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Autore: ToraStrife    31/07/2018    0 recensioni
[Ciccio e Franco]
Franco e Ciccio sono una coppia storica.
Le loro parodie coprono opere di tutti i generi, e comprendono tanti media, teatro, film, fumetti...
Ma se fossero vissuti ai nostri tempi, come sarebbe stata una parodia del magico mondo dei Manga/Anime? Le vicende shoujo, le avventure shonen...
Questa fiction è qua per scoprirlo.
Genere: Comico, Parodia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Franco e Ciccio Se mai ci fosse il bisogno di specificarlo, la fiction non prende attori o personalità 'vere' della scena italiana.
I protagonisti si sottindendono essere i personaggi interpretati negli innumerevoli film della coppia.
E se non bastasse, essi sono stati anche protagonisti di una serie a fumetti.

http://www.francociccio.altervista.org/Fumetti/fumetti.htm


E a questo punto sorge un dubbio: ma se questi fumetti fossero stati dei...manga?
Da qui l'idea della parodia (di cui loro sono sempre stati grandi specialisti), che prende il nome di...


Franco & Ciccio:
Due mafiosi del manga






Nonostante tutto, questo racconto continua ad avere un'impaginazione occidentale, per cui si legge sempre da sinistra verso destra.

E anche oggi in un impiccio si son messi Franco e Ciccio...?


