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Autore: Afaneia    03/08/2018    2 recensioni
A battaglia finita, Link cavalca per tre giorni portando tra le braccia una Zelda spossata ed esausta, semisvenuta.
Dopo la sua prima fuga a Daccapo, Link ha finalmente sconfitto la Calamità Ganon che si annidava nelle profondità del Castello e riportato la pace su Hyrule. La principessa è salva, ma ora che non ci sarebbe più nulla a legarlo al suo passato di cento anni addietro ed egli sarebbe finalmente libero di scegliere da solo la strada da percorrere e di porre risposta a quelle domande che era stato finora costretto a posticipare, Link si rende conto che le cose non sono così semplici.
È una fortuna che si ricordi di avere un amico al Villaggio degli Zora.
[Fanfiction basata sulla trama di Breath of the Wild, sequel di Daccapo ma leggibile anche in modo indipendente.]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Link, Princess Zelda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di fughe e di ritrovato coraggio'
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Ferite

Contraddizioni


Capitolo primo – Ferite.


Eppure – chissà-

là dove qualcuno resiste senza speranza, è forse là che inizia

la storia umana, come la chiamiamo, e la bellezza dell'uomo

tra ferri arrugginiti e ossa di tori e di cavalli,

tra antichissimi tripodi su cui arde ancora un po' di alloro

e il fumo sale nel tramonto sfilacciandosi come un vello d'oro.


G. Ritsos, Elena.



Link... ti ricordi di me?


L'incrollabile forza di Zelda l'ha sostenuta e sorretta per cento anni, ma ora, finalmente, è venuto il suo turno di occuparsi di lei.

A battaglia finita, Link cavalca per tre giorni portando tra le braccia una Zelda spossata ed esausta, semisvenuta. I cento anni di segregazione di Ganon le hanno richiesto più forze di quelle che possedesse – ma di più: di quelle che chiunque al mondo avrebbe posseduto: Link non sa neppure se ce la farà. Ha sigillato e sconfitto Ganon, Zelda è la vera eroina che questa terra merita, ma Ganon ha divorato le sue forze come una malattia violenta e invalidante, e forse non ne avrà a sufficienza anche per sé. Link sa di aver fatto esattamente lo stesso anch'egli, cento anni prima, prima d'esser crollato col corpo trafitto di frecce per farle scudo della sua propria forza, ma per qualche motivo il suo sacrificio non gli pare paragonabile a quello di Zelda.

Forse avrebbe dovuto portarla lassù, nella sua casa sull'Altopiano delle Origini, ma le pareti sono troppo alte e troppo ripide, invalicabili tanto alle sue braccia quanto al suo cavallo, ed egli non ha mai provato a teletrasportare una seconda persona con la tavoletta Sheikah. Non può permettersi di rischiare. Zelda non è ferita, semplicemente il suo corpo è spossato ed esausto, spezzato, e Link conosce un unico popolo che abbia le conoscenze necessarie per aiutarla.

Il viaggio gli appare interminabile. Link copre Zelda di tutti i suoi abiti più pesanti, le infila la sua tunica Rito e le copre il capo del suo mantello per tenerla al caldo, e cavalca tenendola tra le braccia senza neppure sapere se stia facendo la cosa giusta – se dovrebbe fermarsi e correre il rischio del teletrasporto o se dovrebbe cercare di curarla da solo, con le sue forze e le sue magre conoscenze, o cercare aiuto in uno stallaggio, o se gli scrolloni di Draphen potrebbero ucciderla più della sua debolezza. Link prova la stessa paura folgorante, innominabile, che ha provato quando ha sentito il suo cavallo morirgli tra le cosce, quel giorno alle pendici del Monte Morte, quando un mostro di fumo e di fuoco li ha aggrediti e Link si è sentito sbalzare al suolo. Non vuole che Zelda muoia. Dopo aver lottato e vinto per così tanti anni e aver sigillato Ganon, e aver portato la salvezza a Hyrule a costo di cento anni della propria vita, è davvero possibile che questa principessa troppo bella e troppo coraggiosa muoia così, ignominiosamente, sul dorso di un cavallo?

Raggiungono il villaggio Calbarico nel pomeriggio del terzo giorno, e Link si staglia sulla collina che affaccia sul villaggio per chiamare aiuto. Non gli importa di sé, gli importa di lei, della sua forza e del suo coraggio, e soprattutto gli importa che non muoia.

