo avevo dovuto lasciare la vecchia sede e separarmi da lui.

Jared mi adorava letteralmente, sapeva che ero suo fratello maggiore, ma forse mi vedeva più come un padre: perché Jared un padre non ce l’aveva mai avuto.


“Mi dai la cartella?”

“No” sorrise “Oggi è leggera, la tengo io e poi tu hai la tua” mi fece notare Jared.

“Va bene, come vuoi tu, ma se ti dà fastidio dimmelo, ok?”

“Si” rispose con un grande sorriso che era destinato a non durare troppo.

Presi la mano di Jared dicendogli:
“Cosa vuoi mangiare oggi?” ma Jared non mi ascoltava, il suo sguardo era rivolto lontano.

Distante, un padre prese in braccio il suo bambino facendolo volare e divertire. Sempre lì vicino, altri padri baciavano i loro figli e li prendevano per mano. Sembravano divertirsi molto. Jared stringeva la mia mano sempre più forte, con lo sguardo fisso su di loro.

Guardai prima loro e poi te, con una vocina di chi sta per piangere mi dici
“Shan, sono contento per loro”, ma a piangere non sei tu, ma io.

Mi inginocchio per essere alla tua altezza, con la tua manina tocchi la mia guancia e vedi le mie lacrime silenziose, bagni le tue dita con una di esse
“Perché piangi Shan?”, ti rispondo “Perché sei mio fratello e ti voglio bene” lo abbraccio senza una spiegazione.

Mi allontana e fruga in tasca, chissà cosa sta cercando, poi tira fuori un fazzolettino appallottolato.
Me lo porge
“L’ho usato solo una volta, ma è ancora pulito!”
Risi, ma lui non capì perché ridevo. Lo ringrazia e presi il fazzoletto. Solo dopo scoprii che l’aveva usato per il mio stesso scopo.

“Shan” sembra triste, sembra pensarci poi mi dice “Ho fame!” tirandomi per il braccio.

Gli aggiusto il cappotto e glielo abbottono, è sempre così distratto su alcune cose!

Cominciamo a camminare sul marciapiede, la mia mano tra la sua, fino a quando non vede un cagnolino che fa la pipì sotto un albero:
“Wha!! Che bello!! Piccolo, carino, guarda Shan” lascia la mia mano e si dirige verso di lui. Il cagnolino gli fa le feste mentre Jared si diverte un mondo!! Poi si gira verso di me e mi dice “Oggi vorrei della pasta, Shan”, il cagnolino gli lecca una mano e poi una guancia. Guardo i soldi che mamma mi ha dato: troppo pochi per 2 piatti di pasta! Ma visto che io non ho fame...

“Va bene Jared, oggi mangerai pasta” gli dissi contento di esaudire il suo desiderio, ma nel mentre Jared sentì il mio stomaco che brontolava: ‘Porc...!”

“Ho cambiato idea, voglio delle patatine fritte e un panino” disse all’improvviso, mentre faceva ‘ciao’ con la mano al cagnolino che inseguiva una signora.

“Ma non volevi la pasta?”

“Si, ma l’ho mangiata ieri, voglio un panino adesso, Shan, me lo compri vero?? Vero??”

Era a dir poco adorabile.

Ci incamminammo verso il fast food più vicino e presi due menù completi: un panino, una coca e delle patatine fritte. Mentre mangiava, lo guardavo sempre, soprattutto quando eravamo solo noi due. L’amavo troppo, mi piaceva vederlo felice: i suoi occhioni azzurri affamati di sapere tutto, mi chiedevano in continuazione spiegazioni.


“Shan, perché due persone si baciano?” mi disse con la spalla appoggiato alla spalliera della sedia, mentre beveva la sua coca dalla cannuccia rossa.

“Perché si vogliono bene” gli risposi.

“Però tu non mi hai mai baciato sulla bocca” chiese.

“No, perché il bene che ti voglio io è diverso dal loro” indicai la coppia che nell’angolo si baciava calorosamente e che aveva scatenato la curiosità di Jay.

“Mhm...non ho capito bene, ma fa nulla” disse puntando gli occhi sul mio bicchiere della coca mezzo vuoto.

