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Autore: MarcoBacchella    25/07/2018    0 recensioni
L'antologia delle psicosi umane può essere definita come una raccolta di scarabocchi su un quaderno da tre euro, che spaziano dalla pizza con l'ananas alla questione ontologica dell'identità umana, passando anche per la Bolivia e per tutti i mezzi testi che ho scritto. è, per sua natura, irregolare: che questa irregolarità sia voluta o meno, starà poi a voi deciderlo.
L'antologia in sè va a comporre un universo in cui i miei altri testi vanno a intrecciarsi, un universo fatto di Milano, di biciclette, di musica scadente e noodles istantanei.
I principali nuclei tematici, ovviamente in disordine, sono:
La cultura in quanto feticcio
Il ruolo dei ruoli
Le biciclette
L'entropia delle lampadine a incandescenza
Il vademecum
Genere: Avventura, Comico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ant1

Questo saggio è parzialmente autobiografico.

Descrive i miei tentativi, nel corso degli ultimi anni, di trovare un modo soddisfacente è incompleto, nel senso che non posso certo affermare di aver già trovato, o che mai troverò, risposte definitive alle domande che mi assillano.

Infatti, se una delle conclusioni principali di ciò che espongo è qui è che i fini o gli obiettivi non sono che delle pietre miliari lungo un percorso, questo deve valere anche per il mio stesso pensiero e per la mia scrittura, come per tutto ciò che la gente fa. L’aspetto fondamentale della vita è che non comincia qui e finisce lì, ma che continua sempre.

 -Tim Ingold

Non finito come risoluzione ultima dell’identità dell’artista

 

Solitamente le introduzioni vanno scritte dopo aver definito il resto del testo. Magari dopo aver definito il genere, la trama, la struttura del testo stesso, ma non avendo un vero e proprio testo in quanto sto scrivendo questo proemio ben prima di aver scritto una singola parola, posso già dire di esser partito male.

 

Quando Machiavelli scrive i discorsi sulla prima deca di Tito Livio, scrive quello che poi sarebbe stato un "non finito". Non è del tutto chiaro se fosse una cosa volontaria: sia per una questione logistica, dato che il testo si basa su una serie di testi di natura frammentaria dato che ci pervengono solo alcune parti del manoscritto originario, sia perché, si presume, il Nick avesse bisogno di finire quel lavoro.

 

I discorsi sono una serie di ragionamenti scritti senza un particolar Labor Limae, senza una struttura basata su degli eventuali precedenti di genere letterario, in quanto erano chiaramente un’avanguardia che Machiavelli proponeva, e risultano pieni di contraddizioni, disuniti, senza un fine chiaro. 
Il Nick propone un nuovo genere letterario per una nuova teoria politica: questo è indubbio e la teoria stessa rappresenta la validità dell'opera, ma dopo anni di lavoro, a seconda del critico di riferimento ci saranno date di scrittura diverse che variano anche di decine di anni, Machiavelli ha necessità di terminare i suoi ragionamenti. Un bisogno fisiologico dell'autore che, esaurite le idee e la voglia di lavorare su un testo che non permette più espressione all'autore stesso, sia per una questione di genere letterario, sia per una questione di predisposizione mentale. Per capire il tipo di avanguardia che il Nick propone, per metterle sott’ottica più moderna, si può vedere come le avanguardie musicali di oggi soffrano dello stesso problema: non fanno tempo ad affinare il loro stile che lo stile stesso muta per diventare qualcos’altro: è l’unica discriminante dell’indie italiano, del cosiddetto “ITpop”, la possibilità che ci sia un’avanguardia artistica come fulcro stesso della validità del prodotto, quanto non l’esperienza dell’artista o la qualità finale dell’opera.
 

La critica si scanna su un altro artista contemporaneo al Nick repubblicano, il Michelangelo.

Michelangelo, che sia per una questione caratteriale, quindi perché perdeva continuamente interesse nelle commissioni, o per una questione artistico-espressiva in cui il non finito diventa veicolo e strumento di espressione artistica, o per una questione logistica in cui il tempo materiale per completare l'opera non era sufficiente, quindi si era inventato sta roba del non finito come supercazzola, come farà poi Duchamp con i baffi alla Gioconda o come quando mise un cesso nel museo, è diventato famoso grazie al non finito.

Io sono più propenso alla prima ipotesi, ma per una ragione semplice: il Mike, prima di essere un artista, era un umano.