Tutto accade molto rapidamente, poi. Gli Sheikah li circondano e gli strappano Zelda dalle braccia rattrappite dal tanto tenerla stretta e la portano via, la sottraggono al suo sguardo per correre a curarla, e quando Link ormai sta per lasciarsi scivolare al suolo e seguirli, ecco che si sente trascinato giù dalla sella da mani che lo afferrano e lo toccano e lo palpano senza pietà.

«Maestro Link! Sei ferito?»

«No, no» balbetta Link senza capire, mentre mani amiche che d'un tratto gli paiono più forti di quelle di Ganon gli sfilano le armi e tastano le sue braccia e le sue cosce e lo trascinano a valle verso la casa di Impa. «È stato Daruk, è stata Mipha...»

Ma qui nessuno lo capisce, certo, qui nessuno è in grado di capire che cosa esattamente vogliano dire i nomi dei Campioni scomparsi ch'egli balbetta a fatica, e Link non sarebbe neppure in grado di spiegarglielo ora.

È ferito davvero. Il pensiero di non essersene neppure accorto lo farebbe quasi ridere se solo egli non fosse tanto preoccupato per Zelda: non sono ferite gravi, e il potere di Mipha ha già iniziato a ricucire silenziosamente la sua pelle a poco a poco senza ch'egli se ne accorgesse. Il sangue che si è rappreso si è appiccicato al tessuto dei suoi abiti, ed è proprio quando glieli tolgono, cercando di separarli il più delicatamente possibile dalla sua pelle dilacerata, che Link si accorge davvero per la prima volta del dolore.

La casa di Impa brulica di gente accorsa per dare una mano o anche solo per vedere la principessa rediviva, ed è solo con grande difficoltà che Paya – la timida e paurosa Paya – riesce a tener lontani quelli che non sono in grado di portare aiuto ma sono venuti solo a curiosare. L'eroe e la principessa devono riposarsi e guarire, adesso.

Link si sgola a gridare contro una marea di mani che lo affogano. Vuole parlare con Impa, vuole vedere Zelda, vuole... ma questa gente che lo ha spogliato e sta lavando la sua pelle e ricucendo le sue ferite non lo ascolta, è una marea sorda e insensibile che vuole aiutarlo ma neppure presta ascolto al suo dolore e alla sua confusione. Al di là della porta della stanza dove lo hanno trascinato e rinchiuso, Link riesce appena a intravvedere le silhouette confuse delle donne del villaggio che si muovono e si affrettano e accorrono scambiandosi in ogni parte della casa, e indirizza la voce verso di loro per pregarle almeno di dirgli come stia Zelda e se guarirà e s'egli è davvero riuscito a salvarla... ma è del tutto inutile, e parlare a questa gente è come sgolarsi a interpellare il sole nell'attesa che risponda. Vincendo ogni vaga resistenza che ancora il suo corpo sia in grado di opporre, Link finisce per abbandonarsi alle loro mani e semplicemente si arrende, lasciandosi maneggiare da loro come da onde che lo cullano. Non è in grado di lottare oltre, per questa vita.


La casa di Impa si è svuotata solo a notte alta, quando anche l'ultimo paesano è venuto a esprimere la sua gioia e a portare doni di fiori e frutta per la principessa. Ma il villaggio Calbarico non andrà a dormire per questa notte. Colla schiena appoggiata contro la parete, sotto la finestra, Link sta seduto cogli occhi chiusi e ascolta (glielo hanno detto che dovrebbe stare disteso, naturalmente, ma Link certe cose non vuol proprio sentirsele dire). Stanno festeggiando, là fuori: il villaggio celebra la fine della Calamità e la principessa e l'eroe trionfatori. È bello sentire le loro voci. Durante il viaggio da Hyrule centrale fino a qui Link si è voltato più volte indietro, aspettandosi da un momento all'altro di vedere di nuovo l'oscura foschia ricoprire il castello: ancora non si è abituato a non veder più quell'immane massa torreggiare in lontananza da qualunque luogo egli volti gli occhi. Dev'esser stato meraviglioso per questa gente, a un tratto, levare gli occhi e d'improvviso non vederlo più; e Link è contento che abbiano qualcosa da festeggiare, finalmente.

