Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Ellery    24/07/2018    1 recensioni
Una raccolta su situazioni, più o meno imbarazzanti, che lo sfortunato protagonista si ritroverà a dover gestire. Fatti quotidiani, che capitano nella vita di chiunque, prima o poi... quindi, perché non in quella del soldato più forte dell'umanità? - Raccolta di One-shot indipendenti le une dalle altre.
Dal testo:
«Posso entrare nel carrello? Mi fanno male gli scarponcini» fece per sedersi su una scaletta, di quelle usate dai commessi, ma una mano callosa lo tirò bruscamente in piedi.
«No»
«Perché no?»
«Ci devo mettere la spesa nel carrello»

La raccolta comprenderà situazioni differenti (sia AU, che non, all'occorrenza)
[La One-shot n° 8 partecipa al concorso "Situazioni XY" indetto sul forum efp da Biancarcano e Harriet]
Genere: Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi, Ackerman
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La volta in cui Levi vinse una mano fortunata a poker


Levi scrutò le proprie carte, sforzandosi di mantenere il viso completamente immobile. Faccia da Poker, aveva detto Mike: espressione imperturbabile per tutta la partita; una passeggiata per uno che, come lui, aveva l’espressività di un calzascarpe.
Osservò gli astanti: gli avversari – Erd e Auruo - si stavano lanciando occhiate scettiche, mentre il suo socio – il caposquadra Zacharias – si lisciava nervosamente i baffetti.

«Hai scommesso tutto quello che avevamo, Levi.» Mike si era sporto in sua direzione, rifilandogli quel sussurro scocciato.

Il capitano si tolse il mozzicone di sigaretta – ovviamente spento, visto che non fumava – dalle labbra, schiacciandolo sul pianale del tavolo:
«Quando non hai niente, non hai niente da perdere.»

«Ma che cazzo stai dicendo?»

«L’ho letto una volta nella carta di un cioccolatino. Bella vero?»

«Che frase della minchia… vediamo di concludere in fretta!»

Levi annuì, osservando la posta in gioco. Effettivamente, avevano davvero scommesso tutto: il loro salario, la sua scatola con il prezioso tè nero, l’orologio da taschino ereditato dalla famiglia Zacharias e il ritratto di sua madre, unico ricordo della sventurata donna che lo aveva messo al mondo. Per contro, Erd e Auruo avevano puntato una coppia di biglietti. La rassicurante scritta “Titanic – crociera inaugurale: Isla Paradise – Marley” capeggiava in cima ai fogli di carta, accompagnata dal profilo di una sontuosa ed imponente nave.

«Bene!» invitò gli altri a mostrare le carte con un cenno della destra «La vita di qualcuno sta per cambiare. Vediamo cosa avete. Mike?»

«Niente.»

«Erd?»

«Niente.»

«Auruo?»

«Doppia coppia.» uno spruzzo di sangue invase il tavolo, quando il soldato si morse accidentalmente la lingua.

«Mh, doppia coppia…» Levi mimò un sorriso dispiaciuto «Scusa tanto, Nasone…»

«Scusa tanto?!» il ringhio del caposquadra gli piovve immediatamente in testa, accompagnato dalla minaccia di un cazzotto dritto sul naso «Ma vaffanculo, nano di merda! Hai scommesso tutto quello che avevamo…»

«Scusa tanto! Non rivedrai tua madre per un bel pezzo…»

«Guarda non la vedo già da anni…»

«… perché noi ce ne andiamo a Marley!» lanciò le carte sul tavolo, scattando immediatamente in piedi «Full!»

Colse un rumore alla propria destra. Mike era balzato in piedi, allungando le grosse mani per arraffare immediatamente il bottino:
«Grande Levi! Finalmente ne hai fatta una giusta!»

«Sì! Visto? Non hai mai fiducia in me…» Levi sorrise, ma il suo entusiasmo venne presto smorzato dalle grida di giubilo del compagno:

«Sì! Abbiamo vinto! Sei proprio un figlio di puttana!»