Era il solito, quando voleva qualcosa non me lo chiedeva, me lo faceva capire.


“Senti Shan” disse all’improvviso lasciando il panino che stava mangiando “è vero che questa carne è fatta con quello?” indicò una gallina disegnata sul vassoio che gli avevano dato.

“Si, Jared” ma alla mia risposta sembrava contrariato “Vuol dire che uccidono gli animali per fare della carne che poi noi mangiamo?” si stupì.

“Si, ma non tutti gli animali, solo alcuni”

“Mhm...ho capito!” sembrava ci pensasse davvero “Allora io non mangerò più carne!” quest’affermazione mi fece impallidire, perché nostra madre si raccomandava sempre che mangiasse della carne.

“Jared, ma tutti mangiano la carne, è un cibo buono e la mamma vuole che lo mangi”

“Allora dirò alla mamma che non mi piace più” disse “Così non dovrò mangiarla”

“Jared su, non fare i capricci e mangia il tuo panino” non volevo costringerlo perché mio fratello aveva un dono, anzi, diciamo pure un vizio: quando diceva di no era no!

“Jared, per favore, i bambini cattivi fanno i capricci” non sapevo cosa dirgli, ero anch’io un bambino che si atteggiava a fratello maggiore solo perché ero nato alcuni mesi prima di lui.

“Allora tu pensi che io sia un bambino cattivo?!” urlò attirando l’attenzione dei presenti. Disse anche che non voleva più che io lo andassi a prendere a scuola, che sarebbe tornato a casa da solo e che non avrebbe più mangiato della carne perché non voleva che degli animali fossero uccisi per farne del cibo.

Mi avvicinai a lui cercando di calmarlo, ma mi allontanava con tutte le sue forze.


“Jared!Jared calmati!!” poi urlai “Smettila di fare lo stupido!!” ma me ne pentii subito, perché Jared si bloccò e portandosi le gambe vicino al proprio corpo, chinò la testa. Il vero stupido ero io.

“Jared, scusami” ero stato davvero uno stupido ad urlargli contro in quel modo “Jared, ti voglio bene, mi perdoni? Non volevo sgridarti, lo sai che io...” presi il mio bicchiere della coca e glielo misi vicino al volto “Tieni, puoi berla se vuoi, però ti prego, non piangere, Jared”.

Jared mi guardava di sottecchi, farfugliò un “Davvero?” e quando gli feci ‘si’ con la testa, mi sorrise e prese il bicchiere dalle mie mani; prese la sua cannuccia e cominciò a succhiare per far salire la coca.

Mi guardava mentre beveva, gli dissi
“Va bene, la prossima volta prenderemo il menù con le verdure, ok?” sembrava contento.

Quando andai a pagare, lui rimase ancora seduto al tavolino: voleva finire le sue patatine fritte; cosa che non fece mai perché pochi minuti dopo, quando tornai, aveva fatto un disegno con esse. Sinceramente non so cosa fosse e penso che neanche lui lo sapesse bene; sembravano due 3 incrociati, o due M. Non era di cattivo gusto, è solo che non capivo minimamente cosa potesse rappresentare. Avrei giurato che l’avesse visto in tv o fosse il simbolo di qualche band straniera.

Ma quando glielo chiesi, lui mi rispose che non l’aveva copiato, mi disse semplicemente che era dentro di lui. Non lo capii affatto; a volte il mio fratellino era strano. Ma aveva solo otto anni e a quell’età penso che i bambini siano strani.

Mano nella mano, tornammo a casa: quando infilai la chiave nella serratura, la casa buia e desolata si apriva ogni giorno dinanzi a noi. La mamma non era ancora arrivata, sarebbe tornata circa un ora più tardi. Jared si fiondò veloce davanti alla tv, a quell’ora trasmettevano un programma che gli piaceva e non se ne perdeva una puntata. Io me ne andavo in camera mia e con le cuffie nelle orecchie chiudevo gli occhi e immaginavo i mondi creati da quella splendida musica.
Invidiavo quegli artisti: io non sarei mai stato uno di loro!