Zelda è nella stanza al piano di sopra. Impa è rimasta con lei per ore, a parlarle di tutte le cose che sono avvenute in questi cento anni, ma col tono lieve e fantasioso di qualcuno che stia raccontando una favola a un bambino assonnato; Zelda deve riprendersi, e Impa, che la conosce bene, non può permetterle di affaticarsi troppo. Ci sarà tempo perché la principessa si metta all'opera per risanare le ferite di Hyrule.

Impa lascia il capezzale della principessa solo molto tardi: aguzzando le orecchie, Link distingue bene tutti i movimenti suoi e di Paya, che la segue come un'ombra per aiutarla a spostarsi, e le sente camminare piano e parlare sottovoce e poi smettere di muoversi, e poi fare, lentamente, silenzio.

Nel corso del suo viaggio, Link ha imparato a muoversi silenzioso e rapido come uno Sheikah persino sul sottobosco secco e scricchiolante delle foreste del sud. Egli lascia perciò la stanza come un soffio di vento, scivolando sul legno come una foglia umida, e percorre le scale e il corridoio senza il minimo scricchiolio. Non vuole svegliare nessuno.

Zelda sta dormendo. Link distingue appena nella penombra la sua snella figura fragile e il profilo delicato dei suoi tratti. Non sa neppure bene come avvicinarla. Negli scorsi tre giorni, lui e Zelda sono stati vicini come un corpo solo e un solo respiro, coi loro petti vicini tanto da non aver più un confine preciso, ed egli ha sentito la propria pelle farsi tutt'uno con la sua pelle nell'ansia di proteggerla; ma ora che sono stati separati, che Zelda gli appare pulita e spendente su un letto circondato dai suoi capelli come una principessa delle favole, egli non sa più come avvicinarla, come una parte del suo corpo che sia stata brutalmente amputata e ch'egli non riesca più a riconoscere come propria.

Ma Link non può aspettare di vederla, egli deve sentirla, deve parlarle, sentire la sua voce, farle delle domande, e forse Zelda gli perdonerà s'egli verrà meno al protocollo per una volta. Inginocchiato accanto al suo letto come un cavaliere del tempo andato, Link le prende la mano e domanda: «Sei sveglia?»

All'inizio le sue parole cadono nel vuoto: non c'è nessuna risposta, e Link annaspa nel buio e nel vuoto, sentendosi proiettato solo nella solitudine della stanza deserta che d'improvviso gli pare sconfinata nel tempo e nello spazio. Ma poi le coperte si muovono appena, e i grandi occhi di Zelda si accendono come fiaccole nell'oscurità.

«Link.» La sua voce è ancora dolce e melanconica come egli l'ha sentita quel giorno lassù, sull'Altipiano; Link posa la fronte sulla sua mano fresca. «Grazie di essere venuto a salvarmi.»

Per tutti questi mesi egli si è trascinato avanti, ancora avanti, lottando contro la morte e contro il tempo solo per poter dire a se stesso di averla salvata; ma ora che la viva voce della principessa lo sta ringraziando, egli non sente di aver terminato alcunché. Ganon è stato sconfitto e Zelda è salva, e dalla finestra provengono le voci squillanti e la musica del villaggio che festeggia la liberazione; ma Link non si sente ancora assolto.

«Ho sbagliato così tanto, Zelda» inizia a bassa voce. Non sa neppure che cosa stia dicendo, o se lo stia dicendo più per lei o per se stesso – quello che conta adesso è parlare e spiegarsi. Zelda non dice niente. «Ci ho messo così tanto, ho sprecato così tanto tempo. Sarei potuto venire a salvarti subito, avrei potuto scendere dall'Altopiano e venire da Ganon, avrei dovuto...»

«Link.» L'interruzione di Zelda è paziente e benevola e cola come un balsamo sulle ferite del suo rimorso: Link ammutolisce all'istante. «Hai avuto paura, ma anche io ho avuto paura. Hai fatto tutto ciò che potevi. E poi, non eri tenuto a venire. Non avevi neppure più i tuoi ricordi...»

«Mi vedevi?» chiede Link vivacemente. Zelda tace per un po'.