Era una mattina come tante, al liceo Kata-Nyan, e la suoneria della grande torre dell'orologio, tramite la melodia del Big Ben, stava facendo la differenza tra gli studenti modello e i ritardatari.
Era il grande dramma di Mika, giovane fanciulla dai capelli castani raccolti in una coda di cavallo, fisico un po' gracile, e soprattutto una grande fretta.
Stava correndo a perdifiato con la  cartella sotto braccio, perché la sua puntualità viaggiava sempre sul filo del rasoio, insidioso come la ghigliottina orizzontale che schivò solamente con un tuffo hollywoodiano.
- C'era bisogno di chiudere il cancello così in fretta? - Urlò, più per lo spavento che per la rabbia, in direzione del guardiano.
Quest'ultimo per tutta risposta si limitò a un ghigno e un'alzata di spalle.
- E' il nuovo servizio automatizzato. Dopo la campana, chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori.
Mika spalancò la bocca come la maschera dell'Uomo Tigre.
Avrebbe voluto in effetti sbranare quel dannato signore di mezz'età, ma si fermò perché vi erano due incombenze da tenere da conto.
La prima, il countdown di cinque minuti che la separava dall'ingresso del professore in classe.
La seconda, il sorriso del guardiano che si era allargato a dismisura, e che non si limitava più allo scherno, almeno a giudicare dal l'improvviso filo di bavetta.
- Hentai! - Gridò avvampando, impegnata a coprire l'imbarazzante visione delle mutandine, esposte nella sua improvvisata posizione di sedere a terra e gambe divaricate.
Se il tuffo era Hollywoodiano, l'atterraggio era stato molto più di Neri/Parenti.
Rimessasi maldestramente in piedi,  raccolse la cartella e cominciò a correre.
L'agitazione, tuttavia, riuscì a farla inciampare sul suo stesso piede.
Seconda caduta, con visione di mutandine annessa.
Mika maledì la sua imbranataggine.
Certo, era meno peggio di quando le capitava di incespicare durante l'ora di pranzo, di fronte a decine di compagni.
Ma anche senza l'umiliante coro di risate generali, si stava sentendo già addosso gli occhi famelici del vecchio pervertito.
Le venne quasi da piangere per l'imbarazzo, quando una mano gentile venne tesa verso di lei.
- Tutto bene, signorina?
Non riuscì a vederlo in volto, perché un dannato raggio di sole aveva deciso in quel momento di intralciare la visione.
Ma la mano tesa e la voce calda glielo dovevano lasciar presumere uno di quei protagonisti da shoujo manga, come quelli con cui stava a sospirare per interi pomeriggi.
A Mika sembrò di sognare: era caduto finalmente un petalo di ciliegio nella sua triste vita da commedia umoristica? (Umoristica perché in genere a ridere erano gli altri).
La magia venne però interrotta bruscamente dall'intervento del guardiano.
- Fermo, non aiutarla! Se no è squalificata!
Mika si chiese per l'ennesima volta il perché di tali assurde regole all'interno dell'Istituto, ma ormai ci aveva fatto il callo, e sbuffò mentre si rialzava a fatica.
Il suo mancato salvatore, però, non sembrava essere dello stesso avviso.
- Ma come? - Stava protestando all'indirizzo del guardiano. - Ci sta una fìmmina a terra e lei mi dice che non devo aiutarla?
Fìmmina? Che parola è?
Una parola straniera, senza dubbio, e anche lo studente lo doveva essere, considerato l'accento.
Aveva anche uno strano modo di fare, un continuo gesticolare, un comportamento quasi sfacciato.
Che fosse un teppista, come Goro e la sua banda?
A guardarlo bene in faccia poi, si convinse che doveva essere così. E si pentì che non ci fosse un nuovo raggio di sole a coprirgli il volto.
Era davvero molto diverso dal probabile interesse amoroso di uno shoujo, nessun lineamento perfetto, nessuna aria raffinata e signorile.
Al contrario, sembrava disegnato da Akira Toryiama. O meglio, le pareva un attore kabuki mentre imitava le espressioni di un macaco.
- Come ti permetti, ragazzo?  - Stava rispondendo intanto il guardiano, scandalizzato anche lui da tanta insolenza. - E tra l'altro, non ti  ho mai  visto.  Appartieni a questa scuola?
- Me scusi, - Rispose lui. - Questo è il Liceo di Catania?
- Forse volevi dire Kata-Nyan. -  Ribatté l'anziano, basito dall'orribile pronuncia dell'estraneo. - Comunque sì.
- E allora sono nel posto giusto! E' il mio primo giorno di scuola.
- Primo giorno? - Il guardiano era sempre più sospettoso. - Palesa subito nome e cognome!
- Franco Benenato, piacere. - Si presentò l'altro, tendendo una mano che non venne mai stretta.
- Ma è uno scherzo? Che razza di nome sarebbe? E poi non mi sembri poi così giovane. - Ribatté il dipendente, squadrandolo da capo a piedi.
- E per forza, ho trent'an...
- C'è qualche problema?
Una voce austera aveva interrotto il battibecco.
Un uomo vestito di tutto punto, alto e magro, che li stava squadrando con occhi di rimprovero, i capelli  mossi e di un nero uniforme, due baffetti inarcati al pari delle folte sopracciglia.
Mika si rialzò quasi di scatto e fece subito un inchino, imbarazzata.
Il guardiano assunse un'insolita aria composta, il capo chino in segno di scuse.
- Professor De Ingrass, io...
- Cicciuzzo! Finalmente ti ho trovato!
Gli altri due guardarono allibiti la nonchalance con cui il nuovo studente  si apprestava ad abbracciare il docente. Ma la voce di quest'ultimo tuonò violenta, fermandolo.
- Franco-kun!
- Ku fu? - Domandò Franco, smarrito.
- Quante volte ti ho detto che devi chiamarmi Ciccio-san in presenza di altri? I titoli onorifici, rispetta i titoli onorifici!
- Ma allora dovrei chiamarti Don Ciccio!
- Qua non siamo in Sicilia, - Sbottò l'altro - Siamo in Giappone, Franco-kun!
- Ma che fai, mi prendi per il kun? - Franco non riusciva a comprendere. - Cosa sono tutti questi salamelecchi?
Il viso del professor De Ingras divenne paonazzo, i  baffi tremarono e la voce divenne stridula.
- Onegai, Franco-kun, Onegai! - Bacchettò il docente. - Qui siamo in Giappone! E io sono un professore, mentre tu uno studente! E' già tanto che ti permetta di chiamarmi per nome, dal momento che siamo cugini!
- Cugini?! - Esclamarono in coro il guardiano e Mika, al colmo dell'incredulità.

