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Autore: Luci28    22/07/2018    0 recensioni
Lucifero è ospite a casa dei Riffler per una cena. Le ostilità del conte e l'imbarazzo del ragazzo complicano la situazione, ma l'amore che il ragazzo prova per Celeste non può essere soffocato così facilmente. In una serata ricca di emozioni emergono le due realtà più amate da Lucifero: la relazione con Celeste e la propria vita quotidiana con gli altri ragazzi e il caro vecchio istituto Riffler.
Genere: Parodia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Celeste, Lucifero, Memorino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un invito meravigliosamente catastrofico

 

Il cancello di villa Riffler si stagliava minaccioso e Lucifero provò più volte il desiderio di scappare a gambe levate. Sapeva che Celeste sarebbe rimasta delusa da lui, ma era anche consapevole che quella maledetta cena sarebbe stata un disastro. Lui a cena con i conti Riffler: una situazione al limite dell'ilarità per un osservatore esterno, al limite della sofferenza per lui, protagonista controvoglia.

Celeste aveva insistito tanto, i suoi avevano pensato che fosse un buon modo per conoscerlo (o per sopprimerlo, come più concretamente pensava lui) e così non gli era rimasta altra scelta che accettare.

Il maglioncino nero che indossava era terribilmente pesante e Lucifero si sentiva soffocare. Già stava così male e ancora non era entrato, più tardi sarebbe senza dubbio morto per un attacco di cuore!

Alla fine si decise e suonò il campanello. Gli fu aperto subito e lui percorse il cortile a passi lenti, osservando con paralizzante terrore l'avvicinarsi della porta di casa.

Quando vide uscire Celeste, per un attimo si sentì sollevato, per poi ripiombare nel panico più totale alla vista del conte Riffler sulla soglia di casa.

Lucifero non era un tipo che provasse facilmente paura, ma la consapevolezza che con quella serata avrebbe potuto giocarsi per sempre la possibilità di stare con Celeste lo rendeva vulnerabile e timoroso.

Salutò il conte stringendogli la mano (sudata, purtroppo!, constatò mentalmente il ragazzo), poi entrò.

 

Il primo quarto d'ora passò nella più totale tranquillità: il conte si perse nella lettura del proprio giornale, la contessa preparava la tavola e Celeste era tornata in camera per finire di prepararsi. Quanto a lui, era stato fatto sedere in un salottino e si osservava ora in giro con un misto di curiosità e disgusto per l'infinità di quadri, suppellettili e oggettini di complessa identificazione che si trovavano in quella stanza. ("Un tantino opprimenti", li giudicò dopo averne presi in esame alcuni con minuziosa attenzione).

Fu poi richiamato nella sala da pranzo e così lasciò la comoda postazione sul divano, per tuffarsi nello spaventoso incubo che lo attendeva. ("Speriamo almeno che la cuoca sia brava", rifletté mentalmente, "Se questa dev'essere la mia ultima cena, che almeno sia gustosa!")

 

La sala da pranzo della villa era spropositatamente vasta, adornata con dei candelabri spenti in ottone e circondata da alcuni vasi con alte piante (“finte”, suppose Lucifero).

Era stato un'infinità di volte in quella casa, ma non vi era mai entrato, limitandosi a passeggiare per il giardino.

Sarebbe bastato, a lui, il giardino per vivere: sarebbe bastato liberare la casetta degli attrezzi e avrebbe ottenuto una camera più grande della cabina della Melville, ("tanto il riscaldamento mancava ugualmente", concluse tra sé e sé).

E invece si ritrovava seduto su una sedia in pelle color crema, sulle gambe gli ricadeva l'ampia ed elegante tovaglia ricamata che ornava la tavola, mentre una caterva di piatti e posate gli era stata messa a disposizione.

Osservandole con estremo timore ("Quali diamine devo usare?", si chiese preoccupato), alzò lo sguardo verso i signori Riffler, mentre Celeste gli sorrideva, seduta al suo fianco.

-Allora Sebastiano, spero che la cena ti piaccia, esclamò il conte, -Non so cosa esattamente tu sia abituato a mangiare, sai, difficilmente frequentiamo mense noi-, concluse, mentre Lucifero cercò imbarazzato di complimentarsi con loro e con la cuoca. L'uomo però non apparve interessato ad ascoltarlo e proseguì la frase interrompendolo.