«Vedevo la tua anima quando era più vicina alla mia. Sentivo il tuo cuore e la tua forza farsi più forti ogni giorno che passava, sentivo la tua paura e il tuo coraggio quando ti addentravi nei dedali dei colossi sacri. Ho sentito il tuo dolore quando hai incontrato Revali...»

Il cuore di Link dà in un sobbalzo doloroso nel suo petto, come se d'un tratto egli si fosse imbattuto coi suoi propri occhi, in pieno giorno, in un sogno che credeva non poter esistere altrove che nella propria mente e che nessun altro potesse conoscere.

Quando si è ricordato di Revali ha provato un dolore atroce e immenso, smisurato, e non ha saputo spiegare il perché neppure a se stesso. Non ricorda neppure quali fossero i loro rapporti a parte per quell'acerrima rivalità che li divideva, e non è riuscito a intuirlo – che Mipha lo amasse egli lo ha letto della dolcezza che i suoi occhi mantenevano persino attraverso il tramite della sua nebulosa memoria, e allo stesso modo, solo per aver guardato nei suoi occhi attraverso i propri ricordi, Link ha saputo all'istante di non averla amata che con l'affetto che si deve a una sorella. Dei ricordi che ha raccolto di Urbosa e di Daruk egli ha percepito la stima profonda che li univa, l'affetto materno di Urbosa e il cameratismo maschio e volitivo di Daruk; e di Zelda egli ricorda di averle voluto bene come a una metà del suo corpo e della sua anima, di averla osservata e protetta come una creatura sofferente e sola, abbandonata esattamente come lui in un mondo impietoso che non le corrispondeva. Tutta la sua vita egli avrebbe dato per lei, e molto di più, ma col sentimento di dovere che gli ispirava quella creatura nobile e sofferente tutta votata al sacrificio di se stessa, ch'egli sentiva gemella al suo destino.

Ma perché Revali è l'unico che gli manca?

Se glielo chiedesse, forse Zelda saprebbe rispondergli: ella è davanti a lui, potrebbe interrogarla, parlargli, e forse ella conoscerebbe le risposte alle sua domande; ma che cosa vi sia nel suo cuore, e per quale motivo senta la mancanza di qualcuno che non ha mai davvero conosciuto, questo non può aspettare di sentirselo dire dall'esterno. E questo dolore poi come potrebbe dirlo ad alta voce?

Quello connesso a Revali è l'unico sentimento ch'egli senta di aver portato con sé dalla sua vecchia vita – oltre a quello per Zelda, che però è viva – sul quale egli stia costruendo sentimenti e pensieri nuovi. Quando ha ricordato i momenti trascorsi con Urbosa e Daruk è stato come sentirsi raccontare la storia di personaggi del mito coi quali non abbia avuto realmente nulla a che fare in prima persona; e in quanto a Mipha egli ha provato per il suo amore non corrisposto una pietà indicibile, ma come se a non corrisponderla fosse stato un altro ragazzo insensibile e indifferente che nulla aveva a che fare con lui. Allora perché con Revali le cose stanno diversamente, ed egli si sente coinvolto dal suo ricordo come se veramente Revali gli avesse ricordato qualcosa?

La forza di questa nostalgia lo confonde più di quanto egli avrebbe creduto possibile, ed egli vuole davvero indagarla insieme a lei; ma non può chiedergliene direttamente. Allora, accarezzando pensierosamente la mano fragile e fresca che stringe tra le sue, egli trova appena il coraggio di domandare: «Tu ricordi tutto di cento anni fa?»

I capelli della principessa frusciano dolcemente sul cuscino: ella deve aver volto il capo per guardarlo, e forse adesso i suoi occhi stanno attraversando il buio per cercare i suoi tratti. Se ora fossero in piena luce ed ella potesse guardarlo negli occhi, forse Link si sentirebbe in imbarazzo come s'essi dovessero scavare dentro di lui il suo segreto; ma è buio, e il cieco sguardo di Zelda scivola sul suo volto senza trovarvi appiglio.

«Ricordo mia madre e mio padre e la dea» sussurra. La sua voce è così sottile ch'egli arriva appena a udirla. «Ricordo il sole e Hyrule e il mio cavallo bianco e quei fiori che coglievamo su quel prato... ricordo tutto. Link, tu che cosa ricordi?»