«Sì, lo so…»

«Figli di puttana!»

«Ho capito, Mike…»

«Puttana la tua mamma Levi, abbiamo vinto!»

«Basta! La smetti di ripeterlo?!»

«Sentito, gente? Vado a Marley!»

Il barista, un uomo tarchiato, con pochi capelli ed un’espressione ingenua e coccolosa dipinta sul volto, scosse piano il capo, mentre con vocetta stridula sottolineava:
«No amico. Il Titanic va a Marley… tra cinque minuti!»

Oh, diamine! Stavano per sprecare l’occasione della loro vita. A cosa serviva vincere due biglietti per una crociera da sogno, se poi perdevano la nave? Mike buttò la vincita nella propria bisaccia, mentre Levi recuperava i biglietti. Con uno scatto fulmineo attraversarono le porte del bar, correndo lesti in direzione del molo più vicino.
 
***

«Fermi! Aspettateci!» Levi agitò le braccia in direzione dell’ufficiale che stava già per chiudere il portello d’accesso alla nave «Siamo passeggeri! Siamo pass..» le parole gli morirono sulle labbra, mentre il fiatone per la corsa si faceva sentire.

«Avete fatto il controllo sanitario?» gli chiese il marinaio.

«Sì, cioè… Non ho i pidocchi. Sono la persona più pulita su questa cazzo di isola.» accennò a Mike col capo «Quanto a lui… gli ho messo l’antipulci l’altro ieri. È a posto.»

«Molto bene, salite pure!»
 
***
 
Naturalmente, i biglietti a loro riservati non comprendevano certo gli alloggi migliori; Erd e Auruo erano i titolari, purtroppo, di una sistemazione di Terza Classe.

Levi spalancò la porta della cabina premendo sulla maniglia con un fazzoletto di carta; gli fu impossibile nascondere un’espressione di disgusto al vedere le condizioni della stessa: due letti a castello erano stipati nello spazio di uno sgabuzzino ed uno era già occupato da una coppia di profughi delle mura intenti a consumare un lauto pasto a base di peperonata e cotolette impanate.

«Salve…» snocciolò solo, senza fissarli; lo sguardo grigio, infatti, si era immediatamente incollato ai materassi ed alle lenzuola di uno strano colore giallastro; le federe mostravano aloni poco rassicuranti, mentre sulla coperta di lana – piegata ai piedi di ciascun letto – erano facilmente individuabili escrementi di topo.

«Io qui non ci dormo!» sentenziò, cercando di infilare immediatamente la porta. Mike, tuttavia, lo agguantò prontamente per un braccio:

«Ma che dici? Sarà stupendo! Non lo senti questo profumo, Levi?»

Scosse il capo, arricciando prontamente la punta del naso:
«Questo puzzo di peperoni e formaggio?»

«Ma no! Questo è l’odore dell’avventura!»

«A me sembrano piuttosto calzini ammuffiti, ma…»

«Smettila di lagnarti! Su, se fai il bravo ti faccio dormire di sopra!»

Una sfumatura speranzosa si accese immediatamente sul volto affilato:
«Davvero?!»

Ma Mike si stava già appropriando del materasso superiore:
«No, ovviamente! Che poi se cadi ti fai male. Questi letti non sono adatti per i bambini… dormi sotto, da bravo…»

«Ma… volevo stare sopra!»

«Pff… ma quando mai? Su, lo sappiamo tutti che sei abituato a stare sotto e che ti piace pure.»

Levi si sentì avvampare:
«Che cazzo stai dicendo?»

Non ottenne risposta. L’altro si era avviato oltre l’uscio della cabina, sbattendo la porta oltre le proprie spalle.
 