-Celeste ci parla molto di te, dice che sei un bravo capitano. Non lo metto in dubbio, ma permettimi di chiederti se nella tua vita c'è qualcos'altro, oltre al calcio-, chiese e Lucifero ebbe la netta sensazione che quella sarebbe stata solo la prima di un'infinità di domande che gli sarebbero state rivolte.

-La scuola, signor Riffler...-, azzardò timido.

-Investi molto tempo nello studio?-, volle sapere ancora il conte, mentre Lucifero arrossiva imbarazzato, -Me la cavo...-, concluse poi a voce più bassa.

-Te la cavi? Sai, quando Celeste ha dovuto scegliere il liceo, ho dovuto spingerla a studiare all'Istituto Sant'Anna, era l'unica scuola che ritenevo potesse darle una buona istruzione, ma devo essere sincero che non mi sono impegnato poi troppo per verificare il livello di insegnamento della scuola pubblica, talvolta mi lascio davvero governare dai pregiudizi. Tu dove studi esattamente?

 

Lucifero sentì una morsa di rabbia impadronirsi di sé ("Quanto sono montati!", pensò amaramente).

 

-All'Istituto Voltaire-, rispose, cercando di mantenere la calma, ma provò una nuova sensazione di disgusto vedendo il signor Riffler annuire con un'espressione di malcelato disprezzo.

-Capisco, immagino che potrai illustrarmi tu allora come funziona la scuola pubblica oggigiorno; mi farebbe piacere...-

-E' un istituto privato, signor Riffler.-

Lucifero stava davvero perdendo la pazienza: essere trattato come un "povero ragazzo di strada" poteva anche tollerarlo, ma come uno stupido pezzente davvero era troppo!

Abbozzò un sorriso rivolto alla contessa, che lo guardava divertita.

-Sei davvero poco aggiornato, caro!, disse poi rivolta al marito, che la fulminò con lo sguardo facendola tacere.

-Gradisci la lettura, Lucifero?-, proseguì il conte con aria di leggera sfida.

Lucifero desiderava ardentemente prenderlo a pugni.

-Nel tempo libero, si...-

-E che genere di romanzi prediligi?-

-Quello che capita, cerco romanzi nella biblioteca d'istituto-, Lucifero era imbarazzato e aveva la chiara percezione che il conte intendesse umiliarlo.

-Capisco, certo non tutti hanno la possibilità di usufruire di una biblioteca privata, ma mi farà piacere prestarti qualche libro, se gradisci-.

-Grazie, signore, ma non credo sarà necessario, la biblioteca d'istituto è tutt'altro che sfornita e anche l'Istituto Riffler ne possiede una rinomata-.

-Senza dubbio, è quella che il mio caro padre fece edificare all'interno. Come dimenticare la sua generosità!, concluse il conte con orgoglio.

 

Lucifero ebbe un moto di disgusto per la sua presunzione, ma tacque. Osservò di sfuggita Celeste, la ragazza era silenziosa, ma sorrideva e appariva soddisfatta della situazione. Per un attimo pensò che si stesse divertendo alle sue spalle e provò un istinto omicida nei suoi confronti, poi si sentì un verme e si rimangiò ogni pensiero.

Quando fu portato il secondo, ebbe la netta sensazione che fosse anche giunta l'ora della fine: su un vassoio in argento gli fu portato un branzino. La cosa suscitò un sospiro divertito in Celeste, mentre lui desiderò tirarle un pugno.

-Spero tu gradisca il pesce, Lucifero, ho chiesto alla cuoca di prepararne due portate-, disse il signor Riffler con aria compiaciuta, mentre il ragazzo si limitò ad abbozzare un sorriso garbato.

 

Alcuni minuti dopo Lucifero si ritrovò ad ingerire piccoli bocconi veloci, ben attento a non soffermarsi troppo su quello che stava ingurgitando, mentre Celeste lo osservava ancora divertita.

-Sai, Lucifero, ho allestito per Celeste una saletta da ballo, quand'era piccola le piaceva molto ballare. Ci piacerebbe davvero molto che ci facessi l'onore di ballare con lei, vero Celeste?-

-Oh, beh, si, ma, forse non...-

-Sarai bravissima mia cara, non temere!, concluse lui e lei incrociò gli occhi di Lucifero quasi implorandolo di perdonarli.

Lucifero non sapeva ballare e non aveva intenzione di ridicolizzarsi per la soddisfazione del conte.