«Mi ricordo di te» risponde Link onestamente, e questa è la più grande verità ch'egli arrivi a pronunciare. «E ricordo gli altri... un po'. Ma quella storia che mi ha raccontato Impa, quella sulla principessa e l'eroe di diecimila anni fa... ti ricordi anche quella?»

«Mia madre me la raccontava da bambina.» Zelda tace per un poco. Quando riprende a parlare, la sua voce è se possibile più triste. «Sì... me la ricordo.»

«Eravamo noi?» Questa domanda l'ha tormentato sempre, ed egli sempre l'ha portata con sé, l'ha ossessionato nelle lunghe notti senza scopo delle sue veglie inquiete, quando sostava vicino al fuoco cogli occhi spalancati e infissi nella sconfinata notte che lo circondava. Persino a Daccapo questa domanda lo inseguiva, ma è la prima volta ch'egli ha modo di formularla a parole. «In tutte quelle lotte, in tutte quelle leggende... quella principessa e quell'eroe che sconfiggevano il male ogni volta che si ripresentava e hanno vinto sempre, lo hanno ricacciato sempre, eravamo noi, credi?»

«Eravamo noi» risponde Zelda a bassa voce. «Erano altre vite, però.»

Era la risposta che si aspettava, questa è a fine della storia. Stringendo ancor più tra le dita quella mano che non si ribella e non reagisce, Link chiede ancora: «E ci siamo amati in quelle vite, credi?»

«Non lo so, io... forse. Non lo so.» La voce di Zelda ha un tremito ch'egli non si sarebbe aspettato da lei, come una strana modulazione che vacilla in fondo alle sue parole e si attarda un poco nell'aria della stanza. Suona come se piangesse. Ma perché mai dovrebbe piangere? «Di certo... di certo non in tutte, non è vero?» Di certo non in questa, pare suggerire il tremulo spettro di una risata dolorosa, spezzata, che segue alle sue parole senza tuttavia farne parte. Ma perché Zelda dovrebbe rattristarsene?

«Non in questa» ripete Link. È come pensava; ma ora che l'ha saputo, non sa neppure più che cosa dire. Ci sono tante cose che vorrebbe sapere da lei, così tante, soprattutto, ch'egli non sa neppure come si potrebbe chiederle. Se solo la sua mente potesse compenetrarsi alla sua e a essa sovrapporsi, ed egli potesse vedere il mondo come Zelda lo vede attraverso i propri occhi e la propria saggezza, Link sente che i suoi dubbi svanirebbero; ma non è così che si può farli svanire, ed egli deve accontentarsi di restare al di fuori di lei e della sua mente.

«E quelle vite, senti... quegli eroi e quelle principesse. Pensi che avessero tanti dubbi quanti ne abbiano avuti noi?»

«Vorresti essere loro?»

Come si potrebbe non desiderare di non avere dubbi? Link avrebbe voluto essere un eroe grande davvero, come quelli delle leggende che gli ha narrato Impa – un eroe concreto, autentico, risoluto e coraggioso e in grado in ogni momento di gettarsi nel vuoto e sguainare la spada e combattere – e non come lui, che ha vagato per tutta Hyrule per trovare il coraggio di sfidare Ganon. «Avrei voluto essere più coraggioso.»

Link si ricorda del tormento di Zelda. Ricorda le sue preghiere e il suo pianto, le grandi ondate impotenti della sua frustrazione e la sua stupefatta mortificazione, e il dolore di vedersi redarguita e perduta: anche Zelda avrebbe voluto essere diversa, ed egli si pente all'istante di averle parlato così: se solo Zelda non avesse fallito, se solo il suo potere non avesse tanto tardato a destarsi, forse suo padre non sarebbe morto.

«Avrei voluto esser più forte anch'io» risponde piano. Non c'è rancore nella sua voce, solo una grande e composta tristezza.

«Tu sei stata coraggiosa per cento anni» obietta Link cautamente. Questa è l'unica verità ch'egli conosca, ma non è questo che Zelda aspettava di sentirsi dire, ed egli lo sa. Al pensiero di quegli ultimi cento anni, del coraggio che in ogni momento minacciava di venirle meno e della Calamità che incombeva su di lei, la mano di Zelda trema nella sua ed ella fa per ritrarsi: sta rabbrividendo.