Quando la mamma tornava, era solita giocare con Jared mentre guardava le televendite in tv: non l’ho mai vista acquistare niente, ma credo che fosse il suo passatempo preferito. Inoltre il lavoro le prendeva la maggior parte della giornata: dalla mattina alle 10.00 fino alle 15.00 del pomeriggio e spesso andava a lavorare anche di notte; ma il sabato e la domenica rimaneva tutto il giorno con noi e andava a prendere Jared a scuola, per cui io potevo star fuori con gli amici fino al tardo pomeriggio. Il lunedì, per esempio, aveva anche il turno di notte ed oggi era lunedì. A Jared non piaceva che la mamma la notte non ci fosse, ma anche se si lamentava, il turno di notte era stabilito e non sarebbe stato cambiato.


Dopo cena, Jared finì i suoi compiti con il mio aiuto e mentre giocava con una vecchia console, io finivo di lavare i piatti e di riordinare la cucina. La mamma sarebbe tornata solo questa notte verso le 2.00; e non volevo che dovesse riordinare casa a quell’ora, perché lei l’avrebbe fatto pur essendo stanca e assonnata. Mentre strofinavo i piatti con la spugnetta gialla piena di schiuma, Jared mi si avvicinò dicendo
“Shan, voglio aiutarti anch’io” pensai che in quel momento fosse davvero carino. S’era assonnato sul divano mentre stava giocando, si vedeva, ma invece di andarsene a letto mi voleva aiutare.

“Va bene, prendi quei piatti ad uno ad uno” indicai sul tavolo “e portameli qui”

“Si!” scattò subito dopo aver avuto il comando, come un bravo soldatino.

Così mi aiutò nei lavori di casa, pulimmo per terra, finimmo di lavare i piatti, i bicchieri e le posate. Asciugammo tutto e rimisi sul tavolo il centrotavola ricamato a mano e su di esso il vaso pieno d’acqua coi fiori che la mamma adorava.


“Shan, mi accompagni in bagno?” chiese timido.

“Jared, dovresti riuscire ad andarci da solo, accendi le luci e chiudi la porta” ma Jared non si muoveva.

Sapevo che non ci sarebbe andato, avrebbe preferito farsela addosso piuttosto che percorrere di notte la nostra casa.


“Ah!” sospirai sconfitto “Andiamo” gli sorrisi e feci strada accendendo le luci; davanti al bagno, aprii la porta e aspettai che Jared entrasse, ma lui rimaneva fermo “Prima tu!” mi obbligò ad entrare per primo, forse aveva timore che gli facessi uno dei miei soliti scherzi e lo lasciassi solo. Non l’avrei mai fatto quando siamo da soli. Inoltre dato che ero in bagno, perché non approfittarne?

Quando finì, Jared sfrecciò fuori, adesso non aveva paura? Bastardino che non sei altro. Voleva solo essere accompagnato, altro che paura!!

Erano due ore che avrei voluto andare in bagno, ma quando avevo cominciato a pulire in cucina, me n’ero completamente dimenticato.

Ero intento a chiudere la cerniera dei jeans quando sentii qualcosa che si rompeva e Jared che piangeva. Senza scaricare o spegnere la luce del bagno, corsi in cucina...il danno era ormai fatto e la mamma questa volta si sarebbe arrabbiata sul serio: si era sempre raccomandata di stare attenta a quel vaso costoso! Eravamo davvero nei guai!

Il vaso era rotolato giù per il tavolo finendo a terra; tutta l’acqua era stata versata e i cocci del vaso ovunque, era uno spettacolo fantastico. I mille frammenti del vaso erano sparsi qua e là e risplendevano di colore proprio sotto il neon della luce. L’avrei fotografato volentieri, ma non c’era tempo per quello; dovevo ripulire tutto e far smettere di piangere mio fratello. Le sue lacrime si univano al piccolo laghetto sul pavimento:
“Jared, ti sei fatto male?” ovviamente ero arrabbiato con lui, gli avevo detto mille volte di fare attenzione a quel vaso e di non salire sul tavolo quando c’era sopra, ma non era servito a nulla.