Sapeva che tutta quella dannata messa in scena dell'invito a cena sarebbe servita solo ad umiliarlo e si sentì uno stupido ad aver accettato. Terminò di mangiare, evitando il più possibile di incrociare lo sguardo dei signori Riffler, mentre nella sua testa balenavano confusamente tutte le scuse possibili che avrebbe potuto usare per non ballare e per sgattaiolare via da quella maledetta casa il prima possibile.

E invece continuò per un'intera ora a parlare col conte amabilmente (o meglio “in modo amabilmente ipocrita”, come più tardi definì quella conversazione Lucifero).

Dopo aver cercato invano di porgli alcune domande di economia e di diritto ed essersi arreso di fronte ai prolungati silenzi del ragazzo, il conte decise di cambiare argomento e tattica.

Lucifero sentiva dolorosa e stretta la morsa della vergogna e si lasciò cadere sullo schienale della sedia in un moto di sconforto non appena i Riffler ebbero lasciato la stanza per alcuni attimi, richiamati in cucina dalla domestica.

 

-Lu, mi dispiace, azzardò Celeste, ma lui scosse il capo, -Figurati, non fa niente...-, rispose, mentre la ragazza lo osservava mogia. Le sorrise incoraggiante: dopotutto non era colpa sua se era nata da quell'uomo.

-Dimmi solo che nel dessert non c'è la panna-, concluse divertito. Celeste sorrise, -No, non c'è...-, rispose poi. In quel momento appariva come una musa, con i capelli raccolti e pochi riccioli che le incorniciavano il viso e abbigliata con un elegante vestito tinta carne. Il volto pulito, gli occhi luminosi, Lucifero avrebbe proprio desiderato sfiorarle le labbra con un...

 

-Eccoci qui! Perdona il disguido, Lucifero, non sai quanto sia dura mandare avanti questa casa!, brontolò il Conte, mentre tornava a sedersi al proprio posto.

Doveva essere davvero una vita faticosa la sua, constatò Lucifero, spostando a malincuore i propri occhi da Celeste al proprio piatto.

-Ho letto un articolo sulla tendenza dei ragazzi di oggi a trasferirsi all'estero per fare stage universitari, che ne pensi Lucifero?-

Dio se era sadico quell'uomo! Il ragazzo respirò a fondo prima di riprendere il coraggio di alzare lo sguardo.

-Ritengo sia una bella opportunità...-, cercò invano di formulare una frase, ma le parole si ribellavano alla sua volontà. Qualsiasi cosa avesse risposto, il conte avrebbe trovato il modo di affermare l'opposto e questa consapevolezza lo rendeva impacciato più dell'idea di una nuova conversazione con quell'uomo.

-Noto che non sei una persona molto loquace, Lucifero; forse l'italiano non è propriamente la tua materia preferita. Immagino sarai più portato per le materie scientifiche...

 

Lucifero tacque. Per la prima volta in vita sua provò un senso di impotenza di fronte alla cattiveria del conte, alla sua arroganza, alla sua classe sociale e ai suoi dannati soldi.

 

-Lucifero scrive molto bene...-, tentò di difenderlo Celeste, ma la situazione non poteva far altro che precipitare e così fu.

-Davvero? Ti dedichi alla scrittura? Non ne hai fatto menzione in precedenza; spero non ti dispiaccia se ti confesso il mio stupore: non ti avrei mai immaginato scrittore!-

-Non lo sono, difatti...-, Lucifero mal celava ora la stizza per le velenose osservazioni che gli venivano rivolte.

-Per dedicarsi alla scrittura ritengo sia necessario avere molto tempo a disposizione e io nella vita non ne avrò mai abbastanza, signore, per un compito così “alto”...Immagino che lei piuttosto potrebbe illuminarci con qualche scritto; ritengo che il suo lavoro non sia poi così impegnativo da non lasciarle del tempo per scrivere.-

 

La risposta del ragazzo zittì per un attimo il conte, che tuttavia annuì.

 

-Certo, scrivere è una delle discipline a cui più mi dedico. Ad ogni modo, se Celeste sostiene che tu scriva bene, sono sicuro che abbia ragione, a meno forse che non sia solo troppo presa da questa passione giovanile, che ti ha posto come oggetto dei suoi desideri. In ogni caso, dimmi, di che cosa ti occupi quando scrivi?-, il sarcasmo dell'uomo fece montare nuova rabbia a Lucifero, che ugualmente lo fissò negli occhi, dimostrando grande audacia.