***
 
Rimanere solo  - o quasi, contando la presenza dei profughi -  aveva dei  vantaggi. Levi aprì immediatamente la sua misera bisaccia, cavandone una coppia di fazzoletti bianchi; ne fissò uno attorno alla fronte ed uno su naso e bocca, per proteggersi dalla polvere. Infilò un paio di guanti di gomma, lunghi fino al gomito e, infine, un grembiule bianco con la rassicurante scritta “Kiss your Heichou” vergata a pennarello.

Recuperò lo spray Napisan e una spugna. Indossò dei calzari di plastica sopra le scarpe. Posizionò, infine, una piccola videocamera sul comodino, premendo il tasto REC:

«Video per l’audizione di “Malati di Pulito”. Partecipante: Levi Ackerman.» snocciolò, mentre la cinepresa emetteva un rassicurante ronzio. Oh, quelli del cast non avrebbero potuto ignorarlo! Senza ombra di dubbio, si sarebbe guadagnato un posto nella prossima stagione.
 
***

Mike scattò in avanti, tendendo le braccia:
«Non lo faccia!» esclamò, cercando di afferrare la donna per la vita e tirarla nuovamente a bordo. Stava passeggiando lungo il ponte di poppa, quando l’aveva scorta: una giovane appesa alla ringhiera della nave, sporta nel vuoto, intenta a fissare l’acqua. Aveva agito senza pensarci, correndo per poterla salvare. Invece…

«Prego? Si faccia gli affari suoi!» ringhiò la giovane, allontanandolo prontamente con un calcio ben assestato «Maniaco!»

Mike la fissò perplesso: ma come… non voleva essere salvata? Voleva davvero suicidarsi, abbandonando la propria vita alle fredde acque dell’oceano?

«Come?...» biascicò, vedendola intenta a piegare il busto e ridistenderlo ritmicamente, con solo le ginocchia serrate sulla balaustra. Stava… facendo dei piegamenti? Degli addominali, aggrappata alla balconata «Non… si vuole buttare?»

«Pff… per chi mi hai preso?» la biondina tornò a contrarre i muscoli dell’addome, sollevandosi lentamente. Portava i capelli corti e gli occhi, di una sfumatura verdognola «Sto completando il mio workout quotidiano.»

«Ah…»

«Però… sei stato carino a pensare che volessi gettarmi in mare…» la vide ridiscendere nuovamente e, poco dopo, rialzarsi. Le dita robuste agguantarono le sbarre di ferro e, un attimo dopo, la donna scavalcò il bordo della balaustra, tornando con entrambi i piedi sul ponte «Molto cavalleresca come cosa. Come ti chiami?»

«Mh… Mike Zacharias.»

«Sono Nanaba de Witt Bukater»

«Eh?»

«Nanaba sarà sufficiente.»

«Ah, meno male… perché del cognome non si capiva un cazzo.»

Nanaba schioccò le labbra in una risatina sottile. Quel ragazzone, in fondo, era divertente; e, senza dubbio, possedeva uno charme da contadinotto irruento difficilmente eguagliabile. Certo, non doveva essere ricco né particolarmente pulito, a giudicare dai rammendi sui suoi pantaloni e dalle pezze di sudore sotto le ascelle, ma… a lei piaceva il fascino rozzo dell’uomo di campagna. Decise, senza indugio, che una lussuosa cena con l’alta società sarebbe stata l’ideale per ringraziarlo della propria galanteria! Mike si sarebbe sentito a suo agio, affatto in imbarazzo tra tutti quei signorotti pronti a squadrarlo come fosse un ratto di fogna portatore di peste.

«Senti, baldo giovane… non è che ti andrebbe di venire a cena, questa sera? Mi piacerebbe ringraziarti a dovere per la tua preoccupazione e gentilezza. Naturalmente, sarà una cosa del tutto informale tra aristocratici e ufficiali. Niente di troppo complicato, come vedi.»

«Uh, mi piacerebbe! Che c’è sul menù?»