Allora Link capisce di aver sbagliato, di dover dire qualcosa, far qualcosa che possa distrarre il suo pensiero dalla Calamità, e magari mostrarle, chissà, che il suo sacrificio eterno non è stato vano. Che Hyrule esiste ancora grazie a lei e che tutta la sua stanchezza e la sua lotta sono almeno servite a qualcosa.

«Hyrule sta rinascendo, sai» inizia a bassa voce. Quel tremore incontrollabile che l'aveva colta un attimo fa si acquieta un poco; Zelda lo sta ascoltando di nuovo. «Sta nascendo un nuovo villaggio nelle terre di Akkala, uno che non hai mai visto. Non esisteva prima. Lo stanno fondando dal nulla.»

Per la prima volta da quando egli l'ha strappata dalle orride braccia di Ganon, la voce di Zelda si modula in un accenno di risata che aleggia per qualche istante nel buio, e Link trova che sia davvero un bel suono. «Non funziona esattamente così, coi centri abitati.»

«È quello che ho pensato anche io, ma... che tu ci creda o no, sta funzionando.» Mentre sta ancora parlando, Link è folgorato da un'idea improvvisa: sollevatosi di scatto, egli slaccia la tavoletta Sheikah dalla cintura e gliela porge. «Ti va di vederlo?»

Quando l'accendersi della tavoletta le illumina il viso, gli occhi di Zelda si appannano un poco nella luce che attraversa il buio: ella si copre per un attimo gli occhi con la mano, e Link si sorprende di quanto questo gesto sia spontaneo e naturale e quasi infantilesco in lei. Ma egli non demorde, e le immagini scorrono sullo schermo in successione per il tempo necessario a distinguerle: il villaggio che sorge sulle rive del lago prende forma così quasi senza ch'ella se ne accorga, nell'impercettibilità dei mutamenti ritratti giorno dopo giorno, e Zelda vede le pareti di roccia spianarsi e assottigliarsi e le case ergersi variopinte contro l'orizzonte, e la piazza iniziare a brulicare di gente. Link le indica tutto e le spiega tutto e le racconta di quando è andato a scovare in mezzo al deserto una ragazza che cercava avventure e sulla dirupata città dei Rito un ragazzo che cercava libertà; ma d'un tratto, non appena egli distoglie lo sguardo dallo schermo e torna a guardare Zelda, si accorge che qualcosa non va. Le labbra della principessa sorridono, certo, ma i suoi occhi sono colmi di lacrime. Zelda sta piangendo.

«È qui che vuoi andare, vero?»

Link si sente colto in fallo come se l'avesse tradita. Il suo cuore fa un balzo, e sollevandosi di scatto egli spegne la tavoletta Sheikah come se volesse nascondere le prove di un suo tradimento. «Che cosa vuoi dire?»

Il suo viso non è più illuminato dalla luce dello schermo, eppure, quando Zelda lo guarda, Link è perfettamente in grado di distinguere nel buio lo splendore verdefoglia dei suoi occhi. Non c'è la minima accusa in essi.

«Ti ho detto che sentivo il tuo cuore quando era più vicino al mio, ma la verità è che non lo è stato quasi mai. Il tuo cuore non era con me: era nel respiro delle terre selvagge, era in questo villaggio che stai aiutando a costruire...»

Link cerca di prendere la parola, di parlare, difendersi: le parole di Zelda gli appaiono profondamente ingiuste, forse perché colpiscono quella parte della sua coscienza che non si sente affatto serena. Egli ha avuto dubbi, certo, e ci sono stati dei giorni, come quelli che ha trascorso a Daccapo, in cui ha persino pensato di lasciar perdere tutto e nascondersi – ma per quanto egli possa esser stato tentato, per quante occasioni egli abbia avuto, Link non l'ha mai fatto. È stato lui a scalare le mura del Castello, a fronteggiare Ganon armato solo del suo coraggio e della sua spada: dove altro avrebbe potuto essere il suo cuore? Ma le sue parole non trovano voce: la dolcezza di Zelda lo ammutolisce.

«La tua volontà era con me» mormora.«Ma era tutto, e soprattutto era molto più di quello che potessi sperare. Link, tu non ti ricordi di me. Quei ricordi che hai ritrovato appartengono a una persona che è morta laggiù, alla Muraglia di Finterra, quel giorno di cento anni fa...»