 

-Nulla che lei riterrebbe degno di lettura, signore. Il mio livello di cultura non è certo sufficiente per permettermi di trattare questioni di suo interesse-.

-Non lo credo, Lucifero. Se possiedi un dono, questo deve senza dubbio emergere in ciò che fai-, concluse il conte, per poi però riprendere -Non lo pensi anche tu, cara?-

 

La contessa, trascinata in quella conversazione suo malgrado, scosse appena il capo.

 

-Credo che il ragazzo sappia scrivere bene, se questo è ciò che dice Celeste; non lo ritengo nella giusta età per occuparsi di questione che coinvolgano un lettore attempato come te, caro.-

 

Detto ciò sorrise a Lucifero, che mosso da un profondo desiderio di abbracciare la donna, le sorrise spontaneo e lei fece segno di apprezzare il gesto.

 

Mangiarono il dessert in silenzio. Per la prima volta nella serata Lucifero mangiò di gusto, forse perché ebbe l'impressione che il dessert potesse in qualche modo segnare la fine di quell'eterna serata.

Non fu così. Quello che successe dopo sfuggì al controllo di Lucifero senza che lui se ne rendesse ben conto e stravolse irrimediabilmente la situazione.

 

Su invito del conte il gruppo si spostò in una saletta adiacente e dopo che tutti si furono accomodati, il signor Riffler tornò all'attacco.

 

-Eccoci qui, Lucifero: la sala da ballo è tutta vostra!- disse con tono trionfante, mentre il ragazzo si sentì morire.

La stanza assunse un'aria soffocante: vi erano un pianoforte e alcuni divani, ma le pareti rivestite erano opprimenti e pacchiane e la luce calda si faceva sempre più dolciastra e mielosa in quel ambiente chiuso.

-Papà, credo non sia il caso...-, Celeste si avvicinò all'uomo, ma lui scosse il capo, -Mia cara, non voglio sentire giustificazioni!-, concluse.

-E invece le sentirà, signor Riffler -, esordì Lucifero, i pugni stretti lungo i fianchi, -Non ritengo che non saper ballare sia una carenza così rilevante da dover essere utilizzata in maniera così meschina per umiliarmi.-

 

Il conte si immobilizzò.

 

-Ah, bene. Hai ragione, Lucifero, mi sono comportato da vero sciocco: ho pensato che saresti stato a tuo agio in questo ambiente, ma avrei dovuto considerare con maggiore attenzione le differenze che ci separano. Sarò più chiaro con te: per quanto io rispetti la tua persona, non posso negare che tu sia esattamente il prototipo di ragazzo che voglio vedere lontano da mia figlia-, tuonò l'uomo, mentre Lucifero annuiva mentalmente (“D'altronde che cosa altro si poteva aspettare da quel vecchiaccio arrogante?” si disse mentalmente con pacifica rassegnazione).

-In ogni caso, ragazzo, non voglio che tu la prenda sul personale; se anche avessi risposto alle mie domande di politica estera, sarei giunto alle medesime conclusioni: ho bisogno di conoscere la famiglia del compagno di mia figlia e questo presuppone che essa ci sia. Qualsiasi cosa tu possa impegnarti a fare, non potrai mai garantirmi di provenire da una famiglia rispettabile, o quanto meno da una donna tale...-

Il cuore di Lucifero perse svariati battiti ed egli ebbe la netta percezione di star entrando in trance, mentre la vista gli si sfocava leggermente. Ebbe solo per un attimo la consapevolezza di star per esplodere, mentre la rabbia e il risentimento gli scorrevano nel sangue come un amaro veleno.

 