- Cugini?! - Ripeterono in coro il preside ed il suo vice, in ufficio.
Ciccio de Ingrass si aspettava una reazione del genere. Se non altro era stata meno esagerata di quando avevano saputo che lo studente in questione aveva nientemeno che trent'anni.
- Vi sarete accorti, dai test attitudinali, che il mio parente è un emerito cretino.
- In effetti non vi erano dubbi. - Concordò il vicepreside .
Franco fece una smorfia irritata, pronto a dare in escandescenze, ma Ciccio lo fermò con un cenno della mano.
- Tuttavia, - Continuò il parente. - Mi vedo costretto a chiedervi, in via del tutto eccezionale, di mantenere il riserbo sulla faccenda e, possibilmente, di chiudere un occhio.
- Questo non lo posso fare! - Ribatté il vicepreside. - Il regolamento parla chiaro! Non possiamo tenere come studente un signore che ha il doppio dell'età degli studenti, e per di più, il parente di un professore!
- Cugino, prego! - Specificò Franco.
Ciccio afferrò con una mano la testa di quest'ultimo e la costrinse in un inchino, imitandolo.
- E' già stato respinto da innumerevoli scuole, in tutto il mondo. Questa è la sua ultima possibilità di conseguire un titolo di studio, necessario per la licenza di pescatore. Siate clementi.
- Senza contare, - Sottolineò il preside. - Che se la notizia venisse fuori, sarebbe un grande scandalo che nuocerebbe al buon nome del nostro istituto.
- La prego in ginocchio, vossignoria. - Scongiurò Franco. - Sono disposto a fare tutto! Bacio le mani, bacio i piedi, faccio l'inchino, faccio la riverenza...
- ... E fai la conoscenza. - Ribatté Ciccio, sarcastico.
Franco non colse e rispose: - Guarda in su, guarda in giù...
- Dai un bacio a chi vuoi... ma che cosa mi stai facendo dire?! - Si adirò Ciccio.
- Ecco, vedete? - Rimarcò il vicepreside. - Costui non può restare! Questo gaijin ...
- Come si permette? - Protestò Franco, con tono sostenuto. - A darmi del "gaggio?"
Ciccio si mise in mezzo, per troncare l'alterco, e si rivolse direttamente dal preside.
- Onegai, Preside-sama. Non vi creerà problemi. Garantisco io per lui.
- Certamente, le sue referenze sono impeccabili, signor De Ingrass. - Ribatté il responsabile, sfogliando alcuni documenti. - E mi voglio fidare. Lei, comunque, ne sarà il diretto responsabile.
- Arigato gozaimasu! - Rispose educatamente Ciccio, con un inchino. - Non la deluderò.
Ciccio conosceva bene il pudore e la formalità tipica dei Giapponesi.
Usanze e modi che però erano sconosciuti al cugino, che si lasciò andare in atteggiamenti molto più caciaroni.
- Grazie! - Esultò Franco, prendendo le mani del preside e baciandogliele. - La ringrazio di cuore.
- Vieni via, imbecille! - Tuonò Ciccio, livido di imbarazzo, mentre trascinava via il parente, scusandosi nel contempo nei confronti del suo principale, con ripetuti inchini.
Il preside si spazzolò la giacca, ancora basito. - Questa focosità degli italiani!
- Sono sicuro che ci procurerà solo guai! - Obiettò il vice. - Ma ha visto come le è saltato addosso, strisciante, senza dignità? Sembrava un cane che faceva le feste!
Ebbe appena finito la frase che la porta si aprì, e Franco si precipitò per mordergli un polpaccio.
L'urlo del vice venne sentito per tutto il piano, mentre Ciccio si prodigava a tirare via il cugino ringhiante. - A cuccia, a cuccia!
- Ma quella è una bestia! - Urlò il vice. - E' un selvaggio!
Una volta ammansito il parente tenuto per la collottola, Ciccio si rivolse al vice. - Lo perdoni, però questa volta è colpa sua. Ha detto che sembra un cane, l'ha preso in parola.
Il "fuori" urlato dal vice, una persona temuta per il suo ruolo, ma anche generalmente odiata per i suoi modi, suonò piuttosto  grottesco, tanto che più di uno studente si lasciò uno sfuggire una risata.
E segretamente, anche il preside nascose un sorriso sotto i baffi.

Mika era stata chiamata successivamente in Presidenza e caldamente invitata alla discrezione sulla vicenda della parentela tra l'insegnante e il nuovo studente.
Le vennero tralasciati alcuni particolari, come l'età effettiva dello straniero.
Fu presentato come un lontano parente dall'Italia.
E Mika, che in geografia non aveva il massimo dei voti, poteva solo immaginarsi l'ubicazione di quella esotica nazione, che sapeva essere unicamente dall'esatta parte opposta del globo.
La novità, quello studente che molte volte sembrava stupido, e molte altre si comportava come se lo fosse davvero, esercitava tuttavia un certo fascino nella ragazza.
Non si contavano le volte in cui i battibecchi tra il severo professore e il giovane straniero le donassero momenti di genuine risate.
Come quella volta che Franco, arrivato in ritardo, era stato sbattuto fuori dall'aula e per punizione, doveva tenere un secchio pieno d'acqua: le risate (e gli strilli del professor De Ingrass) quando si mise ad imitare, tenendo in testa il secchio e ancheggiando vistosamente, quella che lui stesso definì: "picciotta che fa a fare il bucato".
O quando, durante le prove di coro nell'aula di musica, improvvisò un assolo con parole che nessuno aveva mai sentito; Mika riuscì solo ad afferrare le prime, qualcosa come  "Shuri, Shuri, Shuridi Tutolano".
O ancora di quella volta di quando si stupì che gli studenti pulivano l'aula a fine lezione, invocando la presenza di persone che al suo paese vengono chiamati "bidelli".
Ma, nonostante tutto, Franco aveva un carisma eccezionale, e questo lo aiutò a farsi voler bene da tutti.