Mi inginocchiai:
“Jared, dai non fare così!” gli asciugai le lacrime con le dita.

“La mamma mi punirà!! Sono stato cattivo, sono un bambino cattivo proprio come hai detto tu!!”

Quel mare che nascondeva negli occhi, stava straripando “Shan!!” si strinse a me con le sue braccine.

L’aveva fatta grossa, su questo non c’era dubbio e dovevo salvarlo.


“Jared, sta buono, dai non piangere” disse qualcosa, ma non lo capii, continuai: “Non sei affatto un bambino cattivo, non pensarlo neanche, può succedere di far cadere degli oggetti” continuava a piangere soffocando i singhiozzi nel mio abbraccio.

“Jared, ora smettila di piangere” presi un fazzoletto e gli asciugai le lacrime e il naso. Lo presi in braccio e lo portai in camera nostra. Tirava su col naso e continuava a piangere. Lo aiutai a mettergli il suo pigiamino azzurro e avvolgendolo con la mia coperta di plaid (adorava quella coperta) lo infilai tra le lenzuola; poi presi François, la sua tartaruga verde e gliela misi accanto. Gli baciai la fronte. Mi sussurrò un debole e insicuro “Shan”.

“Tranquillo” gli dissi “La mamma non si arrabbierà, te lo prometto” lo coprii meglio e accesi la luce della abatjour spegnendo quella della stanza. Lasciai la porta aperta e gli dissi di chiamarmi se gli sarebbe servito qualcosa.

Io tornai in cucina e pulii tutto... tutti i cocci nella spazzatura, raccolsi tutta l’acqua che si era versata e pulii per bene. Nessuno se ne sarebbe accorto se non fosse per un ‘piccolo’ particolare: sul tavolo c’era un enorme vuoto e il vaso era sparito!

Spensi le luci e tornai in camera: Jared si era addormentato con le lacrime agli occhi. Guardando quel piccoletto che si era tormentato con tutto quel pianto, mi scese una lacrima. In quel momento decisi che non mi sarei mai separato da lui. Però decisi anche di fare una doccia veloce per cui presi il pigiama e mi fiondai in bagno. Era ancora presto, la mamma non sarebbe arrivata adesso.

L’acqua tiepida mi scorreva sul corpo bagnando i miei capelli e facendo scivolare giù il bagnoschiuma e lo shampoo. Uscii e cominciai a strofinarmi i capelli con un asciugamano beige quando sentii la porta di casa aprirsi
“Fottuta me**a!” sussurrai, la mamma era arrivata molto prima del previsto.

Poco dopo la sentii urlare
“JARED!!!” uscii dal bagno e mi fiondai in camera mia “Quante volte t’ho detto...” interruppi la frase di mia madre “...mamma, sono stato io!” il cuore mi batteva forte. Ero scalzo, avevo indossato solo il pantalone del pigiama e messo un asciugamano sulla testa.

Nel buio della mia camera, mia madre mi lasciò l’impronta della sua mano sulla mia guancia sinistra, più il rimorso di avergli fatto male, ma la serenità di aver salvato Jared da quello schiaffo.


“Resterai a casa tutti i weekend e niente tv, ti toglierò la tua paghetta per 3 mesi, così ricomprerò il vaso!” arrabbiata e delusa da me, il figlio in cui riponeva maggior fiducia, uscì dalla stanza sbattendo la porta.

Ero rovinato! Accesi la luce della stanza. Lo guardai mentre ricominciava a piangere. Aveva assistito a tutta la scena. In quel momento avrei voluto urlargli contro che la doveva smettere di piangere ogni cinque minuti e che era solo colpa sua se ero stato punito. Avrei dovuto farlo e a volte me ne pento per non averlo sgridato in quel momento. Ma ... voglio vedere voi al mio posto, cosa avreste fatto? Quegli occhioni azzurri imploranti, quelle manine che stritolavano la sua tartaruga, i capelli scompigliati. Sapevo però che se avessi aperto bocca avrei sfogato tutta la mia rabbia su di lui e questo non era giusto, o forse lo era visto che la causa di tutto ciò era mio fratello, ma non feci nulla di quello che avrei voluto fare. In quel momento ho anche pensato a fuggire via, nella notte, ma sarebbe stata la cosa più stupida che avrei potuto fare. Per cui spensi la luce e nel buio mi diressi verso il mio letto coprendomi in silenzio. Pensai che Jared si sarebbe riaddormentato, ma come sempre, le cose non vanno secondo i miei piani. Da lontano sentii una vocina flebile “Shan? Sei arrabbiato?” l’avrei riconosciuta fra mille e comunque sia eravamo solo in due in quella stanza. Risposi freddo
“No,non lo sono!”