-I suoi soldi ed il suo sangue nobile non le danno il diritto di parlare così né di me, né della mia famiglia, qualsiasi tipo di persone ne siano stati i membri. Inoltre si ricordi che amano anche gli orfani, signor conte; amano esattamente come tutte le altre persone, se non anche di più, perché temono di perdere anche ciò che ora hanno. La sua boria e la sua infondata e ignorante convinzione di essere ad un livello superiore la fanno risultare un vecchio stupido, aggrappato con tutto se stesso all'idea di perfezione che crede appartenerle. Vuole tenersi sua figlia? Se la tenga, ma sappia che fino a quando vivremo entrambi nella stessa città, mi prenderò tutto il diritto di starle vicino e se un giorno vi trasferirete, beh, avrà vinto con me, ma si sarà anche guadagnato il premio di vecchio arrogante e retrogrado agli occhi di chi ci conosce. E si ricordi che Celeste deve stare con me, non con i miei genitori, quindi qualsiasi tipo di persone siano stati, non ha motivo di preoccuparsi, tanto più che non avrà mai nemmeno l'incombenza di doverli conoscere e invitare a cena. Se tutto quello che sa offrirmi è questo ostentato odio e quel disgusto misto a ipocrita compassione, beh, sappia che si sbaglia a credermi un reietto, perché nonostante tutto io me la cavo, e si, ha sentito bene “io me la cavo” e so l'italiano, anche se non quello finto e pomposo di qualche secolo fa! E non mi chieda cortesemente di andarmene, perché lo faccio benissimo da solo!-

 

Lucifero si zittì e si diresse verso la porta, per poi girarsi a pochi passi da essa.

 

-Solo una cosa ancora-, disse, -Celeste è l'unica persona che abbia amato in modo diverso dall'amore che provo per gli amici, che sono l'unica famiglia che posso presentarle -e non me ne importa un fico secco se a lei questo non basta-; è l'unica persona che mi sforzo di proteggere, anche se desidererei ricevere da lei l'amore materno che mi manca. Probabilmente non so fingere di amare e di apprezzare questo mondo snob e chiuso, ma so di amare sua figlia per la sua capacità di renderlo più accettabile e so di avere un cuore, anche se forse un cuore orfano, signore.-

 

Cadde un silenzio tombale per alcuni istanti, poi Lucifero oltrepassò l'uscio.

 

-Mi dispiace contessa- disse con garbo prima di proseguire verso il portone di ingresso. Afferrò il proprio giubbotto dall'appendiabiti e raggiunse il giardino. Il cancello era socchiuso, - “fortunatamente”, osservò - e appena fuori iniziò a correre.

 

Certo non aveva salvato la sua relazione con Celeste, ma almeno sperava di aver conservato un briciolo di dignità.

 

Quando ebbe raggiunto l'istituto, si diresse verso la propria camera. Entrò ansimante per la corsa e si fermò a considerare solo pochi dettagli: primo, Memorino era solo; secondo, Memorino avrebbe capito la situazione, e anzi, meglio, lo avrebbe capito; terzo, lui sentiva un dannatissimo bisogno di parlare con Memorino in quel momento.

Concluse queste brevi riflessioni, raggiunse il compagno a passi decisi, mentre quest'ultimo lo osservava assai perplesso, si sedette sul letto a giusto un paio di centimetri da lui e lo fissò con occhi carichi di sconforto.

 

-E' andato tutto storto, vero?- chiese allora Memorino.

-Ho combinato un disastro...- ammise Lucifero,

-Beh, l'avevi previsto, no?-

-No, no, un grande disastro...Mi dispiace...-

-Dovresti dirlo a Celeste che ti dispiace, lo sai, vero?-

-Si, ma è troppo complicato e poi tu mi avevi detto di mantenere la calma...Sono uno stupido...-

-Te lo dico per abitudine, Lu! Non ho mai creduto realmente che fossi in grado di mantenerla!-

-Ma?-

-Pazienza, sono diventato tuo amico anche per questo...-

 

Cadde il silenzio.

 

-Memo?-

-Dimmi.-

-Per fortuna che esisti, davvero...-

 

Il compagno tacque per un po'.

 

-Si, sono sicuro che per ora lo pensi con il cuore, domani vedremo...-

 

Sorrise malevolo, mentre Lucifero scuoteva ancora il capo mogio.

 

-Memo, pensi che Celeste mi rivolgerà ancora la parola?-

-Davvero non lo so, Lu...-

-Vedi, se ti fossi messo tu con Celeste, i suoi genitori ti rispetterebbero: i tuoi hanno lavori importanti e impegnativi, tu sei il prototipo del ragazzo per bene, vai bene a scuola, sei serio...-

-Lu?-

-Mhm?-

-Evita. Sappiamo entrambi com'è finita.-

-Già, scusa...-

 

I due si guardarono per un attimo, senza parlare.

Un colpo secco proveniente dalla finestra li fece sobbalzare. Lucifero si avvicinò al vetro e aprì l'anta. Si immobilizzò per un attimo.