«Raffinatezze nobiliari, senza dubbio. Non mancheranno l’aragosta, il piccione arrosto, le lenticchie, il risotto ai funghi e…»

«Mi avevi già convinto alla parola “cena”! Sarò dei vostri…» Mike sorrise apertamente, prima di rammentare un inquietante dettaglio. Come l’avrebbe presa Levi?

Normalmente, intendiamoci, non gli sarebbe affatto importato di lui… ma l’idea di dover passare la notte a sentirlo lamentarsi e frignare, ovviamente, era abbastanza seccante. Levi si sarebbe lagnato fino allo sfinimento, per il mancato invito. Nella mente del caposquadra si affacciarono prontamente due ipotesi: portare Levi a cena; oppure ficcargli un calzino in bocca e chiuderlo dentro ad un baule. Malgrado la seconda opzione fosse, ovviamente, la sua preferita, Mike decise infine per la prima: non avrebbe mai potuto fare un torto simile ad uno dei suoi calzini.
 
***
 
Levi si aggiustò nuovamente il cravattino, lisciandosi poi le pieghe lungo le maniche. Aveva infilato l’unico completo che possedeva – fatto di una semplice giacca, pantaloni neri e camicia – e si era pettinato i capelli all’indietro, coprendoli di quintalate di gel per mantenerli in piega.

«Dovevi proprio vestirti così?» sibilò verso il compagno, che aveva optato per un outfit molto, molto, ma molto più sobrio : camicia scozzese sbottonata sul petto, salopette da villico e un paio di anonime infradito.

«Nanaba ha detto che era una cosa informale.»

«Con l’aristocrazia, gli ufficiali ed il comandante della nave? Oh, sì! Informalissima...» sbuffò, sarcastico, mentre un usciere li accompagnava ad un largo tavolo rotondo. Mike prese immediatamente posto accanto a Nanaba, chinandosi per mimare un galante baciamano:

«Miss Nanaba… posso presentarle il mio amico, Levi Ackerman?»

«Da quando in qua siamo amici?» 

La vocetta fastidiosa di Levi lo persuase d’aver preso la decisione sbagliata; avrebbe dovuto scegliere la “soluzione baule”. Ormai, comunque, era tardi per fare retromarcia: allungò una gomitata veloce, piantandola dritta nel torace dell’altro.

Levi boccheggiò, quando il braccio robusto gli incrinò due costole.
Ingoiò una sequela di insulti coloriti, limitandosi a guardarsi attorno. I posti al tavolo erano praticamente tutti occupati; ne rimaneva soltanto uno, accanto ad un giovane ed affascinante uomo.

Sgattaiolò in quella direzione, lanciandosi velocemente sulla sedia. Il commensale alla propria destra gli rivolse un sorriso affabile:
«Benvenuto signor Ackerman.»

La voce dello sconosciuto era calda, rassicurante ed affascinante. Levi non riuscì a celare un sorriso ebete.

«Grazie, signor…. Non ho afferrato il nome.»

«Sono il comandante Smith.»

Oh! Certo, logico. Come aveva fatto a non notare le mostrine appuntate sulla elegante giacca di panno scuro? Mh, forse perché  era troppo impegnato a perdersi nei profondi occhi azzurri o a studiare le linee perfette del volto severo.

«Aw…»

«Prego?»

Si riscosse immediatamente, mimando un colpetto di tosse:
«No, dicevo… piacere di conoscerla comandante! E così… amh…lei comanda la nave, eh?»

«A quanto pare…»

«Sì, emh…» fissò qualche attimo la tovaglia apparecchiata: tra i bicchieri di cristallo ed i piatti di finissima porcellana, spiccavano le posate d’argento. Ben dodici per commensale! Mh, nessuno avrebbe fatto caso alla sparizione di uno o due cucchiaini, vero? In preda ad un raptus di cleptomania, si infilò immediatamente una coppia di forchette nella tasca interna della giacca «è il tuo primo comando?» chiese infine, stiracchiando un sorrisetto sulle labbra.