 

In quanto umano, è plausibile proporre che fosse annoiato dalla vita, che avesse dei periodi più o meno bui, che sentisse, prima ancora dell'arte, la tristezza. C'è addirittura qualcuno che ha proposto che potesse avere la sindrome di Asperger. La continua insoddisfazione, associata all'irascibilità per cui era quasi famoso, sembrerebbero confermare.

 

Anche il signor Da Vinci, a prescindere da tutte le teorie complottistiche che lo vedono come un alieno, soffriva del non finito. Il Leo diede pochi risultati in moltissimi campi, saltando come un poeta universale dalla medicina all'aerodinamica, dalla gastronomia alla scienza dell'elastico delle mutande, ma alcuni critici, soprattutto quelli a cui frega qualcosa dell'analisi del non finito, notano come la causa sia, forse, da ricercare nella rincorsa scientifica che in quel tempo c'era: il nostro amico alieno non riusciva a definire una teoria sulla luce che arrivavano nuove osservazioni, osservazioni  e ipotesi dall'altra parte del mondo.
Leonardo soffriva dell'incapacità tecnica di rappresentare quello che formulava, e non faceva tempo a trovare il modo di formularla che già aveva perso la voglia di pensare perché qualcun altro aveva scoperto qualche cosa.

 

Il titolo di "insoddisfatto", nel 1517, poteva essere applicato ad uno scrittore che non riuscì a completare una serie di ragionamenti senza contraddizioni, ad un'artista che non riuscì a terminare le sue sculture, e ad uno studioso che non riuscì a terminare i suoi studi.  Io posso solo dire che, per demotivazione, mi son ritrovato a non finire testi per cui ero partito con idee chiare, con trame unitarie, in cui avevo già delineato anche il finale. Ecco, per evitare di finire come insoddisfatto in quanto riconosco la pura caratteristica umana del non finito come strumento espressivo o semplice scusa psicologia, mi propongo di mai iniziare.

Dico, mai inizierò a scrivere un testo unitario seguendo canoni letterari predisposti da altri che tanto sono troppo pigro per portare a termine tutte ste cose.

Preferisco finire un non finito disunito che un finito privo di limature che ho dovuto finire per essere felice con me stesso.

Son tutti bravi a finire qualcosa con una trama ben definita e degli obiettivi chiari, ma di per sé non rappresentano affatto in modo chiaro i processi mentali di una persona, o gli obiettivi a dir poco non finalistici di questo testo.

 

                

Uno dei frammenti secondo me più importanti che valida la mia idea di non finito come unica soluzione possibile per rappresentare al meglio la struttura dell’evoluzione del pensiero di una persona è tratta direttamente da Machiavelli, e l’ho scoperta grazie ad una parafrasi di un capitolo del Principe dell’introduzione a Machiavelli di Emanuele Cutinelli-Rendina: la realtà umana è strutturalmente varia, mutabile, insicura, perché vari, instabili e insicuri sono e si sentono gli uomini: e il loro naturale tentativo di contenere e volgere a proprio vantaggio l’immane potenziale negativo che è in questo dato fondamentale della condizioni in cui si trovano non fa che confermarla e rimettere continuamente in moto il flusso della storia.
Il mio grande tentativo è quindi quello di riconoscere perfettamente che ogni tentativo di rendere immutabile il mio pensiero è vano e non perseguibile, ma da qui parto per mettermi in discussione e sfruttare una crisi d’identità oramai perenne per venire a capo di argomenti che io ritengo importanti per lo sviluppo della mia psiche, e da qui possiamo continuare a dire che il mio è nulla più che un esempio privo di validità fino a che non si dimostra valido.

 

Frequentando un paio di lezioni di Antropologia tenute da un certo Allovio, un professore che secondo me somiglia molto a Pietro Sermonti, si è evidenziato come in tutte le identità culturali, tutte le etnie in termini puramente culturali e non biologici, si fondano sull’autoascrizione alla stessa etnia di alcune caratteristiche comuni al tuo essere, e che queste caratteristiche, identificate nel pool delle stesse, dichiarate essenziali all’etnia, mutano per processi storici.
Come queste caratteristiche mutano, muta l’identità dell’etnia per perdurare nel tempo. Allo stesso modo, l’identità personale muta per il mutare delle caratteristiche personali. Un libro che vuole essere l’espressione di un pensiero diventa quindi un non finito per esigenza, un non finito per l’impossibilità di esprimere finitezza, già datato e non finito nel momento stesso in cui diventa parola, in cui diventa espressione.  

 

  
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