 

-Allora? Pensi di scendere o no?-, la voce di Celeste spezzò la quiete circostante, mentre il ragazzo la fissò impreparato.

-Beh, almeno la parola te l'ha rivolta-, borbottò Memorino con un mezzo sorriso, continuando a leggere per dissimulare l'interessamento alla situazione.

-Devo andare?-

-Beh, immagino tu possa anche chiederle di accamparsi nel cortile e aspettare l'alba...Credo che il conte non apprezzerebbe, però...-, rispose il compagno senza smettere di ridacchiare.

-Piantala! Così non mi aiuti!-

-Scusa, ma penso di aver già fatto abbastanza...-

-Si, hai ragione. Ma che cosa le dico?-

-Che sei un deficiente, per esempio...-

-No, mai! Ho una dignità!-

-Ah, d'avvero? Beh, allora dille che ti sei comportato da deficiente...-

-E poi?-

 

Lucifero osservava l'amico nervosamente.

 

-E poi? E poi dille quel cavolo che ti passa per la testa, diamine! Cosa c'entro io? Lasciami in pace...Ne avrei di cose da dire a Celeste e mi devo trattenere...-

 

Per mezzo secondo il capitano si sentì profondamente in colpa: Memorino si era fatto da parte per lasciargli Celeste e lui aveva appena rovinato tutto!

 

-Memorino?-

-Mhm?-

-Scusa...-

-Dai, muoviti! Scendi e vedi di risolvere questo macello prima che sia troppo tardi...Dopotutto non è nemmeno colpa tua se lei si è innamorata di te...-

-Ok...Grazie...-

 

Lucifero raggiunse la porta, poi si voltò.

 

-Ehm, mi aspetti qui, vero?-

-Veramente pensavo di fare un giretto in centro, sai, magari prendere un gelato e guardare un paio di negozi...-

 

Lucifero apparve confuso.

 

-Luci, sono le undici e mezza di sera, dove cavolo vuoi che vada? Al massimo mi butto dal sesto piano...-

-Oh...giusto...ma non esiste il sesto piano...-

-Wow, che perspicace! Lucifero? Vai, prima che lo stress ti ammazzi tutti i neuroni!-

 

Il compagno sorrise appena.

 

-Vado, vado...-

 

Quando Lucifero raggiunse il cortile, la ragazza lo aspettava seduta per terra.

 

-Che scatto felino, Lu! Pensavo quasi che non ti ricordassi più che ti avevo chiesto di scendere!-

-Scusa, io...-

-Lo pensi sul serio?-

-Cosa? Celeste, io non volevo...Ho sbagliato, solo che tuo padre...-

-Zitto. Ti ho chiesto se lo pensi davvero?-

-Non avrei dovuto rivolgermi così a tuo padre...Ho perso la pazienza, ma non avrei dovuto, solo che lo sai che sono una frana e non...-

-Lucifero, pensi davvero quello che hai detto su di me?-

 

La ragazza lo fissava con gli occhi nocciola illuminati dalla luce del lampione a pochi metri da lei; in piedi, immobile, con quei lineamenti dolci, quella pelle ambrata e quei ricciolini che le scappavano dalle forcine e da qualsiasi tentativo di pettinarli...Era così dannatamente bella...

“Lucifero, hai preso sonno? Pensi di rispondere o facciamo mattina?”, si rimproverò mentalmente, mentre ancora fissava quello splendore.

 

-Celeste, certo che lo penso...Insomma, sono pur sempre venuto a cena dai tuoi...So che sarebbe stato meglio se non l'avessi fatto, ma ci ho provato, ci ho messo la buona volontà...-

 

Lucifero chinò lo sguardo triste. Aveva combinato il più grande disastro che una persona nelle sue condizioni e nella sua posizione avrebbe potuto fare. “Dannata la sua impulsività!” pensò.

Celeste sorrise tra sé, ma lo nascose e rimase seria.