Tra alti e bassi, il tempò passò, e arrivò una speciale mattina, ma di questo Franco era completamente ignaro.
Mika stava aspettando come ogni mattina davanti a casa De Ingrass: le era stato chiesto di recente questo dallo stesso professore, al fine di non far ripetere più incresciosi ritardi al parente, con conseguenti episodi ancora più imbarazzanti.
La ragazza, nell'attesa, si sorprese di quanto fosse cambiata la sua vita in poco tempo: lei, sempre di corsa e in perenne lotta con l'orologio, che rinunciava così facilmente a un'ora di sonno per passare a prendere uno che fino a poco tempo fa neppure conosceva?
I suoi pensieri vennero interrotti da una porta che si apriva, mostrando una faccia visibilmente assonnata con i capelli sparati in tutte le direzioni: bastava già quello spettacolo per farla ridere.
Tuttavia, educatamente, salutò con un inchino.
- Ohayò!
Franco come risposta spalancò la bocca e sbadigliò: il suo alito investì la poverina, che dovette tapparsi il naso.
Intanto, una voce alle spalle di Franco commentò.
- Oh, aglio!
Era il professore che, sopraggiunto alle spalle, aveva anche lui constatato la natura dei miasmi orali del cugino.
- Almeno lavati i denti, scriteriato! - Aggiunse, rimandandolo dentro.
Poi, mortificato, si inchinò verso la giovane.
- Lo scusi, ieri sera ha mangiato pasta cull'agghia. E infatti oggi il suo alito è agghiacciante!
- Non si preoccupi. - Rispose lei, sorridendo. - Buongiorno a lei, professore!
- Buongiorno, Hazegawa. Mi fa piacere che almeno tu conosca le buone maniere, non come questo scriteriato qua.
E il suo sguardo andò ad accusare Franco che intanto aveva fatto capolino, pronto per uscire.
Non era nella maniera più ordinata possibile, ma era perlomeno decente.
- Io vi raggiungerò più tardi. - Proclamò De Ingrass. - Itterashai.
- Ah! - Esclamò Franco, entusiasta. - Questa parola giapponese la so: è una forma di "arrivederci"!
- Bravo. - Annuì Ciccio, impressionato. - Finalmente ne azzecchi una. E cosa avrei detto, di preciso?
- "E qui te lasciai!" - Spiegò il cugino, convinto di aver azzeccato.
Lo sguardo omicida di Ciccio però sollevò qualche dubbio.
Le mani che lentamente si stavano avvicinando al suo collo lo confermarono.
- Meglio che andiamo via, Mizzega! - Decise, rivolgendosi a Mika, ed insieme si avviarono, allontanandosi dall'iracondo professore.
"Mizzega" non era, in quel caso, un intercalare straniero, ma era il vero e proprio nomignolo che Franco aveva deciso di affibbiare a Mika.
"Mika Hazegawa è troppo lungo, non me lo ricordassi mai", diceva sempre, "però se li abbrevio, ottengo Mizzega!", che a quanto pareva, era una parola usata spesso nel suo paese.
Lei, d'altra parte, continuava a chiamarlo per cognome per via della difficoltà di pronuncia: "Fulanoko" o qualcosa del genere-
Il nome del professore, invece, era molto più facile, anche perché Benenato lo ripeteva spesso e volentieri in maniera confidenziale, in barba alle convenzioni: "Shishio".

In aula, come spesso succedeva, capitava che qualcuno volesse scattarsi una foto con Franco, se non altro per via del genere di boccacce esilaranti che ogni volta riusciva a improvvisare.
Quando quel giorno i compagni scattarono una foto di gruppo, lui fece caso ad un particolare, e volle a tutti i costi chiedere delucidazioni a Mika.
- Ma perché fanno sempre quel gesto con indice e medio?
La ragazza si stupì: il gesto di "vittoria" era noto in tutto il mondo, lo aveva anche confermato il professor De Ingrass.
Caso volle che la domanda fosse stata posta proprio nel momento in cui suonava la campanella del pranzo.
Com'era abitudine da quelle parti, molti sceglievano di mangiare in classe.
- Ah! Ho capito! - Esclamò Franco, quando un compagno aveva estratto dalla cartella una confezione di ramen istantaneo, e aveva estratto con le bacchette dei noodles fumanti. - E' il gesto degli spaghetti!
Ignaro di tutto, il banchettante continuava a gustare il pranzo, mostrando chiari segni di apprezzamento. - Sugoi! Sugoi!
- E' anche pasta con sugo! - Aggiunse Franco, entusiasta.
Al che Mika decise si prendere la palla al balzo con una proposta.
- Senpai Benenato, che ne dici se andiamo a mangiare sul tetto?