«Io sono qui adesso» protesta Link con voce soffocata. Non s'è neppure accorto di essersi alzato in piedi; ma Zelda non ne è affatto intimorita. «Sono qui per te, sono venuto a salvarti. Quello che ho fatto quel giorno per te, quando i guardiani ci aggredivano e io e te eravamo rimasti soli contro il mondo intero, e sarebbe stato più semplice per entrambi lasciarci morire e smettere di lottare...»

«Lo rifaresti ancora, certo» lo interrompe Zelda. La dolcezza della sua voce non ha la minima esitazione.«Lo rifaresti ancora oggi, e lo faresti per chiunque, perché tu sei fatto così e non ti tirerai indietro mai. Ma tutto ciò che hai fatto da quando ti sei svegliato lassù, sull'Altopiano, lo hai fatto perché ti è stato chiesto e dunque dovevi. Io non posso impedirti di sacrificare la tua vita per tutto ciò che desideri, ma posso scioglierti da ogni dovere che tu abbia verso di me e lasciarti libero di scegliere..»

Zelda ha fatto quello che doveva per tutta la sua vita senziente, piegata e oppressa dalla necessità che la incalzava e dal soffocante volere di suo padre, dalla memoria di sua madre e dalla sacra eredità delle sue antenate. Dunque è per questo che non c'è rancore nella sua voce, ma solo un dolore dolce e melanconico, come il ricordo di un rimpianto.

«Va' a Daccapo, Link» insiste Zelda. «O va' nel respiro delle terre selvagge, dove ti porta il tuo cuore. Va' da quella gente che ha bisogno di te e che ti ha chiesto il tuo aiuto e che tu aiuterai sempre, salverai sempre, perché sei fatto così. Siamo stati schiavi del destino dei nostri antenati per tanto tempo che io non voglio più questo per te.»

«Vieni a Daccapo con me!» esclama Link improvvisamente. Questa volta, Zelda è talmente stupefatta che è costretta ad ammutolire. «Puoi ricominciare daccapo anche tu, possiamo farlo insieme. Non sei più costretta a essere la principessa se non vuoi, io mi ricordo quanto hai sofferto. Possiamo ricostruire lo stesso Hyrule, solo che non come la principessa e l'eroe della leggenda, solo come... Link e Zelda. Come quelle persone che stanno costruendo il villaggio a partire da zero, senza essere nessuno...»

«Io non ho perduto la memoria, Link.» La voce di Zelda è tanto flebile ch'egli rischia di non udirla. «Sono ancora la stessa di cento anni fa, e il mio destino l'ho accettato da tanto tempo. Non si parla più di quello che devo, ma di quello che voglio; per te invece è diverso.»

«Voglio venire con te» mormora Link, ma le sue parole suonano deboli e poco convinte, e Zelda lo sa.

«No, Link. Il Link di cento anni fa voleva venire con me, e io ti ringrazio a nome suo per aver mantenuto il giuramento che aveva prestato; ma tu non sei più quella persona. Quando ho dato ordine di portarti al Sacrario della Rinascita, sapevo già perfettamente che non saresti stato lo stesso al risveglio; e da quando ti sei svegliato sei stato così impegnato a ricordarti chi tu fossi che non hai quasi avuto un momento per capire chi sei ora. Io non voglio questo per te.»

«Ma...»

«Link.» La voce di Zelda è calma ma inflessibile, adesso. «Non te lo sto chiedendo, te lo sto ordinando. Voglio che tu vada, e che torni da me soltanto se avrai capito che è questo che veramente vuoi. Me lo prometti?»

Non c'è più nulla da obiettare, adesso. Zelda non gli ha ordinato di partire subito, ma le sue parole suonano egualmente come un addio; e del resto non avrebbero altro da dirsi.

Link è libero, ora tutto il suo cuore dovrebbe pulsare di gratitudine e urlare grazie! grazie! grazie!, poiché Zelda lo ha capito e salvato, ancora una volta; ma per quanto egli le sia grato della sua comprensione, si sente profondamente malinconico. Non voleva che finisse così; ma Zelda ha ragione. Prima di poter decidere se restare con lei o no, forse ha ancora molte cose da capire.