«In realtà, no.» Se Erwin aveva fatto caso alla sparizione improvvisa delle stoviglie, non lo diede a vedere «è il tredicesimo incarico; ero tra i tredici candidati al posto di capitano e sono stato scelto. Non è curioso? Pensa che è addirittura il tredici, oggi. E siamo seduti a tavola in tredici. E ho ben tredici ufficiali …»

«Sei anche nato il tredici, per caso?»

«No, ma per pochi minuti. Era appena scattata la mezzanotte del quattordici di ottobre, quando…»

«Sì, emh… ho capito. Insomma, beh… tanti bei tredici! Che culo, eh?»

«Lei è superstizioso, signor Ackerman?»

«Io?» Levi scosse rapidamente il capo «Oh, no. No no, affatto! Io…» non riuscì a completare la frase: Mike si era alzato in piedi e la possente voce aveva cancellato completamente il resto del chiacchiericcio:

«Ehi bella! Vuoi venire ad una vera festa?!»
 
***
 
La “vera festa” altro non era che l’annuale Sagra dell’Asparago, trasferitasi temporaneamente a bordo del Titanic. Nulla di imperdibile, ma comunque un’occasione per conoscersi meglio.

Naturalmente, dopo aver ballato, bevuto e mangiato asparagi fino alla nausea, a Mike venne un altro tipo di desiderio. Secondo indiscrezioni, la stiva era il posto migliore per consumare una notte d’amore: l’addetto ai bagagli spergiurava vi fosse una macchina di lusso utile allo scopo. “Scopo” in tutti i sensi.

Il caposquadra, naturalmente, era ben deciso a non lasciarsi sfuggire l’occasione: quando mai gli sarebbe ricapitato di poter cogliere un fiore tanto delicato e prezioso come l’aristocratica Nanaba?

Quanto a lei, beh… il sentimento era reciproco. Quando mai le sarebbe ricapitata l’occasione di amoreggiare con uno zotico omaccione dai pettorali ruspanti?
I due, di comune accordo, si diressero immediatamente alla stiva.

Peccato che, come Mike aprì lo sportello dell’unica auto, ma scorse subito un viso arcigno e familiare fare capolino dal sedile posteriore:
«Occupato!»

«Levi? Che ci fai qui?»

«Non sono cazzi tuoi! E…Trovati un’altra macchina, tu…»

Mike si ritrovò poco dopo a fissare nuovamente la portiera chiusa. Scosse il capo, limitandosi a sbuffare:
«L’avevo detto che ti piace stare sotto…»
 
***
 
Mike e Nanaba frugarono in ogni angolo della nave, alla ricerca di un posto appartato; naturalmente, non ne trovarono! Tutti gli angolini erano già occupati da coppiette improvvisate desiderose di limonare e scambiarsi effusioni. Sconsolati, salirono nuovamente sul ponte e si diressero a prua.

La punta della nave fendeva ormai il buio della sera, interrotto soltanto dalla luce delle stelle e di uno spicchio di luna. Il rassicurante rumore dell’acqua contro lo scafo contornava quella pace.

Mike si avvicinò alla ringhiera, porgendo una mano a Nanaba:
«Vieni. Chiudi gli occhi.»

La donna eseguì in silenzio, con un sorriso fiducioso. Il caposquadra le circondò i fianchi, aiutandola ad issarsi sulla balaustra in ferro, lasciando poi scivolare le mani nelle sue.

«Ora, aprili…»

La voce di lui era calda, sensuale e melodiosa; Nanaba dischiuse le palpebre, ritrovandosi a fissare le onde scure perdersi nell’oscurità della volta celeste. Un nodo le serrò lo stomaco: era magnifico! Sembrava quasi di …

«Mike… sto volando»

«No! Ti sto tenendo, tranquilla. Non ti faccio volare da nessuna parte.»