La sempliciotta mente di Franco si era fatta la strana idea di fare un picnic tra tegole e comignoli, ma ovviamente la realtà era ben diversa.
Il tetto della scuola era costituito da un terrazzo spoglio e abbandonato, recintato da ringhiere arruginite, che lasciavano intravedere tuttavia un piacevole, anche se malincolico, paesaggio di colline coltivate.
Mentre dispiegavano  i contenitori per il pranzo, Franco fu incuriosito dalla pietanza della compagna.
- E questo cosa fu? - Domandò, all'indirizzo di una pastella che avvolgeva delle code di gambero.
- Tempura.
- Ah, "O Tempura, o more". - Citò l'italiano, in un tono ricercato che a Mika ricordò il professor De Ingrass. Salvo poi aggiungere in maniera più scherzosa. - E infatti qua si muore di fame.
- Senpai Benenato, tu invece cosa hai portato?
- Io? Oh, una cosina frugale. - Si schernì Franko, mentre da un contenitore apparentemente minuto estraeva una teglia spropositata di parmigiana di melanzane.
Il pasto si consumò nella consueta atmosfera allegra e serena, che fu anche occasione per un sano scambio di culture gastronomiche, ricco di spunti interessanti, come un Franco che guardava con sospetto un nikuman senza riuscire a raccappezzarsi. ("Strano, eppure nei cartoni li chiamano sempre arancini!"), o una Mika che faticava a concepire che una porzione grande tre volte la sua fosse considerata "normale" in Italia.
E a proposito di Italia.
- Ma da quale parte di Italia vieni tu?
Mika aveva guardatogià  le cartine mondiali, e si era fatta un'idea di dove fosse il famoso stivale. Ma ancora non aveva un'idea precisa del paese di Benenato.
Franco, preso in castagna, cercò di spiegarsi, gesticolando freneticamente.
- E' una isola staccata dal resto della nazione, ma sta proprio all'estremità, e ha la forma di un triangolo.
- Ah, come Hokkàido!
- Ah, bene, hai capito!
- No, non ho detto "Ho capito" - Corresse Mika. - Ma Hokkàido, l'isola a triangolo a Nord del Giappone.
- Ecco, noi la chiamamo Sicilia. Però questa in Italia sta al Sud.
I concetti di "Nord" e "Sud"  cominciarono a confondere le idee alla poverina.
- Temo di non capire. - Si arrese.
- E' semplice. - Ribatté Franco. - Basta che ti ricordi che i Nippuli stanno al Nord e i Siculi stanno al Sud.
- Hai lasciato tanti parenti laggiù?
- Tantissimi! Ci sono lo Zio Calogero, Nonna Assunta, Zio Camillo...
E avrebbe continuato l'elenco per tre ore, se non si fosse nel frattempo accorto che il viso di Mika si era velato di malinconia.
- Mizzega, c'è qualcosa che non va?
- Beato te. - Sussurrò la ragazza. - Dev'essere bello avere una così numerosa famiglia. Ed anche se sei qua, puoi sempre contare sulla presenza di tuo cugino.
- Beh, su questo.... -
..."Avrei da obiettare",  avrebbe voluto dire Franco, anche perché un parente come Ciccio non gli sembrava poi così invidiabile.
Lasciò in sospeso la frase, però, perché un dubbio impellente lo colse.
- Ma perché, tu parenti non ne hai?
- I miei genitori sono morti quando ero piccola. E avevo un fratello maggiore che si prendeva cura di me. Ma poi nii-san se n'è andato...
Franco, come suo solito, travisò.
- Tuo fratello se n'è andato con una Nissan? - Chiese incredulo, pensando alla nota auto giapponese.
Mika però, non ci fece caso, mentre, ricordando la sua situazione, la malinconia si trasformò in tristezza, e la tristezza in sconforto.
- Doshita? - Cominciò a singhiozzare in Giapponese. - Nii-san? Doshita?
- E dove sta questa Nissan? - Domandò Franco, sempre più confuso, guardandosi inutilmente intorno.
All'improvviso, la porta che dava sulla scuola si aprì.

 

La conclusione nel prossimo capitolo.


  
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