 

-Celeste ascolta, se non vuoi più avere niente a che fare con me, lo capisco. Se tuo padre ti proibirà per sempre di vedermi, non credo di poter fare molto per impedirglielo, però vorrei che sapessi che ci ho provato: ho fatto di tutto per stare con te, ho cercato di immaginarmi diverso solo per te, per andare bene ai tuoi, per poter entrare nel tuo mondo; e se questo non sarà servito a niente, beh, sappi comunque che ci ho provato. E forse, se mai riuscirò a trattenermi dal fare ulteriori danni, non farò altre follie per riuscire a convincere tuo padre a farti stare con me, ma ne farò altre centomila per non perderti, oggi come un giorno, qualsiasi cosa succeda...I tuoi non mi vorranno mai bene, lo so, ma te ne voglio troppo io per arrendermi così facilmente...Però se anche tu pensi di me quello che pensa tuo padre, allora non farò altre follie, di nessun genere, te lo prometto.-

 

I loro sguardi si incrociarono di sfuggita e si divisero per poi tornare a incrociarsi, come attirati da una forza superiore.

Lucifero aveva la terribile percezione che fosse tutto finito. Tra loro non avrebbe potuto funzionare, tutto tra loro li allontanava: la loro origine, la loro famiglia, la loro vita. Ma i cuori? A che cosa servivano i cuori se tutto il resto poteva vincere su di loro?

Il cuore del ragazzo in quel momento si sentì inutile; perché cavolo batteva a fare se quello di lei non lo avrebbe mai accompagnato in quella danza ritmata di colpi? Poteva anche fermarsi. C'erano troppe poche persone per cui vivere nella sua esistenza, pensò Lucifero, mentre con lo sguardo chino si riavvicinava all'ingresso dell'istituto.

 

Celeste non aveva mosso un passo verso di lui, era rimasta immobile, impassibile.

Aveva fatto abbastanza follie per quel giorno, era stanco. Per un attimo aveva quasi creduto di poterla raggiungere; ma lei, quella rosa delicata, sarebbe rimasta per sempre nella propria teca, per essere ammirata. Non c'era spazio per le erbe incolte nella teca; le erbe incolte dovevano restare nei campi, calpestate e strappate dai contadini e raccolte solo dai bambini nei loro giochi d'infanzia. E questo sarebbe rimasto lui, un papavero selvatico nato ai margini di un'autostrada.

 

Raggiunse il portone di ingresso e fece per oltrepassarlo.

 

-Lucifero, aspetta!-

 

Si voltò, ma i suoi occhi rimasero spenti, come la speranza dentro al suo cuore.

 

-Mi ci vorrebbe un tempo infinito per pensare anche solo vagamente ad una risposta degna della tua dichiarazione e tu sai che sono negata con le parole...-

 

Lui tacque, anche se un leggero sorriso gli si abbozzò sulle labbra. Non aveva mai realmente pensato che Celeste fosse negata in qualcosa, ma doveva ammettere che l'oratoria forse non era la sua dote migliore.

 

(“In ogni caso, chi se ne importa delle parole!”, disse il suo cuore ripresosi un po' dallo shock, “Basta un abbraccino e tutto passa!”).

Nel frastuono dei pensieri nel suo cervello e tra i battiti scomposti del suo cuore nervoso, Lucifero quasi non aveva la percezione di quello che stava succedendo intorno a lui.

La ragazza lo aveva raggiunto sul portone d'ingresso del Riffler, gli occhi fissi nei suoi, un sorriso timido stampato sulle labbra.

 

-Sai Lu? Credo che nessuno abbia mai fatto a mio padre una sfuriata così ben strutturata dal punto di vista morfo-sintattico...-

-Oh, beh, sicuramente mi avrà fatto guadagnare punti ai suoi occhi...-

-Ha ammesso che sai l'italiano, poteva andarti peggio...-

-Già, senza dubbio. Immagino non vorrà mai più vedermi...-

-No, sarebbe troppo facile per tutti e due. Propone di ricominciare da capo con te...-

-Cosa? Stai scherzando?-

-No, sono state le sue testuali parole. Credo che abbia apprezzato i sentimenti che hai manifestato per me, nonostante sia ancora piuttosto irritato per essersi preso del “vecchio arrogante e retrogrado”...-

-Ehm, mi dispiace...-

-Si, me l'hai già detto. In ogni caso sei caldamente invitato da noi sabato pomeriggio per un tè...-

-Celeste...-

-Si?-

-Potremmo mica evitare? Insomma, dopotutto...-

-Hai appena detto che faresti qualsiasi cosa per non perdermi e rifiuti un invito di mio padre?-

-Lo so, però...se poi faccio danni, ti perderò...-

-Al massimo perderai del tutto il credito agli occhi di mio padre, quanto a perdere me, credo che farai assai più fatica...-

-E se ti impedisce di vedermi?-

-Esistono le finestre, Lucifero, non serve uscire dalla porta principale...-

-Celeste?-

-Uhm?-

-Ti voglio bene, sai...-

-Già, penso di averlo capito qualche ora fa...-

 

La ragazza ora sorrideva divertita.