«… Non era quello che intendevo.»

«E che intendevi, allora?»

Scosse il capo, rassegnata. Come si poteva sperare in una serata sdolcinata, quando il proprio principe azzurro peccava di fantasia, romanticismo ed era appassionato quanto un bidone dell’immondizia?

«Lascia perd…» non riuscì a terminare la frase. Un boato arrivò a coprire le sue parole, mentre lungo la fiancata spuntava temeraria la punta di un voluminoso iceberg.

Come avevano fatto a non notarlo prima? Boh, i misteri della storia. Di certo non indagheremo su una quisquiglia simile…
Lo scafo metallico grattò contro il blocco di ghiaccio. La vernice venne via, soppiantata da una generosa falla sommersa.

Mike corse al parapetto, sporgendosi lungo il lato ferito.
«Oh, no… è gravissimo il danno!»

Nanaba gli si avvicinò, aggrottando la fronte e lanciando una occhiata alla carena a propria volta. Non vide altro che l’acqua scura:
«A me non sembra… insomma, non si vede niente.»

«Oh, dai! Non ci vuole certo una laurea in ingegneria navale per capire che se speroniamo un iceberg finiamo con l’affondare…»

«Dobbiamo informare il comandante Smith!»

«Già» Mike si grattò la punta del lungo naso, incerto «Levi non ne sarà felice. La sua luna di miele dovrà aspettare…»
 
***
 
Il comandante irruppe nella cabina di controllo, aggiustandosi velocemente la cravatta e ravvivando i capelli biondi. Ufficiali incompetenti! Possibile che non potesse concedersi nemmeno una piccola pausa, senza che qualcuno tentasse di sabotare la crociera?

«Luogotenente Zoe! Cos’è successo?» domandò, rivolgendosi ad una donna che, nel frattempo, stava cercando di svegliare il timoniere.

«Moblit.» attaccò Hanji, indicando quest’ultimo appollaiato contro la ruota «Si è addormentato sul timone. Un colpo di sonno…»

«Lo vedo.» Erwin scosse il capo, gettando un’occhiata ai sottoposti «Signor Dita Ness… ha controllato il danno allo scafo? Quali notizie ci sono dalla sala macchine?»

Un giovane si fece avanti, togliendosi rispettosamente la bandana:
«è tutta allagata, signore. Abbiamo imbarcato troppa acqua. La nave non è in grado di reggere un danno simile…»

«Mi sta dicendo che il Titanic affonderà?»

«Beh, non vorrei essere così drastico, signore, ma…»

«Affonderà sì o no?»

«Sissignore»

«Molto bene.»

«Molto bene un cazzo, signore.»

Erwin si massaggiò la fronte, sforzandosi di trovare una soluzione. Ah, che sfiga! Ci mancava solo questa. E pensare che gli mancava così poco alla pensione per anzianità! Solo tredici anni, tredici giorni e tredici ore «Beh, niente di irreparabile, comunque… Caricate i passeggeri sulle scialuppe e calateli in acqua.»

«Temo non sia possibile, comandante…» Hanji si fece nuovamente avanti, indicando un punto lontano nel mare, oltre i vetri della plancia di comando «La regina Historia ha requisito quasi tutte le lance per sé e per il suo seguito.»

«Che?» Erwin sgranò gli occhi, tendendo la mano sinistra. Gli venne subito porto un cannocchiale.
«Maledizione!­» ringhiò, dopo aver scrutato l’oceano «Si è fregata tre quarti delle imbarcazioni e… ci ha messo i suoi vestiti e le scarpe e… il codazzo di Pincher che si porta appresso.»