Chinandosi sul bordo del letto, Link posa le labbra sulla sua fronte e si riempie le dita dei suoi capelli. Zelda si è irrigidita e trema, ma Link percepisce egualmente tutto il suo calore.

«Sono contento che tu abbia trovato il tuo posto nel mondo.»

Un tocco fresco lo farebbe sobbalzare se solo non provenisse da lei: Zelda ha sollevato le mani per toccarlo, e ora la punta delle sue dita rosate sfiora appena le sue guance. «Spero che lo trovi anche tu. Link...»

«Sì?»

«Ti vorrò bene per sempre, qualunque scelta tu voglia compiere. Ricorda solo che se domani, o tra mille anni, tu dovessi scegliere di ritrovarmi, potrai sempre tornare. Ci sarà sempre un posto per te al mio fianco, se tu non dovessi trovarne uno migliore in questo mondo. Non te ne dimenticherai, vero?»

«Non potrei mai dimenticarmene.» Link questo lo ha sussurrato col volto affondato nella massa voluminosa e profumata dei suoi capelli biondi, ma è certo che Zelda lo abbia sentito.


Principessa Zelda,

parto per porre fine al mio viaggio come tu mi hai ordinato. Non so ancora quello che troverò, ma ti ringrazio di avermi dato questo ordine.

Lascio per te una chiave. Apre la porta di una casa di Finterra che io non ho amato quanto meritava: se tu cercassi un posto dove riposarti, o nasconderti, o ripartire, mi piacerebbe che tu riuscissi ad amarla un po' più di me. Te ne faccio dono con tutto ciò che contiene. La troverai facilmente: forse per paura di scordare di nuovo il mio nome, l'ho fatto scrivere davanti alla porta. A Finterra troverai qualcun altro che vorrebbe rivederti dopo tanto tempo. Non spaventarti se la troverai un po' cambiata: c'è una spiegazione.

A Finterra troverai anche un bravo architetto (non te lo descrivo: se tu lo cercassi, sono certo che non stenterai a trovarlo). Se deciderai che il modo migliore di ricostruirei Hyrule sia quello di costruire, potrebbe essere l'uomo che fa per te.

Che tu accetti o meno il mio dono, che tu venga o meno a Daccapo, io so già che t'incontrerò di nuovo. Tu hai detto che la mia anima è nel respiro delle terre selvagge, e io mi sono vergognato ad ammettere che avevi ragione: per tutta la durata del mio viaggio, non c'è stato un momento in cui io non abbia desiderato lasciar perdere tutto e abbandonarmi al viaggio. Ma se non ho ceduto è stato perché volevo salvarti. Farò di tutto per sanare questa contraddizione – nel frattempo so che i nostri sforzi andranno nella medesima direzione, e che le nostre anime si incontreranno nella Hyrule che amiamo entrambi.

Non posso riportarti il Link di cento anni fa perché non l'ho mai conosciuto, ma proverò a portartene uno nuovo.

Ti prego, accetta la mia casa. È l'unica cosa che posso darti.


Link.


Post scriptum – Grazie di aver chiamato il mio nome, quel giorno. In questa seconda vita so di non esser stato coraggioso come nella prima, ma l'unica volta in cui ho davvero avuto paura è stata quando ho aperto gli occhi e ho scoperto di non saper più chi ero. Ma poi la tua voce mi ha chiamato e io ho saputo di essere Link – e di questo non potrò mai esserti grato a sufficienza.




Buonasera a tutti!

Non so davvero cosa dire di questa storia, se non che dovevo scriverla, e in pratica si era già scritta da sola senza che me ne accorgessi. Daccapo era completa quando l'ho scritta, ma la verità è che quando l'ho scritta non avevo ancora finito come si deve il gioco; e ora che mi pare di conoscere Hyrule a memoria, e che ciò nonostante continuo ogni volta che riprendo in mano la Switch a trovarvi qualcosa di nuovo, questa storia si è fatta troppo impellente per non poterla scrivere.

Approfitto di queste note per ringraziare di cuore An13Uta e Miryel per i loro pareri alla storia precedente, e per abbracciare di tutto cuore Fiulopis, che si è ormai rassegnata al fatto che betarci le storie a vicenda è quasi una necessità dato che tra tutte mettiamo insieme a malapena un paio d'occhi sani.

Un bacione e al prossimo capitolo!


Afaneia

   
 
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