Rimase qualche minuto nel silenzio. Gli davo la schiena, per cui non potevo vedere se dormisse o facesse altro. Ma ovviamente era la seconda opzione a prevalere.

“Shan, davvero non sei arrabbiato?” mi disse nello stesso tono malinconico di prima.

“No” ebbe come risposta. Ma mi rispose subito “Posso ... “ si fermò all’inizio della frase. In realtà sapevo benissimo cosa mi stava chiedendo, quale era la domanda alla quale avrebbe preferito una risposta positiva. Mi chiesi se facevo sempre bene ad assecondarlo, se in futuro non me ne sarei pentito.

Mi voltai e guardai nella sua direzione: i due letti erano perfettamente paralleli.

Sapeva che lo guardavo e sapeva anche che avevo capito quello che voleva chiedermi.
Sapeva sempre tutto lui!

Alzai le lenzuola. Questo gesto lo fece scattare, ma appena mise un piede fuori dal suo letto, incespicò e cadde a terra sbattendo la faccia sul pavimento; un piede ancora avvolto dalle lenzuola. Mi venne un infarto! Se si era fatto male, questa notte sarebbe stata più lunga di quanto non fosse già stata.


“Ja.. Jared...” lo guardai spaventato, ma lui si rialzò dicendo che stava bene anche se barcollava. Sorrisi a vederlo così impacciato. Con François ancora tra le braccia, si diresse verso il mio letto e scivolò dentro. Cinsi con il braccio sinistro il suo corpo e lo avvicinai a me. Si accucciò come se fosse un gattino. Ci passavamo solo un anno, ma lui era più basso di me, anche se la mamma diceva sempre che da adulti sarebbe stato il contrario. Non le ho mai creduto.

La sua (in realtà era mia) tartaruga ben stretta nella mano destra, mentre l’altra piegata per adattarsi alla posizione. Poggiò la sua testa tra la mia spalla e il mio volto. Mi chiese
“Scusa Shan” ; si stava scusando, non credevo che l’avrebbe mai fatto. Rimasi fermo, ma poi gli posai un lieve bacio sulla fronte e lo abbracciai ancora di più. Lui fece lo stesso.

Dormimmo.

La cosa più importante era rimanere insieme.






Commento dell’autrice: *prende fiato* cavoli O_O è lunghissima!! Spero che vi sia piaciuta. Ovviamente tutto ciò che avete letto è frutto della mia fantasia, non sappiamo come sia stata la loro infanzia per questo motivo immagino i cari fratelli Leto in situazioni simili, visto che sappiamo tutti che sono molto uniti e credo che il loro legame sia stato consolidato negli anni. Anche perché, condividono lo stesso appartamento (diciamo pure ‘villa’, appartamento non è adeguato per una città come Los Angeles).
La sola cosa reale è François, una tartaruga che Jared, in un intervista, disse che gli mancava e che era il suo peluche preferito, ma che perse tra i tanti traslochi fatti con la sua famiglia.

Se l’avete apprezzata, ma anche se non vi è piaciuta, spendete 30 Secondi del vostro tempo per lasciate un commento ^^ Degonia ve ne sarà grata.
Ringrazio comunque tutti coloro che la leggeranno e scusate gli errori (-.- perché immagino ce ne sono molti).
*inchino*

A presto ;D


29 Aprile 2009 – ore 19.09




PS: Se volete sapere come ha fatto Jared a perdere François, in questa mia fan fiction, trovate la risposta.

   
 
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