«Non abbiamo abbastanza scialuppe per tutti, comandante. E…» Hanji si interruppe quando sulla soglia apparve un passeggero.
Era più basso di lei di un’abbondante decina di centimetri; il viso affilato tradiva un’espressione perennemente incazzata, mentre i capelli corvini ricadevano lungo le tempie e la nuca, prima di diradarsi in un undercut ordinato. L’uomo indossava solo un accappatoio. «Mi dispiace, signore… è una stanza riservata al personale di bord…»

L’altro la ignorò, superandola per raggiungere Erwin e sventolargli un foglio sotto al naso:
«Eravamo rimasti al “disegnami come le ragazze francesi”.»

«Cerca di pazientare, Levi. Abbiamo un problema leggermente più grosso…» il comandante gli rivolge un sorrisetto imbarazzato, prima di tornare ai suoi ufficiali «Imbarcate le donne e i bambini sulle rimanenti e…Fate a pezzi questa nave, luogotenente. Voglio che qualunque cosa in grado di galleggiare sia buttata in mare come zattera di fortuna.»
 
***
 
 Kenny Ackerman allungò il passo, spintonando l’orchestra che, nonostante tutto, sembrava decisa a continuare a suonare. Stupidi violinisti da strapazzo! Si sarebbero ritrovati con un buco in fronte, se non fosse stato così intento a scappare. Rimanevano davvero poche lance e tutte destinate alle donne e ai bambini. Non c’era posto nemmeno per un assassino di fama internazionale come lui.

Maledetta galanteria! Doveva ingegnarsi alla svelta e trovare un modo per imbarcarsi su una di quelle barchette da strapazzo.

Superò uno stretto corridoio, bloccandosi poi al sentire un sonoro singhiozzare. Si voltò, incrociando lo sguardo con quello spaventato di un ragazzino che, rannicchiato a terra, piangeva incontrollato stringendosi le ginocchia.

All’improvviso, gli venne un’idea.

«Ehi tu… come ti chiami?»

«A-arm-in…»

«Bene! Quanti anni hai?»

«Se-se-di-ci…»

Troppi! Non gli avrebbero mai permesso di imbarcarsi con un ragazzo di sedici anni. Avrebbero caricato Armin, ma lui sarebbe rimasto sulla nave.
«Fanculo, sei troppo vecchio!»

«Vi pre-go vo-glio salvar..mi»

«Sbatte cazzo di quello che vuoi.» ringhiò, girando immediatamente sui tacchi.
Gli serviva un bambino, alla svelta. Doveva sequestrare un minore e sfruttarlo come lasciapassare verso la salvezza.  Tornò a correre lungo il corridoio, fermandosi una seconda volta quando scorse, poco lontano, una famigliola intenta a salire delle ripide scale. Riconobbe immediatamente l’uomo che, con solerzia e tenacia, incoraggiava moglie e figlie a dirigersi verso il ponte superiore. Kenny avanzò lesto, sfoderando la pistola.

Armò il cane, piegando le labbra in un sogghigno:
«Come andiamo, Nile? Mi presti tua figlia, vero?»
 
***
 
«Erwin, che stai facendo?! Dobbiamo andarcene.»

Levi tentò di tirare la manica del comandante, sforzandosi di smuoverlo dal suo posto accanto al timone. Gli altri ufficiali avevano già abbandonato la plancia, portandosi dietro un Moblit in piena crisi di panico.

«Un comandante affonda con la propria nave.»

«Che?! Non essere ridicolo… sono tutti in salvo i passeggeri. Manchiamo solo noi due!»

«è una questione di principio.»