 

-Davvero?-

-Beh, hai pur sempre finito il branzino per compiacere i miei e la nostra cuoca, no?-

-Oh, beh...-

 

Anche il ragazzo sorrise.

 

-C'erano anche un po' troppe forchette, se proprio devo dirle tutte! Mi si sono agitati i neuroni a dover scegliere! Sono sicuro che con meno forchette sarebbe andato tutto molto meglio...-

-Prometto che con il tè metteremo solo un cucchiaino...-

 

I due risero.

 

-Anche per l'alta società basta mezz'ora per bere un tè, vero?-

-Non mi illuderei troppo se fossi in te...-

-Cercherò di affogarmi nella tazzina prima di aprire bocca questa volta...-

 

Celeste rise di gusto, poi le labbra di lei si avvicinarono alle sue. Lucifero sentì il proprio cuore sospirare beato.

 

-Credo che sia meglio se torno ora...-

-Già. Escludo che sia il caso che io ti accompagni a casa, vero?-

-La distanza aiuta, sabato andrà meglio...Ci vediamo domani...-

-Bene, a domani...-

 

Con un certo dispiacere lasciò la presa sulla ragazza e la osservò correre via. Tuttavia pochi attimi dopo fu colto da un fremito di entusiasmo e rientrò nella hall dell'istituto con un'enfasi prima sconosciuta. Tornò in camera con il cuore che viaggiava a mille. La stanza era deserta.

“Che fine ha fatto Memorino?”, si chiese.

 

Uscì dalla stanza e percorse a passi svelti il corridoio fino a quando una porta si spalancò, colpendolo in pieno volto.

 

-Che diamine ci fai qui?-

 

Memorino osservò sorpreso il compagno che si massaggiava il naso per la botta.

 

-Scusa, ti cercavo...-

-Ah, e così avevi paura, eh?-

-Di che?-

-Che mi fossi buttato dal sesto piano ovviamente!-

 

I due risero di gusto, mentre tornavano in camera.

 

-Vedo che sei sopravvissuto...-

-A quanto pare...-

 

Lucifero sorrideva fra sé, mentre il compagno lo osservava divertito.

Si sedettero sui rispettivi letti e per un po' meditarono in silenzio.

 

-Hai mai pensato a quanto utile sarebbe un abat-jour qui sul comodino per leggere, Lu?-, chiese infine Memorino, ma Lucifero scosse il capo.

 

-No, io non leggerò mai più un libro, altrimenti come potrò restare così meravigliosamente ignorante!- brontolò con un moto di irritazione. Memorino rise di gusto.

-Ah, Lucifero, ma chi ti ha inventato così male?-

 

Il compagno tacque per un po', poi, notando il sorriso sulle labbra dell'amico, sospirò più sereno.

 

-Comunque Memorino, l'abat-jour la voglio laccata in oro, con stoffa color crema lavorata e quasi quasi ci affiancherei pure un candelabro in stile, che ne dici? Anche le nostre coperte sono così dannatamente smorte, perché non ci procuriamo dei bellissimi copriletti color cremisi, abbinati a delle lenzuola ricamate?-

-Vuoi fare guerra al conte, Lu? Vuoi rubargli la figlia attraverso la concorrenza spietata?-

-No, voglio derubarlo e lasciarlo in mutande in mezzo ad una strada! Mi piacerebbe vedere la sua faccia...-

-L'invidia fa male, Lucifero...-

-Anche l'amore, va'...-

 

Memorino sorrise.

 

-Si, anche l'amore...-

 

Tacquero, lasciando che la notte scendesse nella stanza e sulla cittadina. Con il cuore più leggero, Lucifero rifletté ancora a lungo.

Erano quelli i particolari che amava della propria vita: la libertà di sognare e di essere se stesso; l'amore dei suoi amici, le lunghe discussioni notturne con Memorino, il letto accogliente dell'istituto...Beh, riguardo ai letti in realtà la situazione era un po' meno felice: le molle saltavano fuori con un po' troppa facilità ultimamente. Ma in fondo a che importava? Loro “se la cavavano” benissimo così!

 

 

  
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