«Principio un cazzo…»

«Salvati, Levi. Non ha senso morire in due…»

«Veramente, non ha senso nemmeno morire qui da soli, Erwin. Possiamo sempre trovarci una sedia a sdraio…e salvarci…»

Era una visione così romantica! Non riuscì a non immaginarsi due sdraio appaiate, unite per i braccioli di legno, galleggiare verso il tramonto. Si vide rannicchiato sulle doghe in legno, mano nella mano con il robusto comandante, mentre le correnti dell’oceano spingevano le sedie verso luoghi selvaggi ed inesplorati. Sarebbero approdati su qualche isola sconosciuta ed incontaminata – ma comunque non priva dei servizi igienici e di zanzariere – dove avrebbero dovuto costruirsi un nido d’amo… una capanna per poter sopravvivere e superare le intemperie.  Avrebbe osservato Erwin pescare con il solo ausilio di un amo rudimentale ricavato dalle noci di cocco, mentre lui si sarebbe occupato della raccolta di bacche di radici e…

Scosse il capo, cercando di tornare alla realtà. Non doveva lasciarsi sopraffare dall’immaginazione, non ora che erano in pericolo. Congiunse le dita, pigolando piano:
«Erwin, ti prego…»

«Sali su una scialuppa, Levi…»

«Non senza di te.»

«Sali su una scialuppa, è un ordine.»

Sul viso affilato del passeggero apparve un sorrisetto orgoglioso:
«Ah-ah, non puoi darmi ordini! Non sono un tuo sottoposto, in questa storia.»

«Invece sì. Sono il comandante, posso dare tutti gli ordini che mi pare. Quindi sali sulla scialuppa.»

Levi scosse lesto il capo, pronto a muovere un’ulteriore obiezione. Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa, non questa volta. Incrociò le braccia al petto, piantando i piedi al suolo e montando un’aria di sfida:
«Le scialuppe sono riservate a donne e bambini, Erwin.»

«Appunto. Sono sicuro che un posto per te lo troveranno…»
 
***
 
Mike nuotò fino ad una porta galleggiante, aiutando Nanaba a salirvi sopra.

«Resta tu.» le disse, prendendole le mani.

«Oh, Mike! Guarda che se vuoi ci stiamo…»

«No. Ascolta…» la sua voce si era fatta spenta e tremante. L’acqua gelida gli mordeva le membra stanche, come un cane rabbioso. Non gli lasciava scampo, trafiggendogli le carni come spilli acuminati. Inspirò a fondo, cercando di resistere al dolore «Tu non morirai qui… non stanotte» balbettò, incrociando lo sguardo commosso di lei «Ascoltami, Nanaba… tu… devi fare ancora molte cose nella tua vita. Tipo… cavalcare come un uomo. Niente cavalcata alla amazzone…»

«So già farlo, Mike.»

«E sputare come un uomo.»

«Fatto anche questo.»

«E imparare a pilotare dirigibili…»

«Questo mi manca…»

«E…» il tono dell’uomo si spense in un sospiro stremato. «E…»

«E un cazzo. Sei demente? Guarda che ci state in due, su quella merda di porta.»

Entrambi rotearono gli occhi: Levi era apparso a cavallo di un tavolino. Aveva improvvisato un remo con la gamba rotta di una seggiola.

«Senti, nano di merda… hai avuto la tua storia d’amore strappalacrime? Il tuo finale tragico?» Mike agitò un pugno minacciosamente «Ora voglio il mio! Lasciami crepare dignitosamente, come un vero eroe da romanzo rosa…»
 
***
 
Gli aiuti arrivarono tre ore più tardi. Tutti i passeggeri furono tratti in salvo e così anche l’infinito guardaroba della reginetta Historia. Di Mike Zacharias non si trovarono tracce e così del comandante Smith. I soccorritori compresero perfettamente il gesto disperato ed orgoglioso del comandante – coraggiosamente affondato con la propria nave – ma non quello di Mike.

Tutt’ora, tanto a Marley quanto a Isla Paradise, si narra delle sfortunate avventure d’amore del caposquadra Zacharias, così temerario e, al tempo stesso, così idiota. Ancora oggi, una fondamentale domanda riecheggia nella mente di tutti – sopravvissuti, testimoni, curiosi che passavano di lì per caso: ma… ci si stava in due sulla porta?

 
  
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